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La nuova era del Ju Jitsu

Agli albori del Ju Jitsu lo Shogun, riscontrando nel periodo antecedente alla restaurazione dell’era Meiji (1868) la presenza di circa 1000 Ryu differenti, alcuni con migliaia, altri con poche decine di Ryusha, per conferire loro ordine e ufficialità impartì nel 1843 l’ordine di redigere il Bu Jutsu Ryu soroku (il trattato sulle scuole dell’arte del combattere) in cui si evidenziavano i 159 Ryu più importanti dell’epoca.

Ancora oggi le autorità giapponesi preposte scelgono ogni anno 46 Ryu per rappresentare i vari Ryugi nel Taikai (manifestazione sulle arti marziali tradizionali) che si svolge nel Budokan (il luogo dove si studiano e si praticano le arti marziali) di Tokyo.

I Ryu di Ju Jitsu sono in continua evoluzione tecnica e lo studio e il perfezionamento degli stili non deriva solo da uno spirito di miglioramento, ma anche dall’esigenza, come nel passato, di chi deve usufruire di quest’arte per compiti specifici, come nel caso della polizia o dei corpi speciali.

Negli ultimi anni il Ju Jitsu si è infatti affermato come valido supporto tecnico a chi vuole affrontare lo studio della difesa personale

A questo proposito è interessante sapere che già nel 1947 gli esperti della polizia giapponese avevano creato il Taiho Jutsu (un metodo per l’attacco e la difesa), un insieme di tecniche desunte dal Ju Jitsu e da diverse discipline marziali appropriate pe l’uso degli interventi di ordine pubblico e in azioni contro la criminalità.

Esso comprende inoltre tecniche di Taihen Jutsu (l’arte di muoversi silenziosamente), di Keibo Soho (le tecniche di bastone corto attinenti alla difesa), di Tokushu Keybo (il bastone telescopico) e molte altre ancora che vengono continuamente aggiornate e perfezionate.


IL JU JITSU IN ITALIA

Il Ju Jitsu, o “lotta giapponese“ come allora era denominato, fece la sua prima apparizione in Italia nel 1908 nel corso di una dimostrazione, a cui presenziò la famiglia Reale.

Fu tenuta da due sottufficiali della regia marina, il cannoniere Raffaele Pizzola e il timoniere Luigi Moscardelli, che lo avevano appreso durante il loro servizio in Estremo Oriente.

Questa esibizione suscitò grande interesse, ma rimase fine a se stessa, come una semplice curiosità orientale

Quello che non riuscì ai due pionieri, riuscì ad un altro sottufficiale cannoniere, Carlo Oletti, che frequentò gli stessi corsi dei due colleghi già rimpatriati.

Egli praticò il ju jitsu sotto la guida del Maestro Matsuma, campione della marina militare nipponica, approfondendolo nei Ryu di Nagasaki, Miatsu, Hokodate e Tauruga.

In Italia si riparlò di Ju Jitsu nel 1921, quando si istituí alla Farnesina la Scuola centrale di educazione fisica per l’esercito

Il colonnello comandante inserì tra gli sport anche il Ju Jitsu, chiamando a dirigere i corsi proprio il sottufficiale Carlo Oletti che tenne l’incarico fino al 1930.

In questi dieci anni si qualificarono 150 ufficiali esperti e 1500 sottufficiali istruttori.

La “lotta giapponese“ comparve per la prima volta in un circolo sportivo civile nel 1923, presso la palestra Cristoforo Colombo di Roma.

Nel 1925, gli esperti cultori di Ju Jitsu, che sino ad allora avevano praticato presso enti militari e in circoli sportivi civili, si riunirono con quelli del Judo e fondarono la Federazione Italiana JU Jitsu e Judo.

Poco più tardi assunse il nome di Federazione Italiana Lotta Giapponese, il primo presidente fu Giacinto Pugliese.

Dopo la seconda guerra mondiale numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Itali

Dopo la seconda guerra mondiale e la forzata interruzione delle attività federali dovuta alle traversie degli avvenimenti politici e bellici dell’epoca, numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Italia, sostenuti da molti appassionati di questa disciplina.

Nel 1947, il Judo si staccò dalla federazione perché integrato dal CONI come disciplina sportiva della FIAP (Federazione Italiana Atletica Pesante).

Il Ju Jitsu manteneva invece i presupposti prettamente legati allo spirito originale della disciplina: la difesa personale e il combattimento.

Tra le scuole italiane si distinse quella del Maestro Gino Bianchi

Esperto e studioso di quest’arte, codificò un programma tecnico ad uso dei praticanti:il cosiddetto “metodo Bianchi“.

Nel corso dei decenni in Italia, il Ju Jitsu ha subito diverse vicissitudini politico-sportive che lo hanno portato solo nel 1985 a far parte di nuovo di una federazione olimpica:la FILPJK (Federazione Italiana Lotta Pesi Judo Karate.

Negli ultimi anni si sono affiliate alla federazione nazionale più di 200 società con un significativo incremento del numero dei praticanti tesserati, anche grazie al lavoro della Commissione Tecnica Nazionale Ju Jitsu FIJLKAM (Sigla aggiornata nel 2000, Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali), che ha riorganizzato e sviluppato il programma tecnico basato sul menzionato “metodo Bianchi“ e inserito lo stile della scuola tradizionale HONTAI YOSHIN RYU.

Allo studio e approfondimento della disciplina, deciso dal Consiglio Federale per non alterare lo spirito del Ju Jitsu, negli ultimi anni si è venuto ad affiancare lo sviluppo della forma agonistica che, seguendo le regolamentazioni internazionali JJIF (Ju Jitsu International Federation), prevede un sistema di combattimento sportivo denominato “Fighting System“ e un sistema dimostrativo denominato “Duo System“

Attualmente in Italia la diffusione del Ju Jitsu, oltre che dalla principale FIJLKAM-CONI , è portata avanti anche da organizzazioni di tipo privatistico che, oltre all’attività agonistica, studiano metodologie tradizionali o moderne derivate da scuole in auge in altre nazioni.

Note


[STORIA CONTEMPORANEA] La MORTE di BRUCE LEE

La morte di Bruce Lee è uno di quegli episodi capace di muovere la macchina che crea i miti, un episodio di caratura mondiale .

