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Perché pratichiamo le arti marziali?

  • Che cosa facciamo, è il metodo base di praticare arti marziali: produrre energia;
  • Come lo facciamo: sono le sensazioni che si producono mentre generiamo quell’energia e questo è il metodo per trasformare le cose mediocri in eccellenti.

Nel primo caso si mobilitano solo le endorfine cerebrali (sensazioni di piacere ed ormoni rigenerati), che di per se è una gran cosa nel mondo fisico, nel secondo appare una consapevolezza nuova, che trae origine dalle sensazioni prodotte dal movimento che stiamo realizzando e che ci collega al momento.

Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te

Questo è ciò che ha voluto esprimere Sensei Funakoshi quando in uno dei suoi venti precetti afferma “ devi essere serio negli allenamenti”, in parole povere, ciò che sta dicendo è “Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te”.

Che cosa ti importa di più, i movimenti, (la forma) che perderai nel corso della vita, o ciò che scopri del tuo essere che è nascosto dall’ego dell’azione fisica? l’età porta una saggezza in grado di chiarire la domanda precedente, quante tecniche di kata o movimenti complessi ho imparato che oggi, trent’anni dopo, sono passati nel dimenticatoio? Migliaia. Quante emozioni ho provato durante la realizzazione di quei kata o di quei movimenti che tuttora sono presenti? Tutte.

L’emozione non solo perdura, ma aumenta col passare del tempo, nella memoria qualsiasi tecnica imparata durante la gioventù scompare ed il suo frutto è la frustrazione o la vanagloria: Ego

Le emozioni sono semi, la memoria è polvere che svanisce col vento del tempo, ricordo di un allievo che venticinque anni fa riuscì ad imparare ventuno kata shotokan e altri quindici di scuole diverse, un portento ! ed era cintura marrone.

L’ho incontrato qualche mese fa, pesava 110 chili e non ricordava neppure il nome di un solo kata, ma ciò che ricordava, mentre ostentava un dolce e malinconico sorriso, era quanto aveva sudato e quanto buona fosse l’energia del dojo: “la migliore epoca della mia vita” ha affermato.

Ricordi le parole di qualche canzone che ti ha emozionato da giovane? … forse ricordi addirittura di aver pianto dall’emozione, il Ki è immateriale, non si perde, né si rompe, perché non è diretto dalle leggi dell’evoluzione.

Quando perdiamo la capacità di contemplare i nostri pensieri, osservare le emozioni e provare le reazioni fisiche, viviamo si, ma in uno stato latente, viviamo da morti viventi, significa camminare nella vita senza viverla, questo è il grande segreto, quando si blocca il tempo, la persona allenata nell’osservazione della coscienza percepisce la vita con una maggiore intensità.

Come si ferma il tempo? Non pensando. E come si fa a non pensare? Contemplando il pensatore.

Il pensatore che abbiamo nel cervello è quell’entità che pensa costantemente, quella che crea il tempo psicologico, questo tempo psicologico crea ego e questo ricrea tempo psicologico, in questo ciclo senza fine viviamo una vita piena di ansietà.

È tempo speso male. Vediamo ora un metodo che può essere utilizzato in qualunque momento della vita o nel corso degli allenamenti specifici, è basato sul concetto ken zen it chi / il karate e lo zen sono un tutt’uno.

Il modo migliore per iniziare è osservare e sentire la respirazione: osserva e senti come l’aria entra fresca per le narici ed esce tiepida senza che la mente produca nessun altro pensiero, se la respirazione viene eseguita con coscienza, è impossibile che mentre poni l’attenzione su questo gesto tu possa pensare a qualsiasi altra cosa.

Fai questa prova: cerca qualcosa che abbia un buon profumo, annusala… appena finito devi renderti conto che mentre la annusavi non sei stato in grado di pensare a nulla, solo al profumo

Se la tua mente ha prodotto qualche pensiero, è perché non hai annusato appieno l’aroma, non sei stato nel qui e adesso, ti sei perso nel pensiero di qualcosa che non era li.

Hai usato la mente e questa ha giudicato qualcosa, l’osservazione e la coscienza si sono perdute nella nebulosa dei pensieri.

Una volta finito di annusare, la mente cercherà un nome o un ricordo per quel profumo, l’attività mentale si riannoda, ma se sei cosciente del fatto che durante l’atto di annusare non hai pensato a nulla, allora avrai raggiunto un momento unico, avrai vissuto pienamente quel qui e adesso!

Questo atto apparentemente semplice, ma di enorme valore spirituale, è una fugace manifestazione del “satori“, che è uno stato transitorio di vivere con pienezza il “qui e adesso“ per brevi periodi di tempo, il “satori” è un istante di illuminazione.

Nel nostro caso, in quanto artisti marziali, osserva senza pensare qualunque movimento che realizzi nel Dojo

Se hai la mano nel punto A e devi arrivare al B, senti, sii cosciente del movimento durante tutto il  percorso ed eseguirai un movimento di qualità spirituale, un movimento di “satori”, ma se quando ti trovi in A stai già pensando a B, la tua mente allora è già proiettata nel futuro e non nel presente, e così perderai la possibilità di osservare e cogliere il movimento, che è proprio ciò che arricchisce la tua coscienza.

Potrai eseguire un movimento ricco nell’azione (forma), ma vuoto nel contenuto spirituale, questa è la chiave ed il fondamento di ogni creazione artistica fatta con entusiasmo, non devi mai dimenticare che noi pratichiamo un’ Arte Marziale, la parola “entusiasmo“ significa: “essere posseduto dagli Dei “.

La mente è il grande nemico che ci impedisce di percepire il Ki in qualsiasi momento, se pensiamo all’ordine dei movimenti, se ci sbilanciamo, se pensiamo a che cosa penserà un osservatore dei nostri errori, se siamo preoccupati per l’ora o ci appigliamo a qualunque altro cavillo, allora il momento sarà di bassa qualità, benché abbia comportato una grande spesa energetica aerobica o sia stato realizzato con precisione.

Questo racconto lo descrive in maniera molto dettagliata

Il rospo superbo gracchia su un’umida roccia, mentre vede amaramente passare la vita davanti a lui, non fa niente.

Gli passa davanti un affannato millepiedi che sembra essere oltremodo felice e lui non può permetterselo, perciò decide di fargli delle domande che lo confondano e possa così perdere la sua pace. – “millepiedi dove vai?” domanda il rospo, – “Semplicemente vado” risponde il tranquillo ed affannoso millepiedi, senza alterare la sua decisa marcia. – “Cavoli”, pensa il rospo costernato “non ha perso la calma“ .

Gli domanda nuovamente –“senti millepiedi, a che cosa pensi mentre cammini? “ “non penso, cammino e basta” Risponde nuovamente con tranquillità.

Il rospo non può sopportare che vi sia qualcuno più sicuro di sé di lui, decide così di porgli una domanda più maliziosa che si possa immaginare.-“Millepiedi, in che ordine muovi le zampe ?” Il millepiedi si ferma pensa per un istante e risponde, “ per prima cosa muovo la prima zampa e dopo la seconda.

No” rettifica – “ prima la seconda e poi la quarta, no,no, mi sono confuso, prima muovo la quinta e dopo l’ottava, no,no,no! Prima la… e poi la… No,no,no! Da allora il millepiedi non è più riuscito a camminare e a ritrovare il suo cammino , la sua mente si era attivata e questa è stata la sua perdizione.

Quale è il cammino che ci condurrà verso quel misero che abbiamo denominato Ki, e che non è solo il cuore di tutte le arti marziali, ma di qualunque attività che si realizzi? Il cammino cosciente nel quale si avverte il momento presente senza l’interferenza della mente, questo è il motivo per cui pratichiamo le arti marziali e pochi ne sono coscienti.

In Giappone lo chiamano: Do

Significa essere presenti in tutto ciò che si compie, nell’azione o nella passività, nella contemplazione di qualcosa o mentre si pensa ad essa, essere coscienti persino di un errore che si è commesso, o di un successo, essere presenti significa essere coscienti di ciò che sta succedendo in ogni qui e adesso.

Ma attenzione al tempo, che agisce sulla coscienza e questa comincia a pensare (intelligenza), ed è proprio allora che cominciano a manifestare i desideri , che non sono altro che una forma di ego, di credere che per essere qualcuno abbiamo bisogno sempre di più, L’ego ha sempre fame, fame di pensieri, di giudizi, di cose, di potere, di tutto ciò che il mondo produce e soprattutto di tempo. “ non ho tempo”, “mi manca il tempo” , “ se avessi più tempo “, sono frasi comuni che ripetiamo con assiduità.

L’ego si identificherà con qualcosa e da lì ne uscirà solamente altro ego in forma di ansietà, perché non si sarà mai soddisfatti o se lo si sarà, sarà solo per poco tempo

Ora possiamo comprendere le prodezze che compiono alcuni Maestri, con la forza o con il peso si possono ottenere abilità nella forma, anche se puerili nella coscienza, ma quando scopri un Maestro autentico, in grado di compiere vere imprese, allora hai a che fare con un personaggio umile che irradia un alone di distacco che giunge al tuo anteriore come un’abile freccia.

Non ha ego.

I grandi Maestri sembrano essere vuoti, creano una sensazione che ti assorbe, danno pace ed il tempo si ferma alla loro presenza, ma la cosa più grande è che ridono molto.

Non sono nel tempo, non vivono nella vanità delle cose, vivono il “qui e adesso” di ciò che stanno facendo, ma se si fermassero davanti al televisore a guardare una partita di calcio, quella sarebbe l’unica cosa che farebbero in quel “qui  e adesso“ e l’atto di vedere la televisione rappresenterebbe un’autentica prodezza spirituale….. con il KI.         

Note


[AUTODIFESA] Un’arma estensibile: Il bastone telescopico

Nella rubrica “Armi bianche” della rivista ARMI E TIRO (settembre 2002) il collezionista Roberto Gobetti, grande esperto e studioso di armi storiche, sviluppa un tema davvero interessante.

Egli propone che l’esame delle armi manesche più o meno antiche, evolva dalla catalogazione certosina dei componenti, verso lo studio valutativo funzionale degli stessi, aprendo così la strada alla ricerca dei perché costruttivi dei diversi elementi di un’arma.

Scrive infatti:

Non dobbiamo dimenticare che un’arma è nata per essere usata

Per questo si devono indagare le sue funzioni costruttive in modo che studiando con attenzione tutti i particolari, si può arrivare a conoscere queste esigenze e soprattutto il loro mutare nel tempo.

Gobetti suggerisce di sviluppare un lavoro intelligente sull’oggetto evidenziando la natura globale dell’arma, che diventa così mappa descrittiva non solo delle tecniche possibili con la stessa, ma anche “indicatore sociale” degli usi e costumi di un’epoca.

Un altro percorso che si può indicare e connesso a quello suggerito da Gobetti, è quello riguardante la “trasmutazione” (trasformazione + mutazione) di alcune armi antiche in armi o strumenti moderni legati alla Difesa Personale e a contesti di Forza Pubblica.

Tra questi trova senz’altro posto l’antico “buttafuori” ed il suo epilogo moderno “il bastone telescopico o espandibile”

Nei secoli che vennero dopo l’anno Mille, in Italia e in buona parte dell’Europa, l’uso delle armi manesche, sole come accompagnate, era necessario quanto il saper camminare, nella nostra penisola la particolare situazione politica e socio-culturale, favorì la diffusione non solo delle armi, ma anche del loro utilizzo scientifico in combattimento singolare o nelle scaramucce di gruppo.

Un po’ come avviene oggi in Israele, la pressione costante ai confini e le continue dispute sul territorio fecero si che la popolazione di sesso maschile delle città fosse formata all’arte del combattimento, così da poter difendere come milizia cittadina (societates armorum) i propri possedimenti entro e fuori le mura comunali.

La situazione assai articolata e variegata, vedeva soldati di ventura, mercenari, uomini d’arme, cittadini e nobili cavalieri convivere.

La quantità di personaggi inclini a metter mano ai ferri causò un certo problema, ma favorì contemporaneamente lo sviluppo di strumenti ed armi sempre più funzionali e parallelamente l’evoluzione dei combattimenti all’arma bianca.

In un certo periodo tra il XlV e fino al XVll secolo, venne in uso, tra le altre, un tipo di arma particolare per forma e funzione, all’apparenza si trattava di un bastone ricoperto da una lamina di metallo, ma si trattava per l’appunto solo d’apparenza, in quanto il bastone teneva occultata al suo interno una lama lunga e robusta come quella di una spada, in grado di uccidere.

Questa fuoriusciva all’esterno dalla parte superiore grazie ad un movimento brusco, per forza d’inerzia, e bloccata in quella posizione da un meccanismo che ne impediva il rientro, l’esimio studioso del secolo scorso Il Comm. Jacopo Gelli nella sua opera GUIDA DEL RACCOGLITORE … (1900) definisce l’arma come “brandistocco” ed, in effetti, si ritrova tale nome anche nelle catalogazioni armi dell’archivio di Stato Firenze ed Urbino (1633).

Il nome “buttafuori” è invece stato utilizzato per designare lo stesso strumento da altri due grandi studiosi di armi bianche come Boccia e Coelho nella loro opera ARMI BIANCHE ITALIANE (1975)

Il nome “buttafuori” è considerato più rispondente alla natura tecnica dell’arma anche da un altro esimio esperto, quel Francesco Rossi, che curò la catalogazione tra gli altri della collezione d’armi antiche del Museo di Castelvecchio a Verona.

Il “buttafuori” da un punto di vista tecnico è un tubo cilindrico al cui interno si trova una lama a sezione losangata o quadrangolare fornita in alcuni casi anche di lame laterali che si aprono a fine corsa, originando una vera e propria guardia a croce appuntita, utile per parare i colpi degli avversari ed utilizzabile nel combattimento a distanza ravvicinata, con evidenti risultati pratici.

A riposo il “buttafuori” sembra un bel bastone adornato alla sommità da una corona in metallo talvolta lavorata a sbalzo o forgiata a rappresentare animali e l’estremità opposta chiusa da un puntale in ferro, ma basta afferrare saldamente il bastone e compiere un movimento brusco del polso per far aprire il coperchietto con portellino e vedere fuoriuscire la lama che saetta in avanti come la lingua di un serpente.

