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[AUTODIFESA] Difesa personale, stress, paura e ansia

Stress, paura ed ansia. Su questi argomenti libri, dvd ed altro si sprecano, ma ciò che cercherò di fare è di dare un’informativa (sperando che sia esaustiva), su alcuni aspetti non molto curati ma di estrema importanza.

Iniziamo ad analizzare per esempio lo STRESS. Esso può essere:

  • GENERICO: al quale tutti noi siamo sottoposti nel nostro vivere quotidiano (arrivare in orario al lavoro, trovare parcheggio, l’ambiente di lavoro, i problemi familiari, etc.), sono tensioni che sono entrate nella routine della nostra esistenza;
  • SPECIFICO: proprio di alcune professioni (poliziotto, medico di pronto soccorso, vigile del fuoco, insegnante etc.), che costituisce una fonte di pressione emozionale costante, sia per il contatto con la realtà cruda e la sofferenza sia per la continua apprensione di veder sfumare la realizzazione degli obiettivi prefissati (arrestare un malvivente, salvare una vita etc.);
  • TATTICO – OPERATIVO: legato al momento, durante l’azione, in condizioni percepite come a rischio. Siamo consapevoli di essere esposti al pericolo e percepiamo i nostri limiti, la nostra preparazione, subentra il concetto di autostima che è condizionante.

Lo stress non si vince ma si può gestire

Per lo stress specifico bisogna approfondire ed indagare sul proprio io, sulla propria coscienza, sul perché si è scelta quella professione e se si è in grado di poterla svolgere adeguatamente.

Superare lo stress tattico invece presuppone un fisico efficiente ed addestrato con cura e la conoscenza degli strumenti messi a disposizione per fronteggiare una situazione di pericolo (es. l’arma), nonché il continuo addestramento all’uso delle armi, simulando dinamiche e scenari vicini alla realtà.

Parliamo anche un po’ dell’ansia

L’ansia porta il soggetto alla incapacità di fronteggiare una situazione, e crea quindi uno stato di allerta, di vigilanza e di “attesa penosa“ verso qualcosa di non definito. In alcuni casi si tratta di paura cosciente.

Un certo livello di ansia aumenta l’attenzione e la concentrazione ed è quindi utile per migliorare le prestazioni personali, altre volte l’intensità dell’ansia è così marcata da rendere il comportamento inadeguato rispetto alla situazione ed il soggetto non riesce più a controllare le sue reazioni.

Il soggetto ansioso è irrequieto ed apprensivo, la sua vita e le sue abitudini subiscono condizionamenti, ricordiamo le ossessioni che interagiscono ed interferiscono sulle attività quotidiane (prima di uscire devono essere compiute certe azioni, come mettere i vestiti riposti in un certo modo e altro), l’ansia porta a tensioni motorie (tremori, dolori muscolari ,etc.) ed a tachicardia, sudorazioni, vertigini.

Ricordo sempre al riguardo dell’ansia che esiste anche una PAURA SPECIFICA, ad esempio quella per gli animali o per determinate situazioni (tuoni, buio, spazi chiusi, etc.) e la PAURA SOCIALE, quella che esporrebbe al giudizio degli altri (paura di parlare in pubblico, etc.).

Nel momento di stress emotivo si avrà una accentuazione dell’ansia, immaginiamo un evento stressante, dovuto ad una situazione catastrofica o minacciosa (guerra, terrorismo, violenza, grave incidente, etc.), tutto questo porta a traumi psichici e a ricordi o sogni “flashback“, che possono degenerare in paura, panico o aggressività, insonnia, depressione e, alle volte, anche a propositi di suicidio.

A tutto questo si potrebbero associare inoltre l’abuso di alcool e droga.

L’ansia acuta porta ad attacchi di panico (la paura di morire o di impazzire, di affrontare da soli luoghi isolati o aperti e molto affollati, l’ascensore, la paura di non poter più essere autonomi etc.)

