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[MAESTRI DELLA STORIA] «Adeus» Hélio Gracie

Hèlio Gracie era un uomo autosufficiente per quanto riguardava la salute, era una roccia per gli anni che aveva e sapeva come badare a se stesso attraverso l’alimentazione e i suoi rimedi naturali.

Questa volta, però, la cosa era molto più seria di una semplice tosse… Poco dopo il ricovero al pronto soccorso per grosse difficoltà respiratorie, gli venne diagnosticato un polmone allagato e un’estesa infezione.

Hèlio lottò contro la febbre alta per tutta la notte, ma il suo organismo non la superò, i più grandi guerrieri sanno che c’è una battaglia che non vinceranno, ma non per questo abbandonano la lotta prima che sia giunto il momento giusto, quel momento in cui l’unica vittoria possibile diventa il sapersi arrendere totalmente e il lasciarsi andare.

Hèlio non solo derise la morte per un lunghissimo periodo di tempo, molto al di sopra della media delle persone normali, la cosa più importante è che visse una vita notevole ed intensa e come egli stesso voleva.

Il suo nome rimarrà per sempre impresso nell’immaginario collettivo come il padre della rivoluzione

Popolò la terra di figli, una dinastia di campioni dediti alla causa, insegnò a migliaia, che insegnarono a milioni e la sua visione marziale oltrepassò frontiere, culture ed ideologie, il suo passaggio in questa terra lascerà un segno nella storia delle Arti Marziali.

Il suo nome rimarrà per sempre impresso nell’immaginario collettivo come uno dei grandi Maestri, come il padre della rivoluzione Gracie e dell’avvento dei combattimenti senza regole, l’importanza di saper lottare nella più corta distanza e della maestria nel grappling.

La sua forte personalità, le sue idee autorevoli, dirette, proprie di una persona forte e territoriale, colpirono come potenti trapani i praticanti per molti anni, il Gran Maestro ha sempre detto alle persone a lui più vicine che voleva riposare nella sua proprietà.

Mentre si fanno i passi delle sue ultime volontà, suo figlio Royce, che era presente e ha seguito da vicino il suo funerale, probabilmente si impegnerà per ottenere il più presto possibile il trasferimento dei suoi resti, ma sempre seguendo i desideri del defunto, il funerale doveva essere immediato.

Se ne va il Maestro, ma rimangono i suoi insegnamenti, le opere sono i figli dell’uomo, rimane anche il suo seme biologico, una lunga prole, figli e nipoti, orgogliosi rappresentanti di una saga infinita, come lo spirito che animava il suo creatore, rimangono i suoi figli spirituali.

Quelli che praticamente adottò ed educò come veri e propri figli, quegli allievi che anticamente si chiamavano UCHI DESHI in Giappone, come il Gran Maestro Mansur.

Il giorno 29 gennaio 2009 ci è arrivata la notizia del decesso di Hèlo Gracie, a 95 anni, a causa di una polmonite

A furia di ascoltare le storie del superuomo brasiliano, si cominciava a credere alla sua immoralità, ma, sfortunatamente, il giorno 29 gennaio 2009 ci è arrivata la notizia del decesso di Hèlo Gracie, a 95 anni, a causa di una polmonite.

Dei nove figli solo Royce e Rolker hanno avuto il tempo di arrivare alle esequie, gli altri erano sparsi tra gli Stati Uniti e l’Europa,

“Due giorni fa, mia madre mi chiamò e mi disse che papà non sarebbe rimasto con noi per molto, allora mi misi immediatamente in viaggio, sembrava stesse aspettando, appena sono arrivato, se ne è andato.“

Questa la dichiarazione di Royce venuto direttamente in volo da Los Angeles. Ma vediamo di percorrere quella che fu la vita di questo Grande Maestro di Jiu Jitsu.

Nato il 1 Ottobre 1913, il più piccolo dei cinque figli maschi di Gasato e Cesalina

Hèlio Gracie passò la sua adolescenza a Belem, una cittadina dove suo padre conobbe il giapponese Conte Koma , l’amicizia tra i due spinse Koma ad insegnare il suo Ju Jitsu a Carlos, figlio maggiore di Gasato.

Il giapponese che aveva girato il mondo facendo presentazioni, sfide e insegnando il suo Ju Jitsu, trovò in Belem, nella persona di Carlos, il suolo fertile di cui aveva bisogno per perpetuare il suo Ju Jitsu che, allora in Giappone già cominciava a cedere il passo al Judo.

Durante parte della sua infanzia e della sua adolescenza, Hèlio soffriva di problemi di salute e perdeva inspiegabilmente conoscenza, problemi che non gli furono mai diagnosticati con precisione.

Il medico di famiglia non gli permetteva di fare sforzi e gli aveva proibito di allenarsi, nel frattempo, osservava distintamente le lezioni e gli allenamenti dei suoi fratelli, nel 1922, Carlos va a vivere a Rio e nel 1925 apre la prima Accademia Gracie di Ju Jitsu nel quartiere di Flamenco.

Per mezzo di sfide pubblicate nei giornali, insieme ai fratelli, dimostrava l’efficacia del Ju Jitsu, ottenendo così i suoi primi allievi .

Un giorno, quando Hèlio aveva già 15 anni, suo fratello Carlos ritardò ad una lezione e il giovane Hèlio decise che egli stesso avrebbe diretto quell’allenamento, con sorpresa di tutti, la lezione fu un successo e da allora, non abbandonò più gli allenamenti e non soffrì più di quella strana patologia di cui era affetto.

Negli anni 20 i Gracie dovettero usare un Marketing aggressivo chiamato “Gracie Challenge“

Per stabilire il suo stile in Brasile, negli anni 20 i Gracie dovettero usare un Marketing aggressivo chiamato “Gracie Challenge“, lanciando sfide attraverso i giornali al fine di attirare l’attenzione della gente su quell’arte dal nome strano, gli annunci dicevano:

“Se vuoi farti rompere un braccio contatta Carlos Gracie a questo numero di telefono“ e fu esattamente provando l’efficacia del suo stile contro rappresentanti del Karate, del Pugilato, della Lotta Libera e della Capoeira che i fratelli Carlos, Gorge, Oswaldo e Hèlio fecero si che il nome Gracie fosse rispettato in Brasile.

Negli anni 90 arrivò il turno di Corion, il figlio maggiore di Hèlio, che usò la stessa strategia per mostrare il valore del Ju Jitsu brasiliano negli USA, insieme ai suoi fratelli e cugini, Corion vinse centinaia di sfide in garage, all’università e perfino nei seminari, fino a riuscire a convincere un allievo milionario a pagare la produzione dell’UFC, uno spettacolo che dimostrò praticamente a tutto il mondo, l’efficacia del Gracie Ju Jitsu in combattimenti con campioni di tutti gli stili di lotta.

Le impressionanti vittorie di Gorge, Carlos e Oswaldo, nelle prime sfide di Vale-Tudo di quell’epoca, spingevano rapidamente il nome Gracie.

A poco a poco Hèlio cominciò a farsi notare negli allenamenti

A poco a poco Hèlio cominciò a farsi notare negli allenamenti e a 18 anni, il 16 gennaio del 1932 , suo fratello maggiore lo accompagnò per la sua prima prova del fuoco nelle regole del Vale-Tudo, contro il campione brasiliano di Boxe Antonio Portugal.

Nonostante il naturale nervosismo del debutto, Hèlio sconfisse l’avversario con tanta rapidità che alcuni pensarono che la lotta fosse un imbroglio.

Il Gracie deviò il primo jab lanciato da Portugal e lo proiettò al suolo, a terra lo finalizzò con una chiave al braccio in 40 secondi.

Dopo la prima vittoria, Hèlio cominciò a condividere gli spazi nei mezzi di comunicazione con i suoi fratelli maggiori già famosi.

Hélio era un uomo autosufficiente

Hélio era un uomo autosufficiente per quanto riguardava la salute, era una roccia per gli anni che aveva e sapeva come badare a se stesso attraverso l’alimentazione e i suoi rimedi naturali.

Questa volta, però, la cosa era molto più seria di una semplice tosse… Poco dopo il ricovero al pronto soccorso per grosse difficoltà respiratorie, gli venne diagnosticato un polmone allagato e un’estesa infezione.

Hélio lottò contro la febbre alta per tutta la notte, ma il suo organismo non la superò.

I più grandi guerrieri sanno che c’è una battaglia che non vinceranno, ma non per questo abbandonano la lotta prima che sia giunto il momento giusto, quel momento in cui l’unica vittoria possibile diventa il sapersi arrendere totalmente e il lasciarsi andare.

Hèlio non solo derise la morte per un lunghissimo periodo di tempo, molto al di sopra della media delle persone normali, la cosa più importante è che visse una vita notevole ed intensa e come egli stesso voleva.


Popolò la Terra di campioni

Popolò la terra di figli, una dinastia di campioni dediti alla causa.

Insegnò a migliaia, che insegnarono a milioni e la sua visione marziale oltrepassò frontiere, culture ed ideologie.

Il suo passaggio in questa terra lascerà un segno nella storia delle Arti Marziali, il suo nome rimarrà per sempre impresso nell’immaginario collettivo come uno dei grandi Maestri, come il padre della rivoluzione Gracie e dell’avvento dei combattimenti senza regole, l’importanza di saper lottare nella più corta distanza e della maestria nel Grappling.

La sua forte personalità, colpirono come potenti trapani i praticanti per molti anni

La sua forte personalità, le sue idee autorevoli, dirette, proprie di una persona forte e territoriale, colpirono come potenti trapani i praticanti per molti anni.

Il Gran Maestro ha sempre detto alle persone a lui più vicine che voleva riposare nella sua proprietà, ma le leggi degli stati moderni sono così spesso complicate da apparire assurde e invece di dipingere la segnaletica delle strade o qualunque cosa utile, i politici si mettono a legiferare su temi che concernono la libertà dell’individuo, come per esempio quello di scegliere il posto della sua ultima dimora.

Mentre si fanno i passi delle sue ultime volontà, suo figlio Royce, che era presente e ha seguito da vicino il suo funerale, probabilmente si impegnerà per ottenere il più presto possibile il trasferimento dei suoi resti, ma sempre seguendo i desideri del defunto, il funerale doveva essere immediato.

Se ne va il Maestro, ma rimangono i suoi insegnamenti

Le opere sono i figli dell’uomo, rimane anche il suo seme biologico, una lunga prole di figli e nipoti, orgogliosi rappresentanti di una saga infinita, come lo spirito che animava il suo creatore.

Rimangono i suoi figli spirituali, quelli che praticamente adottò ed educò come veri e propri figli, quegli allievi che anticamente si chiamavano UCHI DESHI in Giappone, come il Gran Maestro Mansur.

A furia di ascoltare le storie del superuomo brasiliano, si cominciava a credere alla sua immoralità

Sfortunatamente però, il giorno 29 gennaio 2009 ci è arrivata la notizia del decesso di Hélio Gracie, a 95 anni, a causa di una polmonite.

Dei nove figli solo Royce e Rolker hanno avuto il tempo di arrivare alle esequie, gli altri erano sparsi tra gli Stati Uniti e l’Europa, questa la dichiarazione di Royce venuto direttamente in volo da Los Angeles:

Due giorni fa, mia madre mi chiamò e mi disse che papà non sarebbe rimasto con noi per molto, allora mi misi immediatamente in viaggio, sembrava stesse aspettando, appena sono arrivato, se ne è andato

Vediamo di percorrere quella che fu la vita di questo Grande Maestro di Jiu Jitsu

Nato il 1 Ottobre 1913, il più piccolo dei cinque figli maschi di Gasato e Cesalina.

Hélio Gracie passò la sua adolescenza a Belem, una cittadina dove suo padre conobbe il giapponese Conte Koma. L’amicizia tra i due spinse Koma ad insegnare il suo Ju Jitsu a Carlos, figlio maggiore di Gasato.

Il giapponese che aveva girato il mondo facendo presentazioni, sfide e insegnando il suo Ju Jitsu. Trovò in Belem, e nella persona di Carlos, il suolo fertile di cui aveva bisogno per perpetuare il suo Ju Jitsu che, allora in Giappone già cominciava a cedere il passo al Judo.

Durante parte della sua infanzia e della sua adolescenza, Hélio soffriva di problemi di salute e perdeva inspiegabilmente conoscenza, problemi che non gli furono mai diagnosticati con precisione.

Il medico di famiglia non gli permetteva di fare sforzi e gli aveva proibito di allenarsi, nel frattempo, osservava distintamente le lezioni e gli allenamenti dei suoi fratelli.

Nel 1922, Carlos va a vivere a Rio e nel 1925 apre la prima Accademia Gracie di Ju Jitsu nel quartiere di Flamenco, per mezzo di sfide pubblicate nei giornali, insieme ai fratelli, dimostrava l’efficacia del Ju Jitsu, ottenendo così i suoi primi allievi .