Non si tratta della lamette di coltello, ma di un ferro che può superare gli 80 cm, il “buttafuori” divenne servo silenzioso per viandanti, per le scorte

Lo usavano ad esempio le Corporazioni e le Confraternite dei Bombardieri veneti, per gli emissari e per i riscossori di tributi, ma divenne anche arma da “masnadieri” che appoggiavano le loro richieste “presentando il ferro”.

Buttafuori bellissimi si possono ammirare al Museo Luigi Marzoli di Brescia, al Museo di Castelvecchio a Verona ne è conservato un esemplare lungo 132 centimetri a cui si aggiungono altri 82 centimetri di lama a sezione di losanga occultata all’interno.

È lecito pensare che le armi antiche e strumenti di questo genere abbiano fatto la loro storia e che oggi il loro posto sia riposare nei Musei ed essere ammirati come oggetti nobili di un tempo che fu, ma per chi studia e ricerca in ambito marziale con uno sguardo al passato e un occhio alla realtà presente della protezione (personale e pubblica), queste armi sono fonte di continui suggerimenti e rappresentano un terreno fertile d’indagine e analisi.

Cosa rappresenta dunque questo bastone con una saettante anima d’acciaio?

Il “buttafuori” esprime un concetto strategico e una tecnologia: il concetto strategico-tattico ha come valore di riferimento la sorpresa

Il sorprendere, mentre il contenuto tecnologico ha come formula applicativa l’estensibilità, con il buttafuori si puntava principalmente a sorprendere l’avversario, un aggressore più che un rivale in duello per il quale esistevano convenzioni cavalleresche, utilizzando il solo bastone se il pericolo era minore e l’arma estesa (un buttafuori aperto arriva a misurare anche due metri), brandendolo in caso di necessità con entrambe le mani tirando botte con il manico e micidiali stoccate con la lama.

Bastone strumento / bastone arma

Il buttafuori esprime un concetto che resterà caro nella terra delle lame, il binomio sempre accarezzato e perseguito di sorprendere chi vuol sorprendere, ribaltando così con un’azione a sorpresa tanto inaspettata quanto micidiale, la sorte avversa.

Questa concezione d’uso cardine e fondamento delle strategie di combattimento e affronto del bastone buttafuori  è un principio che ritorna nel nostro tempo e che troviamo espressa nel bastone estensibile (B.E.), strumento operativo d’intervento facente parte da tempo dell’arsenale armi non letali della polizia americana, (C.A.S Counter-Assalt-System), ed entrato da qualche tempo in dotazione anche tra le polizie di mezza Europa, probabilmente entro l’anno faranno parte anche della dotazione della Guardia Costiera Italiana.

Le ragioni che stanno decretando il crescente successo del B.E. tra gli addetti ai lavori di diversi paesi del mondo, sono le stesse che fecero la fortuna del suo progenitore antico,a queste se ne aggiungono altre dettate dall’evoluzione e conformazione del mezzo, di indubbio interesse.

Innanzitutto il porto del B.E. è facilitato dalle ridotte dimensioni quando chiuso e dal peso leggero (può variare dai 350 ai 700 grammi), caratteristiche che ne limitano l’ingombro e ne consentono una eccellente portabilità anche in situazioni ove sia richiesta discrezione e basso profilo.

Un altro fattore è la fruibilità del mezzo, cioè dalla facilità di utilizzo operativo del B.E. che, una volta aperto, può misurare 40-51-66-78 cm

Secondo i diversi modelli oggi disponibili, il dimensionamento offre i vantaggi comparabili ad un comune sfollagente, ma le caratteristiche d’uso premiano sicuramente l’espandibile, basta, infatti, un secco movimento del polso per aprirlo e con soli due movimenti del polso (il primo secco in avanti, il secondo rotatorio corto a tramazoncello secondo la scuola antica italiana) si apre e si colpisce o si apre e si para, l’attacco di un malvivente armato di coltello.

Ancora i. B.E permette di svolgere un’azione di controllo evento e di prevenzione (nel caso ad esempio di addetti alla sicurezza di aree private), mantenendo un basso profilo, allo stesso tempo è assai difficile subirne il disarmo quando chiuso ed impugnato, mentre si può aprirlo anche se sottoposti ad una presa, persino sul braccio che lo porta.

Per ultime, ma non meno importanti, anzi fondamentali nell’etica della Forza Pubblica e della sicurezza, la bassa lesività modulata che è possibile porre in essere con un utilizzo mirato e scientifico del B.E., situazioni di rischio possibile (sorveglianza aeroportuale, perquisizioni, sorveglianza di soggetto da tutelare, o di più soggetti in luogo pubblico) può essere gestita anche grazie al B.E. che permette di agire contro aggressori armati con oggetti contundenti, spranghe, mazze, catene, bottiglie, coltelli, riducendo al minimo il rischio di un ingaggio corpo a corpo o del ricorso ad armi da fuoco.


LA TECNICA

La particolare costruzione del B.E con una testa sferica all’apice permette un utilizzo incisivi/selettivo dei colpi, che sono indubbiamente rafforzati dal buon grip offerto dal manico in materiale plastico in alcuni modelli anatomico e confortevole, da un punto di vista tecnico-gestuale la natura contundente dei colpi permette azioni mirate rese possibili dalla mappatura dei punti da toccare che definiamo come bersagli focali.

Questo evita di usare il B.E. in modo brutale e soprattutto inadeguato alla circostanza e consente di rendere efficiente e rapida l’azione di contenimento del pericolo, i bersagli focali sono dunque punti del corpo che, per la loro posizione e conformazione, possono essere:

  • Facilmente colpiti perché esposti;
  • Una volta toccati possono limitare le capacità offensive e dinamiche dell’aggressore;
  • Non comportano lesioni gravi o mortali.

I principali bersagli focali che mappano l’utilizzo operativo del B.E. sono dislocati:

  • Sugli avambracci e sulle mani, (zona radiale-carpale e metacarpale);
  • Sugli arti inferiori (zona tibiale rotulea e malleoli).

Se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo l’utilizzo del bastone estensibile si rivela ancora un valido elemento di controllo

Il soggetto pericoloso che aggredisce armato, escluse armi da fuoco, può quindi essere centrato da uno o più colpi con il B.E. ai bersagli focali così da inibirne la capacità offensiva, se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo, oppure se la situazione si sviluppa a corta distanza, l’utilizzo del B.E. si rivela ancora un valido elemento di controllo.

È possibile infatti sfruttarne la conformazione per eseguire anche a corta distanza:

  • Azioni di blocco degli arti e chiavi articolari;
  • Azioni di opposizione stabile a colpi;
  • Azioni di pressione su sedi localizzazioni nervose;
  • Azioni di controllo/conduzione.

il B.E. naturalmente non può sostituire i campi di applicazione estremi dell’arma da fuoco, ma può trovare il giusto spazio come strumento di controllo non letale nella gestione di eventi a rischio, presupposto indispensabile per un utilizzo razionale e mirato del B.E. è senz’altro l’adozione di programmi d’addestramento professionali adeguati che consentano in tempi brevi di formare gli addetti ai lavori e di garantirne la massima efficienza operativa nel tempo, con il minimo turn-over d’allenamento.

Ricordo infine che il bastone estensibile è considerato arma propria e come tale rientra nelle normative collegate all’articolo 4 della legge 110/75 e che la detenzione ed il porto di tali strumenti è regolato dai collegati  art. 42 del Tulps e art. 38 della stessa legge.

Note

Bibliografia

  • Lionello G.Boccia, Eduardo T. Coelho, Armi bianche italiane (1975 Bramante Editrice)
  • Jacopo Gelli, Guida Del Raccoglitore E Dell’Amatore Di Armi Antiche (1900)

COPERTINA parliamo di armi

[AUTODIFESA] Parliamo di armi!

In questo articolo analizzeremo i pro e i contro di utilizzare un’arma per difendersi da un’aggressione.

In tutti i seminari di tiro con la pistola, la prima domanda che gli allievi si sentono porre è se qualcuno ha mai sparato in vita sua con una qualsiasi arma.

La percentuale di chi ha sparato è sempre molto bassa e quando la gente risponde di sì si tratta sempre di molto tempo addietro.

Per questo motivo il problema non è saper togliere l’arma all’aggressore, ma sapere cosa fare una volta impugnata l’arma.

Sapresti come agire se la pistola si inceppasse o se il caricatore è vuoto?

Questo ci porta ad analizzare l’estrema importanza dell’uso dell’arma.

Se sei un praticante di Arti marziali che prende sul serio l’allenamento e lo pratica regolarmente, comprenderai la necessità di imparare ad utilizzare correttamente una pistola con un istruttore qualificato.

Ovviamente questo è un ragionamento necessario e applicabile a chiunque

le statistiche del Federal Bureau of Investigation indicano che tra i crimini violenti commessi negli Stati Uniti, nel 65% dei casi era stata usata una pistola.

Qualunque arma da fuoco è pericolosa se detenuta da qualcuno che non conosce le sue possibilità e i suoi limiti.

L’unico modo per imparare questi due fattori è praticare

In primo luogo occorre analizzare questi due fattori.

  • Se vivi in un’area rurale: Cerca un luogo sicuro all’aperto ben isolato e recintato;
  • Se vivi in una  città o in una zona molto popolata: Cerca un poligono qualificato.

La migliore opzione in ogni caso è quella di iscriversi ad un corso riconosciuto di utilizzo della pistola.

Una volta fatto si può praticare da solo (chiaramente bisogna essere in possesso del porto d’armi) e scoprire cosa può fare un’arma da fuoco.

La pistola è l’arma più difficile per imparare a sparare con precisione

Imparare a maneggiare correttamente una pistola richiede molta pratica. La maggior parte delle persone che la utilizza in una situazione normale arriva a consumare almeno 500 caricatori prima di ottenere la destrezza necessaria per centrare il bersaglio, figuriamoci in una situazione ad alta tensione.

Una volta ottenuta la destrezza per mantenerla si avrà bisogno di almeno 50 caricatori al mese.

È sorprendente vedere come molta gente si compri una pistola e 50 caricatori di munizioni, si rechi in un’area di tiro vicina e cominci a sparare i 50 caricatori a una sagoma situata a 8 metri di distanza e sbagliando anche diversi colpi. In una situazione critica tu non puoi permetterti di essere uno di loro.

Dimentichiamoci di ciò che in televisione fanno vedere

Non si spara mai con una mano sola o perlomeno non si dovrebbe fare. Se ciò che vuoi è colpire un qualsiasi bersaglio, quando si effettua uno sparo difensivo si devono utilizzare entrambe le mani per tenere la pistola.

Con la pistola dovrai mettere le dita della mano libera sopra le dita che stanno afferrando l’arma

Metti il pollice della mano libera sopra il pollice della mano che spara. Puoi farlo incrociando la parte posteriore del polso.

Puoi utilizzare la stessa impugnatura con un’arma semiautomatica o cambiarla leggermente, posizionando l’indice della mano di appoggio attorno alla parte frontale della sicura.

Afferrando l’arma in questo modo con entrambe le mai, risulterà più facile tenere l’arma mentre si sta prendendo la mira.

Eviterai così che l’arma rinculi dopo lo sparo, permettendoci di tornare a mirare il bersaglio dopo ogni sparo.

Il modo in cui sei posizionato influenzerà la precisione degli spari

Il piede opposto (il sinistro per i tiratori destrimani e viceversa) dovrebbe trovarsi circa 30 cm davanti all’altro piede ed entrambi i piedi dovrebbero essere allargati al livello delle spalle.

Questa posizione (chiamata Posizione di Weaver) permette al corpo di assorbire parte dell’impulso del rinculo, aiutandoci a mantenere l’equilibrio ed è a mio parere la posizione in piedi più stabile per sparare.

È estremamente efficace se utilizzata correttamente ed è ciò che conta, nessun altro all’infuori del tuo avversario si meraviglierà della tua tecnica, perciò non preoccuparti dell’immagine sgraziata che potresti dare.

Puoi provare anche una seconda posizione che è abbastanza efficace

Posizionati di fronte al bersaglio con le gambe leggermente separate e il peso del corpo distribuito equamente su entrambe le piante dei piedi.

Dopo di ciò piega leggermente le ginocchia e abbassa un po’ il corpo, come se dovessi sederti.

Questa semplice posizione ti permetterà di mirare con la pistola al centro, o verso uno dei lati, in maniera spontanea, perché le braccia e le spalle sono bloccate e funzionano come una torretta, facendo perno da un lato all’altro.

Le due cose più importanti che devi imparare sono il controllo del grilletto e la mira

Una volta adottata la posizione e l’impugnatura adeguate, le due cose più importanti che devi imparare sono il controllo del grilletto e la mira. Quando sarai in grado di dominare entrambe, vorrà dire che ti troverai nel giusto cammino per diventare un tiratore esperto, in grado di proteggere te stesso e la tua famiglia.

Il controllo del grilletto si mantiene con un movimento di pressione, non con un tiro o con un colpo secco

Questi movimenti tendono spostare la bocca della pistola e allontanarla dal bersaglio quando si spara, facendoti fallire il bersaglio.

Il dito sul grilletto deve agire in maniera indipendente dalle altre dita e dal pollice.

Le tre dita e il pollice dovrebbero assicurare un’impugnatura forte del calcio della pistola, mentre il dito posizionato sul grilletto non dovrebbe toccare nient’altro che il grilletto.

Se il dito del grilletto tocca il corpo dell’arma, tirando il grilletto la bocca dell’arma si muoverà.

Questo leggero movimento eseguito ad una distanza di 6 metri dal bersaglio, sarà sufficiente a fartelo mancare, se fai pratica per imparare a premere il grilletto in maniera corrette, ti risulterà più facile sparare sul bersaglio che realmente vuoi colpire.

Dopo aver sparato non devi lasciare andare il grilletto, il movimento del grilletto in avanti dopo uno sparo dovrebbe essere controllato nello stesso modo in cui si preme per sparare.