Fiumi di inchiostro sono stati consumati sulla questione, ma ancora oggi si sente ogni tipo di stupidità al riguardo.

Esistono tuttavia molti aspetti che sono rimasti oscuri e che oggi dopo una valida ricerca voglio chiarire attraverso questo articolo che per il suo contenuto offre a chi legge la chiara sequenza di avvenimenti che riguardano la sua morte.

In definitiva  questo è il risultato di un lavoro giornalistico impressionante di un famoso esperto in materia: il Maestro Pedro Conde, ma andiamo ai fatti.

Negli studi di doppiaggio di Hammer Hill, Kowloon ( Hong Kong ), si lavora sulla sonorizzazione degli ultimi rulli del film “Operazione Drago“.

L’edificio somiglia più ad un granaio che ad uno studio di registrazione, la giornata è calda, il lavoro pesante, si è scollegata l’aria condizionata per evitare i rumori di fondo.

Lo studio è, virtualmente una sauna, tutto il team è esausto e di cattivo umore per dover lavorare in condizioni simili.

I nervi sono a fior di pelle, Bruce Lee risente della fatica dei mesi precedenti, in una pausa va in bagno per rinfrescarsi, una volta lì sente un fortissimo dolore alla testa, cade a terra, ma non perde conoscenza.

Quando era a terra ho sentito dei passi, non volevo preoccupare nessuno, ho finto, ho iniziato a tastare  il pavimento come se stessi cercando qualcosa“ (commento di Bruce Lee alla moglie Linda poche ore dopo).

Si alza, sente di nuovo quel dolore pungente e cade a terra, questa volta perde completamente conoscenza

Immediatamente comincia a vomitare e ad avere convulsioni, il tecnico del suono dello studio, signor Win, dichiara quanto segue :

”Abbiamo sentito grida provenire dal piano superiore, abbiamo visto qualcuno sdraiato vicino al water, era Bruce Lee . Lo abbiamo raccolto e portato nella sala di doppiaggio, dove lo abbiamo disteso su un divano, gli tremava la bocca come se avesse un attacco di epilessia”

Un operatore corre per i corridoi fino all’ufficio di Raimond Chow, il socio di Bruce Lee. Questi manda a chiamare un medico e si dirige precipitosamente nello studio di incisione.

Bruce Lee mostrava difficoltà respiratorie ed emetteva un suono rauco dalla gola nel momento stesso in cui aveva le convulsioni”.( R. Chow).

Trasportato Bruce Lee al vicino ospedale Battista, Linda Lee si presenta alla clinica dopo pochi minuti, sono avvertiti altri tre medici, tra essi il dottor Peter Woo, in clinica Bruce Lee continua a soffrire di accessi convulsivi alternati a periodi di calma. Suda copiosamente e sembra che ogni respiro sia l’ultimo.

Gli occhi rimangono aperti ma fuori fuoco.

Poco prima delle cinque chiamarono dalla Golden Harvest portarono qualcuno dello studio che si era sentito male, apparentemente aveva qualcosa a che vedere con Bruce Lee, quando arrivarono vidi che si trattava proprio di Bruce Lee, sembrava molto grave. La sua respirazione era molto irregolare, sudava moltissimo, la sua pelle aveva un colore cadaverico, gli occhi rimanevano aperti ma fuori fuoco. Sembrava letteralmente morto” (Dott. Langford )

Per la sua grande forza fisica è quasi impossibile trattenerlo durante le convulsioni

Il personale medico si preparò per eseguire una tracheotomia, nel caso smettesse di respirare, la sua grande forza fisica rende difficile il lavoro, dal momento che è quasi impossibile trattenerlo durante le convulsioni.

Bruce continua a non reagire, il neurochirurgo nota qualcosa di strano: il cranio è troppo voluminoso.

Gli fu somministrato del Mannitolo per ridurre il gonfiore del cervello, man mano che lo facevamo, il suo stato cominciò a migliorare

Dott. Langford

Prepararono la sala operatoria nel caso il Mannitolo non faccia effetto, ma le convulsioni iniziano ad essere meno frequenti e violente, l’infiammazione si riduce nel giro di due ore  Bruce Lee  riprende i sensi.

All’inizio riusciva a muoversi poco, poi aprì gli occhi e fece dei segni, non riusciva a parlare, riconobbe sua moglie e le fece un sorriso, poco a poco recuperò la parola e, quando fu trasferito, scherzava e cominciava a ricordare quello che era successo

Dott. Langford

“Un’analisi del sangue aveva evidenziato un possibile mal funzionamento dei reni, appena potemmo muovere il paziente, lo trasferimmo all’Ospedale Santa Teresa, poiché dispone di impianti migliori.Io avevo intenzione di praticare un elettroencefalogramma e fare delle radiografie del sistema vascolare del cervello iniettandogli una sostanza radio opaca, ma il signor Lee non volle che gli facessimo questo controllo, preferì essere trasferito a Los Angeles per sottoporsi ad un approfondito esame medico

Dott. Peter Woo

Con il Dottor Woo, per la prima volta, viene alla luce il tema del consumo di cannabis da parte del Drago:

Ci disse che, mentre stava lavorando al doppiaggio aveva masticato delle foglie “hascisc” che gli avevano dato, dopo di ciò, ebbe le vertigini e iniziò ad avere nausea e a vomitare fino ad entrare in coma. Raccogliemmo un campione di quello che aveva vomitato e trovammo una quantità importante di hascisc, quindi la nostra diagnosi fu che aveva avuto un’overdose di tale sostanza o che era molto sensibile alla stessa o a qualcuno dei suoi componenti, dal momento che questa era la causa del problema che aveva avuto

Dott. Peter Woo

Secondo quanto racconta Linda, la moglie di Bruce Lee, dopo essersi ripreso Bruce Lee le dice

Mi sono sentito molto vicino alla morte… ma mi sono detto che l’avrei combattuta, ne sarei uscito, non mi sarei dato per vinto, sono sicuro che senza questa predisposizione sarei morto

Il dottor Rersbord diagnostica tale evento come: episodio convulsivo, del tipo più grave di epilessia, la cui causa è sconosciuta.