Un giorno, quando Hélio aveva già 15 anni, suo fratello Carlos ritardò ad una lezione e il giovane Hélio decise che egli stesso avrebbe diretto quell’allenamento, con sorpresa di tutti, la lezione fu un successo e da allora non abbandonò più gli allenamenti e non soffrì più di quella strana patologia di cui era affetto.

Le “Gracie Challenge“

Per stabilire il suo stile in Brasile, negli anni 20 i Gracie dovettero usare un Marketing aggressivo chiamato “Gracie Challenge“, lanciando sfide attraverso i giornali al fine di attirare l’attenzione della gente su quell’arte dal nome strano.

Gli annunci dicevano: “Se vuoi farti rompere un braccio contatta Carlos Gracie a questo numero di telefono“ e fu esattamente provando l’efficacia del suo stile contro rappresentanti del Karate, del Pugilato, della Lotta Libera e della Capoeira che i fratelli Carlos, Gorge, Oswaldo e Hélio fecero si che il nome Gracie fosse rispettato in Brasile.

Negli anni 90 arrivò il turno di Corion, il figlio maggiore di Hèlio, che usò la stessa strategia per mostrare il valore del Ju JItsu brasiliano negli USA, insieme ai suoi fratelli e cugini, Corion vinse centinaia di sfide in garage, all’università e perfino nei seminari, fino a riuscire a convincere un allievo milionario a pagare la produzione dell’UFC, uno spettacolo che dimostrò praticamente a tutto il mondo l’efficacia del Gracie Ju Jitsu in combattimenti con campioni di tutti gli stili di lotta.

Le impressionanti vittorie di Gorge, Carlos e Oswaldo, nelle prime sfide di Vale-Tudo di quell’epoca, spingevano rapidamente il nome Gracie.

A poco a poco Hèlio cominciò a farsi notare negli allenamenti e a 18 anni, il 16 gennaio del 1932 , suo fratello maggiore lo accompagnò per la sua prima prova del fuoco nelle regole del Vale-Tudo contro il campione brasiliano di Boxe Antonio Portugal.

Nonostante il naturale nervosismo del debutto, Hélio sconfisse l’avversario con tanta rapidità che alcuni pensarono che la lotta fosse un imbroglio.

Il Gracie deviò il primo jab lanciato da Portugal e lo proiettò al suolo. A terra infine lo finalizzò con una chiave al braccio in 40 secondi.

Dopo la prima vittoria, Hèlio cominciò a condividere gli spazi nei mezzi di comunicazione con i suoi fratelli maggiori già famosi.

Note


Mas Oyama, l’ideatore del Kyokushinkai

Una delle figure più impressionanti della storia del Karate Moderno. Controverso e leggendario, la figura di Mas Oyama ha segnato un prima e un dopo. Analizziamo la sua storia, quella dell’uomo e quella del mito.

In genere quando si parla di grandi Maestri di arti marziali, si tende sempre o quasi a parlare dei loro pregi o difetti come Maestri e la loro storia inizia sempre con fatti che riguardano il Dojo e gli allievi.

In questo excursus del Maestro invece affronteremo la sua vita dall’inizio e cercheremo di capire tutto ciò che c’è stato prima che l’arte marziale costruisse un Maestro.

Chi è Masutatsu Ōyama

Hyung Yee, meglio conosciuto col suo nome giapponese Masutatsu Ōyama, nasce in Corea del Sud nel 1923 da una famiglia nobile.

Come la maggior parte dei grandi Maestri, è un bambino con una salute abbastanza cagionevole, e per porvi rimedio, suo fratello maggiore tenta di iniziarlo a molteplici sport come calcio, atletica e nuoto.

Ma sarà un lavoratore proveniente dalla Corea del Nord assunto da suo padre che, su sua richiesta, comincia ad insegnarli Kenpō (una sorta di boxe cinese) all’età di 9 anni.

Al piccolo Masutatsu però non interessa molto quest’Arte poiché ha una mente sognatrice e fantasiosa, incapace di concentrarsi e di sacrificarsi.

Presto riconosce di non aver fatto quasi nessun progresso nel Kenpō e rivolge il suo interesse verso le convulsioni politiche e ideologiche che sta soffrendo l’oriente negli anni 30.

L’impegno militare ed il trasferimento in Giappone

Viene dichiarata la guerra sino-giapponese e la penisola coreana forma il suo primo pilota militare, SHIN, che si trasforma in un eroe nazionale e in un esempio che tutta la gioventù coreana vuole seguire.

Nel 1938 parte per il Giappone alla ricerca della migliore formazione

Alla vigilia della seconda guerra mondiale il giovane Masutatsu si vede così coinvolto in questa febbre nazionalista e, cosciente del fatto che se voleva arrivare a qualcosa doveva compiere degli studi,a 15 anni nel 1938 parte per il Giappone alla ricerca della migliore formazione in un’accademia militare della prefettura di Yamanashi.

Un’altra versione meno romanzata della sua partenza per il paese del Sol Levante è che deve abbandonare la sua casa obbligato dalle circostanze, dopo aver picchiato suo padre poiché quest’ultimo aveva fatto lo stesso con la madre.

Ma con la velocità con cui si svolgono i fatti, non ha il tempo né l’opportunità di procurarsi del denaro.

Ancora non si sa come sia riuscito a raggiungere la costa per imbarcarsi, i suoi problemi finanziari aumentano a causa del costo del biglietto, quindi sbarca in Giappone praticamente senza soldi.

Nel Sol Levante conoscerà subito quanto è duro essere immigrato e povero in un paese nazionalista e xenofobo

Nessuno vuole affittargli una stanza né dargli lavoro, questo inizia a forgiare nel giovane una determinazione incrollabile, cresce di fronte alle avversità, poiché si rifiuta di tornare in Corea sconfitto.

Dopo alcune settimane durissime durante le quali si vede costretto a dormire in strada e ad accettare qualsiasi lavoretto occasionale che gli permettesse di mettere qualcosa sotto i denti.

Alla fine riesce a prendere in affitto una piccola stanza a Tokyo, dove si iscrive all’Università di Takushoku e trova un lavoro come lattaio che gli permette di pagarsi sia la stanza e gli studi.

Nonostante il miglioramento della sua situazione, Oyama si sente solo e demoralizzato in un paese ostile e cerca un’attività che gli permetta di sfogarsi e di essere motivato.

All’inizio si interessa al Judo ma poco dopo scopre il Karate, a quei tempi ancora un’Arte sconosciuta

All’inizio si interessa al Judo e si iscrive al Kodokan di Igoro Kano, ma poco dopo scopre il Karate, che a quei tempi era ancora un’Arte praticamente sconosciuta, dal momento che Funakoshi l’aveva introdotta in Giappone appena 15 anni prima.

Per Lui quest’arte è una rivelazione, quindi desidera prendere lezioni dal miglior Maestro, e si reca proprio nella scuola del fondatore dello Shotokan, Gichin Funakoshi, e si sottopone alla guida di uno dei suoi figli, Yoshitaka Funakoshi.

Oyama si dedica al Karate anima e corpo, giorno e notte, tanto che, nel giro di un anno, a soli 17 anni ottiene la sua prima cintura nera 1° Dan.

Il suo impegno e la sua devozione per il Karate si riflette in un fisico impressionante e si dedica ad indurire le mani e gambe con rotture spettacolari.

Rimane poco dell’immagine del bambino malaticcio che aveva caratterizzato i primi anni della sua vita

Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e Oyama a 18 anni si arruola nell’esercito imperiale, ed alla fine della guerra è un 4° Dan forgiato e indurito dagli orrori del conflitto e dell’occupazione, è allora che accade un fatto che cambia completamente la sua vita e la sue motivazioni.

Si tratta di uno Stato Coreano indipendente (fino a quel momento la penisola coreana era stata sempre occupata dai due giganti espansionistici dell’estremo Oriente: Cina e Giappone), ma quello che colpisce maggiormente Oyama è la dichiarazione di guerra civile tra il Nord e il Sud della Corea.

Questa divisione del suo paese natale strazia il cuore del giovane esiliato coreano, che non sopporta di vedere come la sua gente, manipolata dagli interessi della politica internazionale, sia portata a massacrarsi a vicenda.

Fratello contro fratello, tutto questo lo porta a diventare membro di un’organizzazione politica che lotta per l’unione delle due Coree, ma la vita gli riserva un altro duro colpo, poiché nel giro di poco tempo si rende conto che quella organizzazione non è mossa da ideali, ma piuttosto da interessi economici che si possono ricavare da intrighi internazionali.

L’auto esilio

Profondamente deluso e disgustato da tutto, Mas Oyama si lascia prendere dalla disperazione e dal disinteresse.

Abbandonando tutto ciò che aveva raggiunto fino a quel momento, il mondo gli sta crollando addosso quando conosce un carismatico Maestro di Karate chiamato So-Nei-Chu anche lui di origine coreana e adepto di una setta chiamata Nichiren.

Questo personaggio mistico gli dà solo un consiglio: abbandonare la sua vita attuale, ritirarsi in montagna e coltivare nella natura il suo corpo e il suo spirito, forse così sarebbe riuscito a ristabilire il suo equilibrio emozionale e a raddrizzare la tormentata traiettoria della sua vita.

Oyama comprende che solo un cambio radicale di esistenza può riportargli l’entusiasmo e l’energia, quindi decide di seguire i consigli e si stabilisce sul monte Kiyozumi, nella prefettura di Chiba, sulle rive dell’oceano pacifico.

Lo accompagna nel ritiro un suo allievo che si chiama Yashiro, e insieme costruiscono una capanna di legno in un luogo isolato e comincia la loro nuova vita in simbiosi con la natura selvaggia.

Si alzano alle prime luci dell’alba per correre lungo i monti scoscesi, praticano le rotture colpendo alberi, rami e pietre con i piedi e pugni nudi, lavorano sulla tecnica in coppia e colpiscono un sacco pieno di sabbia.

Sono allenamenti estremamente duri, interminabili ed estenuanti

Se si sopravvive, prove di questo tipo forgiano spiriti e corpi di ferro, infatti Yashiro non riesce a tollerare questo stile di vita per molto tempo e una notte esce dalla capanna per non ritornarvi mai più.

Mas Oyama resta da solo ed inizia a dubitare del senso di tutto ciò, scrive a So-Nei-Chu esponendogli la sua titubanza e questi gli risponde con una frase semplice ma ad effetto

Quello che sembra impossibile può essere realizzato solo da uno spirito perseverante, PERSEVERA! E tutto ciò che ora ti sembra assurdo acquisterà un nuovo significato

Questo infonde nuove forze al morale di Oyama che intensifica gli allenamenti, esigendo da se stesso sempre di più e aumentando l’austerità della sua esistenza.

Alimentandosi fondamentalmente di erbe e qualche altro alimento che gli forniva madre natura, sceglie un pino bello grosso e si propone di dargli 200 pugni prima di ogni pasto, “quando l’albero cadrà sarò pronto a ritornare”.

Dopo diversi mesi, rompe l’albero con un colpo inferto con la mano (shuto) nella parte più indebolita e logorata del pino dai colpi precedenti.

In quel momento ricorda la leggenda di un maestro di Karate che fu in grado di uccidere un toro con un unico colpo, questo sarà il nuovo obiettivo che si darà Oyama: ripetere questa impresa.

E così dopo un anno e mezzo di isolamento, decide di tornare alla civiltà e di mettere alla prova i suoi progressi.

Mentalmente è un uomo nuovo

Mentalmente è un uomo nuovo che è riuscito a cicatrizzare le ferite che gli aveva lasciato la divisione della sua patria, fisicamente dimostra la sua netta superiorità su qualsiasi avversario, radendoli letteralmente al suolo nel primo campionato di Karate aperto a tutti gli stili che si tiene a Tokyo nel 1947.

Il primo incontro con il toro

Continua a ronzargli per la testa l’idea di uccidere un toro con un solo pugno, quindi un giorno si reca in un mattatoio un fuori Tokyo e dopo una lunga spiegazione alle sorprese autorità, queste gli danno il permesso di affrontare un toro di 500 chili.

Oyama gli sferra un pugno secco sul muso e il toro fugge insanguinato ma vivo.

Riesce solo a rompergli un corno, piuttosto scoraggiato decide di rinunciare al proprio desiderio e di dedicarsi a promuovere il Karate in tutto il mondo.

In giro per il Mondo

Nel 1957 Mas Oyama è invitato da un judoka 6° Dan chiamato Kokoshi Endo a fare un giro di dimostrazioni per gli Stati Uniti, fanno più di trenta esibizioni ed Oyama sfida molti professionisti di lotta libera e di boxe vincendo sempre per K.O. arrivando ad apparire fino a nove volte nella televisione americana, poi torna in Giappone coperto di glorie e con le tasche piene di denaro.