C’è un fenomeno strettamente relazionato al gesto di premere il grilletto, chiamato “scossa”

Quando premi, non riesci ad evitare di attendere di percepire il rumore della pistola che spara, all’ultimo, si tende ad anticipare e muovere la pistola nel momento in cui il grilletto sta completando il suo percorso e la carica viene sparata.

La scossa è una reazione normale nell’uso di qualunque arma da fuoco, ma è anche un’abitudine che devi superare se vuoi usare l’arma in maniera efficace.

Se stai praticando in una zona in cui vi sono più persone che sparano, potrebbe accadere che la scossa complichi le cose, perché è probabile che non avvenga solo col tuo colpo, ma anche con quello degli altri, in questo caso la cosa migliore da fare è cercare di tirare nelle pause degli altri.

Puoi utilizzare il suono dello sparo delle loro armi come segno per completare l’azione di premere il grilletto ed eseguire il tuo tiro, una volta che hai imparato a completare la sequenza, vedrai che avrai meno problemi con la scossa degli altri.

Il mirino è egualmente importante per poter sparare con precisione

La maggior parte della gente con un’esperienza ridotta nell’uso della pistola incontra delle difficoltà nel focalizzare il mirino, poiché il mirino anteriore e quello posteriore sono molto vicini e, al contempo molto lontani dal bersaglio, il tiratore noterà che i suoi occhi non riusciranno a mettere a fuoco contemporaneamente il mirino posteriore, quello anteriore e il bersaglio.

Non ti disturbare a provare a farlo, non si può.

Punta l’occhio sul mirino anteriore, potresti pensare che non sia giusto, ma finirai per renderti conto che è l’unico modo per sparare con precisione.

Il mirino posteriore e il bersaglio risulteranno sfocati, ma ad una distanza superiore a 50 metri è abbastanza facile mantenersi focalizzati sul bersaglio con il mirino anteriore.

I mirini delle rivoltelle sono stati progettati in modo tale che un po’ di luce brilli tra i laterali degli incastri del mirino posteriore e il filo del mirino anteriore.

Con la pratica, le mani finiranno per mantenere automaticamente la quantità di luce in entrambi i lati del mirino frontale in maniera regolare.

Se la pistola ha mirini regolabili, la parte superiore del filo del mirino anteriore dovrebbe essere simile alla parte superiore del mirino posteriore. Questa linea regolare con la luce, brillando nel mezzo ti fornirà il migliore angolo di mira per uno sparo difensivo.

Non preoccuparti se non sei in grado di mantenere la pistola completamente ferma, in realtà nessuno è in grado di farlo

La pratica farà sì che il movimento diventi più lento, perché i muscoli del braccio e del polso usati per sparare diventeranno più forti.

La precisione millimetrica non è necessaria nel tiro difensivo, pratica guardando attraverso i mirini al bersaglio, utilizzandoli soprattutto per confermare che la bocca dell’arma sia situata sopra il bersaglio.

È più importante sapere sempre dove si trova l’avversario e che cosa sta facendo, piuttosto che concentrarsi sul mirino

Qualunque cosa faccia, non perdere di vista un aspetto fondamentale del tiro difensivo, devi essere in grado di piazzare uno o più colpi al bersaglio a breve distanza, nel minor tempo possibile.

Un allenamento centrato sull’obiettivo è fondamentale per imparare correttamente l’uso, la sicurezza e la precisione con la pistola, ma può essere anche fine a se stesso.

Dato che il tiro difensivo è un tiro a breve distanza, una volta imparate le basi, la pratica del tiro al bersaglio a lunghe distanze non avrà senso.

In realtà, l’eccesso di pratica può impedirti di riconoscere un tiro rapido in una situazione di tensione, è meglio la rapidità di reazione, che la precisione millimetrica, purché tu sappia ciò che stai facendo.

Con un’adeguata pratica, dovresti poterti difendere da solo e difendere la tua famiglia con una certa sicurezza.

Il possesso legale di una pistola per la difesa personale non è facile da ottenere nell’attuale società, né è una decisione che si possa prendere alla leggera

Benché tu abbia i requisiti necessari e possa entrare in possesso di un’arma in maniera legale, le circostanze nelle quali puoi usarla per proteggerti e difendere la tua famiglia sono ancora più confuse.

Nelle ultime decadi i tribunali hanno progressivamente adottato posizioni che situano il proprietario di un’arma in una situazione di considerevole svantaggio legale.

Questa linea di ragionamento sposta il peso della colpa del trasgressore della legge al cittadino che segue la legge e che reagisce di fronte ad un’intrusione.

Esiste qualcuno tra noi in possesso di una saggezza tale che possa determinare con esattezza, in un millesimo di secondo, i vantaggi relativi di una pallottola su una gamba di fronte alla pena legale che un giudice imporrebbe?

Tuttavia, per quanto assurdo possa sembrare, l’unica maniera di essere sicuri è consultare un avvocato prima di premere il grilletto.

Dato che un furto implica una pena abbastanza lieve, non sarai in un terreno sicuro se cerchi di fermare un ladro con un’arma, la maggior parte dei giudici ti considereranno colpevole di aver utilizzato una forza non ragionevole se spari ad un ladro che ha le tasche piene di cose tue.

Questo deriva dal concetto che afferma che non devi utilizzare un’arma per proteggere la tua proprietà.

Se lo fai, deve essere in risposta a una situazione nella quale la tua vita (non la tua proprietà) è minacciata, nonostante ciò, in quel caso dovrai essere in grado di dimostrare che la tua vita era minacciata e che in nessun altro modo saresti potuto sopravvivere alla situazione.

Se utilizzi una pistola per fermare un ladro che sta scappando con i tuoi beni, peggiorerai considerevolmente  la situazione a tuo svantaggio

Nel caso tu lo dovessi inseguire e gli spari quando sta uscendo da casa tua, le conseguenze saranno anche peggiori. Tenendo conto di questo, esiste un procedimento stabilito che bisogna seguire nel caso in cui ti trovi un intruso dentro casa tua.

  • Il primo passo è verificare se è armato o meno, e se pertanto è potenzialmente pericoloso;
  • Il secondo passo è sfidarlo verbalmente: Se lo sorprendi con un affronto verbale, potrebbe impaurirsi e correre via o perfino arrendersi. Ovviamente, corri il rischio che ti uccida mentre tu segui il procedimento di “identificazione e sfida”.

Ora supponiamo che non sia armato, ma che sia tre volte più grande di te e il doppio più pericoloso di te

Non gli è affatto piaciuto che tu abbia interrotto il suo lavoro e quindi, senza pensarci due volte, decide di attaccarti con una bastonata per il semplice fatto di averlo disturbato, secondo te dovresti sparargli?

Se lo fai, ti troverai nelle sabbie mobili

Nella maggior parte dei casi, il giudice ti considererebbe colpevole di un atto criminale se si giungesse alla conclusione che non eri in pericolo di morte o di lesione grave come risultato di un attacco dell’aggressore con le mani. La stessa figura legale considererà l’uso delle mani di un pugile, di un lottatore o di un esperto in Arti marziali equivalente ad un’arma letale.

La maggior parte delle situazioni in cui è necessaria un’arma per la difesa personale accadono di sera, a corta distanza e così rapidamente che non vi è il tempo di tener conto delle considerazioni legali.

Tuttavia, devi essere in grado di convincere le autorità di aver fatto ricorso all’uso dell’arma solo perché la tua vita era in pericolo.

In generale si accetta l’idea che si dovrebbe utilizzare solo la forza sufficiente a resistere ad un’aggressione

Non appena il pericolo è passato, dovrai fermarti e desistere immediatamente.

I criminali tuttavia, non si vedono limitati dagli stessi obblighi legali. in alcuni stati d’America ad esempio questo concetto è stato modificato in maniera graduale, fino al punto in cui l’unica opzione legale che rimane in una situazione che minaccia la tua vita è scappare, invece di rimanere e mettere fine alla vita del tuo aggressore.

I punti che ho analizzato fanno una bella figura nella sala di un tribunale, ma la realtà della vita di solito è molto differente.

La tua reazione davanti ad un furto o un’aggressione notturna di un intruso si deve produrre in un millesimo di secondo

È raro che tu abbia il tempo sufficiente per sparare con precisione una pallottola all’aggressore per inabilitarlo o per fermare l’attacco.

Spesso non si ha nemmeno il tempo per mirare e colpire il bersaglio, l’unica cosa che avrai il tempo di fare è mirare, bene o male che sia, e sparare.

In queste circostanze vi è la possibilità che la tua reazione provochi la sua morte

È stato eccessivo l’uso della forza?

Un giudice potrebbe pensarlo se spari un secondo colpo e colpisci l’aggressore alle spalle mentre scappa, in questo caso esiste la possibilità che considerino te l’aggressore.

Se utilizzi una pistola per difenderti o se in grado di disarmare un aggressore, sarai giudicato con il criterio che il giudice considererà ragionevole in quella situazione e questo potrebbe essere terribile per te.

Se ci sono testimoni o se l’aggressore sopravvive, tutte le parole che vi sarete detti saranno analizzate nel dettaglio

Il luogo in cui si sarà prodotto l’incidente e la parte del corpo in cui l’aggressore avrà le ferite, influiranno sulle decisioni del giudice.

Si analizzeranno le sue intenzioni e il giudice deciderà quali erano le tue, con tutto questo a tuo sfavore, la prospettiva di utilizzare un’arma per difendersi diventa opprimente.

Supponiamo che per te sia necessario sparare ad un aggressore o ad un intruso

Benché tu consideri le tue azioni totalmente giustificate, dovresti pensare al fatto che le implicazioni legali possono durare mesi o anni.

Ci sono casi nei quali tutto è semplice e chiaro per tutti, meno che per te. Tuttavia, la maggior parte della gente non è in grado di togliere la vita a qualcuno in maniera così semplice ed è probabile che conseguenze psicologiche ti condizionino per il resto della vita.

Che cosa fare dunque per essere pronti alle conseguenze di un incidente simile?

Benché sia difficile da considerare qualsiasi possibilità, dobbiamo assumere che eri e sei convinto di sopravvivere all’attacco.

Se l’aggressore è armato di pistola, continua a sparare fino a che non è a terra.

Una volta al suolo, retrocedi e copriti fino a quando non riuscirai a valutare bene la situazione, se spari e lui scappa, lascialo andare, è troppo rischioso seguirlo.

Quando sei convinto che tutto è finito e che l’aggressore non può più farti del male, verifica di non essere ferito

Se si è trattato di un’aggressione in casa, assicurati che il resto della tua famiglia sia sano e salvo.

Ci sono stati casi in cui un membro della famiglia è stato colpito durante la sparatoria ed è rimasto a terra ferito per ore, fino a che qualcuno non è andato a vedere se stesse bene.

Assicurati di star bene anche tu, è possibile che una pallottola ti abbia colpito o ti abbia sfiorato senza che te ne renda conto.

Avvisa i parenti o qualunque vicino che entri a vedere che cosa è successo, di non toccare niente, tutto va lasciato così com’è fino all’arrivo della polizia, così potranno ricostruire i fatti.

Se le cose vengono mosse o se sembra che sia stata modificata qualche prova, ti sarai cacciato in un grosso guaio.

Se l’aggressore aveva un’arma, assicurati che le autorità ti confermino per iscritto con tanto di data il fatto, non vanno perse prove per nessun motivo.

Chiama il tuo avvocato, spiegagli brevemente quello che è successo.

Non appena hai visto che tutti stanno bene, chiama il tuo avvocato, spiegagli brevemente quello che è successo e chiedigli di venire da te quanto prima.

È estremamente importante che sia presente sin dall’inizio, probabilmente non ti dirà niente fino a che non arriverà sul posto.

Se possibile dovrebbe trovarsi nel luogo dell’aggressione quando arriva la polizia, dato che la maggior parte delle linee telefoniche di emergenza della polizia hanno dei registratori automatici, qualunque cosa succeda da quando chiami a quando non arrivano, rimarrà registrata e può esserti utile in un secondo momento.

Lascia la tua arma e aspetta che arrivino, questa è una misura di sicurezza importante

Se i poliziotti arrivano alla porta e ti trovano con l’arma in mano, potrebbero spararti. Tutto quello che sanno è che c’è stata una sparatoria, dato che non conoscono i dettagli, è normale che si aspettino un conflitto.

Se ti vedono alla porta con una pistola in mano, non ti daranno l’opportunità di spiegare, perciò è meglio che ti assicuri di metterla giù.

Uuna volta arrivato il tuo avvocato, appartati con lui e spiegagli la situazione nel dettaglio, non nascondere niente, qualunque cosa tu riesca a dirgli è un’informazione che non può essere usata contro di te.

Se pensa che il tuo stato emotivo sia troppo alterato per far fronte alla situazione, ti potrebbe consigliare di andare via, fa quello che ti dice senza discutere, l’avvocato sa che cosa deve dirti e può occuparsi della polizia fino a che non sarà sicuro che tu sei nelle condizioni di affrontare la situazione.

Nel caso tu non abbia un avvocato o non riesci a trovarlo in quel momento, stai molto attento a quello che dici alla polizia

Se non hai un avvocato o non riesci a trovarlo in quel momento, stai molto attento a quello che dici alla polizia, perché qualunque cosa dirai in quella situazione potrà essere usata come prova.

Non chiedere perdono, non piangere e non firmare niente, mostrati il più rilassato possibile, soprattutto se qualcuno comincia a farti delle pressioni.

Osserva quello che fanno e cerca di ricordare tutto quello che succede sin da quando arrivano

L’unica cosa che dovresti dire in quel momento è che vuoi parlare con il tuo avvocato, collabora con loro, ma non perdere di vista quello che fanno.

È probabile che delimitino la zona nella quale ha avuto luogo la sparatoria per raccogliere le prove, osserva quello che fanno e cerca di ricordare tutto quello che succede sin da quando arrivano, la tua arma verrà requisita come prova, ma non devi rivelare se hai altre armi a casa né dove stanno.