Una settimana dopo, Bruce Lee va a Los Angeles, un team di medici, guidato dal dottor David Rersbord, lo sottopone ad un’accurata esplorazione cerebrale e realizzano uno studio dei liquidi cerebrali senza trovare alcuna anomalia.

La diagnosi dei dottori fu che Bruce Lee aveva sofferto di un edema cerebrale

Questo Edema è caratterizzato da un’infiammazione anormale, dovuta all’infiltrazione di siero nella cavità cerebrale, sotto la pelle, che provoca alterazioni morfologiche e funzionali .

Può essere il risultato di un’ipertensione capillare, di un ostacolo nei (vasi) linfatici o di un aumento della permeabilità capillare.

Nel caso del “Piccolo Drago” non si trova niente di anormale nel suo organismo, anzi il dott. David Rersbord rimane sorpreso dal fisico di Bruce Lee.

A 33 anni ha un fisico e una vitalità paragonabile a quella di un ragazzo di 18 anni, i medici concludono che Bruce Lee aveva sofferto del “Grande Male“

L’epilessia è una malattia caratterizzata da crisi convulsive con perdita di conoscenza, allucinazioni sensoriali o turbe psichiche, che corrisponde allo scarico funzionale di un gruppo di cellule nervose del cervello.

Si manifesta in tre quadri clinici diversi: Grande Male, Piccolo Male ed Epilessia Parziale.

Il Grande Male è caratterizzato da crisi convulsive generalizzate insorte all’improvviso, senza preavviso. Il malato di solito, grida e cade, la crisi si sviluppa in tre fasi :

  • Fase tonica (il corpo si irrigidisce, gli occhi si socchiudono, si serrano le mandibole);
  • Fase clonica (violenti movimenti agitano il corpo e la testa in tutti i modi);
  • Fase risolutiva (coma profondo, che scompare in un quarto d’ora o meno), il malato non ricorda nulla.

Durante le crisi sono frequenti il morso alla lingua e l’incontinenza degli sfinteri, con la conseguente uscita di urina, per combattere questa malattia, il trattamento normale consiste nel prescrivere una droga che calma l’attività cerebrale.

Questo Edema è caratterizzato da un’infiammazione anormale, dovuta all’infiltrazione di siero nella cavità cerebrale, sotto la pelle, che provoca alterazioni morfologiche e funzionali .

Può essere il risultato di un’ipertensione capillare, di un ostacolo nei (vasi) linfatici o di un aumento della permeabilità capillare.

Nel caso del “ Piccolo Drago” non si trova niente di anormale nel suo organismo, anzi il dott. David Rersbord rimane sorpreso dal fisico di Bruce Lee.

A 33 anni ha un fisico e una vitalità paragonabile a quella di un ragazzo di 18 anni.


I medici concludono che Bruce Lee aveva sofferto del “Grande Male“ (Epilessia)

L’epilessia è una malattia caratterizzata da crisi convulsive con perdita di conoscenza, allucinazioni sensoriali o turbe psichiche, che corrisponde allo scarico funzionale di un gruppo di cellule nervose del cervello.

Si manifesta in tre quadri clinici diversi: Grande Male, Piccolo Male ed Epilessia Parziale. Il Grande Male è caratterizzato da crisi convulsive generalizzate insorte all’improvviso, senza preavviso. Il malato di solito, grida e cade, la crisi si sviluppa in tre fasi :

  • Fase tonica (il corpo si irrigidisce, gli occhi si socchiudono, si serrano le mandibole);
  • Fase clonica (violenti movimenti agitano il corpo e la testa in tutti i modi );
  • Fase risolutiva (coma profondo, che scompare in un quarto d’ora o meno), il malato non ricorda nulla.

Durante le crisi sono frequenti il morso alla lingua e l’incontinenza degli sfinteri, con la conseguente uscita di urina, per combattere questa malattia, il trattamento normale consiste nel prescrivere una droga che calma l’attività cerebrale.

È importante rilevare che nessuno dei suoi familiari soffrì mai di epilessia

A Bruce Lee fu prescritto Dilantino, è importante rilevare che nessuno dei suoi familiari soffrì mai di epilessia, neanche nella sua forma più benigna e nemmeno lui ne soffrì.

Attacchi simili a quelli provocati dall’epilessia possono essere causati dalla mancanza di zucchero o di ossigeno nel sangue, dall’uremia, da lesioni cerebrali che tardano a manifestarsi o da meningiti.

L’epilessia non mostra mai questi precedenti, semplicemente arriva e, anche se apparentemente è il risultato di qualcosa che va male nella chimica del cervello, non se ne conosce il motivo.

Dopo il controllo non si conoscono le cause di tale episodio clinico, alla fine di maggio la famiglia Lee ritorna ad Hong Kong, Bruce Lee torna a lavoro.

Il 20 luglio, alla 13,00 Linda deve andare a fare shopping, più tardi si accorda per mangiare con un’amica, dà un bacio a Bruce per salutarlo.

Questo le comunica che avrebbe dovuto vedersi con Raymond Chow per parlare del progetto del film “L’ultimo combattimento di Chen“ , le dice che probabilmente non sarebbe tornato per cena.

Raymond Chow venne a casa verso le 14,00 e lavorò con Bruce Lee fino alle 16,00, poi andarono a casa di Betty Ting Pei, che avrebbe avuto un ruolo importante nel film” (Linda Lee) .

Poi, i due  vanno a casa dell’attrice, poco tempo dopo Raymond Chow se ne va, alla sera hanno entrambi un appuntamento in un ristorante con l’attore Gorge Lazenby, secondo il portinaio dell’edificio di Betty Ting Pei, arrivano verso le 15:00 e Raymond Chow se ne sarebbe andato approssimativamente un’ora dopo.

Quando termina il suo turno, verso le 20:00, non vede uscire Bruce Lee

Secondo le dichiarazioni dell’attrice,  stavano parlando del film quando Bruce Lee comincia a sentirsi male, Betty Ting Pei gli offre Equagesic, un noto anegelsico che prendono migliaia di cinesi senza ricetta, qualcosa di simile all’aspirina in Occidente, e gli dice di distendersi un po’ sul letto.