Il secondo incontro con il toro

Con il morale alto, decide di ritentare il suo sogno di uccidere un toro con un solo colpo, studia attentamente le abitudini di lotta dei tori e allena con enfasi speciale lo sprint per riuscire a scappare dalla carica di un toro furibondo, quindi aumenta la sua resistenza fisica correndo quasi 8 chilometri al giorno, oltre alle sue solite cinque ore di allenamento giornaliero.

Una società cinematografica gli propone di filmare l’incontro e Oyama accetta, nel 1953 tutto sembra pronto perché tenti di sconfiggere un toro da 625 chili con corna da 40 centimetri, il duello avrà luogo in un piccolo villaggio di pescatori chiamato Tateyama, nella prefettura di Chiba, e sarà filmato.

Il toro viene liberato e carica Oyama

Questi lo evita con un giro e lo afferra per le corna con lo scopo di atterrarlo e ucciderlo, ma, con una forza impressionante, il toro scuote la testa e Oyama viene lanciato in aria, si rialza immediatamente in piedi con il busto coperto di sangue e torna ad afferrare il toro per le corna.

Davanti allo sguardo attonito degli spettatori, dopo una lunga resistenza Oyama riesce a buttarlo a terra, dove lo fulmina con uno Shuto sul muso, Oyama  ha appena raggiunto l’obiettivo che si era prefissato anni prima durante la sua vita da eremita, ha ucciso un toro a mani nude.

L’incontro è durato 35 minuti, tre anni dopo Oyama decide di ripetere l’impresa, questa volta allo stadio Denen di Tokyo.

Dal momento che la società giapponese per la protezione degli animali gli ha proibito in modo legale di uccidere pubblicamente un toro, Oyama decide di rompergli semplicemente un corno per metterlo fuori combattimento.

In questo secondo incontro riesce a mettere K.O. un toro in tre minuti, in totale Oyama affronta 52 tori nel corso della sua vita, dei quali 48 finiscono con un corno rotto e 4 muoiono.

Il trasferimento in Thailandia

Oyama non è famoso solo per i suoi incontri con i tori, nel 1954 si trasferisce nel sud-est asiatico, in Thailandia.

Lo scopofu di sconfiggere il miglior Thai-Boxer e così ripristinare l’onore di alcuni Karateka giapponesi che erano stati sconfitti dai tailandesi.

Oltre a ciò è guidato anche dal proposito di mostrare l’efficacia delle sue tecniche di Karate e di promuovere così la sua arte.

Il combattimento si tiene in una calda serata, un gran numero di persone si accalcano intorno al ring quando Mas Oyama sale nel suo angolo.

Suona la campana indicando l’inizio del primo round.

Mentre gira intorno all’avversario studiando i suoi movimenti, il tailandese chiamato Black Cobra lancia all’improvviso un velocissimo calcio circolare che raggiunge Oyama in testa e lo atterra.

Con gran sorpresa del pubblico rumoroso, il coreano si alza prima che l’arbitro finisca di contare e, avendo bene imparato la lezione continua a studiare il suo avversario.

Il thai-boxer torna ad eseguire un altro potentissimo calcio circolare cercando la mandibola di Oyama, ma questi para il colpo, sbilancia il suo avversario e lo fa rotolare a terra sferrandogli un calcio circolare, il tailandese si rialza sorpreso, mentre il pubblico tace.

L’attacco successivo questa volta è di Oyama, che lo sconfigge con un pugno fratturandogli la mandibola, Oyama si ferma alcuni giorni per affrontare tutti i tailandesi che vogliono salire sul ring con lui e, dopo aver vinto tutti i combattimenti torna in Giappone.

La nascita del Kyokushinkai

D’ora in poi è stato un continuo divulgare il suo stile in tutto il mondo, battezzato da egli stesso nel 1961 Kyokushinkai.

Scrisse libri ed aprì scuole negli stati uniti oltre che in Giappone esegue diverse dimostrazioni con successi clamorosi anche al Madison Square Garden.

Solo a Tokyo si stimano 20.000 praticanti dello stile Kyokushinkai, e questo stile è rappresentato in 43 paesi.

Sono state pubblicate centinaia di autobiografie, e nel 2004 fu realizzato un film sulle imprese di Oyama intitolato FIGHTER IN THE WIND .

La morte ed il ricordo postumo

Masutatsu Oyama muore il 23 aprile 1994 all’età di 70 anni per un cancro ai polmoni, il suo stile ora si pratica in più di 120 paesi superando i 10 milioni di praticanti.

Il Presidente del Sud Africa Nelson Mandela dichiarò:

Finché lo stile di Oyama continuerà con la sua espansione inarrestabile, lo stesso Mas Oyama vivrà nelle mente e nei cuori dei suoi praticanti.

Questa è stata la vita di un grande Maestro, forse non tutti conoscono l’intera vita di questo combattente prima Maestro dopo.

Questo deve insegnarci a non arrenderci mai ma trovare sempre la strada della vittoria nell’arte, come nella vita.

Note


[MAESTRI DELLA STORIA] Yamaguchi Gogen “Il gatto”

Yamaguchi Gogen nacque il 20 gennaio del 1909 nell’isola di Kyusho (Isola del sole) a pochi mesi dalla sua nascita, i suoi genitori decisero di trasferirsi nell’isola di Kagoshima.

Lo chiamavano il gatto perché possedeva abilità sorprendenti, il suo sguardo insieme alla sua fama, senza dubbio, gli bastavano per pietrificare o immobilizzare qualsiasi avversario, come il gatto paralizza i topi.

Il motivo di questo spostamento di domicilio era dovuto ad un vulcano

Tutt’oggi attivo, si trovava molto vicino all’isola dove risiedevano, precisamente in quella di Sakarima.

Per questo motivo la prima tappa della sua vita si svolse a Kagoshima, nel seno di una modesta famiglia di commercianti.

Suo padre Yamaguchi Tokutaro, anche se era un piccolo commerciante, discendeva da una famiglia di Samurai, tuttavia i suoi mezzi erano scarsi e non bastavano a mantenere tutta la sua prole, (aveva 10 figli).

Gogen dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali

Gogen era il terzo e come tutti i suoi fratelli, dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali.

I suoi primi contatti con esse furono attraverso il Kendo, poi praticò anche il Judo.

Il suo maestro di Kendo fu Toshiakai Kirino, un grande esperto di quest’arte il quale era famoso in tutto il Giappone per le sue prodezze con la sciabola.

Tale era la sua destrezza con questa arma che era capace di tagliare nell’aria una goccia d’acqua e rinfoderare la sua Katana prima che questa cadesse al suolo.

Tutto faceva prevedere che il Bushido sarebbe stata la sua strada

Rapidamente iniziò ad emergere nel paese per il grande entusiasmo e la dedizione che dimostrava per il Kendo. Tanti furono gli elogi che gli fecero.

Ad Okinawa si accorse di lui il Sensei Maruta

Quest’ultimo era un carpentiere di Okinawa, una persona umile ed apparentemente introversa.

A causa del suo comportamento nessuno sapeva, e nemmeno sarebbe arrivato a sospettare, che sotto quella apparenza di uomo fragile e tranquillo si nascondesse un  grande maestro di Karate.

Un giorno fece partecipe Gogen del suo grande segreto, facendogli una dimostrazione pratica delle sue conoscenze.

Dopo quella dimostrazione, Gogen lo pregò di insegnargli quegli strani movimenti, però il Maestro rifiutò, argomentando che non era ancora preparato per ricevere i suoi insegnamenti (a quell‘epoca il Karate era una disciplina segreta nell’isola e normalmente non si insegnava a chiunque, ogni famiglia aveva il suo stile che, per regola generale, veniva trasmesso solo dai padri ai figli).

Gogen però era un giovane che spiccava per la sua ostinazione e dopo aver superato una dura prova che il Maestro Maruta gli fece fare solamente allora lo considerò degno di insegnargli la sua arte.

il Karate divenne tutta la sua esistenza

In pochi mesi il Karate cambiò la vita del giovane adolescente, a tal punto che divenne tutta la sua esistenza.

Durante il giorno praticava il Kendo nella scuola Jigen, famosa per l’estrema durezza dei suoi allenamenti, la notte si allenava al Karate nella sua casa.

Tale era la sua passione per questa disciplina che più di un giorno allungava i suoi allenamenti fino all’alba.

Nel suo allenamento era inevitabile che causasse rumore, così che presto risvegliò la curiosità della sua famiglia e dei vicini, i quali vedevano sorpresi come quel ragazzo passasse ore a colpire uno strano aggeggio, simile ad un Makiwara, che però ruotava.

Doveva avere molti riflessi pronti, a parte la potenza, per fermare o addirittura bloccare l’altra estremità, Gogen passava ore colpendolo.

Scoprì il piacere di superare se stessi

Presto scoprì quello che significava allenarsi fino a svenire esausti con tutto il corpo dolorante, però scoprì anche il piacere di superare se stessi e di superare tutte queste prove.

Alcuni dei suoi vicini, inclusa la sua stessa famiglia iniziarono a preoccuparsi dello stato mentale di questo giovane che passava il giorno colpendo i muri, gli alberi ecc… fino a finire con le nocche lacerate e ricoperte di sangue, inoltre fu sorpreso in diverse occasioni a realizzare movimenti strani.

Quando questo succedeva, Gogen cercava di dissimulare, facendo qualsiasi altra cosa, per cui tutti iniziarono a temere il peggio.

Suo padre, preoccupato per le sue eccentricità, decise di parlare con lui, al giovane non rimase altro rimedio che confessargli il suo grande segreto.

Durante la sua adolescenza, la sua famiglia lo mandò a studiare alla Università di Kansai

Però gli studi non erano qualcosa che catturava la sua attenzione.

Continuò ad allenarsi con la stessa intensità di sempre, per cui mancava alla maggior parte delle lezioni, per questo motivo fu espulso dal centro.

Suo padre per questo lo rimproverò in maniera dura, Gogen gli promise di cambiare la propria condotta, pregandolo di iscriverlo all’Università di Rytsumeikan per studiare diritto.

Anche se ad essere sinceri, il suo unico interesse ad essere ammesso a quell’Università era il fatto che era famosa in tutto il Giappone per il suo Dojo di Arti Marziali, nel quale era incluso il Karate (bisogna considerare che in quel periodo era praticamente sconosciuto ed inoltre non era considerato come un’arte autoctona giapponese, visto che tutti sapevano che le sue tecniche provenivano dal Kempo cinese, più conosciuto da alcuni come Kung Fu).

Nel 1931 si trasferì a Tokio, per mantenersi in forma entrò in un club di Sumo, dove scoprì che lo spirito e l’Arte in sé non erano compatibili con il Karate, il quel periodo tutto il paese si preparava per la guerra, il partito ultra-nazionalista già controllava il Governo da 11 anni, era l’esercito che dettava le leggi e le decisioni del paese.

Si propagò dal potere una propaganda aggressiva che esaltava la lealtà, il patriottismo e il codice del Bushido (codice del guerriero), il Giappone entrò in guerra con i suoi vicini asiatici, prima di dichiarare guerra agli Stati Uniti.

Note


Mastro Fiore dei Liberi, maestro di Scrimia del XVI secolo

Se vuoi conoscere l’arte di combattere, porta con te tutto ciò che hai trovato negli insegnamenti, sii audace e non mostrarti vecchio nell’animo. Nessun timore vi sia nella tua mente, stai in guardia, puoi farcela!

Fiore de’ Liberi da Premariacco, figlio di Benedetto De Liberi nacque tra il 1345  ed il 1350 a Premariacco, comune a cinque chilometri da Cividale e a 15 da Udine.

Venne mandato sin da giovanissimo a frequentare le scuole di “Lettere umane“ e, data l’indole vivace, lo ritroviamo allievo alle scuole d’armi presenti in gran numero sul territorio friulano.

La giovanissima età per l’avvio alla carriera marziale era una consuetudine per quei tempi.

Mastro Fiore crebbe dunque in quella fucina di grande tradizione marziale

Se si pensa che il famoso condottiero Jacopo Del Verme ebbe il suo primo combattimento a 16 anni. Mastro Fiore crebbe dunque in quella fucina di grande tradizione marziale per uomini e armi, che in Italia dall’anno Mille era conosciuta con i nomi di Scrirm, Scrama, Scrima e Scrimia.

Spinto dal desiderio di sapere, il giovane friulano si mosse in lungo e in largo in terra padana e oltre le Alpi.

Cercava i migliori insegnanti dai quali apprendere i segreti dell’arte

La sua sete di conoscenza era enorme e per parecchi anni non ebbe sosta.

Ebbe due precettori tedeschi, Giovanni Lo Svevo e Nicolò da Toblem e diversi Maestri Italiani.

La reputazione di uomo d’armi se la conquistò sul campo di battaglia, nelle giostre e nei tornei in cui erano frequenti i duelli in armatura.

La sua fama di Maestro crebbe e il prestigio che si era guadagnato esigeva comunque un prezzo

Dovette infatti difendere il suo nome contro l’invidia in cinque terribili sfide lanciate da altrettanti “ Magistri Scrimidori.