Non sei obbligato a rispondere a domande che abbiano a che vedere con la tua casa o con la tua vita privata e che non siano in relazione con quello che è successo.

A seconda delle circostanze della sparatoria, delle prove fisiche, delle dichiarazioni fatte da te o dagli altri e del carattere degli investigatori, potresti essere arrestato e accusato di omicidio!

Questo può succedere benché sia un chiarissimo caso di autodifesa.

Non farti sorprendere dagli avvenimenti e sii pronto al peggio

Ora forse ti rendi conto di quanto sia importante avere al tuo fianco sin dall’inizio un avvocato.

È possibile che i parenti dell’aggressore decidano di perseguirti legalmente, benché le autorità non ti incolpino di nulla, queste cause possono essere interminabili e potresti spendere una fortuna in processi.

Inoltre i suoi parenti potrebbero molestarti in altri modi, minacciandoti per telefono o con messaggi anonimi.

Cerca di non parlare dell’accaduto con nessuno, a meno che non sia il tuo avvocato

Perfino i commenti informali a membri della tua famiglia possono diventare un problema per te col tempo.

Le conseguenze derivanti dallo sparare ad un’altra persona per autodifesa non sono sempre giuste, soprattutto perché non succederebbe la stessa cosa se accadesse il contrario, se il tuo aggressore sopravvivesse e tu no.

Disgraziatamente è così che funziona oggigiorno la società e devi sapere ciò che ti aspetta se sei spalle al muro e devi difenderti usando la forza letale.

La parte spiacevole dell’incidente sarà difficile da dimenticare e potresti aver bisogno di un aiuto professionale e di un supporto psicologico

Nonostante i numerosi studi che dimostrano che l’incidenza di aggressioni, furti e violenze diminuiscono nelle zone in cui i cittadini vanno in giro armati e i criminali lo sanno, i governatori e i tribunali continuano a rendere la vita estremamente difficile ai cittadini che seguono la legge.

Il continuo aumento del crimine e l’incapacità della polizia di contenere le ondate di violenza è terrificante, soprattutto quando ti rendi conto che tutto è contro di te se decidi di difenderti.

Arrivati a questo punto, dovresti essere cosciente delle conseguenze derivanti dall’uso della pistola per difesa personale.

Posso dirti un’altra cosa, cioè cerca di evitare gli scontri il più possibile, se non puoi evitarlo, affrontali con l’idea di vincere nonostante le conseguenze.

Questo mi porta al concetto finale nell’uso di una qualsiasi arma, che sia una pistola o anche un coltello

Come hai potuto leggere, qualunque decisione tu prenda, il risultato sarà straziante, ma se alla fine non hai altre possibilità e la tua vita o quella di un tuo caro è minacciata, dovrai fare ciò che è necessario per sopravvivere, questo ci porta alla decisione dove dovrai “Lottare per la vita”.

Note


La SCIENZA del disarmo delle ARMI A CANNA LUNGA

In questo articolo spiegheremo come difenderci dalle armi da fuoco a canna lunga.

Sicuramente in tutto il mondo sono morti molti poliziotti nel tentativo di disarmare una persona da un’arma

Che fosse un’arma bianca, o una a canna corta, ma ben più difficile è il disarmo di un’arma a canna lunga, ed ancor di più se ad impugnarla è una persona imbottita di droga o riempita di alcool.

Ricordo che durante un corso di aggiornamento con gli S.W.A.T, ci fu raccontato un episodio di violenza domestica dove il marito voleva uccidere la moglie e probabilmente se stesso (ed il poliziotto che gli parlava).

Quando in un attimo di distrazione il poliziotto effettuò il disarmo dell’uomo, ubriaco, attuando la tecnica “a remo in avanti”.

La tecnica a remo in avanti era un disarmo che al poliziotto era stato insegnato dal suo sergente addetto all’istruzione, durante il periodo di addestramento per il Vietnam, quando i veterani insegnavano ogni tipo di combattimento a corta distanza, quelli da manuale e non.

È molto difficile trovare chi e dove insegnino il disarmo della carabina o del fucile

Ma grazie ad un sergente veterano della guerra in Vietnam con due ginocchia Dupon in plastica, la tecnica di disarmo venne insegnata e tutt’ora attuata.

Chiaramente la curiosità per il disarmo di quest’arma mi spinse a studiare scientificamente le tecniche, studiando anche le possibili posizioni di confronto, cercando di risolverle.

Le armi che analizzai furono la carabina, il fucile, la semi-automatica e l’automatica, questo spinse ad affrontare il problema del confronto, studiando psicologicamente i fattori scatenanti di una determinata situazione e le tattiche fisiche attuabili, arrivando alle seguenti considerazioni:

I problemi fisici

  • Valutazione del nemico;
  • Distanza;
  • Posizione.

Metodo con Valutazione del nemico

  • Bisogna valutare la qualità cui porta l’arma e la quantità del nemico;
  • Quale stazza, mentalità, stato fisico ed abilità ha la persona che impugna l’arma.

Distanza 1: Contatto

Quando il foro d’uscita della canna è a contatto con il nostro corpo, tutti quelli che impugnano un’arma, che siano allenati o meno, toccano spesso con la canna l’aggredito, può darsi che il soggetto abbia fretta e ci spinga con l’arma, potrebbe essere furioso e toccarci con la canna a mò di intimidazione.

Potrebbe essere sicuro di sé, benché sembri una strategia sbagliata, succede con una certa regolarità.

Distanza 2: Attacco

Quando il soggetto tiene l’arma ad una distanza nella quale abbiamo l’opportunità di saltargli addosso per sottrargliela.

Distanza 3: Lontananza

Quando ci puntano il fucile contro da una distanza in cui non è possibile saltare addosso all’aggressore, fino, letteralmente, ad una distanza da franco tiratore, in questa situazione l’unica cosa che possiamo fare è utilizzare la psicologia per cercare di salvarci.

Posizione

Il nemico presenterà il suo fucile in quattro posizioni basilari, con tre variazioni in ognuna di esse:

  • Posizione 1- Davanti a noi;
  • Posizione 2- Ad uno dei lati (destro o sinistro);
  • Posizione 3 – Dietro di noi;
  • Variazione A- Al di sopra di noi;
  • Variazione B- Alla nostra altezza;
  • Variazione C- Sotto di noi.

Metodo con cui porta l’arma

Come tiene l’arma, la impugna solo con le mani? O peggio, la tiene assicurata ad un cinturino? Sicuramente terrà l’arma in tre modi basilari:

  • Con le mani;
  • Con il cinturino;
  • Con un qualsiasi arnese di sicurezza.

Con le mani

I criminali normalmente usano armi “civili“ come fucili da caccia ed altre, spesso rubate, e le portano in modo da poterle estrarre rapidamente.

Il cinturino

Per anni si è studiato sulla storia militare, analizzando fotografie sia di truppe internazionali sofisticate ed altamente allenate, che di ribelli senza addestramento, dalle migliaia di fotografie di personale militare armato, esaminate le loro armi, all’incirca metà mostravano di usare il cinturino dell’arma, mentre l’altra metà non faceva caso ad esso e lo lasciava penzolante dall’arma.

Per focalizzare di più la questione, molte di queste fotografie erano di guardie di prigionieri e scorte, un’arma con il cinturino legato ad una parte del corpo evidenzia un ostacolo per il disarmo, il personale militare usa i cinturini.

L’idea basilare del cinturino è poter portare l’arma sia in posizione di riposo che di attacco, poi si scoprì che poteva servire a migliorare la mira, è legato alla canna per poter strisciare a terra in silenzio ed in modo sicuro e permette le seguenti posizioni dell’arma:

  • Di traverso sul petto;
  • Sotto l’ascella;
  • Sulla schiena;
  • Di traverso sull’ascella e sulla spalla a mò di clip.

Molte vittime sono scappate mentre venivano scortate per essere interrogate, mentre mangiavano, mentre erano in bagno o in camera da letto.

Molti hanno sorpreso una guardia stanca o poco allenata, altri hanno sperato che la guardia rimanesse sola.

Molti sapevano che sarebbero morti tramite esecuzione e hanno deciso di morire lottando, ma hanno vinto e si sono salvati, perciò dobbiamo sempre osservare dov’è in nemico, che aspetto ha, come porta l’arma ed identificare come può usarla, prima di risolvere fisicamente la peggiore di tutte le situazioni.

Soluzioni basilari per la sopravvivenza

Non importa in che posizione sia l’arma, né se la canna ci sta toccando o si trova a distanza di attacco, l’equazione per la sopravvivenza è:

  • La minaccia se la canna è a contatto;
  • Deviare la canna;
  • Controllare l’arma deviata e colpire collo o la testa per stordire l’avversario e non far più focalizzare la sua attenzione sull’arma;
  • Colpire le braccia che sorreggono l’arma;
  • Strappare l’arma continuando a colpire l’avversario.

Affrontare un’arma sciolta, senza cinturino:

Il miglior modo per ottenere questo disarmo è colpire le braccia che sorreggo l’arma per portargliela via.

Affrontare un’arma legata al cinturino

Questo esige la presa dell’arma e tirare con forza per portare al suolo il nemico, bisogna colpire più volte, quanto è necessario, per ottenere un disarmo dovete sganciare il cinturino o liberare la clip che unisce l’uomo all’arma, per sganciare il cinturino, per prima cosa dovete aver ridotto significatamene il nemico abbastanza per manovrare il suo corpo in sicurezza per procedere.

Liberare la clip di un’arma richiede una notevole riduzione della possibile reazione dell’avversario, solo allora si può accedere al sistema per liberarla, sganciandola o tagliando il cinturino, perciò si ha bisogno di un coltello o utilizzare un’eventuale pugnale dell’avversario.


È necessario ricordare che se si tira l’arma, aiuterete l’aggressore ad attivare il sistema d’ingranaggio

Molti esperti suggeriscono di spingere l’arma per ritardare tale azione, analizzando diversi assassini e sparatorie, nei quali i combattenti hanno lottato con armi a canna lunga, la causa generalmente del decesso di uno dei due era dovuto ad un colpo partito mentre si cercava di effettuare il disarmo.

Molti istruttori, non bene allenati, danno troppa enfasi a come forzare il fucile per applicare una leva, senza soffermarsi a spiegare che prima si deve colpire l’avversario, è naturale pensare che un essere umano afferri con forza la propria preziosa arma, specialmente con il gomito o l’avambraccio, a meno che non lo si colpisca, risulterà molto difficile spostargli l’arma per facilitare le chiavi al braccio o al polso.

Ho visto molti istruttori insegnare ai loro allievi a spostargli la canna con il palmo della mano verso l’alto, spingendo con il palmo della mano permettiamo al nemico di alzare la canna e mirare direttamente verso di noi, se spingiamo verso il basso, si riesce ad evitare tutto questo, altri istruttori preferiscono passare ad una serie di nodi da marinaio con il cinturino per legare l’avversario.

Per favore, quando si tratta di armi valutiamo bene ciò che facciamo e pensiamo alla sicurezza su ciò che stiamo facendo e non facciamo rischiare la pelle a chi stiamo insegnando!

Colpire il nemico con due mani con l’arma se necessario, una volta strappata l’arma, non confidate troppo sul fatto che funzioni, potrebbe essere scarica, potrebbe essere una replica, potrebbe essere rimasta danneggiata nella lotta e, con la grande varietà di armi a canna lunga che esiste, potreste non riuscire a farla funzionare.

Inoltre, il fuoco può richiamare l’attenzione su quello che stiamo facendo ed attirare l’attenzione dei suoi compagni.

Potreste essere obbligati ad improvvisare un qualche modo per legare il nemico, una volta sicuri perquisitelo alla ricerca di altre possibili armi che possa detenere addosso.

Note


COPERTINA parliamo ancora di punti di pressione

[AUTODIFESA & SPORT] Parliamo ancora di punti di pressione

Dal semplice singhiozzo all’arresto respiratorio. Tempo fa durante un allenamento per perfezionare il lavoro sui punti di pressione, lavorammo su un punto del braccio chiamato LI-10

Questo punto si trova nel nervo radiale, che è unito al sistema nervoso centrale (SNC) attraverso la vertebra cervicale 5.

In questo punto di unione si trova anche l’inizio del nervo frenico, il nervo che controlla il diaframma e quindi anche la respirazione, ho avuto modo di conoscere questo argomento quando ho studiato la rianimazione polmonare originale, quella precedente alla rianimazione SP-17, più perfezionata ed efficace.

Prima, l’LI-10 si utilizzava tentando la fortuna… e, in combinazione a precedenti immagini individuali. Come si racconta, un uomo assistette ad uno dei primi seminari sui punti di pressione che si tenne negli Stati Uniti e gli chiesero di prendere parte alla dimostrazione di una tecnica, quando ricevette un colpo in un punto del corpo, l’uomo svenne e smise di respirare.

L’intenzione della persona che lo aveva colpito non era nemmeno lontanamente quella di fargli perdere conoscenza e i partecipanti al seminario cominciarono a preoccuparsi, dopo vari tentativi di rianimarlo, la persona che lo aveva colpito ricordò ciò che aveva letto su questo nervo e, disperato, diede un pugno all’uomo sul punto dell’avambraccio con l’intenzione di fargli recuperare almeno la respirazione.

Il colpo fece in modo che l’uomo incosciente tornasse in sé e che riuscisse di nuovo a respirare, il soggetto svenuto ammise di aver fumato marijuana prima di assistere al seminario e questa forse fu la causa dell’effetto sproporzionato del colpo sul punto di pressione.

Non si ha la certezza che sia andata così ma, siccome la marijuana agisce come calmante, potrebbe aver aumentato l’effetto del colpo, specialmente per quanto riguarda la respirazione, ma la cosa incredibile di questo episodio è che servì da stimolo per studiare a fondo l’argomento a molte delle persone presenti e ad altre che non c’erano e che sentirono raccontare la storia.