Nel prossimo articolo tratterò un fattore scatenante nelle aggressioni: LA RABBIA

Note

  • Foto di copertina File (Wikimedia Commons)
  • Grafica copertina ©RIPRODUZIONE RISERVATA
  • Elementi tratti da una pubblicazione del Dr. marco Strano

L’aggressività dal punto di vista della psicologia clinica-dinamica

Gli studi psicologici clinico-dinamici sull’aggressività trattano l’argomento attraverso un atteggiamento ermeneutico e facendo uso dell’interpretazione.

In questo caso la tradizione è più portata ad indagare le cause interne-psicologiche che spingono all’azione biliosa che prescindono dal contesto.

In psicologia gli autori che hanno affrontato in modo più o meno approfondito l’aggressività sono tanti, questo sembra sia dovuto a due aspetti della tradizione psicologica di ricerca clinico-dinamica sull’aggressività:

  • Il primo aspetto è filosofico, dal momento in cui si ritiene l’aggressività innata e naturale e poi perché si ritiene che l’aggressività denoti al male (morale);
  • Il secondo, che giustifica tanto interesse, è interno alla psicologia dinamica.

Dal momento che l’aggressività ha assunto da subito valore di istinto-pulsione ed elemento costituente la personalità, ogni autore in questo campo, trattando di personalità o di aggressività, ha dovuto fare i conti con riferimenti meta-psicologici, allargando di conseguenza le varie argomentazioni e letteratura.


Sigmund Freud fu tra i primi ad occuparsi in modo articolato di questo argomento

Da subito egli la postula come dimensione pulsionale-motivazionale inconscia, orientata alla distruzione e contrapposta alla spinta generativo-conservatrice della libido.

Questo punto di partenza freudiano pone l’aggressività come un istinto connaturato nell’uomo, presente nella sua personalità e motivante, che obbligherà gli autori che si occuperanno di temperamento irruento a dover sempre fare i conti con la questione motivazione e con un relativo modello della mente.

Freud, in modo parziale, ipotizza che l’aggressività-distruttiva sia istintuale-originaria.

Che sia ovvero un comportamento reattivo, una risposta alla frustrazione, nel senso di un’incapacità dell’Io di mediare rispetto ai bisogni intersistemici della mente.

Il parere di Alfred Adler

Contemporaneamente a Freud, sul tema si espresse Alfred Adler, attraverso i suoi studi sull’Inferiorità d’Organo.

Egli sostiene che l’aggressività viene agita per compensare un sentimento di inferiorità sentito dalla persona.

Questo presuppone che l’aggressività sia l’effetto di un brutto rapporto con l’ambiente e che l’aggressività sia una strategia estrema dell’individuo, finalizzata alla realizzazione di se stesso.

In questo pensiero adleriano è fondamentale il sentimento di odio e rancore, che abbassa il sentimento sociale e relazionale, permettendo così l’agito aggressivo di rivendicazione rispetto ad un senso di inferiorità sentito.

Il parere di Anna Freud

Sempre nello stesso periodo un altro importante contributo arriva da Anna Freud, la quale individua un meccanismo di difesa dalle esperienze violente subite, che prende il nome di “l’Identificazione con l’Aggressore” è presente in modo evidente nel bambino che ha subito l’aggressività.

Ma è possibile anche nell’adulto ed individuabile nei comportamenti sociali (si pensi alla dinamica del capro espiatorio), attraverso l’identificazione con l’aggressore (difesa impregnata di paranoia) il soggetto si difende da un atto violento riproducendolo in forma simbolica (esempio, con il gioco nel caso del bambino), o attraverso l’agito, permettendo così una reiterazione del trauma subito, capace nel tempo di renderlo accettabile alla coscienza.

La figlia di Freud non introduce variazioni rispetto alle teorizzazioni paterne sull’aggressività, ma scopre un comportamento di difesa contro forme di aggressività vissute come esperienze traumatiche.