Duelli mortali con spade affilate, senza alcuna parte d’armatura, se non un giacchetto di stoffa e un paio di guanti di pelle.

Duelli crudeli lontano da giudici e amici, in cui la sola regola era ferire mortalmente l’avversario.

Fiore per sopravvivere fece unicamente affidamento su se stesso, sulla sua conoscenza dell’arte, sulla sua spada e su Dio.

Uscire vincente da queste sfide portò altra gloria al Maestro friulano

La sua abilità e il suo sapere attirarono nella sua scuola molti uomini d’armi italiani e tedeschi.

Tra questi molti erano nobili e cavalieri, uomini d’arme e capitani di ventura, avvezzi tanto al campo di battaglia che al duello in steccato con ogni sorta d’arma.

Formati e forgiati all’arte di combattere erano tutti dotati di grande forza, destrezza e conoscenze tecniche superiori alla media.

Alcuni di questi si divertivano a dar prova della loro abilità come fendere con un sol colpo di spada una “mezena” di bue, salire rapidamente scale e pertiche con la sola forza delle braccia, eseguire verticali sui tavoli, eseguire piroette con indosso l’armatura, oppure abbattere al suolo un cavallo afferrandone il morso con una mano.

Alcuni di questi divennero per Mastro Fiore dei “figlioli“ dunque allievi prediletti

Giunto alla soglia dei sessant’anni fu chiamato per svolgere il ruolo di Maestro e precettore del giovane Marchese Nicolò III D’Este.

A corte istruì il giovane e nobile Signore di Ferrara e Rovigo nell’arte di combattere e armeggiare in armi et sine armis e si prodigò a dettare il suo sapere nel prezioso manoscritto FLOS DUELLATORUM.

Quanto ci è stato tramandato da Mastro Fiore è senza dubbio racchiuso nelle sue tre importantissime opere manoscritte, una delle quali datata 10 febbraio 1409

Apprendiamo dalle pagine di pergamena, vergate dalle mani di abili miniatori, che Fiore dopo quarant’anni di pratica e studio dell’arte non si riteneva ancora “ben perfeto magistro“.

Da uomo saggio e previdente, sapeva che sarebbe stata un’impresa tramandare di generazione in generazione anche solo la “quarta parte dell’arte“ senza trascriverne e fissarne i dettami tecnici su carta.

Ritenne così suo compito, come del resto fecero altri Maestri dell’arte , “farne memoria“ con un’opera scritta.

Tramandare in forma integra i segreti della “marcial virtud“ era l’azione più degna per un Maestro

Fiore, ormai anziano, vedeva questo come uno splendido atto finale a sigillo della sua carriera.

A rendere questo suo obbiettivo possibile fu il “Principo Misser Nicolò Marchese da Este”.

Quel Nicolò III per il quale venne chiamato come Maestro alla Corte di Ferrara.

Nicolò allievo brillante del vecchio Maestro ne raccolse l’eredità marziale

Tanto si sentì in debito verso il suo anziano Mentore e tanto ne reputò sublime la conoscenza dell’arte da mettergli a disposizione scrivani e disegnatori di corte per dare vita all’opera finale il “Fior di Battaglia“ sulle conoscenze marziali dell’arte di Scrimia medioevale.

E in questo clima favorevole che Fiore crea e ordina il suo manoscritto, circondato da validi miniatori e altrettanto validi disegnatori, malgrado lui vanti oltre a conoscenze alchemico-erboristiche e metallurgiche, insospettate doti di scrittore e disegnatore provetto.

Si colgono nelle parole del Maestro un senso di profonda soddisfazione per questa sua fatica

La più grande impresa della sua vita, un premio che superava di gran lunga la vittoria in una giostra, la salvezza in battaglia, o la sconfitta di un avversario in un duello mortale.

E in questo modo Fiore, come molti Maestri italiani ed europei, tutelò la propria scuola rendendola insensibile al tempo e ai capricci dei vanitosi, fissandone su carta concetti, principi e tecniche dalle fondamentali alle avanzate.

Grazie alla sua profonda conoscenza dell’arte, il Maestro illustra un interessantissimo sistema di relazioni tra attaccante e difensore, un modello didattico ineccepibile, con passaggi collegati e ruotanti sul sistema a tre eventualità, che vede l’azione e la sua contraria sviluppate fino alla contra-contraria.

Un sistema così sviluppato determina un vero e proprio programma articolato in una vasta gamma di tecniche e connessioni anche tra materie diverse come la lotta senza armi, il combattimento di daga e l’arte della spada.

Attraverso questo lascito e a distanza di sette secoli, Maestro Fiore può ancora trasmettere agli allievi del III millennio, il sapere marziale nella sua forma autentica ed integrale.

Una volta che decriptarono il sistema, attraverso opportuni passaggi non casuali, l’immenso patrimonio di tecniche, strategie ed azioni, diventa disponibile e la bellezza dell’arte di Scrimia si apre in tutta la sua forza marziale.

Note


Masahiro Nakamoto, il primo X Dan di Kobudo di Okinawa

Masashiro Nakamoto è uno dei principali Maestri del Kobudo di Okinawa attuale 10° Dan.

Dirige il Budokan, un pittoresco chalet nel cuore di Shuri dedicato alle Arti Marziali con Dojo, patio, terrazza ecc… perfino un intimo museo di armi che Nakamoto Sensei si impegna a mantenere quasi in segreto.

Masahiro Nakamoto nasce il 15 gennaio 1938 nel cuore di Shuri, nello stesso luogo familiare nel quale oggi ha il suo Dojo Bunbukan, Nakamoto Sensei è un appassionato di Arti Marziali racconta:

Mi sono interessato alle storie dei bushi di Shuri fin dalla mia infanzia, vivendo e crescendo nell’antica capitale delle Ryu Kyu, ho dedicato più di mezzo secolo a studiare, indagare ed intervistare persone legate ai Maestri del Karate di Shurie del Kobudo, i bushi di Shuri hanno indagato sul Karate e sul Kobujutsu tra le mura del castello di Shuri , in quello che fu chiamato Bugeiza

Masahiro Nakamoto è discendente della prima figura di importanza vitale nel Karate e nel Kobudo di Okinawa, niente meno che Satunuke Sakugawa

Il suo albero genealogico è qualcosa di cui va orgoglioso, non tutti possono disporre del loro albero con i dettagli di cui dispone lui ma, nel suo caso, a causa dell’importanza dei suoi predecessori, il governo Okinawese lo possiede.

Masahiro Seicho da piccolissimo avrebbe conosciuto e ricevuto istruzione dal già anziano Kanga Sakugawa, il cui nome originale era Kanga Teruya.


Chi era Kanga Sakugawa

Costui nacque nel 1786. Il padre di Kanga morì a causa di un pestaggio e, nella sua agonia, fece promettere al figlio di non diventare mai una vittima

Per cui questi iniziò a studiare Arti Marziali con istruttori famosi, come il famoso cinese Kushanku.

Si dice che Sakugawa con o senza intenzioni spinse Kushanku, che quindi lo umiliò pubblicamente, anche se poi decise di insegnare a Sakugawa.

È stato Takahara che prima di morire chiese a Sakugawa di prendere il nome della sua Arte Marziale e così, a partire da allora Satunuke si fece chiamare To De Sakugawa.

Lavorò come scorta nel castello di Shuri e andò spesso in Cina con denaro delle tasse nonostante fosse spesso attaccato da pirati e banditi e dovesse applicare “la lotta notturna“ che gli aveva insegnato Kushanku, basata su percezioni, inganni e provocazioni acustiche…

Durante i più di 600 anni di commercio con la Cina, divenne necessario imparare non solo il Karate ma anche tecniche con armi per poter proteggere in modo adeguato dai pirati le vite e le barche cariche di tesori quando si attraversavano gli oceani. Il gran merito del sistema di Shuri è che il Karate e il Kobujutsu sono stati sviluppati insieme attraverso le esperienze marziali dei nostri antenati e, ancora oggi, sono trasmesse come una tradizione

All’avanzata età di 78 anni, Sakugawa indicò colui che sarebbe stato il pezzo chiave dello sviluppo dell’Arte Marziale a Okinawa:

Sokon Matsumura, che allora aveva 14 anni.

Kanga Sakugawa morì nel 1867

La sua tomba fu un regalo del suo Signore e fu posta nel bosco di Kochi

Come è tradizione, le ossa dei dei defunti a Okinawa si lavano una volta all’anno nei tre anni successivi alla morte in quello che viene denominato il giorno di Tanabata.

Nel luglio del 1976, la tomba dovette essere trasferita vicino a Shikina Enn, più tardi precisamente il 3 luglio 1993, la tomba fu aperta per la sua cura e ispezione in presenza di diversi familiari e discendenti.

Tra essi c’era Masahiro Nakamoto

La tomba era stata oggetto di furto da parte di tombaroli alla ricerca dei gioielli che a volte accompagnano i resti dei defunti.

Fortunatamente i resti di Sakugawa erano ancora li anche se le sue ossa erano state sparse sul coperchio dell’urna del terzo figlio di Kanga, morto prima.


L’11 novembre 1962 Nakamoto iniziò la sua carriera

L’11 novembre 1962 Nakamoto iniziò la sua carriera sotto la direzione del famoso Maestro di Kobudo Shinken Taira, imparando così da uno dei principali Maestri che l’isola abbia dato nella sua storia.

Otto anni dopo Nakamoto ricevette la licenza di istruttore di Kobudo.

Nel gennaio del 1971 Nakamoto aprì il suo Dojo

L’anno seguente e alla ricerca di maggiore istruzione, si recò da diversi Maestri che lo istruiscono sui sai, sul bo, allenandosi ad usarli con entrambe le mani.

Il primo febbraio 1973 Nakamoto iniziò ad imparare anche sotto la guida di Sensei Nakama, il quale era buono e gentile. Era tale la sua modestia che quasi nessuno sapeva che era un Maestro di Karate.

Nel 1983 Nakamoto fondò la Società Do Conservazione del Kobudo Tradizionale do Okinawa, per preservare quanto più possibile tutto il bagaglio culturale che il Kobudo rappresenta.

Nakamoto conosce molto bene i dettagli che accompagnano tutto ciò che si riferisce alle armi di Okinawa.

Il 27 ottobre 1984 Nakamoto Sensei organizzò la prima dimostrazione di arti marziali tra Cina e Okinawa come scambio culturale.

Nel 1985, patrocinato dal governo della Cina, studiò in quel paese arti marziali e pittura, un’altra delle sue passioni.

Nel marzo del 1986 si laureò alla scuola Yobu della Cina

Dopo la guerra, Sakumoto è stato il primo ad essere invitato dal Governo cinese per imparare sotto la sua guida i segreti dei Maestri di Fujian, non si era verificata una deferenza tale da quando lo fecero con Go Shiken, professore della Corte Reale.

Da allora la sua relazione con la Cina si mantiene e i suoi viaggi si ripetono, così le sue dimostrazioni di scambio.

Il 1° ottobre 1998 ottenne il 9° Dan grazie all’organizzazione di Karatedo Rengo Kai della prefettura di Okinawa.

L’11 luglio 1999 Nakamoto aprì il suo museo in una delle stanze del Bunbukan

Lì mostra cartelli esplicativi dello sviluppo del Kobudo e “nasconde“ nei suoi armadi numerose e varie armi, molte delle quali sconosciute in Occidente.

Senza dubbio una delle armi è il Bo l’arma per eccellenza dei contadini di Okinawa, dietro un semplice bastone c’è molta materia di studio,

Okinawa ha un clima subtropicale molto specifico, una temperatura di 22 gradi ed una climatologia peculiare essendo bagnata da tutte le parti dall’oceano. Ci sono anche molti tifoni, tanto che è chiamata la Ginza dei tifoni, quando si fabbrica il Bo si è sempre data molta importanza al legno utilizzato, che di solito è uno di questi alberi, palma, la quercia rossa giapponese o altri alberi sempreverdi, la palma apporta una gran flessibilità, ma rompendosi  colpendo, il suo punto di rottura rimarrebbe con un bordo affilato come se fosse una lancia,la quercia rossa è rugosa a grana fine. I legni migliori per il Bo si ottengono a Okinawa in autunno, il legno dell’autunno è massiccio e secca molto bene. Il 10 giugno 2006 è nominato 10° Dan dalla Federazione di Kobudo della prefettura di Okinawa, Nakamoto Sensei insegna abitualmente a marines americani a Camp Hansen, patrocinato dal Ministero Giapponese degli Affari Esteri, questo è il modo migliore con il quale gli stranieri di Okinawa si adattano alle differenze culturali e imparare le sue abitudini, il suo stile, le sue caratteristiche

Note


Kenei e Kenzo Mabuni: I fratelli del Shito Ryu

Senza dubbio Kenwa Mabuni fu ai suoi tempi uno dei principali Maestri di Karate, forse il migliore, tanto per la sua tecnica quanto per le sue conoscenze in questa Arte Marziale. I suoi due figli Kenei e Kenzo, al posto di sviluppare lo Shito Ryu del padre, hanno messo in scena uno dei più grandi equivoci della storia.