Secondo una versione, verso le 21,30 Raymond Chow telefona dal ristorante, ma Betty Ting Pei gli dice che stava ancora dormendo, dopo un po Betty gli telefona dicendo che aveva tentato di svegliarlo e che gli sembrava privo di conoscenza. Chow decide di tornare all’appartamento, sono ancora recenti i fatti del 10 maggio, li trova Bruce Lee incosciente, quindi chiamano d’urgenza un dottore.

Esiste un’altra versione nel ristorante Chow riceve una chiamata da Betty Ting Pei che aveva tentato di svegliare Bruce Lee senza riuscirci, Chow, allarmato, si dirige all’appartamento dell’attrice.

In quel periodo Bruce e Betty si vedono molto spesso e già iniziavano a circolare certe voci di una possibile relazione tra di loro

Raymond Chow vuole evitare lo scandalo a ogni costo, quando arriva all’appartamento tenta di svegliare Bruce Lee, ma questi non reagisce, allora Betty chiama il dottor Eugene Chu, suo medico di famiglia.

Lo trovai sdraiato a letto, sembrava che stesse dormendo, gli feci una visita veloce, aveva le pupille molto dilatate, sembrava che il cuore non battesse, tentai di rianimarlo per almeno dieci minuti,vedendo che non reagiva, chiamai un’ambulanza. All’inizio non diedi importanza al  tempo che passava, non potevo immaginare una situazione così critica. Quando fu trasferito all’ospedale Regina Elisabetta, alle 22,30, i medici tentarono inutilmente di farlo uscire dal coma con ossigeno e massaggi cardiaci “ (Dott. Eugene Chu)

Raymond Chow chiama Linda Lee per comunicarle quello che è successo : ”mi allarmai immediatamente, erano ancora freschi nella mia memoria i fatti del 10 maggio“ . Subito si dirige direttamente all’ospedale, i due si incontrano nella sala d’attesa.

Alle 23,30 i medici danno loro la notizia: “È morto”

Pochi minuti dopo la notizia circola per le strade. Ancora oggi si mescolano diverse teorie, tutte di rimprovero verso le persone che furono con Bruce Lee nei suoi ultimi minuti di vita. Se Betty Ting Pei  avesse chiamato direttamente il dottore, forse sarebbe ancora vivo, il dottore Eugene Chu mandò l’attore al migliore ospedale, ma non al più vicino, si perse tempo prezioso .

Il fatto è che Bruce Lee morì e non ha importanza “quello che poteva essere fatto,ma non si fece“, quello che è successo è passato e non esiste la possibilità di cambiarlo.

Il Re delle Arti Marziali è morto

La notizia si accese come un rigoletto di polvere da sparo, “Il re delle Arti Marziali è morto“ Bruce Lee aveva cambiato l’immagine del popolo cinese nel mondo, era una celebrità in tutto il sud-est asiatico, quindi non fu strano che suscitasse tante aspettative tra i giornalisti  e che tutti tentassero di ricavare più informazioni possibili.

Note


[ARTI MARZIALI] Karate Buyo, le danze marziali di Hiroko Ogido

I parallelismi tra il Karate e alcune danze tradizionali di Okinawa, come accadde nell’antico Kobudo, servirono allo scopo della perpetuazione delle arti in determinate epoche, frutto della mescolanza di quelle danze con il Karate e con il Kobudo.

L’esperta Hiroko Ogido diede vita in seguito a quello che si chiamò Karate Buyo

Molti esperti sono giunti a capire, naturalmente, che le danze tradizionali di Okinawa contengono tecniche di Karate, oltre ad un ovvio utilizzo di armi come il bo, nunchaku, sai, eku, tonfa.

È un tema molto interessante e che, senza dubbio, fa parte della cultura contenuta nelle tradizionali Arti Marziali giapponesi, quella cultura che ancora oggi si conserva.

La maggiore rappresentante attuale di questa mescolanza di Karate e Danza chiamata Karate Buyo è senza dubbio Hiroko Ogido, una veterana allieva di Karate e Kobudo del Gran Maestro Shinpo Matayashi, forse molti conoscono Hiroko attraverso il documentario del National Geographic Channel, dove Hiroko Sensei appariva mostrando la sua Arte di Karate e Danza.

Il fatto che Hiroko Sensei fosse stata allieva del Maestro Masauoshi e che dalla morte di questi nel 1997, si fosse incaricata lei del Dojo del Maestro, gli dette la possibilità di coltivare e perfezionare quest’arte.

Hiroko Ogido è una donna matura molto dinamica, si muove molto ed è molto interessata alla divulgazione di quest’Arte, la sua missione ideale è aiutare il più debole e che il suo Karate Buyo deve migliorare il carattere dei suoi praticanti, enfatizza il fatto che non è uno sport e che si tratta di preservare l’arte tradizionale.

Racconta che le danze antiche tradizionali di Okinawa si chiamano Odoro, la loro fusione con il Karate e il Kobudo forma la nuova arte da lei creata

In realtà quest’arte ha una storia recente , poiché non nasce in quanto tale prima degli anni 50  anche se, logicamente, le sue origini risalgono a secoli fa.

La bellezza dell’arte di Ogido Sensei risiede nelle emozioni contenute che in modo sottile ed elegante affiorano attraverso i movimenti di Danza e Karate , il potere dei suoi movimenti, non esenti del Kime del karateka, è forse progettato specificatamente per le donne, manifestando una grazia particolare attraverso la danza.

È difficile che le donne penetrino in un mondo di uomini, ma Ogido rifiuta di pensare che sia perché non sono all’altezza, poiché altrimenti sarebbero perdute, non bisogna nemmeno dimenticare che questo è il Giappone e che qui, storicamente, la donna è stata rispettata in quanto tale, ma attribuendole compiti molto concreti e molto diversi da quelli dell’uomo, ma forse le differenze sono da apprezzare in alcuni casi, poiché la grazia di una donna è degna di essere vista, non dimentichiamo che nell’antichità gli originali kata potevano benissimo essere danze in onore degli dei.