Da allora, questo metodo è diventato il sistema di rianimazione polmonare più utilizzato

Fino a quando non si è sviluppato un metodo intermedio che corregge la respirazione diaframmatica in modo più efficace e potente, tuttavia, questo metodo non è stato abbandonato dopo aver verificato l’efficacia del metodo intermedio, ma si è continuato a studiare il punto, le sue connessioni e altre possibilità relazionate con il pronto soccorso.

In questo modo si è potuto scoprire nuove applicazioni, per esempio si è scoperto un metodo per alleviare le fitte al fianco provocate dallo sforzo eccessivo ed anche un altro per interrompere il singhiozzo, cominciamo dalle fitte al fianco, che sono dolori muscolari intensi che si avvertono nella parte laterale del corpo.

Si verificano nel gruppo muscolare obliquo esterno (chiamato anche fianco obliquo).

Quando un individuo prova questo tipo di dolore non riesce a pensare a nient’altro, perché il dolore è molto intenso, così di solito si analizza la causa che lo ha prodotto per alleviarlo, i muscoli sono stanchi, ma non tanto per il loro stesso sforzo ma per la tensione provocata all’interno a causa dell’eccesso di attività del muscolo del diaframma.

Può anche essere conseguenza di un’ischemia diaframmatica

Questa è una riduzione del flusso sanguigno generalmente provocata da ostacoli nei vasi sanguigni che causano un danno o una disfunzione del tessuto, alcuni atleti hanno avvertito la manifestazione del dolore nell’estremità della scapola, anziché nei muscoli del fianco.

La causa di questo dolore si attribuisce al fatto che si tratta di un luogo di riferimento del dolore nel diaframma attraverso il nervo frenico (termine utilizzato per descrivere il fenomeno del dolore percepito in un luogo adiacente o a una certa distanza dal luogo in cui si è verificata la lesione, come in un attacco cardiaco, nel quale il dolore si avverte normalmente nel collo, sulle spalle o sulla schiena anziché nel petto).

Utilizzando il punto LI-10, sfregando il nervo lentamente e a ritmo regolare dal gomito verso la mano, il diaframma sembra stabilizzarsi (poiché la respirazione si regola e diventa più profonda), diminuisce anche il dolore e si rilassa il muscolo che sta sopportando gli spasmi, si tratta di una tecnica molto utile in qualsiasi sport o attività, specialmente nel nuoto o in altre attività che aumentano il ritmo della respirazione fino a livelli elevati, nei quali si verifica una maggior incidenza di fitte al fianco.

Così quando si è scoperto che rilassava il diaframma, si è scoperto anche che poteva essere una cura o una tecnica per attenuare il singhiozzo

Il singhiozzo provoca contrazioni repentine ed involontarie del muscolo del diaframma, quando il muscolo si contrae ripetutamente, lo spazio tra le corde vocali si chiude all’improvviso per controllare il transito dell’aria e fa in modo che il singhiozzo si faccia sentire.

Il singhiozzo può essere provocato dall’irritazione dei nervi che vanno dal collo al petto come conseguenza di uno sforzo eccessivo, questo colpisce  specialmente il nervo frenico, che è il responsabile dell’attività del diaframma, può anche essere causato da diverse alterazioni del sistema nervoso centrale e periferico, come conseguenza di lesioni o irritazioni dei nervi frenici vaghi che a volte possono essere provocate da tecniche sui punti di pressione quando si attaccano direttamente quei nervi.

Il ridere prolungato, lo sforzo eccessivo o anche l’ingestione di alimenti troppo in fretta sono cause note del singhiozzo, per esempio, se respiriamo troppo rapidamente o ansimiamo come conseguenza di uno shock corporale improvviso, possiamo liberare od inghiottire aria e provocare il singhiozzo, questo è dovuto al fatto che lo stomaco, che si trova sotto il diaframma e attaccato a questo, è gonfiato o allungato (come quando si mangia o si beve in eccesso).

Siccome il singhiozzo si produce anche quando si mangia o si beve, si crede che sia un atto riflesso per evitare un soffocamento

Ma il singhiozzo può essere indotto, quindi questa non è una spiegazione valida, è interessante che la chirurgia per disabilitare il nervo frenico (il nervo che controlla il diaframma) spesso è l’unica soluzione efficace.

La relazione naturale tra questi due argomenti ci ha aiutato a comprendere ancora una volta i punti di pressione e i suoi effetti con maggior chiarezza, anche le nostre abilità sono migliorate in modo considerevole, poiché abbiamo avuto l’opportunità di lavorare in modo duale, provocando alleviando i sintomi fisici.

La cosa più importante comunque è che si sta indagando di continuo e svelando nuovi metodi in entrambe le modalità.

Per esempio, si sono scoperti molti altri punti del corpo con i quali possiamo indurre il singhiozzo o persino bloccare la respirazione dell’individuo, le ricerche non hanno fine, ci sono sempre nuove possibilità e modi per aiutare le persone nei momenti di difficoltà.

Note


[MAESTRI DELLA STORIA] Bruce Lee, incontro con il TAO (道)

C’è qualcosa di misterioso e di solitario che c’era prima del cielo e della terra, è immutabile, inafferrabile.

È l’unità e il vuoto, percorre eternamente un circolo ed è inesauribile, per quella che può essere chiamata “la madre di tutte le cose”, io non conosco il suo nome, ma faccio uno sforzo e lo chiamo TAO.

Tentare di spiegare il Tao sarebbe un lavoro impossibile.

Come minimo si dovrebbe scrivere un altro libro sul TAO The King e nonostante questo non ce la faremmo, perché invece di avvicinarci al Tao ci saremmo allontanati.

Perché il Tao nella sua essenza è inspiegabile e inesprimibile, si sente o non si sente, ma non si può descrivere.

Perché per quanto si parli di lui è difficile arrivare alla sua piena comprensione, principalmente in un mondo così materialista.

Forse alcuni possono pensare che questa sia un’utopia, qualcosa di irreale, creato dall’immaginazione di alcuni, tuttavia risulta insolito che tutti i grandi Maestri abbiano descritto la stessa cosa: l’unione tra la mente e il corpo con l’ambiente circostante, qualcosa di tanto facile da spiegare, ma al tempo stesso tanto complicato da fare e, soprattutto da applicare…



Alcuni esempi storici sul TAO


MASUTATSU OYAMA

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale Mas Oyama è un 4° dan di Karate, forgiato e indurito dagli orrori della guerra e dell’occupazione, è allora che avviene un fatto che cambia completamente la sua vita e le sue motivazioni: l’avvio di una guerra civile tra il Nord e il Sud della Corea.

Questa divisione del suo paese natale lacera il cuore del giovane esiliato coreano, che non sopporta di vedere come la sua gente sia spinta a massacrarsi reciprocamente, in una lotta fratello contro fratello.

Profondamente deluso e schifato di tutto, Mas Oyama si lascia prendere dalla disperazione e dal disinteresse.

Abbandonando tutto, il mondo gli sta cadendo addosso.

Quando conosce un Maestro carismatico di Karate Goju-Kai, anch’egli di origine coreana, questo mistico personaggio gli dà solamente un consiglio, abbandonare la sua vita attuale, ritirarsi in una montagna e coltivare nella natura il suo corpo e il suo spirito, e forse così riuscirà a ristabilire il suo equilibrio emozionale.

Oyama comprende che solo un cambio radicale di esistenza può restituirgli la gioia e l’energia, perciò decide di seguire i consigli del Maestro.

Il resto è già pubblicato sulla sua biografia in un precedente articolo.


YAMAGUCHI GOGEN

Quando la Seconda Guerra Mondiale finì, il Giappone era materialmente e moralmente distrutto, davanti a questo desolante scenario, Yamaguchi Gogen pensa di ricorrere all’Harakiri.

Un giorno pregando per la purezza dello spirito prima di commettere il suicidio, ha una rivelazione che cambia il suo destino.

Visualizza la sua missione: la ricostruzione della scuola Goyu Ryu per aiutare il Giappone e il mondo.

Dopo quella visione intensifica i suoi allenamenti di Karate, ma ancor di più la meditazione e la pratica della religione Scintoista, della quale è monaco e che considera indissociabile dal suo Karate.

Lo Scintoismo era la religione ancestrale dei giapponesi, la cui base è la venerazione dei principi della natura e il contatto con essa attraverso pratiche sui monti, mari e fiumi.

Per questo motivo il Maestro era solito andare una volta al mese in montagna per mettersi in contatto con la natura e meditare nella più assoluta solitudine, oltre che per perfezionare i suoi Kata sotto le cascate d’acqua gelida cercando di mantenere il suo spirito sereno, pur essendo nel mezzo delle più severe condizioni.


MORIHEI UESHIBA

Secondo diversi racconti, dopo anni di pratica e allenamento in diverse arti marziali, un giorno ebbe una visione che cambiò completamente la sua vita.

Attraverso di essa trovò il suo equilibrio con l’universo.

Su questo ci sono molti scritti e le spiegazioni su questa fantastica visione non smettono di essere incredibili.

Alcuni raccontano che vide una specie di gnomo o folletto, il quale gli raccontò i segreti dell’Universo, in altre biografie raccontano che un giorno, meditando, contemplò come il suo spirito si fondesse in lui formando carne e anima in un unico blocco, coscienti ambedue di questa unione…

La cosa certa è che dopo aver avuto la succitata visione, cambiò completamente vita, si iniziò a chiedere a cosa servisse sconfiggere un avversario, quali benefici ne avrebbe avuto, perché se hai sconfitto una persona, prima o poi ti sconfiggerà un altro rivale, il vincitore di oggi sarà lo sconfitto di domani.

Un giorno avrebbe perduto quella vitalità e avrebbe trovato qualcuno di più giovane e con meno conoscenze che lo avrebbe sconfitto.

Morihei cercava quell’arte marziale in cui la forza bruta passasse in secondo piano e prevalesse la tecnica, nella quale esistesse un equilibrio universale e grazie alla quale qualunque persona, per quanto debole fosse, potesse sconfiggere qualunque rivale, per quanto forte o giovane fosse.

A partire dall’idea che la forza non è tutto nelle arti marziali, creò il concetto basilare dell’Aikido che è Al:unione, Ki: vita, energia e Do:via o strada.

La via dell’armonia con l’energia universale, con questo concetto cominciò a lavorare e a perfezionare la tecnica di base per due anni, fino a sviluppare quello che oggi è l’Aikido.


Tutti i grandi Maestri delle arti marziali hanno un denominatore comune: la rivelazione del TAO

Un giorno hanno un’esperienza che cambia completamente la loro vita e le loro concezioni delle arti marziali, cioè che li spinge a contemplare tutto da un’ottica diversa, da allora esiste un “prima” e un “dopo” nella loro esistenza.

Grazie a quel momento o esperienza, riescono a trovare l’equilibrio tra mente e corpo, vale a dire l’unione tra l’uomo e il suo ambiente.

Da allora acquisiscono quel grado di “intendimento” che fa si che i loro progressi nelle arti marziali siano notevoli, segnando un sentiero che altri, più tardi trasformeranno in strada.

Nel caso del Piccolo Drago non poteva essere altrimenti

Esiste uno scritto dello stesso Bruce Lee in cui spiega quel momento trascendentale della sua vita.

La cosa curiosa in questo caso è che successe quando aveva 17 anni, era molto giovane.

Tuttavia, dopo averlo letto, non vi è spazio per i dubbi, quel “momento” ebbe luogo quando navigava solo in un giunco nel porto di Victoria (Hong Kong), grazie ad esso Bruce Lee riuscì a raggiungere quello che i cinesi chiamano Tun Wu e i giapponesi Satori.

Lo Zen considera questo momento come un intendimento spirituale inaspettato o un risveglio nei sensi del quale l’uomo aderisce con la natura.

È ciò che i cinesi denominano Tao

Quell’esperienza cambiò la vita di Bruce Lee ed evidentemente anche la sua filosofia di vita.

Anni dopo il Drago descrisse questo cruciale momento con una grande quantità di dettagli e sfumature, in uno dei suoi scritti scolastici dell’università, intitolandolo “un momento di comprensione” fu scritto nel suo primo anno di facoltà, quando studiava filosofia e sorprende per la sua semplicità e la sua profondità rende comprensibile ai neofiti quella connessione tra l’uomo e il “Tao”.

Un qualcosa che altri Maestri tentarono con scritti molti più ampi e spiegazioni più estese, ma secondo la mia opinione, meno chiari.

Un altro “tocco” della genialità del “Piccolo Drago”, il Gung Fu è il tipo di pratica molto particolare un’arte splendida più che un puro esercizio fisico, l’arte consiste nel coniugare l’essenza della mente con le tecniche su cui lavorare.

Il principio del Kung Fu non è qualcosa che si può imparare come una scienza, mediante costrutti e cercando riscontri.

In sostanza infatti deve crescere spontaneamente, come un fiore, in una mente libera da emozioni e desideri, il nucleo di questo principio del Gung Fu è il Tao, la spontaneità dell’universo.


Un aneddoto del Piccolo Drago

Dopo quattro anni di duro allenamento, cominciai a capire e sentire l’essenziale, che altro non era che l’armonia di queste pratiche, l’arte di neutralizzare il rivale, minimizzando l’uso della mia energia, tutto questo deve essere fatto con calma e senza sforzo.

Tutto sembrava semplice, ma nella pratica risultava molto difficile da fare

Quando affrontavo un avversario in combattimento, la mia mente era completamente turbata e instabile, specialmente dopo aver dato e ricevuto una serie di colpi e calci, tutta la mia teoria di armonia era sparita, l’unico pensiero che persisteva era quello di dover, in un modo o nell’altro, attaccare e sconfiggere il mio avversario.

Un giorno il mio Maestro di Wing Chun, si avvicinò a me e mi disse: “Loong, rilassa e calma la tua mente, dimentica te stesso e segui i movimenti del tuo rivale, lascia agire liberamente la tua mente, senza nessun tipo di ragionamento che interferisca, soprattutto impara l’arte della separazione”.