Chi era Kenwa Mabuni, il fondatore del Shito Ryu

Se pensiamo agli storici maestri del passato del Karate, senza dubbio bisogna considerare Kenwa Mabuni come uno dei principali, se non il più grande, il quanto Gran Maestro dei Grandi Maestri.

Anche se formato ad Okinawa dalla mano di Anko Itosu e Kanryo Higaonna, nel 1929 il Maestro Kenwa Mabuni si trasferisce con la sua famiglia ad Osaka, dove sviluppò il suo stile che si chiama prima semplicemente Mabuni Ryu, poi Hanko Ryu e più tardi e definitivamente Shito Ryu.

Nel 1939 Mabuni crea anche quella che cambia in principio Dai Nihon Karate do Kai e che dopo cambierà in Nippon Karatedo Kai, organizzazione che suo figlio minore Kenzo guiderà fino alla sua morte, al giorno d’oggi Tsukasa, la figlia di Kenzo mantiene il dojo che fu di suo padre e prima ancora di suo nonno Kenwa.

Invece la casa adiacente che apparteneva ai suoi antenati, adesso non appartiene più alla famiglia, lei vive nella vicina Sakai, fuori Osaka.

Dopo la morte del fondatore

Dopo la morte di Kenwa Mabuni, nel 1952, lo Shito Ryu non solo subì la divisioni che possiamo considerare anche logiche, da quello che si può vedere in tutte le scuole, ma avrebbe anche sofferto del confronto fra i due figli del fondatore, Kenei e Kenzo.

Infatti, a partire da allora iniziarono gradualmente a formarsi nuovi gruppi con a capo discepoli di Kenwa, nel 1955 si assistette all’allontanamento dei più importanti maestri, ma nel seno familiare iniziò la lotta di potere per la direzione della scuola.

La storia cominciò quando dopo la morte di Kenwa, la vedova Kame palesa la necessità di un successore familiare per lo Shito Ryu.

La Vedova Mabuni e la scelta di un erede

La moglie di Kenwa ebbe un notevole peso su suo marito, che sempre appoggiò e accompagnò.

Mabuni era solito colpire ripetutamente il makiwara del giardino tutte le mattine e se qualche giorno spuntava la pioggia, si allenava ugualmente, mentre la sua sposa lo copriva con un ombrello.

Lo Shito Ryu ha un grande patrimonio tecnico grazie a Mabuni, che Kame vuole preservare, lo stile dispone di più di 60 kata e molti sono stati creati da Mabuni, come nel caso di Yuroku, Shiho Kosokun ecc… compreso Myojo che fu il suo Kata privato e anche se significa “la stella del mattino”, “brillante” o anche “stella luminosa dell’alba”.

Sta di fatto che Mabuni gli mise questo nome in memoria dell’istituto dove insegnò difesa personale: Il Kata include le difese che insegnò in quell’istituto, si dice che negli ultimi anni di vita Mabuni aveva ultimato altri 4 Kata, presumibilmente chiamati Kenosha, Kuench, Kenki e Kenshu, ma senza aggiungerli ufficialmente allo stile.

La sua morte evitò definitivamente questa possibilità, quindi i suddetti Kata sono detti dal maestro Minubu Miki (allievo di Kenzo, con il quale il sottoscritto si è allenato per alcuni anni), come i Kata fantasma.

Un aiutante fece una domanda su questo tema ai Sensei di Kenzo, ma non sapevano nulla, il che lascia un po’ sconcertati, bisognava preservare i Kata di Bo JUtsu e di sai che i maestri Arakaki e Soeshi nel primo caso e Tawada nel secondo avevano trasmesso.

Kenei: la prima ipotesi di successore

In cerca di questo successore idoneo, Kame lo chiese prima a Kenei, come figlio maggiore.

Il padre aveva previsto il figlio Kenei come successore da prima della morte, ma al momento della verità non accetta al principio, forse per il fatto di non sentirsi all’altezza.

Oltre a ciò egli aveva smesso di allenarsi già da tanti anni, ed allora la madre fa la stessa offerta all’altro figlio che aveva iniziato i suoi allenamenti a 13 anni Kenzo. Quest’ultimo rispose che doveva pensarci.

Il fratello Kenzo e la scissione col fratello

Si dice che Kenzo mentre pensava all’offerta della madre, continuò la pratica del Karate temporaneamente con Ryusho, infine si ritirò a pensare all’offerta della madre e decise di accettarla.

Poco dopo capitò che anche suo fratello maggiore Kenei accettò tardivamente l’offerta della madre ed ecco che nacque un bel pasticcio!

Kenzo che si era già abituato all’idea, non vuole rinunciare al suo nuovo status

Sua madre Kame preferisce che sia il suo figlio maggiore Kenei il successore ufficiale e dato che Kenzo non vuole fare un passo indietro, da quel momento le loro vite si dividono creando entrambi differenti correnti.

Keni e Kenzo, due grandi maestri, tutti e due di massimo livello nello Shito Ryu, sono fratelli di sangue e tutti e due hanno vissuto la vita nella città di Osaka.

Tuttavia i loro modi differenti di elaborare gli insegnamenti trasmessi dal padre li hanno portati ad elaborare differenti tecniche ed opposte filosofie.

La morte di Kenzo

Kenzo morì nel 2005. I seguaci di Kenzo hanno sempre sostenuto che fosse lui il vero erede e successore del Karate tradizionale di suo padre.

Va considerato inoltre che suo fratello maggiore Kenei si era progressivamente allontanato dall’originale Shito Ryu, influenzato da un carattere più sportivo e più politico.

Che sia o meno così e dato che non si hanno abbastanza dati per prendere o meno la difesa di tale idea, la cosa certa è che dopo la morte di Kenzo nel 2005 importanti seguaci di questa linea si sono allontanati da essa senza rispettare la nuova direzione delle persone che vennero dopo.

È il caso ad esempio di Minobu Miki, stabilitosi a San Diego (Stati Uniti). L’organizzazione di Kenzo è conosciuta come Nippon Karate Do Kai.

Il confronto fra i due eredi

Sebbene negli Stati Uniti abbia tenuto abbastanza corsi, Kenzo non ha avuto nel resto del mondo una trascendenza così grande come il fratello, né esistono molti documenti storici su di lui.

Al contrario Kenei senza dubbio ha un passato ed un presente conosciuto più vincolato al Karate.

In ogni caso il principale obiettivo a Osaka è Kenei Mabuni, tenendo conto anche che è il figlio maggiore di Kenwa, che ha un maggior peso specifico nella storia recente dello Shito Ryu e che ormai suo fratello Kenzo è morto.

Note


[SALUTE & BENESSERE] I punti vitali nel primo soccorso

L’equilibrio spinale e il rilassamento dei muscoli

Le capacità progressive di colpire, dare calci e comprimere i nervi, sono diventate più sofisticate da quando iniziarono ad ideare tecniche di primo soccorso, l’aumento delle capacità garantisce adesso un cambio da una manipolazione più diretta dei nervi centrali, ad un uso integrale di vari nervi periferici in combinazioni più complesse.

Il modo più logico di avanzare è usando tecniche che sono conosciute come manipolazione delle articolazioni, tuttavia usando questi complicati movimenti di torsione, li adoperavamo usando i nervi vicini al posto di comprimere la stessa articolazione.

Non solo scoprivamo un modo più efficace per applicare queste azioni complesse di torsione provocando una maggiore disfunzione, ma anche gli effetti sulla persona e la sua funzionalità crebbero.

Ci siamo anche resi conto che cresceva l’efficacia e l’effetto provocava reazioni molto pronunciate nella spina dorsale o nel busto del ricevente, perché stavano ricevendo una sovraccarica multipla sui nervi e una contorsione che provocava lo stress o la compressione dei nervi interni

Il motivo di tutto questo è che i nervi non solo trasferiscono messaggi neurologici alle funzioni motorie o somatiche dei nervi, ma anche alle funzioni automatiche (mantenimento automatico della vita), in termini medici tutto ciò si definisce con il termine Neuropatia e può essere periferica (la Neuropatia periferica è un problema dei nervi che portano informazioni sia dal cervello sia dal midollo spinale al resto del corpo, questo può creare dolore, perdita di sensibilità e incapacità nel controllare i muscoli) o autonomica (la Neuropatia autonomica è un gruppo di sintomi che si avvertono quando esiste uno stress o un danno dei nervi che controllano le funzioni quotidiane del corpo, come la pressione sanguigna, il ritmo cardiaco, lo svuotamento intestinale, la vescica e la digestione).

I sintomi osservati variavano dipendendo dal tipo di nervo interessato così come allo stesso modo variavano le tecniche.

VARIAZIONI DELLA SENSIBILITÀ

  • Sensazione di riscaldamento;
  • Cambi di sensazioni;
  • Incapacità di assunzione di certe posizioni dell’articolazione;
  • Dolore del nervo;
  • Intorpidimento o formicolio.

DIFFICOLTÀ NEL MOVIMENTO

  • Difficoltà per respirare o per deglutire;
  • Difficoltà o incapacità nel muovere una parte del corpo (paralisi);
  • Cadute (a causa delle gambe);
  • Mancanza di destrezza;
  • Mancanza del controllo muscolare;
  • Stiramento o crampi muscolari.

SINTOMI AUTONOMICI

I nervi autonomici regolano le funzioni volontarie o semi volontarie come controllare gli organi interni o la pressione sanguigna. I danni ai nervi autonomici possono causare:

  • Gonfiore addominale;
  • Visione offuscata;
  • Stipsi;
  • Diminuzione della sudorazione;
  • Diarrea vertigini in piedi o sdraiati a causa della pressione del sangue;
  • Intolleranza al calore prodotto per lo sforzo;
  • Svuotamento incompleto della vescica;
  • Impotenza maschile;
  • Nausea o vomito specialmente dopo i pasti;
  • Incontinenza urinaria.

Quindi era necessario ovviamente trovare soluzioni per tutti questi problemi di salute causati tanto ai nostri compagni di allenamento, quanto a noi stessi.

Ma questo livello era più alto rispetto a quello su cui avevamo lavorato o alle cose per cui avevamo trovato una soluzione, quindi si è investigato e sperimentato usando modelli che avevamo usato per precedenti soluzioni, ma con risultati poco duraturi.

Dopo aver lavorato con i nervi scelti e cercato di scoprire con cosa erano relazionati, continuammo ad avere difficoltà per terminare il recupero

Quello che si è fatto a continuazione fu guardare in profondità ogni colpo e il modo in cui ogni struttura fisica reagiva ad ognuno di essi, quindi abbiamo visto l’azione e la contorsione della spina dorsale, in ognuno di essi era estrema, con questo si potevano vedere da semplici strappi al collo fino a multiple reazioni in tutta la spina dorsale.

Questo stava causando compressioni severe sia nei muscoli che nei nervi, in alcuni casi causavano noduli muscolari vicino alla spina dorsale.

Il seguente processo consisteva nel rilassare questi noduli muscolari vicini alla spina dorsale

Il che sembrava risolvesse certi problemi come è stato fatto con il trattamento dell’asma, tuttavia rimaneva ancora qualche problema (a seconda di come si contraeva la spina dorsale o da quali erano i muscoli colpiti).

Questi problemi erano anche simili o identici ad altri causati dalle tecniche, anche se erano portate in modo non troppo invasivo, questo indicava che c’erano più muscoli o nervi danneggiati in quelle zone dove si localizzavano i noduli muscolari.

Questo ci fece usare un metodo di massaggio per aprire e rilassare tutta la spina dorsale, ponendo particolare attenzione alla zona annodata dopo la tecnica curativa generale, l’idea era rilassare prima i nervi con leggere vibrazioni localizzate tra ogni vertebra, iniziando dal collo abbiamo collocato i nostri pollici o le nostre dita nello spazio tra ogni vertebra, premendo leggermente la zona per alcuni secondi prima di passare al successivo spazio.

Una volta che abbiamo fatto questo verso il basso sulla spina dorsale, abbiamo iniziato ad applicare una pressione più forte per muovere la spina dorsale all’indietro e verso l’alto, e questo si poteva ottenere non con la nocca, bensì utilizzando la parte più morbida del pollice.

Eliminando questo possibile dolore che potrebbe aver provocato nel recettore una tensione dei muscoli e un’altra volta una compressione dei nervi, questi rimanevano nelle stesse condizioni in cui erano prima di aver subito una tecnica di compressione.

Quando usammo questo procedimento ci rendemmo conto che qualche volta nella spina dorsale si sentiva come una spaccatura, come se si utilizzasse un metodo chiropratico o come se si schioccassero le nocche

Ma questo non era quello che stavamo cercando di fare, non volevamo usare questa scienza, l’abbiamo usata solo come termine di paragone, per essere più chiari nell’esposizione, tuttavia, questo ha fatto si che la spalla del recettore si rilassasse di più.