La mitologia giapponese ci insegna che quando la dea Amaterasu si rifugiò nell’antro della Grotta Celeste lasciando il mondo nella penombra , le danze che fecero i paesani all’ingresso, risvegliarono la sua curiosità e la fecero uscire

Danze che, a quanto pare, avevano qualcosa di simile al kata Rohai del Karate, ma questa è un’altra storia, la cosa certa è che la danza Okinawese, e la sua in parte fusione con il Karate, ha fatto parte della cultura Okinawese da sempre, cosa che la rende un interessante argomento di conoscenza, storicamente, come il Kobudo, permise di utilizzare in allenamento come armi gli utensili da lavoro della vita quotidiana, rendendo così l’arte marziale una pratica segreta, clandestina, dissimulata, in modo simile, anche se con le sue evidenti differenze, anche la danza apportava questa possibilità alla Capoeira Brasiliana.

Nel documento della BBC inglese che a metà degli anni 80 mostrava la vita di Hiroko Ogido offre sul tatami ogni tipo di spiegazione su quello che fa, per prima cosa si osserva kata di bo realizzati da una bambina di appena 5 anni, poi Ogido fa vedere varie dimostrazioni di Karate Buyo.

Le danze okinawesi, come se volessero mostrare il significato del Karate, sono dure e morbide allo stesso tempo

Definendo così quasi l’originale Goju Ryu (duro e flessibile), le posizioni, gli spostamenti, la coordinazione con i movimenti di mano, la posizione della schiena, la distribuzione del peso ecc… sono attentamente vigilati in entrambe le arti.

Ma ci sono altre curiosità di kata di Karate che provengono dalle danze okinawesi, alcuni dei suoi caratteristici kamae (guardie) e varie forme speciali di spostamento sono alcune di queste, in stili okinawesi di karate, spostamenti di kata come per esempio Seishan, si realizzano iniziandoli sui bordi esterni dei piedi e non piantando contemporaneamente tutta la loro superficie.

Questa forma caratteristica che negli stili giapponesi in seguito si è in parte perduta (anche se alcuni la mantengono nel nostro Wado Ryu come l’ha insegnata Ohtsuka Sensei), proviene nella realtà dalla danza e si chiama Sansoku, la speciale collocazione delle caviglie durante lo spostamento, apporta una posizione più favorevole all’articolazione e le da un’azione furtiva.

Si dice che Funakoshi Yoshitaka e altri suoi contemporanei si allenassero in modo così intenso negli spostamenti del Karate (con potenti pestoni a volte fuori luogo) che Gichin dovette far loro vedere che non si trattava di rompere le tavole del tatami ma, al contrario, di essere capaci di spostarsi sopra la carta bagnata senza romperla.

Il dualismo forza e morbidezza, potenza e leggerezza, è sempre esistito nella tecnica del Karate, facendo acquistare alla danza okinawese importanza vitale

Apportando la sottigliezza alla rudezza teorica del Karate, l’eleganza e il controllo necessari per elevare la tecnica alla categoria di arte, facendo un confronto con l’arte della tauromachia, potremmo dire che, così come in questa, non si tratta unicamente di eludere gli attacchi del toro, ma di farlo con eleganza, tecnica e cultura, anche la tecnica del Karate è molto di più di un semplice scambio di legnate.

Le danze di Hiroko Sensei includono non solo tecniche a mani nude ma anche con armi come nunchaku, sai, bo, i vistosi abiti che Ogido indossa nelle sue dimostrazioni, nel più puro stile okinawese, non tralasciano i tradizionali gi e hakama del Karate e del Kobudo, ma la forza di Ogido Sensei non la allontana dalla simpatia che sprigiona.

Note


Taiji Kase: Il X dan Maestro karate Shotokan

Taiji Kase è stato un Karateka e maestro di Karate giapponese

Fu uno dei maestri più preparati e più conosciuti nell’ambito del Karate, considerato come uno dei combattenti migliori ed esecutori di Kata grazie alla sua abilità tecnica, alla sua esplosiva velocità e alla sua potenza.

Nel 2000 gli fu conferito il grado di 10° Dan, a conferma del suo immenso valore

Inizia la pratica delle arti marziali a soli sei anni, il maestro Kase tuttavia, non inizia con la pratica del Karate, ma con lo judo, è all’età di quindici anni che inizia a praticare il Karate alla scuola Shotokan di Tokio.

È stato allievo diretto dei Maestri Gichin e Yoshitaka Funakoshi fa la sua comparsa sulla scena Europea nel 1965, inviato con altri giovani Maestri nel continente dalla Japan Karate Association e da quel momento, se si escludono i brevi periodi del soggiorno Belga, è sempre vissuto a Parigi.

In Europa viene subito apprezzato per le qualità sia umane che prettamente tecniche.

Ciò che sorprendeva in lui era l’atteggiamento pacato e la disponibilità che dimostrava in ogni occasione con i suoi allievi, sia che si trattasse di campioni di alto grado o semplici cinture nere.


Nasce il 9 febbraio 1929 a Chiba, in Giappone, e inizia la pratica delle arti marziali a soli sei anni. Il maestro Kase tuttavia, non inizia con la pratica del Karate, ma con lo Jūdō.

È all’età di quindici anni che inizia a praticare il Karate alla scuola Shotokan di Tokyo. È stato allievo diretto dei maestri Gichin e Yoshitaka Funakoshi.

Il maestro Kase fa la sua comparsa sulla scena europea nel 1965.

Fu inviato con altri giovani maestri nel continente dalla Japan Karate Association. Da quel momento, se si escludono i brevi periodi del soggiorno belga, è sempre vissuto a Parigi.

In Europa viene subito apprezzato per le qualità sia umane che prettamente tecniche

Ciò che sorprendeva in lui era l’atteggiamento pacato e la disponibilità che dimostrava in ogni occasione con i suoi allievi. Sia che si trattasse di campioni di alto grado o “semplici” cinture nere.

La caratteristica principale del suo insegnamento è quella di separare completamente la pratica sportiva dal Karate-dō.

Il Karate-dō è una via, un percorso di formazione e crescita che il maestro Kase intendeva insegnare secondo i precetti del suo maestro e fondatore del Karate Gichin Funakoshi. Era l’incarnazione dello spirito del Karate-dō al quale ha dedicato tutta la sua vita e tutto sé stesso.

Nel 1989 fonda la W.K.S.A. (World Karate Shotokan Academy) oggi S.R.K.H.I.A. (Shotokan Ryu Kase Ha Instructor Academy), l’Accademia che si propone di unire praticanti di diversi paesi che seguendo il suo programma di insegnamento si impegnano a diffondere la vera essenza del Karate-dō Shotokan.