E lì stava la soluzione: dovevo rilassarmi, tuttavia, in quello stesso momento avevo appena fatto qualcosa di contrario alla mia volontà, questo accadde nel preciso istante in cui mi dissi: “devo rilassarmi”

La pretesa dello sforzo in quel “devo” era già di per sé in contraddizione con l’idea di rilassarmi, soprattutto mentre la mia accentuata timidezza cresceva fino a quella che gli psicologi chiamano “doppio legame”, per me era terribilmente difficile farlo, allora il mio Maestro si avvicinò nuovamente e mi disse “Loong, prova a liberarti e a lasciarti trasportare dai tuoi istinti naturali, senza che tu interferisca, ricorda che non devi mai contraddire la natura: non ti opporre mai ostinatamente a nessun problema, ma cerca piuttosto di risolverlo analizzandolo, non allenarti questa settimana, vai a casa e pensaci su“.

La settimana seguente rimasi a casa, dopo aver passato varie ore a meditare e allenandomi, mi diedi per vinto e decisi di uscire in barca un momento da solo, in mare pensavo a tutto il mio allenamento passato, mi irritai con me stesso e diedi un colpo sull’acqua, giusto in quel momento mi sovvenne un’idea: non era proprio quell’acqua la vera essenza del Gung Fu?

La colpii nuovamente e non subì nessun danno, sferrai un altro colpo con tutte le mie forze e, ovviamente ancora una volta l’acqua non subì alcun danno, quindi tentai di afferrarne un po’ ma fu impossibile.

L’acqua, la sostanza più serena del mondo, potrebbe riempire qualunque recipiente acquisendone la forma, benché sembri debole, potrebbe penetrare la sostanza più grezza e dura della terra, ecco il punto!

Io dovevo essere come l’essenza dell’acqua! Improvvisamente un uccello che volava, si riflettè sull’acqua del mare, in quell’istante, mentre io ero assorto nella lezione dell’acqua, mi venne rivelato un altro significato mistico dell’enigma: non è che forse i miei pensieri e le mie emozioni di fronte al mio avversario dovessero essere come il riflesso di un uccello sull’acqua?

Questo era esattamente ciò che il professor Yip Man voleva dire quando parlava di slegarsi, non si trattava di non possedere pensieri o sentimenti, piuttosto essi non dovevano bloccarmi, dovevo in primo luogo accettarmi in relazione con la natura e non contrappormi ad essa, finalmente sentivo di essermi unito con il Tao, mi ero unificato con la natura.

Ero disteso dentro la barca e la lasciai scivolare liberamente sull’acqua in sintonia con la sua volontà, da quel momento ottenni uno stato di benessere peculiare e non ci furono più conflitti nella mia mente, la totalità del mondo è l’unità.


In virtù di quell’esperienza la mentalità di Bruce Lee cambiò

In virtù di quell’esperienza, la mentalità di Bruce Lee cambiò, forse in quei momenti non era pronto a “quello“.

Ciò che è indiscutibile è che quell’esperienza lo segnò e, come gli altri Maestri, gli indicò la strada da seguire, trasformando quella “lezione“ nel principio del Jeet Kune Do, dove impera l’adattabilità di fronte a qualunque avversario e circostanza, senza opporre resistenza, fondendosi con l’ambiente, come piegava Bruce Lee in una delle sue più conosciute massime:

Sii come l’acqua, l’acqua non ha forma e tuttavia ce l’ha.

È l’elemento più morbido della terra, ma penetra nella pietra più dura. Non ha una propria forma, ma può adattarla all’oggetto che la contiene.

In una tazza acquisisce la forma di una tazza, in un vaso da fiori adotta la forma del vaso e circonda i fusti dei fiori, mettila in una teiera e si trasforma in teiera.

Per favore, osserva l’adattabilità dell’acqua, se la comprimi a gran velocità, fluisce velocemente, se la comprimi lentamente, fluisce pian piano.

Può sembrare che l’acqua si muova in modo contraddittorio, perfino verso l’alto, ma in realtà sceglie qualunque strada libera per poter arrivare al mare, può fluire rapidamente o lentamente, ma il suo proposito è inesorabile, il suo destino sicuro…

Bruce Lee impregnò il Jeet Kune Do dell’ideologia che abbiamo appena letto

La base del JKD tratta l’individualismo, l’auto espressione e la capacità dell’uomo di imparare ad adattarsi in modo immediato e armonioso a qualunque ostacolo che possa trovarsi durante il tragitto.

Attraverso questo processo di adattamento, Bruce Lee pensava di poter superare tutte le difficoltà.

Il suo punto di vista era diverso, la sua prospettiva della condizione umana unica e, soprattutto, la filosofia della quale fu pioniere, ha indicato una via da seguire nelle arti marziali.

Sfortunatamente si è considerata solo la grande diffusione delle arti marziali che realizzò con i suoi film o i suoi eccezionali attributi fisici.

Tuttavia Bruce Lee fu, come abbiamo potuto vedere, molto più di questo.

Suppongo che trasmettere questo, in quegli anni, quando non si conoscevano nemmeno le arti marziali, fosse qualcosa di molto difficile, in ogni modo la sua eredità è li, ora è compito dei suoi allievi e praticanti di Jeet Kune Do perpetuarla e diffonderla.

Note


[PAURA & AUTODIFESA] Psicologia di un conflitto inaspettato

La paura, una volta manifestata in sintomi, non è altro che una sindrome che si concretizza in un quadro ben definito di alterazioni psicosomatiche. Vediamo assieme alcuni esempi di questa condizione


Alcuni esempi reali

Primo scenario

NEW YORK, giovedì 3 giugno 2005. I giornali della città riportavano la notizia di una sparatoria nella quale ferirono un poliziotto: si era salvato miracolosamente grazie al suo corpetto antiproiettile.

In quella stessa notizia veniva sottolineato il fatto che, mentre l’ufficiale risultato ferito aveva affrontato il delinquente, il suo collega era fuggito spaventato dalla scena.

Tutti i giornali erano d’accordo nel dare risalto al fatto in particolar modo per l’impressionante atto di vigliaccheria del collega.

Secondo scenario

Tempo fa fece scalpore la notizia che Alex Gong, direttore del Fairtex Gym in California, era stato vittima di alcuni colpi di pistola ed era morto in una delle strade più frequentate di San Francisco.

Gli avvenimenti erano stati i seguenti: un conducente, che viaggiava in una jeep, era andato a sbattere contro la sua auto che era parcheggiata, immediatamente si era dato alla fuga.

Alex lo aveva seguito a piedi fino ad acciuffarlo più avanti, il conducente si era fermato ad un semaforo rosso, nel momento in cui Alex lo aveva raggiunto, l’individuo in questione aveva estratto un’arma ed aperto il fuoco contro di lui, perdendosi poco dopo in mezzo al traffico.

Alex era stato colpito appena sopra il cuore, una ferita mortale. Più tardi ritrovarono il Cherokee abbandonato in un altro luogo.

Per chi non conosce Alex Gong, va detto che era campione del mondo di Muay Thai, il suo nome aveva brillato di luce propria a Las Vegas, in altre parole un artista marziale molto ben preparato.

Terzo scenario

Giovedì 12 settembre 1991, l’ufficiale di polizia Hèctor Antonio Fontanez Diaz morì a causa dei colpi di pistola ricevuti inseguendo in un vicolo cieco un criminale armato.

Gli ufficiali avvistarono Il criminale nella zona su una bicicletta ed in possesso di un’arma da fuoco.

L’ufficiale Fontanez fu in grado di rispondere al fuoco facendo centro almeno cinque volte, ed il criminale fu arrestato alla fine da altri ufficiali.

A suo tempo, questi fatti hanno occupato le prime pagine dei mezzi di comunicazione giungendo a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica in generale.


Analizziamo assieme i dati

La ragione per la quale ne parlo è che nei tre eventi si è prodotta una violenza non prevedibile.

Essi rappresentano perfettamente la reazione umana che essa scatena.

Vale a dire le condotte che palesiamo di fronte ad un conflitto inaspettato, quando una persona affronta una situazione di stress come quelle a cui furono esposte le persone di questi esempi.

La reazione “normale, umana” è istintiva di sopravvivenza, e può essere di due tipi, paura (fuga) o rabbia (aggressione).

La fuga

Nel primo caso, cioè in quello del poliziotto in fuga, è facile giungere alla conclusione che la paura si sia impadronita di lui e sia riuscita a dominarlo.

La paura è un’emozione umana naturale, che ci aiuta a focalizzare le situazioni di stress.

Tuttavia essa è generalmente presentata come una debolezza del carattere, la paura può essere provocata da una minaccia reale o percepita come tale, la nostra reazione istintiva sarà quella di intervenire o, al contrario, quella di fuggire.

La condizione di paura una volta manifestata in sintomi non è altro che una sindrome

La paura, una volta manifestata in sintomi, non è altro che una sindrome che si concretizza in un quadro ben definito di alterazioni psicosomatiche quali:

  • Tachicardie o bradicardie;
  • Diminuzione o l’aumento di determinate attività ghiandolari;
  • Cambiamenti della temperatura del corpo;
  • ecc…

A sua volta tutto ciò produce negli individui trasformazioni in determinate parti del corpo, che li spingono ad agire in una direzione o in un’altra.

Nel caso di Alex Gong e del poliziotto Fontanez, furono la rabbia e il coraggio a determinare la loro reazione.

Le tre reazioni umane primarie sono il coraggio o rabbia, la paura e l’amore

Le prime tre esplodono come risultato di una reazione immediata ad uno stimolo esterno, o come risultato di un processo soggettivo indiretto, derivante dalla memoria, dall’associazione o dall’introspezione.

La cosa curiosa di tutto ciò è che le strutture anatomiche dove risiedono i controlli di queste reazioni, si trovano tutte nella stessa porzione del nostro cervello centrale, l’ipotalamo.

L’ipotalamo controlla un’ampia gamma di funzioni vitali del nostro organismo.

Dirige anche la risposta tipica del “correre o lottare” del sistema nervoso autonomo, l’eccitazione o la paura costringono i segnali a viaggiare verso l’ipotalamo, il quale produce a sua volta tachicardia o accelerazione del polso e della respirazione, pupille dilatate ed aumento del flusso sanguigno.

Quando le persone si arrabbiano o hanno paura cominciano a pensare dal cervello centrale invece che dal cervello anteriore

Quando le persone si arrabbiano o si spaventano, cominciano a pensare e, quindi, ad agire dal cervello centrale invece che dal cervello anteriore, che è dove risiede la “mente umana” o il cervello più avanzato.

So che non suona molto attraente, ma nonostante la nostra evoluzione apparente, l’unico modo di avere influenza su questa zona del cervello è usare lo stesso metodo che funziona con i cani: il condizionamento psicologico.

Vale a dire ripetere esattamente lo stimolo che si potrebbe affrontare nella realtà e perfezionare la risposta desiderata una volta dopo l’altra, in modo che nel bel mezzo di un’eventuale crisi il cervello abbia una più alta probabilità di reagire nel modo desiderato, benché ci si trovi in una situazione di stress estremo.

In definitiva, questo è ciò che facciamo quando ci alleniamo ,imparare a condizionare o a controllare queste emozioni primarie, sia se si tratta di allenamenti polizieschi, che di arti marziali.

CONDIZIONAMENTO PSICOLOGICO

Come sappiamo la maggior parte dei dipartimenti di polizia e delle agenzie di sicurezza cerca di educare i loro membri con qualche tipo di allenamento, che li aiuti a fare meglio il loro lavoro, tuttavia le limitate possibilità in termini economici, la perenne mancanza di personale, oltre alla minaccia costante delle procedure giudiziarie, fanno si che, sia i dipartimenti di polizia che le agenzie di sicurezza, limitino in un certo senso le possibilità di allenare il loro personale in modo più realistico.


Un altro esempio pratico: l’addestramento al poligono

Per esempio nella maggior parte dei poligoni di tiro polizieschi si seguono protocolli di sicurezza che vanno a scapito dell’introduzione della pressione psicologica nell’esercizio, cosa che apporterebbe agli esercizi stessi molto più realismo ed efficacia.

  • Si spara dopo aver sentito un suono preciso emesso dagli istruttori;
  • Si usano cuffie per diminuire il rumore degli spari (per prevenire il danno acustico);
  • Si spara da una linea predeterminata, la quantità di pallottole che stabilisce la torre di controllo;
  • Si spara ad un’ora e in un luogo predeterminato, ad oggetti generalmente immobili, che naturalmente non rispondono al fuoco.

In realtà, l’allenamento offerto è generalmente accettabile quanto alla formazione fisica e tecnica dell’allievo, sarà l’atteggiamento del partecipante di fronte all’allenamento che alla fine deciderà la portata e l’autenticità dello stesso.

È l’allievo che deve trovare un modo di integrare la parte psicologica e tattica al suo allenamento, ed adattare i livelli della sua preparazione personale alla realtà.


Ci sono quattro livelli di condizionamento mentale

Tutti rispondiamo agli stimoli in funzione dello stato mentale in cui ci troviamo in quel momento, per questo motivo, per essere capaci di rispondere ad un possibile attacco inaspettato, dobbiamo coltivare l’allerta rispetto a tutto quello che sta succedendo intorno a noi.

Sebbene sia vero che non è pratico né appropriato vivere “col dito sul grilletto”, non lo è nemmeno voler vivere la propria vita in un limbo di spalle al mondo che ci circonda, trasformandosi così in un bersaglio ambulante.

In alcuni corpi militari come nei servizi di pronto soccorso, i differenti livelli di allerta sono insegnati attraverso un sistema che usa un codice di colori, che rappresenta i differenti tipi di coscienza dell’esperienza di un essere umano.

CONDIZIONE BIANCA

È lo stato mentale in cui la maggior parte delle persone vive la sua vita.

Nella condizione “bianca” non ci si aspetta nessun tipo di problemi, né si cercano problemi, in questa condizione ci sentiamo ed agiamo perfettamente fiduciosi e sicuri.

È come se il mondo che ci circonda fosse la nostra stanza, e noi avessimo il controllo di tutto quello che succede attorno a noi.

Pensiamo che niente di male ci può succedere, è la condizione idonea per diventare delle vittime.

CONDIZIONE GIALLA

Questa è la condizione nella quale si dovrebbe stare quando ci si trova in pubblico, cioè in un ambiente che non è intimo o familiare.