Dopo questo, se la spalla si aggiustava, si usava questa idea per esercitare una leggera pressione per allungare la spalla ogni volta che serviva.

Questo metodo fa si che i muscoli e la spina dorsale del recettore si allentino… E aiutino la persona anche a stare più eretta, questo ha posto la questione cosi, si correggeva la dislocazione, per questo si sviluppò una tecnica rudimentale per poter visualizzare anche l’allineamento laterale della spina dorsale.

Con la persona a pancia in giù, con le braccia ai lati, mettiamo dolcemente le punta delle nostre dita sopra una zona del midollo spinale, sopra la prima vertebra toracica, muovendo le dita superficialmente sulla zona, possiamo vedere quando le nostre dita si muovono da un lato o si muovono in linea retta, come dovrebbe essere.

Oltretutto abbiamo osservato che stranamente se c’era una tensione nei muscoli o anche un nodo, il dito si muoveva in quella direzione (indicando la zona del muscolo teso)

Ma succedeva anche qualcosa di più, ossia dopo le vibrazioni e seguendo il metodo della pressione per stendere i muscoli, il tracciato della spina dorsale rimaneva più retto e per di più si correggevano le deviazioni più profonde.

Non si tenta esattamente l’allineamento della spina dorsale, anche se molte volte si può sentire un istruttore o Maestro dire così, a causa della somiglianza dei suoni che si producono quando si usa, si tratta di una tecnica per comprimere i nervi a stimolarli, con l’obiettivo di calmarli e rilassarli.

Come nota a parte, si possono vedere molti curatori colpire la parte bassa della parte posteriore dei recettori, la maggior parte di loro imita qualcosa che precedentemente hanno visto fare da un curatore professionista, ma se gli si chiede il perché lo facciano, raramente lo sanno.

Tuttavia, devo dire devo dire che quando si vede un curatore esperto usare questa tecnica, lo fa per necessità, poiché sono danneggiati i sistemi anatomici del recettore.

Primo soccorso per il mal di schiena

Ad ogni livello che avanziamo utilizzando i punti di pressione, troviamo un nuovo problema o malessere fisico che necessita di un rimedio, questo ci da una motivazione che va oltre il semplice miglioramento delle abilità marziali, perché ci offre nuove e differenti sfide.

Tutto ciò ci fa capire in maniera incredibile la dualità delle arti marziali (o quella che era), perché stiamo imparando il modo di alleviare i problemi di salute, mentre impariamo a creare disfunzioni fisiche, incapacità, incoscienza, così come a controllare molte funzioni fisiche, sia esterne che interne.

Stiamo approfondendo i nostri studi, poiché dagli antichi miti e leggende sulle Arti antiche, celebri Maestri sono diventati realtà, avevamo in mano il loro segreto e abbiamo svelato il mistero che li aveva avvolti per tutti questi anni.

I miti non erano tali, erano realtà e mediante i punti vitali cominciavano ad avere senso, tuttavia, avevamo un profondo rispetto per quelle conoscenze, poiché ci rendemmo subito conto che il metodo conteneva il controllo sulla vita e sulla morte.

Avevamo già oltrepassato la soglia del combattimento corpo a corpo, eravamo pronti ad applicare il metodo dei punti di pressione per combattere contro le armi, lo usammo contro ogni tipo di armi, da armi classiche di Kobudo fino ad armi da fuoco, passando per le armi bianche, cominciammo ad integrare i punti di pressione in altri stili precedenti come il ju jitsu, il Kempo, il Karate ed altri ancora, scoprendo grandi possibilità e controllo.

Imparammo come dovevamo fare una serie di attacchi a quegli specifici nervi della testa e del collo, cosa che provocava uno stress fisico eccessivo sui nostri compagni di allenamento

Ma ci rendemmo anche conto che stavamo facendo centinaia di tecniche differenti per ogni arma e per ogni possibile scenario, troppo complicato e quasi irrealizzabile, perché se una persona cambiava l’angolo o variava in qualche modo l’attacco, obbligava il praticante ad acquisire abilità per eseguire una tecnica determinata contro un’arma determinata.

Sapevamo che dovevamo sviluppare un metodo di difesa più semplice, per rendere possibile una  reazione sotto stress e l’imprevedibile azione di un attacco premeditato da parte di un aggressore reale, bisognava analizzare l’origine di ogni possibile movimento, il che studiando i punti di pressione significava puntare sempre sul cervello.

Pertanto, i nostri sforzi si concentrarono sull’evitare che il cervello dirigesse le azioni di attacco dell’individuo, e il metodo migliore e più rapido era attaccarlo al collo e alla testa, quando attacchi i nervi del collo e della testa, tutto il corpo e la mente immediatamente ne subiscono le conseguenze, fino al punto in cui le azioni del corpo non possono più essere portate a termine.

Imparammo come dovevamo fare una serie di attacchi a quegli specifici nervi della testa e del collo, cosa che provocava uno stress fisico eccessivo sui nostri compagni di allenamento, caricando in avanti rapidamente e attaccando i punti di pressione della testa e del collo, invariabilmente l’avversario barcollava fino a che non cadeva incosciente o con un’evidente disfunzione fisica.

Questo faceva si che subissero una notevole pressione sulla schiena, dovuto alle pessime posizioni assunte,

Esisteva anche una tendenza a causare crampi e pressione sui nervi attorno, il che ancora una volta risultava essere un problema fisico più grave, ma prima di tutto si manifestava mediante la tensione e il mal di schiena.

Queste problematiche consistevano in difficoltà respiratorie, difficoltà motorie, nausea e simili, tutto ciò fece si che avessimo bisogno di un altro rimedio di primo soccorso per eliminare questi sintomi, fino ad ora si può capire come siamo giunti fino a questo punto da altre tecniche di primo soccorso che scoprimmo strada facendo, ma la differenza maggiore qui è che non si trattava di un problema leggero, bensì poteva trattarsi di una o più problematiche serie.

Pertanto, la sfida che stavamo affrontando era molto dura, avremmo avuto bisogno di sforzo, determinazione e di una ricetta speciale per risolvere questo tipo di problemi.

Prima applicammo i rimedi di primo soccorso per parti (per esempio, se una persona aveva difficoltà a respiratorie, gli applicavamo i rimedi di primo soccorso per una disfunzione dei bronchi o del diaframma), questo era efficace in parte, ma non era né completo né efficace al punto che volevamo fosse.

Se un individuo manifestava due o tre sintomi come problemi respiratori, nausea e mal di testa, il processo separatamente tardava molto ad essere efficace

Benché aiutasse, avevamo bisogno di un rimedio più rapido per affrontare questa nuova difficoltà, il passo successivo fu usare il metodo di sollievo spinale del livello anteriore, che risolveva tutte le difficoltà eccetto il mal di schiena.

Questi dolori si manifestavano in primo luogo in tre posti, la zona bassa, media e alta della schiena – zona delle spalle (bisogna ricordare che molti mal di testa derivano da tensione nelle spalle, perciò vedemmo chiaramente le associazioni simbiotiche che ci potevano essere), il primo della lista era il dolore della parte bassa della schiena, poiché è la zona colpita più frequentemente, ma la domanda era perché.

Quello che scoprimmo dopo un po’ di tempo e vari tentativi fu che in ogni caso in cui si girava la testa o si piegava rapidamente la schiena all’indietro, si causava in primo luogo un dolore alla parte bassa della schiena e poi un collasso un blocco nelle gambe, questo ci diceva che forse il problema sorgeva dalle gambe o dalle caviglie, allora cominciammo a lavorare sui punti delle gambe e delle caviglie separatamente e in combinazione, per la verità senza grossi risultati.

Usammo anche differenti tipi e metodi e direzioni di pressione per vedere se funzionava e se così era, sapere il perché, ma nuovamente senza risultati fino a che trovammo il punto.

Si trattava del punto che si trova tra la caviglia e la base del tendine di Achille ed attraversa l’osso del tallone, aveva senso poiché questo nervo nella zona bassa della spina dorsale e, per nostra sorpresa, nel lato che doveva essere il più sensibile al tocco o alla pressione, era lo stesso lato della schiena che stava soffrendo il dolore più acuto.

La seguente zona dove si localizzava il dolore era la parte media della schiena, il punto B1-0 non alleviava completamente la zona, benché aiutasse molto

Ma ovviamente non era sufficiente, poiché non alleviava completamente il mal di schiena, benché la parte alta della schiena si sentisse molto meglio, per questo motivo continuammo con la ricerca, ma scoprimmo che le nostre prove sui punti delle gambe non erano efficaci, allora usammo lo stesso metodo nei punti della schiena, trovammo molto rapidamente il punto migliore, nella maggior parte dei casi nell’area in cui avevamo cominciato la ricerca.

Tuttavia, dovevamo continuare per assicurarci che il punto che avevamo scoperto alleviasse completamente il dolore, questo punto che scoprimmo all’inizio del processo, risultò essere veramente il miglior punto per alcuni primi soccorsi, è il punto BL-16 situato vicino alla spina dorsale nella parte media della schiena, questo punto rilassa i punti della parte media della schiena ed esercita pressione sul resto della schiena.

Pertanto avevamo già un sollievo per la parte media della schiena, ma non alleviava la parte alta né la zona delle spalle, allora ricominciammo a cercare e trovammo il punto TW-15 che alleviava la schiena ed il punto GB-21 che alleviava le spalle.

Avevamo già i rimedi per il primo soccorso, ma volevamo assicurarci di aver risolto del tutto il problema

Scoprimmo anche che se colpivamo la parte bassa della schiena e lasciavamo la zona in pace, il dolore e la rigidità di spostavano con il tempo nella zona media e alta della schiena o nelle spalle, perciò invece di concentrarci su un punto specifico, lavorammo su un’area completa, BL-60,BL-16,TW-15 e GB-21, per qualunque tipo di mal di schiena.

Questo metodo faceva bene il suo dovere e col tempo il dolore e la rigidità non si diffondevano in altre zone, per cui risultò essere un metodo di sollievo completo, ora, pensa che potresti usare questo metodo per qualcuno che soffre di mal di schiena, non è necessario che tu prima abbia studiato i punti di pressione, tutti i metodi dei punti di pressione per primo soccorso che sto descrivendo servono a favorire una salute e benessere integrali sotto molti aspetti, attraverso un programma di benessere

Note


[TECNICA & ARTI MARZIALI] Karate: Il Kata

Superare le soglie di perdita di concentrazione quando compare la stanchezza è una delle esperienze più ricorrenti nel Karate.

Lo scopo della stessa è familiarizzare con la possibilità di superare queste soglie molto al di là di quello che tutti noi crediamo e quella di riuscire a mantenere la calma interiore nel mezzo di una tempesta.

Questo ci prepara alla vita e alle circostanze inaspettate nelle quali tutti noi possiamo trovarci

Rafforza il carattere degli allievi e li dota di una serenità che li distingue, il Kata offre l’opportunità di allenare questo aspetto dell’autocontrollo, poiché nelle sue sequenze ci sono momenti di grande intensità ed esplosione, di forza ed emozione, seguiti da momenti che richiedono una grande concentrazione, serenità ed equilibrio.

Le sequenze energetiche nei Kata possiedono punti chiave, spesso questi punti sono segnati da un’esplosione di forza che comprende il grido chiamato Kiai, il Kiai è un’espressione della qualità della forza interiore di chi lo esegue, si tratta di un’emissione esplosiva di forza interiore.

Se il nostro spirito non  è liberato, il Kiai non ha potere, non si tratta di gridare di più, ma di gridare sempre dall’addome con una contrazione dello  stesso nel momento finale di esecuzione di una serie concatenata di movimenti.

Questo ci porta ad un altro punto essenziale nella pratica del Kata e del Karate in generale, tutti i movimenti nel Karate nascono dal basso addome, la zona conosciuta come Tandem o Hara, proprio sotto l’ombelico.

Si tratta del centro di equilibrio e percussione del corpo, ma anche di un centro energetico essenziale, dato che ogni spirale si controlla dal suo centro, tutti i movimenti che nascono da quest’area potranno essere compensati ed equilibrati, mentre se partono da qualsiasi altra parte del corpo tenderanno a funzionare come un’onda di scompensi che si concluderà con la perdita di controllo.

I Kata sono un magnifico modo di allenare l’attenzione da questo centro

Si può eseguire un Kata, una volta memorizzato, osservando sempre le sensazioni che hanno luogo in quest’area.

L’interiorizzazione delle stesse è come un riassunto di tutto ciò che serve nel Kata, l’Hara comanda nei movimenti, per questo l’altezza dello stesso rispetto al suolo è una delle basi di una corretta esecuzione, quando le gambe si stancano, spesso si alza il livello dell’Hara per alleviare la tensione tra movimento e movimento, questo non solo indebolisce le tecniche e sbilancia il praticante, ma sottrae alle tecniche stesse fluidità.