Era di casa anche in Italia, invitato spesso dal maestro Hiroshi Shirai per condurre al suo fianco stage e seminari.

Tutti gli appassionati ricordano le dimostrazioni dei grandi maestri giapponesi al Palalido di Milano, nelle quali il Maestro Taiji Kase era sempre fra le più acclamate punte di diamante.

Durante la permanenza in Francia, ha scritto vari libri sulle arti marziali, tra i quali 5 Heian:

  • Katas, Karaté, Shotokan (1974);
  • 18 kata supérieurs: Karate-dô Shôtôkan Ryû (1982);
  • Karaté-dô kata: 5-Heian, 2-Tekki (1983).

Per i suoi atleti è l’espressione più alta del Karate Tradizionale

Sono la rettitudine del suo comportamento, la sua lealtà e la profonda umanità che erano proprie di questo grande Sensei che lo fanno apprezzare da tutti i praticanti di Karate e non solo. Al di là dei diversi stili e delle singole federazioni.

Note


[COMBATTIMENTO] L’evoluzione storica del Jujitsu

L’inizio della codificazione delle forme di lotta a mani nude, come il Chikara Kurabe (la prova di forza), o del Bu Jutsu (l’arte del combattimento), non ha in Giappone una data certa.

È evidente che il suo sviluppo fu, come purtroppo in ogni altra parte del mondo, legato all’accrescimento delle necessità belliche, sia d’offesa che di difesa, del popolo stesso.

Nel corso dei secoli si è avuta dunque un’evoluzione di queste arti di combattimento e un loro affinamento dal punto di vista tecnico, con un’interdipendenza molto forte e tipicamente orientale dall’aspetto etico, religioso e filosofico.

Questa molteplicità di nozioni tecniche e di regole di vita ha portato sin dall’origine ad una codificazione necessaria per poter essere tramandata nel tempo; nell’epoca feudale, per tutto il periodo del Medioevo giapponese, sino al decreto imperiale del 1876 che privava i Samurai del diritto di portare la katana e il Wakizashi.

La definizione del Jujitsu si attribuiva genericamente alla forma di combattimento a mani nude ed in alcuni casi con armi

Essa era praticata all’interno di una moltitudine di Ryu (le scuole di arti marziali) disseminate per il Giappone.

Le scuole di arti marziali studiavano e tramandavano dal fondatore del Ryu (il Shodai o Soke) e successivamente dal Maestro del Ryu (il Sensei).

Al discepolo migliore della scuola il Libro o Documento Segreto (il Densho) del Ryu, che racchiudeva le spiegazioni delle tecniche segrete di combattimento lasciate in eredità dagli antichi Bushi (i guerrieri).

Il contenuto di questo libro poteva essere reso noto dal Soke solo agli adepti della scuola, era gelosamente custodito dal clan, anche a costo della vita dei suoi appartenenti e aveva diversi livelli di divulgazione anche all’interno del Ryu stesso.

I discepoli più fidati potevano accedere agli Okuden (i segreti) più reconditi, mentre gli altri allievi avevano accesso all’Omote (la parte più semplice e superficiale delle nozioni).

Frequentemente il Juko Gashira era il figlio dello Shodai o del Sensei e prendeva in conseguenza di ciò il titolo di Waka Sensei (Giovane Maestro).

I metodi di combattimento dei vari Ryu erano molteplici e davano la possibilità ai seguaci della scuola di specializzarsi nelle tecniche di Toshunobu (difesa a mani nude con aggressore disarmato), in quelle di Bukinobu (difesa a mani nude con aggressore armato) o nel Bugei (l’arte del combattimento con le armi).

Vi erano anche ulteriori distinzioni all’interno di ogni Ryu e delle suddivisioni in branche dette Ha che generavano altri Cryugi (stili di pratica).

Ogni Ryu professava la sua invincibilità nel combattimento e non era raro che i vari clan si sfidassero in incontri detti Dojo Arashi (la tempesta che si abbatte dove si studia il metodo)

Tutti i praticanti di un Ryu si recavano presso un altro Ryu rivale con il loro Sensei e si battevano per saggiare l’efficacia del proprio stile, il Ryu sconfitto era così disonorato ed i suoi adepti lo abbandonavano per seguire quello del vincitore.

La codificazione più antica di una forma di combattimento in Giappone riguarda il Sumo, la tradizionale lotta legata ai riti dello Shinto (la religione priva di divinità superiori che venera i principi della natura come Il sole, la terra , la pietra, le piante etc), ma nell’epoca Kamakura (1115 – 1333) i Bushi rielaborarono delle tecniche di combattimento senza armi efficaci anche contro un’avversario che ne fosse stato provvisto, derivanti dall’antica arte del Kumi Uchi (tecnica del contatto, dell’afferrare per iniziare il combattimento) e dal Tai Jutsu (l’arte del corpo), di cui non di hanno notizie certe, che presero appunto la denominazione di Jujitsu.

In pratica il jujitsu serviva al Bushi o meglio al Samurai per giungere all’annientamento fisico dell’avversario e spesso alla sua morte senza l’uso delle armi

Questo metodo di combattimento si aggiungeva a quelli riguardanti le armi specifiche, tra cui il Ken Jutsu (l’arte della sciabola) che prese ad avere una parte predominante nell’addestramento dei Bushi e dei Samurai in partire dal X secolo.

Pur avendo come bagaglio tecnico il Kyuba no michi (l’arte del tiro con l’arco e dell’equitazione), i Ryusha nei vari Ryu avevano un addestramento specifico in qualche forma particolare di combattimento che veniva contraddistinto da varie denominazioni e traeva origine molto spesso dall’abilità del Soke in quello specifico stile.

Note


Se il cuore va in stand-by la RIANIMAZIONE cardiopolmonare SALVA LA VITA

La rianimazione cardiopolmonare salva la vita

L’arresto cardiaco è il più importante problema sanitario in Europa, se i testimoni di un arresto cardiaco iniziano la rianimazione cardiopolmonare prima dell’arrivo dell’ambulanza, la possibilità di sopravvivenza della vittima aumentano di due/tre volte rispetto ai casi in cui la RCP non viene iniziata.