Note


TOMARI: L’antica GROTTA SEGRETA del KARATE

Una mitica grotta nelle colline di Tomari nella città di Naha, di fronte alla costa, fu anticamente il nascondiglio dei naufraghi cinesi arrivati ad Okinawa.

Molti dei quali erano artisti marziali che cominciarono a praticare ed a insegnare il Karate in questo mitico luogo nella più assoluta clandestinità.

È questo il caso di Chinto, l’abile karateka cinese al quale dobbiamo il nome di uno dei Kata di Karate più rapidi e più fluidi.

Oppure di Kosaku Matsumora, l’eroe del posto da quando nel 1392 le famose 36 Famiglie di Kume (il cui nome si deve al quartiere dove si stabilirono) si trasferirono dalla città cinese di Fuzhou fino a Naha.

Il pellegrinaggio di cinesi ad Okinawa fu una costante, benché la storia nella quale ci immergiamo si situi quattro secoli più tardi.

Chi è Kosaku Matsumora

Kosaku Matsumora (1829-1898) nacque nella cittadina di Tomari. Di enorme talento, fu una persona che seppe approfittare del suo piccolo ma potente corpo.

Quando era giovane studiò le tradizioni marziali di Tomari, dove si distinse come coraggioso e bujin.

Arrivò ad essere ben conosciuto per la sua cavalleria e per il suo spirito vibrante e fu sempre ricordato per aver evitato che un Samurai armato di katana importunasse gli abitanti di Tomari.

Poi in uno sforzo per evitare delle rappresaglie, si confinò in un luogo remoto di Nago. È anche ricordato per aver protetto la proprietà della cittadina su incarico del governatore.

Nel 1879 le proprietà e i beni  derivanti dai contributi rischiarono di essere confiscati dal nuovo governo, dopo che il Re abdicò e il Regno venne abolito.

Ma gli sforzi degli ufficiali giapponesi per confiscare i beni di Tomari furono vani grazie in parte  all’impegno di Matsumora.

Il 7 novembre del 1898 Kosaku Matsumora muore e comincia la sua leggenda a Tomari e per un secolo il suo ricordo è rimasto nelle leggende della zona, e oggi si può ammirare un bel rilievo in suo onore.

La selva di Tomari

La zona più sconosciuta, disabitata e desolata di Tomari, ad Okinawa, è una piccola selva vicino al mare, che è composta da montagne che nascondono delle crepe nel terreno, utilizzate anticamente come nascondiglio da gente che, per una ragione o per l’altra, dovevano rimanere nell’ombra.

I naufraghi cinesi

Questo fu il caso di alcuni importanti Karateka venuti dalla Cina in nave.

Si nascosero in queste grotte dopo aver naufragato di fronte alla costa, e si guadagnavano da vivere come potevano (spesso rubando). Praticavano le loro arti marziali in queste zone nascoste, vicino alla spiaggia di Naminoue.

Verso il XIV secolo Chinto, un marinaio cinese esperto in arti marziali dotato di una notevole abilità nell’arrangiarsi in certe circostanze, cominciò ad insegnare arti marziali vicino alla grotta, e da lui ricevettero tali informali insegnamenti in questo luogo all’incirca 1840 contadini di Tomari e personaggi che sarebbero poi diventati importanti in futuro, tra cui Giei Yamada.

Non possiamo parlare di Tomari senza parlare di Kosaku Matsumora, che divenne il maestro più importante e famoso della forma marziale conosciuta da approssimativamente l’anno 1700 come Tomare Te.

Chinto e Kosaku Matsumora

Kosaku imparò questa forma del futuro Karate con Teruya Kishin e un giorno, mentre stava praticando le sue arti marziali in gran segreto e in solitario vicino alla grotta, notò che c’era qualcuno che lo stava spiando dall’interno della grotta.

Matsumora andò a raccontarlo a Teruya e quest’ultimo lo fece ritornare sul posto dove la “spia“ della grotta uscì, si scusò per aver interrotto il sua allenamento, gli consegnò un foglio e poi, quell’enigmatico personaggio semplicemente sparì.