Quando avanziamo, in ogni movimento dobbiamo sentire come una corda che tira il nostro Hara o Tandem, alcuni Maestri mostravano questa sensazione tirando l’allievo per la cintura, quando l’Hara avanza, non solo si muove nello stesso piano nel caso delle linee d’attacco di una stessa posizione, ma lo fa in linea retta in avanti.

Queste linee d’attacco si ripetono con frequenza ne Kata Pinan, così come in altri Kata superiori, l’inclusione delle stesse mostra l’importanza dell’allenamento,in questo modo di avanzare con l’Hara nello tesso piano e dritto fino alla fine della sequenza o della linea.

La fluidità

Ecco un altro punto essenziale nella pratica del Kata, le tecniche, i movimenti devono essere fluidi, le tecniche non devono essere segnate tra di loro come passi di un meccano, ma a una deve seguire la successiva, passando immediatamente dalla tensione al rilassamento.

Se stiamo molto rigidi nell’esecuzione del Kata, sprecheremo molta energia, perderemo fluidità e la nostra forma sarà spasmodica.

Molta gente, specialmente all’inizio, tende ad essere tesa, bisogna fare uno sforzo per rilassarsi, un buon trucco è la realizzazione al rallentatore del Kata diverse volte, un altro molto curioso è concentrarsi sul rilassare i muscoli che circondano l’ano, quando non sappiamo come rilassare il corpo.

La fluidità dipende dal fatto che non ci sia un eccessivo consumo di energia, ma anche da una mente calma e serena.

Il nemico principale della fluidità è la meccanizzazione dei movimenti, quando la mente si estranea dall’allenamento, il corpo ripete senza intenzione, questa è la meccanizzazione.

Un movimento senza spirito né presenza dell’anima è inutile per l’allenamento marziale, la nostra Società più alle forme che ai contenuti, favorisce questo atteggiamento, l’allievo deve imparare a rendersi conto che questo atteggiamento è contrario al senso della pratica del Kata.

Per quanto esatta e precisa tenti di essere una tecnica, senza la presenza dello spirito e dell’intenzione, colui che la esegue non vale niente!

I KATA sono la base dell’arte marziale e naturalmente del KARATE

KATA significa forma, si tratta di una serie di movimenti concatenati in una sequenza energetica precisa che disegnano una lotta immaginaria con uno o più avversari.

L’idea dei Kata era quella di permettere l’allenamento in solitario dell’allievo, la perpetuazione della tecnica  e dell’autocontrollo.

Il Kata apre molte possibilità all’allievo di Karate, perché gli permette di correggere ed assimilare i movimenti basilari che compongono il suo studio, all’interno di sequenze logiche di combinazioni che poco a poco andrà interiorizzando fino a farle proprie.

I Kata sono, inoltre, una danza bella e potente, la loro corretta esecuzione meraviglia qualsiasi persona, che ne sappia o meno di Karate, poiché da essa deriva sempre la maggiore delle grazie, oltre che un’eleganza, una potenza ed un autocontrollo magnifici.

I Kata Pinan furono creati da Itosu intorno all’anno 1907 probabilmente basandosi sui Kata Passai, Chinto ( Gankaku ), Kushanku e Jon. Questi Kata furono anche la base degli Heian che Funakoshi Guichin creò anni dopo.

L’idea di queste forme basilari e intermedie è quella di rafforzare e insegnare all’allievo le linee guida dell’arte del Karate, cominciando con combinazioni più semplici che, poco a poco, diventano sempre più complesse, sia per le tecniche realizzate sia per la combinazione delle stesse, stimolando equilibrio concentrazione ed autocontrollo in una sequenza crescente.

La pratica delle forme essenziali del Karate, al contrario di quella che pensano molti allievi, non è qualcosa di superato, bensì contengono in sé l’essenza dell’arte, non ha importanza il grado, la loro esecuzione deve far parte della pratica di ogni Karateka nel corso della sua vita.

Le chiavi per lo studio dei Kata ogni Maestro dovrebbe conoscerle affinché vi sia una comprensione ed una attivazione dei meccanismi che un buon Karateka deve avere.

MEMORIZZAZIONE

Quando l’allievo è in grado di memorizzare bene un Kata non deve aver bisogno di pensare prima di ogni movimento, quando dico memorizzare non è solo ricordare con la mente, ma deve essere il corpo stesso a ricordare le sequenze.

Questo si ottiene, è chiaro, con una ripetizione, ma ci sono dei trucchi affinché questo processo riesca con successo. Il primo di questi è, senza dubbio, quello di allenarsi sui Kata con gli occhi chiusi, una volta appresa la sequenza.

L’attenzione si concentrerà quindi sulle sensazioni corporee, che sono la base della memorizzazione corporale dei movimenti.

Quando si inizia ogni linea, conviene controllare e correggere le direzioni

Si potrà verificare quanto possa essere difficile mantenere il corretto equilibrio e l’adeguata direzione delle linee, quando si scoprono gli errori, si dovranno memorizzare i punti attraverso le sensazioni corporee, dove una punta di piede appoggiata male o una rotazione eccessiva dell’anca fanno perdere l’orientamento.

Molte volte la vista ci permette di correggere errori tecnici attraverso piccoli trucchetti, questo allenamento ad occhi chiusi scopre quelle lacune nella nostra esecuzione, ma ci aiuterà anche a memorizzare profondamente, a livello di  memoria muscolare, le tecniche che ci sono all’interno di ogni Kata, liberando la nostra attenzione per il vero oggetto della pratica, la mobilizzazione di tutto il nostro potenziale energetico, nella cornice della maggiore serenità.

Per entrare in sintonia con questo particolare esistono alcuni piccoli trucchi o punti che vorrei segnalare come guida.

Il primo di tutti questi è sempre stato ripetuto dai Maestri, si tratta dell’uso dello sguardo, sono gli occhi a dirigere la nostra forza in un Kata e devono essere i primi a concentrarsi nel passo successivo tra movimento e movimento.

La testa deve sempre ruotare per prima, prima di realizzare un giro, se gli occhi non si fissano prima sull’obiettivo, non c’è forza nel Kata, diventa solo una danza senza intenzionalità, ripetuta senza verità.

Un aspetto essenziale per l’uso della forza nel Kata è raggiungere il controllo della respirazione, all’inizio e alla fine del Kata, la respirazione deve raggiungere lo stesso stato.

È chiaro che la pratica di un Kata provoca un’accelerazione del ritmo cardiaco, ma il Karateka deve sovrapporsi a questa domanda del suo corpo attraverso la respirazione, la respirazione è la chiave del nostro stato mentale, la regola fondamentale che si riferisce ad essa è di mantenersi sulla soglia di massima efficacia con il minimo sforzo.

Per allenarsi su questo aspetto è un buon trucco praticare lo stesso Kata varie volte a velocità rapida e, subito dopo, lentamente.

La pratica meccanica dei Kata non permetterà il loro apprendimento, per quanto in una prima fase, quella della memorizzazione, questo non sia un problema, l’allievo deve essere molto serio e impegnato con se stesso su questo punto.

La tecnica deve avere spirito, intenzione e focus

In questo modo, in questo modo uno potrà commettere errori tecnici, ma la sua esecuzione sarà corretta per il suo livello, questa, nel mio personale modo di vedere questo argomento, è la cosa più importante.

Alla fine commetteremo sempre imperfezioni formali, la perfezione non esiste nella forma ma in come si vive l’esecuzione, ridurre i Kata a conquiste formali è stupido e non serve a niente e a nessuno, è meglio iscriversi a far danza classica, si otterrebbero risultati migliori!

Con il Karate non si gioca,con il Kata non si dubita, non può esserci indifferenza, pigrizia né meccanizzazione, Kata è soprattutto un esercizio dello spirito.

Un altro aspetto importante nell’apprendimento di un Kata è la capacità di visualizzare l’avversario o gli avversari, ma questo deve avere luogo in una seconda fase dello studio.

I Bunkai (l’applicazione del kata con avversari reali) spiegano la ragione e il modo in cui si sviluppa il combattimento con uno o più avversari, l’allievo non deve innamorarsi di una spiegazione, poiché spesso è possibile incontrarne di diverse.

Gli antichi Maestri fecero così perché l’essenza del Kata è in se stesso e non nel combattimento

Esistono, di fatto, serie di movimenti nei Kata basilari che risultano assurdi da una prospettiva pratica.

Non sono stati pochi i Maestri che hanno propiziato il loro studio inverso, ovvero retrocedendo nelle tecniche di difesa ma avanzando in quelle di attacco.

Questo modo di allenarsi, sebbene irregolare, può risultare molto curioso e utile agli allievi più avanzati, secondo me, la cosa più importante nel momento di immaginare gli avversari sta nella mobilitazione emotiva che provoca.

I Kata devono essere vissuti, sperimentati in modo reale, come se si trattasse di un combattimento in cui fosse in gioco la nostra vita, impregnare di realismo i nostri movimenti visualizzando gli avversari non deve farci perdere il centro e la calma, ma darà potenza e veridicità alla nostra performance del Kata.

Prima di eseguire un Kata c’è un momento di silenzio, il praticante deve chiudere gli occhi in Mokuso (meditazione) liberando la sua mente da qualsiasi pensiero, per farlo bisogna respirare con l’Hara e si concentra su di sé espirando lentamente diverse volte, in seguito, e solo quando è in pace, tende leggermente l’Hara prima della prima azione gridando il nome del Kata con fermezza.

Nel suo allenamento, il praticante si isolerà dall’ambiente con sempre maggiore facilità, è chiaro che, nel corso di dimostrazione o esami, è facile sentirsi inquieti, intimoriti od osservati, ma un praticante deve imparare ad entrare nella sua interiorità, in quello spazio di pace del suo Hara, evitando ogni pregiudizio mentale attraverso la respirazione e la concentrazione.

La pratica continua darà quindi i suoi risultati inibendoci dall’ambiente e da qualsiasi influenza concentrati sul “qui e adesso“.

Questo ci porta al punto successivo, l’esperienza dell’istante, la presenza della mente quieta nel qui e adesso continuo è uno dei risultati dell’allenamento del Kata.

Per quanto cambi la tensione delle sequenze, si deve fluire nell’esecuzione delle stesse senza essere in anticipo né essere in ritardo né di rimanere bloccati (si può essere troppo dipendenti dall’esteriorità), solo quando viviamo ogni tecnica e movimento con la mente tranquilla e perfettamente concentrata sull’esecuzione potremo raggiungere l’adeguata fluidità.

Uno degli insegnamenti dei Kata sta nella loro corretta posizione, gli aspetti tecnici del Kata devono essere allenati con persistenza e si deve essere molto esigenti con ogni movimento e con il modo in cui questo si allaccia al seguente.

La colonna deve essere diritta, se c’è troppa tensione creeremo iper-lordosi accentuando la curva lombare, da questa posizione non può fluire l’energia dall’Hara e, di conseguenza, i nostri movimenti ci stancheranno eccessivamente, poiché a quel punto tutto dipenderà da un lavoro muscolare.

Bisogna insistere ancora una volta sul concentrarsi sulle sensazioni dell’Hara, deve essere in stato d’allerta rilassato o teso, ma non sempre teso

Per mantenere la corretta posizione della colonna ci sono due riferimenti basilari, l’Hara deve poter muovere il bacino da qualsiasi posizione in qualsiasi direzione.

La testa deve essere perfettamente allineata con la colonna, la posizione del mento è un riferimento importante, se sporge troppo, la nostra fronte avanzerà e la nostra posizione sarà sbilanciata in avanti, se troppo all’interno probabilmente stiamo facendo una iper-lordosi e c’è un eccesso di tensione generale.

Quando la fronte sporge troppo in avanti significa che l’esecutore è troppo accelerato e che colpisce con la testa anziché con l’Hara

Deve imparare a essere meno mentale per placare la sua angoscia per il futuro, vive più nella tecnica successiva che in quella che sta realizzando.

Se la sua posizione è quella opposta, dimostra di essere intimorito, l’ambiente lo blocca (lo stanno guardando e si sente giudicato), questa posizione significa anche un’alterazione in eccesso di un’aggressività contenuta.

Lo spirito di abbandono. Il Kata realizzato correttamente emana un’aura di pace, questo accade con l’adeguato atteggiamento spirituale, un Kata è, alla fine,una lotta con noi stessi, ogni vera lotta è a morte, questo significa che, prima di eseguire un Kata, il praticante deve visualizzare che non c’è niente di più importante e, contemporaneamente, che niente di quello che capita lì sarà importante eccetto la sua impeccabilità.

L’abbandono di ogni speranza rendeva invincibili i guerrieri Samurai, quando la mente si focalizza sull’obiettivo, appare la paura del fallimento e, con essa,l’energia non fluisce, la mente, invece di concentrarsi sul positivo, su ciò che sa, su ciò per il quale è stata allenata e in cui confida, si concentra sul negativo, attraendo il fallimento.

La funzione ultima dello studio del Kata è la formazione dello spirito degli allievi, per portarli fino a quella comprensione nella quale lo spirito si libera e trascende il dolore e la paura.