Nel 70% dei casi l’arresto cardiaco è testimoniato da qualcuno che può iniziare la rianimazione, tuttavia in Europa la RCP viene iniziata dai testimoni dell’arresto cardiaco soltanto nel 15% dei casi.

Se riuscissimo ad aumentare la percentuale dal 15% al 50-60% dei casi, potremmo salvare circa 100.000 persone all’anno.

Prof. Bernd Bottiger, Past President, European Resuscitation Council

Seguendo la cronaca di tutti i giorni, sempre più spesso questo killer silenzioso miete vittime senza distinzione di sesso, età e professione, si è chiesto di dotare le società sportive e non, di dotarsi di defibrillatori e corsi BLS, ma voglio affrontare nel dettaglio questo problema sperando che possa essere utile a coloro  che ancora lo sottovalutano.

L’ARRESTO CARDIACO IMPROVVISO

E’ una delle principali cause di decesso nei paesi industrializzati, in Europa, ogni giorno, il numero delle vittime è pari al totale dei passeggeri di due Jumbo, in Italia sono colpiti da arresto cardiaco circa 60.000 individui ogni anno.

Si tratta di un evento che frequentemente si manifesta in ambiente extraospedaliero

Poiché, ai fini della sopravvivenza e del recupero completo dello stato clinico precedente l’evento, è importante la tempestività della rianimazione cardiopolmonare (RCP), intervenire nell’immediatezza aumenta la possibilità di un buon esito. In genere, l’intervallo di tempo che intercorre tra la chiamata al servizio di emergenza medico (EMS) e l’arrivo del personale di soccorso è superiore a 5 minuti, dunque, ottenere alte percentuali di successo dipende dalla presenza di qualcuno addestrato alla RCP e da un programma di accesso alla defibrillazione.

Nella maggior parte dei casi la vittima di arresto cardiaco improvviso, presenta fibrillazione ventricolare (FV), in questo caso si rende necessaria una cardioversione tramite defibrillatore, più propriamente una defibrillazione che ha maggiori possibilità di successo se effettuata entro i primi 5 minuti dalla perdita di coscienza.

La defibrillazione si esegue mediante l’uso di un apparecchio, il defibrillatore elettrico semiautomatico (DAE), in grado di erogare una scarica elettrica, tramite l’impianto di due elettrodi o piastre applicate al torace dell’infartuato, allo scopo di ripristinare il ritmo sinusale.

Per chiarire cosa sia un ritmo sinusale, diciamo che l’impulso che determina la contrazione del cuore e genera il ritmo sinusale origina da un tessuto specializzato, posto all’interno del muscolo cardiaco e che ha la proprietà di produrre e propagare gli stimoli.

Il cuore è formato da quattro cavità: due atri e due ventricoli, durante il ciclo cardiaco il sangue affluisce negli atri per l’intero periodo del ciclo ad eccezione del periodo della sistole atriale (contrazione atri).

Il riempimento dei ventricoli avviene durante tutto il ciclo tranne durante le sistole ventricolare (contrazione dei ventricoli), dopo la sistole si ha la diastole sia atriale che ventricolare (rilasciamento), il ciclo cardiaco fa si che il miocardio eserciti funzione di propulsore della corrente ematica, quindi all’arresto cardiaco si accompagna sempre arresto di circolo ematico (arresto cardiocircolatorio).

L’arresto cardiaco si può verificare secondo tre modalità:

  • Arresto per asistolia (arresto in diastole), il miocardio cede improvvisamente e si ha la cessazione dell’attività contrattile, il cuore diventa molle, flaccido e privo di tono.
  • Arresto per fibrillazione ventricolare , corrisponde a quella “contrazione anarchica “ già descritta delle fibre miocardiche, inadeguata a produrre una contrazione cardiaca, secondo una descrizione poco elegante, si possono paragonare a una massa di spaghetti che si muovono.
  • Arresto cardiaco per cuore inefficace, rappresenta tutte quelle forme di arresto conseguenti a esiti di malattie che hanno determinato una prolungata sofferenza del miocardio.

La RCP in ambiente extra ospedaliero può essere praticata da personale sanitario qualificato ma può essere avviata anche da personale “laico”, purché sufficientemente istruito sulle tecniche di rianimazione cardiopolmonare di base, in attesa dell’intervento di un operatore sanitario che possa praticare una rianimazione cardiopolmonare avanzata (ACLS).

Migliori risultati di RCP praticata da soccorritori non professionisti si ottengono grazie ad un adeguato addestramento del personale reclutato

Per esempio, tra corpo di polizia o vigili del fuoco e con la presenza di defibrillatori esterni ed automatici (DAE), di cui è opportuno siano dotati ambienti come aeroporti, centri commerciali, sportivi o stadi.

È importante sapere quando iniziare o sospendere la rianimazione cardio-polmonare, in presenza di arresto cardiaco, una valutazione attenta della prognosi del paziente da parte dell’operatore sanitario,sia riguardo alla durata che alla qualità della vita possibili grazie all’intervento di rianimazione, consentirà di decidere se l’esecuzione della RCP sia appropriata o meno, in questo senso, riveste grande importanza la presenza di testimoni che hanno assistito all’evento o di coloro che conoscono la situazione clinica del paziente.

Se il trattamento medico non è atto a raggiungere un obiettivo volto all’allungamento della vita o al miglioramento della sua qualità, deve essere considerato inutile,mettere in atto una RCP è inutile, ovviamente, in presenza di segni di morte irreversibile o quando non vi sono benefici prevedibili, come nel caso di pazienti con malattie allo stadio terminale.

Dunque, quando il paziente presenta segni di morte inequivocabile, come rigor mortis, decapitazione, decomposizione o chiazze ipostatiche, oppure quando è prevedibile che non vi sarà alcun beneficio a causa del deterioramento delle funzioni vitali in atto, per esempio in pazienti neoplastici terminali, non si darà inizio alla rianimazione.

Si sospende la rianimazione cardiopolmonare una volta ottenuto il ripristino di una ventilazione efficace e spontanea o per trasferirne la gestione ad un operatore qualificato

Il trattamento però deve essere interrotto anche nel caso di: esaurimento delle forze fisiche del soccorritore, in presenza di fattori ambientali che mettano in pericolo la presenza stessa del soccorritore o quando intervengano segni di morte irreversibile.