Quando Kosaku mostrò il foglio a Teruya, questi esclamò: “chiaro, non poteva essere che lui“, si trattava di Chinto.

Tempo dopo Sokon Matsumura, il Capo Militare del castello di Shuri, fu inviato a fermare un clandestino cinese che aveva causato dei tumulti nella città e che si era stabilito nelle grotte di Tomari.

Le strategie, le furberie e le abilità di quel cinese fecero si che la missione non risultasse così facile, come in principio era sembrata, si trattava di Chinto e Sokon Matsumura per arrestarlo, si fece accompagnare da un esperto conoscitore del posto e delle grotte delle colline di Tomari.

Questo esperto non era che Kosaku Matsumora, il quale in questo modo ebbe modo di conoscere assieme a Matsumura, questo bizzarro cinese.

In poco tempo i tre diventarono amici per via della loro passione comune, le arti marziali, di cui si scambiarono le rispettive conoscenze.

L’abilità di Chinto gli fece meritare l’onore di dare poi il nome al famoso Kata (più avanti conosciuto in alcune scuole di Karate anche come Gankaku).

Benché non si sappia se sia stato una creazione sua, di Matsumura Sokon o se semplicemente sia stato importato dalla Cina da quest’ultimo e poi ribattezzato con quel nome in onore di Chinto.

Il significato esatto del nome Chinto è incerto

Una traduzione potrebbe essere “lottare dell’ovest“, mentre un’altra potrebbe essere “lottare in una città“, Chinto fu uno dei Kata che Gichin Funakoshi portò in Giappone, assieme ad altri 15, all’inizio era un Kata introdotto dal Tomari –Te ed integrato allo Scurite.

Ci sono più di 5 differenti versioni di Chinto.

La versione di Tomari mantiene qualcosa dell’essenza cinese, mentre quella di Shuri è più semplicistica, il Kata segue una linea di movimento retta e si deve eseguire con tecniche molto dinamiche.

Caratteristica di questa forma è la ripetuta posizione con la gamba alzata, che ricorda la splendida visione di una gru posata su una roccia mentre sta per colpire la sua vittima.

Si usano anche vari calci in salto, che la contraddistinguono da altri Kata.

Entrambe le caratteristiche rappresentano la preparazione del Kata per lottare su gradini e tratti di scala, da una parte, e in posti con un terreno non uniforme e perfino delle pietre dall’altra.

Il terreno dove è ubicata la grotta, ha influenzato anche la tecnica di questo Kata, con i salti con calcio frontale sferrati da sopra le rocce.

Sia il personaggio Chinto che Tomari lasceranno un segno nella vita di Kosaku Matsumora, il quale diventò poi un un vero e proprio eroe per via della sua strenua difesa degli interessi dei contadini di Tomari nel corso degli anni in cui i Samurai dell’isola principale del Giappone li sottomisero.

Divenne molto famoso e ancor oggi si ricorda in questa zona il combattimento che Matsumora una volta ebbe contro un Samurai Satsuma.

Il fatto accadde nella via Haariya. Durante il combattimento, nel quale il Samurai usò la sua Katana regolamentare e Matsumora solo una giacca di panno, il Karateka perse un dito… che gettò nel fiume insieme al capo d’abbigliamento.

Senza dubbio Matsumora è il vero simbolo di Tomari

Con tutto rispetto di un altro esperto della zona, Kokan Oyodomari, i suoi allievi ricevettero insegnamenti regolarmente dall’eroe di Tomari nelle zone della grotta, estemporanei dojo naturali di allora, ed oggi considerati da coloro che amano il Karate più tradizionale, come luoghi storici della nostra arte marziale.

Come aneddoto da menzionare va detto che Kosaku non voleva insegnare tecniche di combattimento a Motobu per via del suo modo di essere. La bizzarria di Chocki lo spinse a spiare Kosaku nei suoi allenamenti privati e a rubargli così alcune sue conoscenze.