Note


COPERTINA proiezioni e manipolazioni delle articoli articolazioni

PROIEZIONI e manipolazioni delle ARTICOLAZIONI

È più facile per qualcuno premere il grilletto di un’arma da fuoco, ma avanzare e avvicinarsi a breve distanza per pugnalare qualcuno, secondo le circostanze, è un compito molto difficile ed è un atto molto complesso.

Ci sono diversi angoli di attacco e le loro applicazioni nella difesa sono varie, dalle più semplici alle più complesse.

Ci si allena non solo per tutte le sfaccettature della lotta a mani nude, ma anche alla lotta con le armi per sforzarci ad acquisire l’equilibrio in tutti gli aspetti dell’allenamento così come nella nostra vita di tutti i giorni.

Generalmente i sistemi di combattimento si dividono in tre livelli:

  • Livello uno: Scambio di colpi a media distanza
  • Livello due: Lotta a breve distanza, dove si possono usare gomitate, ginocchiate, punti di pressione, lussazioni, prese ed atterramenti.
  • Livello tre: Lotta a terra, dove si usano chiavi e immobilizzazioni per controllare e finire il nostro avversario.

Tuttavia esiste un quarto livello ed è quello che si chiama Quik Lock (immobilizzazione veloce), posizione di ginocchio a terra, ci siamo resi conto del fatto che finire a terra.

Che sia per difendersi o per combattere, non è la posizione migliore, ma può, avere per chi è allenato a quel tipo di combattimento, grandi possibilità di vittoria che probabilmente in piedi non avrebbe avuto.

Per la difesa personale l’obiettivo è creare un’opportunità per scappare e sopravvivere a una situazione di violenza.

  • Le forze di sicurezza hanno l’obiettivo è controllare chi assale usando la minore forza possibile e causando il minor danno possibile all’arrestato;
  • Per un militare l’obiettivo è uccidere l’avversario e mettere fine rapidamente alla situazione.

L’immobilizzazione veloce nella posizione in ginocchio è una valida alternativa al lottare sdraiati per terra

In tutti gli scenari precedenti, l’immobilizzazione veloce nella posizione in ginocchio è una valida alternativa al lottare sdraiati per terra, dove il lottatore è vulnerabile agli attacchi, oltre a perdere la possibilità di lottare con una parte del corpo.

Ma sicuramente utilizzando la tecnica e non la forza, possiamo avere ragione dell’avversario anche in poco tempo e con poca fatica.

In questo articolo vorrei parlare di come immobilizzare e sottomettere l’avversario velocemente.

Possiamo imparare come avvicinarsi dal livello uno, distanza media di combattimento, alla posizione del livello due, distanza breve, e come da questa posizione possiamo atterrare efficacemente l’avversario per poterlo controllare, sottometterlo e finirlo a terra (livello tre combattimento a terra).

Lottare con qualcuno a terra e mantenere il vantaggio non è un compito facile, la manipolazione delle articolazioni, di solito, non si vede assieme ad una tecnica di atterramento, ma usando i punti di pressione.

Mantenendo l’angolo corretto e facendo la pressione giusta nel punto giusto, ci consente di gestire l’avversario molto facilmente, mantenendo una posizione di vantaggio.

Le prime tecniche di manipolazione di articolazioni che vediamo sono quelle chiamate “tecniche in cerchio da sotto“.

La tecnica parte dalla posizione iniziale di combattimento e contempla molte situazioni possibili, (prese, attacchi, contrattacchi ecc…)

Innanzitutto bisogna conoscere alcuni concetti basilari dell’anatomia umana

Alcune articolazioni, come i gomiti e le ginocchia, sono incernierate e funzionano come il meccanismo di apertura e chiusura di una porta.

Altre articolazioni come le spalle o le anche, sono articolazioni sferiche, che permettono una maggiore gamma di movimenti ma che si danneggiano con una frequenza maggiore.

Tutte le articolazioni sono unite a tendini, legamenti e muscoli, i tendini collegano i muscoli e le ossa, i legamenti collegano le ossa con altre ossa.

La manipolazione delle articolazioni implica collocare l’articolazione dell’avversario in un angolo adeguato, applicando la pressione sufficiente a causargli un dolore intenso, slogare o rompere l’arto.

Ci sono quattro modi di manipolare le articolazioni per massimizzare la pressione quando si fa leva per sottomettere gli avversari.

Vediamo ora le varie possibilità di attuazione diviso in varie fasi:

Contro l’articolazione:

Questa è la più efficace nelle articolazioni che funzionano come una cerniera, come il ginocchio o il gomito che non girano ma si muovono in una sola direzione.

Si preme direttamente sull’articolazione e l’altra mano resta ferma o si muove nella direzione opposta, l’articolazione può essere facilmente slogata o iper- estesa lasciando l’arto inutilizzabile.

Leva angolata:

L’applicazione della leva angolata è la più efficace quando si realizza su un’articolazione sferica, queste articolazioni permettono di realizzare movimenti rotatori, si tratta di polsi, spalle, caviglie e anche.

Quando si colloca l’articolazione in un determinato angolo, i legamenti e i tendini che contengono l’articolazione al suo posto si allungano perdendo la capacità di preservare l’integrità sull’articolazione.

A questo punto, si può applicare una pressione che provocherà la slogatura dell’articolazione.

Giro o rotazione:

Queste tecniche di giro o rotazione possono essere applicate a entrambi i tipi di rotazione.

Tuttavia richiedono una forte presa su entrambi i lati dell’articolazione, è più efficace se si applica su articolazioni più piccole, come le dita, il polso e, a volte, il gomito.

Probabilmente questa tecnica non si usa come definitiva (finalizzazione) al momento di slogare un’articolazione, ma può servire come transizione ad una presa più forte.

Compressione:

La tecnica di compressione si basa sugli stessi principi di uno schiaccianoci.

Si colloca qualcosa sopra l’articolazione, poi si fa pressione verso dentro dai due lati e l’articolazione si separa,spesso questa tecnica è chiamata “separazione dell’articolazione“.

È più efficace sopra l’articolazione o sul ginocchio.

Le tecniche di cerchio da sotto sono quelle nelle quali si deve girare sotto l’avversario per riuscire a collocare il polso e il gomito di questi nell’angolo adeguato.

Facendo un giro di 360 gradi, si possono manipolare il braccio e il polso dell’avversario per collocare il suo polso e il suo gomito in un angolo di 90 gradi, realizzando una presa di polso.

Ci sono due modi per girare sotto il suo braccio:

  • Il primo è la presa del polso da sotto interno: si fa il giro sotto il braccio dall’esterno verso l’interno;
  • Il secondo è la presa del polso esterno: in questo caso si fa il giro sotto il braccio verso l’esterno.

Per girare sotto il suo braccio dobbiamo abbassare la nostra posizione ed entrare velocemente.

Esistono un paio di ragioni per le quali dobbiamo assumere la posizione bassa.

La prima, se non siamo veloci, l’avversario ha la possibilità di contrarrestare il suo movimento ed il giro e sembrerà che stiamo ballando la salsa.

L’altra è evitare di essere colpito dall’altro braccio dell’avversario.

Se si esegue bene, l’avversario non riuscirà a scappare perché il suo polso potrebbe rompersi.

Ci sono tantissime tecniche di difesa personale che utilizzano il polso e molte di esse sono tecniche di manipolazione stando in piedi, un’altra componente per slogare un’articolazione è applicare una vibrazione anziché una pressione costante.

Per slogare un’articolazione in modo efficace dobbiamo applicare una vibrazione,(un movimento veloce da sopra a sotto), ma per immobilizzare o sottomettere l’avversario, così come nel grappling, è necessario fare una pressione costante.

Per concludere

È di fondamentale importanza avere delle basi di anatomia per poter applicare efficacemente le leve, ma bisogna avere anche una buona se non ottima manualità per poterle effettuare, tenendo conto che le situazioni che si possono creare sono molteplici e dobbiamo essere in grado di poter cambiare tecnica velocemente a seconda della situazione.

Per ottenere ciò la parola d’ordine è allenarsi, allenarsi, ed ancora allenarsi!

Note


Le 7 REGOLE del BUSHIDO (武士道) – VIRTÙ DEI SAMURAI

Pensare che tutto il mondo può essere l’avversario quando esci da casa, immaginare che molti avversari ti stanno aspettando, oggi è un atteggiamento ossessivo e preoccupante, ma ai tempi dei Samurai era più facile trovare i nemici a ogni piè sospinto.

Oggi non significa uscire di casa negativamente pensando ossessivamente che tutti sono nemici, la realtà di oggi è sicuramente peggiorata e i giornali e vari episodi ti fanno pensare che non posso andare in giro completamente spensierato o con la testa tra le nuvole.

L’agguato potrebbe essere, come si dice sempre, dietro l’angolo

Alcuni Samurai erano così attenti e vigili che si accorgevano della presenza di una persona che si nascondeva per attaccarli, alcuni percepivano l’energia negativa di colui che voleva ucciderlo, con questo intuito anticipavano l’avversario e salvavano la vita.

Oggigiorno non c’è questa preparazione e, anche se leggiamo tanti soprusi, non è così allarmante girare per le strade, ovviamente dipende dall’ora e dalle zone delle grandi città soprattutto.

Un allenamento comunque che ci permetta di essere qui e ora e concentrati su cosa succede intorno a noi, non è da sottovalutare.

Quando un uomo varca la porta di casa, si può trovare di fronte a un milione di nemici, potrebbe diventare noioso ripetere sempre lo stesso concetto, ma non dimentichiamo che i nemici non sempre sono visibili, tangibili, prevedibili, ci sono nemici interiori che sono subdoli, macchinosi, pazienti e silenziosi.

Per affrontarli bisogna essere pronti, allenati, concentrati, un allenamento costante, anche per chi pratica discipline da difesa è importante per sconfiggere il nemico più oscuro: LA PAURA.

Se non ci si abitua a essere attaccati, a sentire la spinta,lo strattone, le urla o quant’altro possa succedere durante un alterco, quando succederà rimarrà impietrito dalla paura, che blocca ogni movimento e che blocca anche l’adrenalina necessaria per superare l’aggressione.

Questo principio è riportato anche in un antico proverbio: ”Quando un uomo oltrepassa la soglia della propria abitazione ha di fronte sette nemici“ (dal punto di vista cristiano potrebbero essere: orgoglio, invidia, avidità, rabbia, pigrizia, ingordigia e lussuria).

I nemici non sono visibili, tangibili e facili da attaccare e distruggere, molti sono invisibili, nascosti e indifferenti alla nostra attenzione. Il 7 è un numero sacro.


LE 7 REGOLE DEL BUSHIDO – VIRTÙ DEI SAMURAI:

Gi -onestà e giustizia – una sola via:

Onestà nei rapporti con gli altri,credere nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da se stessi, il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia, vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Yu -eroico coraggio:

Elevarsi al di sopra delle masse che hanno paura di agire,nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere, un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ma significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso, l’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

Jin- compassione:

l’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte, è diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune.

Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.

Rei- gentile cortesia-comportamento etico morale:

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza, un samurai è gentile anche con i nemici senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale.

Il samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia, ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

Makoto o shin:

Completa sincerità: quando un samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’azione espressa.

Egli non ha bisogno né di “dare la parola“ né di promettere, parlare e agire sono la stessa cosa.

Meyo – onore:

Vi è solo un giudice dell’onore del samurai: lui stesso.

Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà, non puoi nasconderti da te stesso.

Chugi-dovere e lealtà:

Per il samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario, egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue.

Il samurai è immensamente leale verso coloro di cui è responsabile.


Il 7 ricorre nella nostra vita

  • 7 sono le note,
  • 7 sono i mari secondo l’antica suddivisione dei greci (Mar Egeo, Mar Nero, Mar di Marmara, Mar Ionio, Mar Rosso, Mar Tirreno, Mar Mediterraneo Orientale)
  •  7 le costellazioni (Alfa, Beta, Gamma, delta, Ipsilon, Zeta, Età)
  •  7 sono le virtù (3 teologali: fede, speranza, carità; e 4 cardinali: giustizia, temperanza, prudenza e fortezza)
  • 7 sono i peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia)
  • 7 sono i colori dell’arcobaleno (rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto)
  • 7  sono i colli di Roma (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale, Vicinale).
  • 7 è il numero del perdono (dovrai perdonare settanta volte sette)
  • 7 sono i cieli dell’antichità, ciascuno corrispondente ad un pianeta (Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno)
  • 7 sono i doni dello Spirito Santo nel cristianesimo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio)
  • 7 sono i sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di 7 trombe suonate da 7 angeli, quindi dai 7 portenti e infine dal versamento delle 7 coppe dell’ira di Dio (da Giovanni, Apocalisse).
  • 7 sono i chakra (Muladhara, Svadisthana, Manipura, Anatha, Vishudda, Anja Sahasrara).

Note