Corrisponde all’equivalente mentale del semaforo, cioè, questo stato ci suggerisce di procedere con precauzione, si deve essere coscienti di ciò che accade attorno a noi.

Per esempio chi vi sta dietro, va mantenuta sempre la distanza perlomeno di un braccio dagli estranei.

È conveniente, inoltre, abituarsi a giocare un gioco mentale, analizzando le persone che ci circondano: che tipo di persone possono essere… che situazioni potrebbero prodursi inaspettatamente ecc…

In questa condizione si devono ascoltare i propri istinti, attenti a qualunque eventuale pericolo.

CONDIZIONE ARANCIONE

A questo livello si deve capire che sicuramente… qualcosa non va per il verso giusto.

Si deve ammettere che esiste un pericolo, questo è uno stato d’allarme, essenzialmente la decisione è di allontanarsi o di prepararsi ad agire.

CONDIZIONE ROSSA

In questa condizione l’azione è imminente.

Non appena la minaccia si manifesta, si deve agire, qualunque risposta o colpo che si stia preparando, deve essere portato a compimento immediatamente, con tutta la velocità e l’aggressività possibili.

In questo momento si deve esercitare un controllo sulle proprie emozioni, non sopprimerle.


IN CONCLUSIONE

Allenarsi per partecipare ad un torneo, per migliorare la propria immagine fisica, persino per mantenere la salute sono ragioni adeguate, ma naturalmente non ci si prepara ad affrontare situazioni spontanee di vita o di morte.

Malgrado la paura sia un’emozione così frequente, sono molto poche le persone che si allenano immergendosi in circostanze che evochino questa emozione.

L’obiettivo durante l’allenamento dovrebbe essere quello di considerare seriamente questo tema e lavorare di fatto sullo sviluppo dell’autocontrollo totale della paura e della rabbia, due reazioni tra le più sconvenienti in un conflitto inaspettato, che possono risultare letali.

Note


Traumi da prestazione sportiva: prevenzione e cura 2/2

Prima di affrontare questo argomento molto importante, (mi è costato mesi di ricerche ed elaborazioni per le mie tesi), è necessario parlare prima di una parte fondamentale dell’arto: la capsula.

Continuiamo il nostro articolo precedente.

Fondamentali di un arto: La capsula

Non si può parlare di spalla se non si descrive anatomicamente un’altra struttura anatomica fondamentale, la capsula articolare.

Questa struttura è formata da un manicotto fibroso che circonda tutta l’articolazione.

Esso è diviso convenzionalmente in una porzione anteriore ed una posteriore. Essendo estremamente flessibile, la capsula può subire retrazioni o lassità in base ad una genetica (prevalenza di fibre elastiche o collagene) sia in base al tipo di fisico (lasso, tonico, ecc..), all’età (fino all’età puberale c’è una tendenza alla lassità) alla funzionalità dell’arto superiore, al dolore, ed altro ancora.

La valutazione di tale struttura si esegue tramite il movimento passivo (meglio se eseguito in clinostatismo perché si riesce ad isolare in modo migliore il movimento gleno-omerale), appunto perché la capsula è una struttura passiva e quindi l’influenza delle forze muscolari o del movimento attivo contro gravità dell’arto potrebbero determinare l’insorgere di dolori secondari che, con ogni probabilità, svierebbero anche un bravo terapista dalla vera e propria natura della patologia.

Inoltre è necessario escludere le limitazioni di escursione che possono dipendere da un’insufficiente forza muscolare, evidenziabili in modo maggiore in ortostatismo.

Le retrazioni possono essere solo riferite ad una porzione o a tutta la capsula, nel caso avessimo una rigidità nell’anteposizione passiva dell’arto superiore, si tratterebbe di una retrazione della capsula anteriore.

Al contrario se avessimo una rigidità della rotazione interna passiva dell’omero, si tratterebbe di una retrazione della capsula posteriore.

Un’attenta valutazione permette di individuare quale struttura è responsabile dell’eventuale dolore ed agire in modo specifico evitando protocolli prestabiliti, infatti il presupposto fondamentale di un buon recupero è quello di esaminare il soggetto che si ha di fronte, personalizzando e tarando il programma al suo preciso quadro patologico.

Non bisogna dimenticare che la capsula è una struttura riccamente innervata

Una sua alterazione quindi provoca nel soggetto una sensazione di dolore intenso e difficile da sopportare.

Infatti, in presenza di retrazione, durante lo stiramento della capsula si manifesta un’allodinia, ossia una sensazione dolorosa dovuta ad uno stimolo che normalmente non provoca dolore.

Il soggetto, cioè, avverte dolore in un angolo di movimento fisiologico che normalmente non dovrebbe provocare dolore.

Tale sensazione dolorosa è il campanello d’allarme che ci deve far pensare ad una rigidità capsulare, altro fattore da tener presente per individuare una rigidità capsulare è l’irradiazione del dolore lungo tutto l’arto, dolore che può estendersi fino alla mano.

In una capsula rigida, oltre al dolore da stiramento, si vengono a creare anche degli importanti attriti interni che con il passare dl tempo potrebbero determinare una degenerazione delle strutture anatomiche, complicando così ulteriormente la situazione.

Parliamo ora della varietà vasta delle patologie che potrebbero interessare la spalla, per cui è fondamentale non generalizzare, ma identificare e “chiamare per nome” la specifica patologia.

Non è più possibile sentir parlare solo di “periartrite scapolo-omerale, perché è un termine troppo generico per identificare realmente il problema.

Se ci trovassimo di fronte ad un dolore addominale cercheremmo di capire quale organo ne è la causa, la stessa cosa deve essere fatta a livello della spalla

Si deve comprendere quale struttura dell’arto è più interessata alla patologia: i muscoli, la capsula, i tendini, le ossa ecc… Dopo di che bisogna dare un nome ben preciso a ciascuna patologia: infiammazione del sovraspinato, tendinopatia calcifica della cuffia, tendinite del CLB, artrosi gleno-omerale, lussazione gleno-omerale, lussazione  acromion-claveare, fino ad elencarle tutte.

Tra le numerose patologie della spalla, quella della cuffia dei rotatori è quella che riveste il maggior interesse nel mondo sportivo, un buon terapista deve però conoscere l’intero quadro patologico, per avere la possibilità di risolvere il problema in ogni momento e situazione.

A tale scopo, di seguito ed in breve descriverò le varie patologie della spalla che spesso si possono incontrare in soggetti che svolgono un’attività sportiva regolare e non solo.

TENDINOPATIA CALCIFICA

Tra tutte le patologie che si presentano di frequente a seguito di movimenti ripetitivi, la prima è la tendinopatia calcifica, ossia la presenza di calcificazioni a livello tendineo su uno o più tendini della cuffia dei rotatori.

Questa patologia si manifesta soprattutto i soggetti giovani che, spesso, non sono a conoscenza del problema reale.

Esistono diversi tipi di calcificazioni:

  • TIPO A: a margini netti e ben definiti;
  • TIPO B: a margini non definiti, ma situata in una posizione inserzionale;
  • TIPO C: eterogenea polilobata a limiti ben definiti;
  • TIPO D: calcificazione distrofica inserzionale.

La classificazione può assumere un aspetto diverso anche in base al tendine interessato, esistono infatti calcificazioni posizionate nel tendine del sovraspinoso, del sottoscapolare, del capo lungo del bicipite, più rare, del sottospinoso del piccolo rotondo, tutte con diverse particolarità.

Un’ulteriore classificazione si può effettuare in base alle dimensioni:

  • Piccole: (< 10 mm);
  • Medie : (da 10 a 20 mm);
  • Grandi : (> 20 mm).

Le calcificazioni sono come “leoni” che dormono nei tendini, ma quando si svegliano il dolore si manifesta in modo immediato ed intenso, tale da far correre il soggetto al pronto soccorso

Infatti, quando una persona accusa e descrive eventi dolorosi acuti ed invalidanti, della durata di circa sette giorni, si può pensare ad una calcificazione, questo periodo di particolare sofferenza è riferito alla fase acuta, in cui si crea una congestione (afflusso eccessivo ed improvviso di liquido e sangue) all’interno del tendine accompagnata da impotenza funzionale, dolore, calore e rossore.

Nelle fasi acute, quando è possibile, ci si dovrebbe rivolgere subito ad un chirurgo specializzato nelle patologie della spalla, perché sarebbe meglio effettuare un lavaggio bursale, asportando così i residui calcifici ancora prima che si compattino.

Questa procedura consiste nel lavare lo spazio sottoacromiale con fisiologica e nel cercare di decongestionare, asportando parte del calcio presente con due aghi (l’esame strumentale indispensabile per effettuare questa procedura è la radiografia).

Qualora non ci fosse la disponibilità di un chirurgo esperto, è necessario spiegare al paziente che si tratta di una fase transitoria e, dopo il dolore acuto, sarà importante verificare che la mobilità della spalla sia completa e, nel caso, recuperare l’eventuale deficit di forza che si è creato

Naturalmente in quest’ultimo caso la calcificazione rimane presente nel tendine e, anche se dopo la prima fase acuta il dolore diminuirà notevolmente o nelle migliori condizioni cesserà di esistere, si potrebbero presentare problemi continui con tendenza ad incrementare lo stato patologico.

Per effettuare un trattamento riabilitativo adeguato, è importante conoscere e valutare attraverso la radiografia, di quale calcificazione si tratta, la grandezza e in quale tendine è posizionata, una delle conseguenze più assidue in una tendinopatia calcifica è la rigidità capsulare (questa è una patologia molto problematica, che tratterò successivamente), per cui è opportuno lavorare in prevenzione, facendo eseguire esercizi per la mobilità.

Dopo il lavaggio articolare o nel periodo successivo ad una fase acuta, deve seguire un periodo di riabilitazione  che prevede il recupero della mobilità e della forza dell’arto.

Tale periodo si completerà con un’attenta valutazione del paziente e con l’individuazione di un programma di esercizi da eseguire a domicilio o in palestra, il trattamento dovrà essere differente da seconda della tipologia e della localizzazione anatomica della calcificazione.

In seguito descriverò i principi del corretto trattamento riabilitativo da applicare ad ogni situazione.

Note


Solo capire cambia tutto

Denigrare chi ci supera è la più vile delle arti, ma una delle più sicure per emergere fra gli spiriti ignoranti

Leonardo Da Vinci

Il tempo passato è… passato

La citazione non è mia, ma dei “Malavoglia”. Vivere attaccati al passato, amarlo e rimpiangerlo, è tanto sciocco quanto credere che il presente sia migliore semplicemente perché è più attuale, più moderno.

Nella storia umana spesso si sono dimenticate le tante conquiste della conoscenza, calpestandole in nome di quello che è venuto dopo, della modernità o come conquista; che rimane comunque in parte una truffa.

Guardando la storia in prospettiva, come ha fatto il Maestro Arnold Toyrbee, si nota che tutto tende in un certo modo a ripetersi

Quando la spirale passa attraverso lo stesso punto della rotazione circolare sopra il suo nucleo di fusione, anche se transita a un altro livello spazio temporale gli eventi si ripetono, come modelli che si ripetono in un insieme coerente.

Il rinascimento ha portato alla luce le conoscenze della Grecia Classica, dimenticate nel Medioevo, ma nel  Medioevo furono molti i saperi dei popoli antichi che si recuperarono.

Tendiamo a creare stereotipi che si possano incasellare nel nostro sistema di comprensione e di valori, con il risultato di lasciare poco spazio al vero apprendimento, ossia all’espansione della coscienza personale.

Le mode arrivano, si consolidano e poi… Passano

Lasciano sempre un alone dietro di sé che si protrae, ma poco tempo dopo ciò che viene abbandonato viene visto addirittura con disgusto, che ignoranza! Che pazzia!

Vedere le cose nel loro contesto ed essere in grado di vederle nel loro tempo, le colloca nella loro vera dimensione, che altra non è se non quella di rispettare questa fascia di totalità a cui bisogna aspirare, pur sempre parziale, ma giusta e necessaria…

Il tempo tuttavia fornisce una patina unica che è in grado di perdurare e, come alcuni fiumi, sa nascondersi sotto terra per poi riaffiorare più avanti con tutta la sua forza.

Nella storia del sapere, ciò che assume queste sembianze ha un valore intrinseco,che non è esonerato dalla prova del tempo

Questo è ciò che significa adattarsi o scomparire.

I musei sono pieni di “gioielli” il cui valore è solo simbolico, un residuo calcificato di antichi splendori, che ormai non sono più. Per permanere le cose devono possedere il dono della vita, del cambiamento.

Con le scuole marziali e con la conoscenza in generale, si verifica la stessa situazione, anche se la mancanza di discernimento nelle persone spesso porta alla confusione, soprattutto quando si è di fronte a una materia che non si conosce.

Il bisogno di accettazione porta più di una persona al compromesso e questo capita più spesso di quanto pensiamo

Si sente la necessità di giustificarsi di fronte agli altri, di differenziarsi con un lignaggio e di giocare a mescolare le carte… La verità e l’intelligenza sono le prime ad essere sconfitte in questa battaglia.

Le vecchie scuole che hanno resistito alla prova del tempo, hanno certamente un tesoro al loro attivo e questo non passa inosservato ai cosiddetti ladri di benedizioni e di glorie del passato, che vanno in cerca di titoli anche sotto le pietre, tuttavia questa ereditarietà non giustifica la mancanza di una messa in discussione o di un rinnovamento dei principi.

Pietrificato, il passato è come un museo, si arena su sé stesso, marcisce e rimane solo con lo scheletro, i tradizionalisti devono avere il coraggio di rinnovarsi e i moderni devono avere l’umiltà di riconoscere ciò che è stato fatto in passato è il sostentamento alla base di ciò che loro stanno creando ora e che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

Nel mondo delle arti marziali questo è raro, gli ego maniaci sono una legione e dietro di loro brilla l’insicurezza come principale causa della loro ignoranza

La società ci tiene un po’ in disparte, siamo i freak in un mondo di diritti, quando il nostro è stato, è e sarà la conquista e i doveri.