Note


[SALUTE & BENESSERE] Lo SPORT per TUTTI

PERCHÉ LO SPORT PER TUTTI?


Attraverso lo sport è possibile confrontarsi con se stessi, soffrire, gioire, perdere o vincere, ma soprattutto è importante imparare ad affrontare le sfide della vita nel rispetto dei propri limiti e degli avversari qualsiasi siano le differenze in campo.


L’importanza di svolgere l’attività sportiva per le persone disabili

L’importanza di svolgere l’attività sportiva per le persone disabili ha diversi significati: la possibilità di migliorare le proprie condizioni fisiche, intellettive o sensoriali.

La possibilità di partecipare ad un’attività organizzata e ben strutturata che garantisca ai disabili la reale percezione di appartenenza ad un gruppo nel quale rispecchiarsi e sentirsi parte integrante; la possibilità di compiere nuove esperienze attraverso le quali sia possibile confrontarsi e crescere insieme.

Il raggiungimento di risultati, che ricompensano di tutta la fatica fisica e psichica e di tutte le difficoltà affrontate; l’affermazione dello sport per le persone disabili non più ritenuto solo come qualcosa di terapeutico o di particolare data la condizione, ma con un completo riconoscimento dell’attività sportiva agonistica o amatoriale che sia; la capacità per il disabile di rispettare regole ed orari imparando a vivere situazioni sempre più strutturate.

Lo sport può essere considerato anche come una terapia

L’attività sportiva può essere considerata a tutti gli effetti anche come una vera e propria terapia all’interno dei diversi percorsi riabilitativi a prescindere dalla disabilità che sia fisica, intellettiva o sensoriale.

Lo sport inteso come “terapia” permette di:

  • Migliorare le capacità motorie o di movimento;
  • Arricchire le capacità sensoriali;
  • Migliorare il gesto fisico;
  • Aumentare i riflessi;
  • Incrementare la forza muscolare;
  • Accrescere la capacità respiratoria;
  • Migliorare gli scambi gassosi e l’ossigenazione del sangue;
  • Aumentare la resistenza alla fatica;
  • Favorire l’aggregazione ed i rapporti sociali;
  • Stimolare la persona ad affrontare le difficoltà;
  • Apprendere delle capacità attraverso una serie di esperienze;
  • Contribuire alla creazione e costruzione o ricostruzione della propria identità.

Ovviamente ogni attività sportiva deve essere condotto da operatori specializzati, i quali, sulla base di un’attenta conoscenza della situazione patologica presente, sviluppano un programma di recupero mirato per ogni persona.

Le discipline che possono essere utilizzate sono le più svariate

Derek Jensen, Youth-soccer in Indiana (2005)

Le discipline che possono essere utilizzate sono le più svariate: corsa, nuoto, pallacanestro,
pallavolo, calcio, tennis-tavolo, bocce, tiro con l’arco, arti marziali, hockey, ippica, scherma, ecc.

Per ognuna di queste discipline sportive è possibile individuare una serie di esercizi preparatori o di base che consentano di realizzare gli scopi precedentemente elencati e di ottenere quindi un miglioramento generale delle condizioni cliniche della persona disabile.

Per rendere l’attività sportiva una vera e propria terapia è necessario garantire delle strutture idonee dotate di attrezzature e materiali dove poter svolgere gli allenamenti.

Comunque sia, che lo sport venga compiuto per migliorarsi, per stare con gli altri, per svolgere della ginnastica, per seguire un proprio bisogno di competitività, l’importante è quello di considerarlo un ottimo e valido strumento per sconfiggere pregiudizi, stereotipi e superare barriere che l’ignoranza crea ed amplifica, permettendo ad ognuno di noi di superare i propri limiti e di migliorare le proprie condizioni fisiche, psichiche e sensoriali.

Note