Come è bello avere una storia! Fin da quando l’uomo esiste ha sempre voluto prevalere e per questo ha cercato di apprendere e di sviluppare i modi e le arti del guerriero.

Noi amanti delle arti marziali apparteniamo ad una razza specifica, a una grande famiglia, ad una stirpe antica che ha permesso al genere umano di crescere.

Per quanto oggi siamo in disparte e limitati ad una professione, ad un tecnicismo, lo spirito che animò i nostri nonni non è molto diverso da quello che oggi spinge i giovani a perseguire i loro sogni di gloria, di potere, di conoscenza.

Tuttavia il terreno per la coltura del vero guerriero non è adatto, il guerriero che non serve il popolo, è per quanto poco fastidioso, oltraggioso, peggio finisce col cercare di dominarlo, può arrivare anche a fare il pagliaccio per intrattenere la gente al circo, quando non c’è guerra le esercitazioni, gli scontri simulati danno continuità e lavoro ai più inclini all’eroismo.

Triste immagine, destino patetico, che volete che vi dica, combattere per finta per il godimento e l’intrattenimento altrui.

Il valore delle scuole profonde e ben radicate dimostrano qui la loro vera forza, un guerriero senza un orizzonte più alto cadrà nelle trappole del proprio destino, senza trasgressione spirituale Musashi non sarebbe stato altro che un assassino, se non va oltre la spada un guerriero non è che un burattino nelle mani altrui.

Non a caso Samurai significa servitore ed essere uno schiavo non è mai un destino più elevato.

Bisogna capire che le arti marziali sono un mezzo, non un fine in sé

I più perspicaci tra di voi lo sapranno già.

Per questo le scuole che oggi non sono in grado di aprire ad una prospettiva spirituale valida, continuano ad accogliere il fuggi fuggi degli allievi, una volta raggiunto l’apice di conquiste, conoscenze o gradi, ma purtroppo non c’è nulla dietro…

Che tristezza! Che delusione! Poche scuole hanno effettivamente la competenza di offrire questo paesaggio spirituale, ma… Che diamine! E pochi sono anche gli allievi pronti per questo salto, tutti vogliono che qualcun altro risolva loro la questione, non per umiltà, ma perché credono che gli spetti di diritto.

L’ingratitudine quindi non ha una spiegazione, né secondo me c’è una soluzione possibile.

Sono pochi quelli che ricevono la chiamata… E ancora meno gli eletti

Perché una volta passato l’entusiasmo, chi vuole ancora rimboccarsi le maniche, rinnovare il suo impegno e continuare a sforzarsi? Naturalmente io non li biasimo, in uno scenario di bugie, inganni e promesse insostenibili, è facile bruciarsi e si sa che il gatto in fiamme fugge anche dall’acqua fredda.

La validità delle scuole tradizionali dipenderà dall’esistenza di una meta più elevata, di un tetto che permetta il passaggio dal piano materiale a quello spirituale, in modo che quelli che sono pronti possano andare oltre il destino del guerriero per giungere alla dimensione dello Sciamano, all’uomo di conoscenza, e coloro che rimangono giù sanno che, anche se non raggiungono tali livelli, servono almeno qualcosa di più alto, giusto e buono.


Chi non arriva, può comunque avere una meta a cui tendere, possiede un orizzonte a cui dirigersi, colui che vede un ostacolo e pensa solo come aggirarlo, trascina altri con sé, nella sua delusione, verso un vicolo cieco.

Disilludetevi: Sferrare pugni e calci non possiede alcun merito in sé, così come non ha nessun merito ciò che non tende a trasgredire al suo destino, di per sé consumate le cose, semplicemente muoiono e marciscono, nulla più.


La trasgressione è il più grande atto di evoluzione, perché trasforma le cose portandole ad un livello superiore, che porterà a sua volta ad un grado più alto, il destino finale del guerriero è diventare saggio e il saggio comprende il mistero ed interagisce con esso.

Il resto sono dettagli tecnici, mezzi per un fine, residui del passato che tornano e raramente mostrano qualcosa di nuovo, perché dopotutto, per quanto cerchiamo di girarci attorno, un calcio è un calcio e un pugno… Un pugno, oggi come un centinaio di migliaia di anni fa.

SOLO CAPIRE CAMBIA TUTTO!

Note


Traumi da prestazione sportiva: prevenzione e cura 1/2

È una vita che vivo, prima da atleta, ora come insegnante tecnico, gli allenamenti e i combattimenti negli sport da combattimento. Oggi parleremo della spalla

Alcune volte traumi all’interno delle gare mi hanno impedito la mia attività anche per mesi, senza capire inoltre il mio percorso di riabilitazione perché difficilmente riuscivo a farmi spiegare in cosa consistesse il suddetto percorso dal lato tecnico.

Ho iniziato a documentarmi per capire, ed oggi sto effettuando la laser terapia per un trauma alla cuffia dei rotatori, ma sono cosciente di ciò che sto facendo.

Cercherò di affrontare il problema della traumatologia delle varie parti del corpo facendo dei cenni all’anatomia e fisiologia, sperando che questo mio contributo sia utile se non a evitare, ma almeno a capire ciò che ci è accaduto durante una prestazione sportiva traumatica.


SPALLA: PREVENZIONE E TRATTAMENTO

La spalla rappresenta, in tutto il corpo umano, l’articolazione dotata di maggiore mobilità. La sua struttura anatomica, infatti, consente tre gradi di movimento e permette così di svolgere anche il movimento di circonduzione.

La grande escursione di movimento che questa articolazione possiede, contestualmente ad altri fattori, la rende però anche molto vulnerabile alle lesioni.

In seguito verranno affrontati i passi indispensabili per conoscere le regole relative alla prevenzione e al trattamento delle patologie della spalla, al fine di consentire lo sviluppo di “muscoli intelligenti” che possano rendere più efficienti e controllati i movimenti di questa articolazione.

Verranno illustrate le regole che riguardano la valutazione e lo sviluppo del grado di flessibilità dell’articolazione, che rappresenta un parametro fondamentale per il buon funzionamento della spalla.

Specifico che i concetti descritti in seguito non sono solo validi per gli atleti, ma son applicabili a chiunque.

QUALCHE ACCENNO DI ANATOMIA E FISIOLOGIA

L’anatomia rappresenta la premessa fondamentale per comprendere la complessità di questa articolazione e per svolgere un programma specifico di prevenzione o trattamento riabilitativo.

La spalla è composta da diversi elementi anatomici che ne permettono il corretto funzionamento, le strutture ossee sono rappresentate dall’omero, dalla scapola e dalla clavicola.

Il funzionamento della spalla dipende dall’intervento coordinato di più articolazioni che la rappresentano, la sua funzionalità è garantita sia dalla forza contrattile dei muscoli, sia dalla resistenza passiva delle strutture capsulari e legamentose, che attraverso i segmenti ossei creano le necessarie leve biomeccaniche utili al movimento. Le articolazioni che rappresentano la spalla sono le seguenti:

  • Acromion-claveare;
  • Sterno-claveare;
  • Scapolo-toracica;
  • Gleno-omerale;
  • Sotto-deltoidea.

Il medico Adalbert I. Kapandji definisce “vere“ tre articolazioni che costituiscono la spalla, mentre le altre due sono definite “false“.

Le cosiddette “false“ vengono chiamate tali perché non presentano dei veri e propri collegamenti articolari tra i vari capi ossei, ma creano uno scivolamento tra un osso e l’altro, tale movimento si realizza attraverso il tessuto muscolare e connettivale che è interposto tra le strutture.

Le articolazioni considerate vere secondo Kapandiji sono:

  • Gleno-omerale;
  • Acromion-claveare;
  • Sterno-claveare.

L’articolazione che desta più interesse dal punto di vista funzionale e patologico è la gleno-omerale, anche se è necessario sottolineare che un buon funzionamento della spalla è reso possibile solo dal sincronismo di tutte e cinque le articolazioni che la rappresentano.

L’equilibrio della testa dell’omero rispetto alla glena è garantito da strutture anatomiche di stabilizzazione passiva ed attiva. Siccome l’articolazione gleno-omerale non è rappresentata da un incastro meccanico che ne garantisce stabilità, la testa omerale, in assenza delle strutture attive e passive prima descritte, in linea teorica tenderebbe a cadere per gravità.

Gli stabilizzatori passivi, oltre a contribuire alla stabilità, sono in grado di ammortizzare i carichi che si trasmettono all’articolazione in conseguenza del movimento.

Questi sono rappresentati da:

Legamento GOS (gleno-omerale-superiore):

ha la funzione di stabilizzare anteriormente la testa omerale, ne limita l’extra-rotazione e la traslazione inferiore quando il braccio è addotto al fianco;

Legamento GOM (gleno-omerale-medio):

ha la funzione di stabilizzare anteriormente la testa omerale e ne limita l’extrarotazione quando il braccio si trova a circa 45° di abduzione;

Legamento GOI (gleno-omerale-inferiore):

la funzione di stabilizzatore dinamico antero-inferiore, soprattutto quando il braccio si trova in una posizione di 90° di abduzione ed extrarotazione.

Questa struttura mostra una certa somiglianza con un’amaca, ancorata da una parte alle glena, dall’altra alla testa omerale.

La similitudine non è solo strutturale, ma anche funzionale, quando il braccio si trova, come descritto sopra, in abduzione ed extra-rotazione, il GOI sostiene la testa omerale come se fosse appoggiata su un’amaca;

Il legamento coraco-omerale:

ha la funzione di sostegno passivo per evitare la caduta della testa omerale verso il basso con il braccio addotto al fianco;

Il CLB (il capo lungo del bicipite):

con la sua inserzione nel tubercologlenoideo, ha la duplice funzione di componente depressoria passiva e di stabilizzatore anteriore della testa dell’omero.


Provando ad immaginare una similitudine, il capo lungo del bicipite svolge la stessa funzione di un tirante che tiene a terra una mongolfiera

Qualora la mongolfiera, per qualsiasi motivo, dovesse tendere a salire verso l’alto in modo maggiore, la trazione del tirante verrebbe incrementata.

In un primo momento si avrebbe solo lo stiramento del tirante, ma se la situazione rimanesse invariata, con ogni probabilità si arriverebbe addirittura ad una rottura dello stesso.

Ugualmente, quando i muscoli della cuffia dei rotatori non tengono più depressa e centrata la testa omerale, essa tenderà a salire verso l’articolazione acromion-claveare, le tensioni di questa risalita si andranno a scaricare sull’apparato di contenzione passiva, in particolare sul capo lungo del bicipite.

La continua forza tensionale che si scarica su quest’ultimo tenderà, con il tempo, a trasformare la sua struttura tubolare in una più schiacciata e debole.

  • Il cercine ( anello fibro-cartilagineo ) ha la funzione di aumentare la superficie di congruenza della glenoide con la testa omerale.

Gli stabilizzatori attivi sono rappresentati dal complesso muscolo-tendineo della spalla chiamato cuffia dei rotatori, questa struttura è rappresentata dai quattro muscoli che avvolgono la testa omerale come una vera e propria cuffia.

  • Sovraspinato: ha origine nella fossa sovraspinata e si inserisce sul trochite, innervato dal nervo sovrascapolare.
  • Sottospinato: ha origine nella fossa sottospinata e si inserisce sul trochite, innervato dal nervo sottoscapolare.
  • Sottoscapolare: (STSC) ha origine dal margine mediale della scapola e si inserisce sul trochite passando tra la scapola e il torace, innervato dal nervo sottoscapolare.
  • Piccolo Rotondo: ha origine nella parte inferiore e laterale della fossa sottospinata e si inserisce sul trochite, innervato dal nervo ascellare come il muscolo deltoide.

Oltre a questo gruppo muscolare, che si trova a stretto contatto con la testa omerale, altri gruppi partecipano al movimento biomeccanico dell’omero, uno di essi è rappresentato dal pivot della scapola

In particolare il dentato anteriore e il trapezio che accompagnano il movimento della scapola rispettivamente durante l’anteposizione attiva e l’abduzione attiva.

Un altro importante muscolo è il deltoide, questo muscolo crea una coppia di forze con la cuffia dei rotatori che risulta necessaria per l’abduzione dell’arto superiore contro resistenza.

Nella gleno-omerale, infatti, esiste un equilibrio supero-inferiore ed uno antero-posteriore, l’equilibrio supero-inferiore è dato dalla coppia di forze tra cuffia e deltoide, la cuffia centra e deprime la testa omerale, mentre il deltoide la eleva e la decoapta verso l’alto.

Se venisse a mancare tale equilibrio di forze, si avrebbe una maggior risalita o abbassamento della testa omerale a seconda di quale tirante risultasse deficitario, l’azione della cuffia dei rotatori è fondamentale per l’abduzione dell’arto.

Qualora, per ipotesi, si dovesse avere un’assenza completa della cuffia dei rotatori, sarebbe molto difficile abdurre attivamente l’arto, si riuscirebbe ugualmente ad anteporlo grazie alla sola azione del deltoide anteriore, ma per l’abduzione è necessario ed indispensabile l’intervento della cuffia.

Infatti, nell’esecuzione del movimento di abduzione si aggiunge obbligatoriamente la rotazione esterna per poter svincolare a 90° il trochite e permette il passaggio sotto l’arco coraco-acromiale.

Al contrario, se venisse a mancare il deltoide, ad esempio per una denervazione completa, l’abduzione sarebbe comunque possibile grazie all’azione della cuffia dei rotatori.

Naturalmente,però, non si riuscirebbe ad abdurre contro resistenze importanti.

La considerazione che si può trarre, a questo punto, è che in una spalla, sia essa sana o traumatizzata, è importante l’equilibrio delle forze supero-inferiori, ad esempio un allenamento esclusivo dei deltoidi, dimenticando i rotatori esterni ed interni, potrebbe a lungo termine determinare uno squilibrio con insorgenza del dolore.

Continueremo nel prossimo articolo.

Note

Bibliografia

  • Adalbert I. Kapandji, Anatomia funzionale ed.2011