Tutte le fasi della RCP sono importanti quanto quella dello shock elettrico attuata con il defibrillatore: una rianimazione con compressioni toraciche efficaci, che garantiscano un adeguato apporto di sangue alle coronarie ed al cervello, può raddoppiare o triplicare la probabilità di sopravvivenza e ridurre gli esiti di un arresto circolatorio.

Peraltro, sia in soggetti adulti che nei bambini, oltre all’arresto cardiaco improvviso ed alla fibrillazione ventricolare, un certo numero di decessi presenta un meccanismo di asfissia.

Avviene nell’annegamento ed anche nell’overdose da droghe, quello osservato nella maggior parte dei bambini, ad esempio, è l’arresto cardiaco conseguente ad asfissia per rigurgito o inalazione di corpi estranei, situazione in cui, in associazione al massaggio cardiaco, è necessario procedere alla ventilazione oltre alla messa in atto di manovre per la rimozione di eventuali corpi estranei dalle vie aeree.

Per procedere alla rianimazione e mettere in atto tutte le manovre necessarie, innanzi tutto chi soccorre si accerta di operare in situazione di sicurezza personale, l’esecuzione delle manovre rianimatorie, varia a seconda del numero dei soccorritori addestrati e presenti: uno o più soccorritori devono rimanere con il paziente ed iniziare la rianimazione cardiopolmonare, mentre un’ altro telefona al servizio di emergenza e rintraccia un defibrillatore automatico esterno (DAE).

Nel caso di un solo soccorritore, con un adulto privo di coscienza, deve prima di tutto attivare il servizio d’emergenza

Quindi raggiungere il DAE, se disponibile, poi tornare presso la vittima ed iniziare la rianimazione cardiopolmonare e la successiva defibrillazione.

Se l’arresto cardiaco è conseguente ad asfissia, come nell’annegamento, ancora prima di attivare il servizio d’emergenza si procede all’esecuzione di 5 cicli di rianimazione cardiopolmonare, il soccorritore dopo essersi assicurato che l’ambiente è sicuro, valuta lo stato di coscienza del paziente, toccandogli la spalla e chiedendogli “mi sente? Come va?” se la vittima risponde, si telefona al servizio d’emergenza e poi si torna rapidamente a rivalutarne, per quanto possibile, le condizioni.

Se la vittima è priva di coscienza, nessun movimento e nessuna risposta agli stimoli, il soccorritore attiva il servizio d’emergenza, prende il defibrillatore, se disponibile, quindi inizia a praticare la rianimazione cardiopolmonare, con la defibrillazione se necessaria.

Se sono presenti due soccorritori, uno attiva il servizio d’emergenza l’altro inizia la rianimazione cardiopolmonare. Vorrei anche dare un’indicazione sulla

RIANIMAZIONE: LA TECNICA

È chiaro che conoscere la tecnica di primo soccorso ed essere in grado di praticarla è fondamentale, chiunque può farlo frequentando un corso di formazione per soccorritori dove apprendere la tecnica del Basic Life  Support (BLS), il sostegno di base alle funzioni vitali, che comprende la rianimazione cardiopolmonare (RCP) ed una sequenza di azioni di supporto di base alle funzioni vitali appunto, lo standard progressivo dei corsi per soccorritori è costituito dalla BLS/D che al protocollo BLS affianca la procedura di defibrillazione.

L’intervento con la tecnica del BLSha lo scopo di mantenere ossigenati il cuore e cervello, organi purtroppo sensibilissimi all’anossia, la mancanza di ossigeno

La vittima deve essere supino su una superficie rigida, iperestensione del capo e il sollevamento del mento (head tilt chin lift) permettono di aprire le vie aeree, ovviamente si tratta di pazienti per i quali è escluso un trauma della colonna cervicale, i politraumatizzati debbono essere trattati con protocolli differenti.

Mantenendo pervie le vie aeree, si valuta il respiro, se non valido si procede a due ventilazioni, ognuna di un secondo, insufflando nei polmoni un volume d’aria sufficiente a produrre una espansione visibile del torace, quindi si inizia il massaggio cardiaco esterno (MCE), con trenta compressioni del torace in regione precordiale, per riattivare un flusso ematico sia attraverso l’aumento della pressione intratoracica, sia attraverso la compressione diretta del cuore.

Il soccorritore è inginocchiato accanto al paziente e procede alla compressione al centro del torace, sulla metà inferiore dello sterno, tra i capezzoli, posizionando il calcagno della mano sullo sterno, ed il calcagno della seconda mano sulla prima, con mani sovrapposte e parallele.

Perché siano efficaci le compressioni debbono essere forti e veloci: in un adulto lo sterno deve essere abbassato di circa 4-5 cm, permettendo al torace di rispandersi completamente dopo ogni compressione, in presenza di un DAE si procede alla defibrillazione, se necessario, ed i cicli di RCP si ripetono fino a quando il paziente non riprende a muoversi nell’attesa che arrivino gli operatori del servizio di emergenza.

Note


Morio Higahonna, il Gran maestro ed eterno allievo

Il 5 settembre 2007, il Maestro Anichi Miyagi concesse a Morio Higaonna il 10° dan di Karate, con il beneplacito di Shuichi Arakaki.

Morio nacque a Naha il giorno 25 Dicembre del 1938

Cominciò a praticare il Karate a 13 anni con suo padre, un poliziotto okinawense praticante di Shoin Ryu,.

Un paio di anni più tardi si allena sotto la guida di un allievo del Maestro Chojun Miyagi, il quale però lo incoraggia a praticare il Goju Ryu ed entra così nel Dojo del Maestro Anichi Miyagi, dove in realtà ad impartire le lezioni era proprio il Maestro Chojun.

Nonostante non fosse conosciuto come Maestro, la tecnica di Anichi era molto pura rispetto a quella di Chojun Miyagi.

Kina Sensei normalmente diceva che i movimenti di mano di Anichi erano molto simili a quelli di Chojun Miyagi e che le sue espressioni e il suo modo di parlare erano esattamente uguali,

Lui era molto preciso nei suoi movimenti, per questo motivo il suo Karate era molto puro in relazione a quello che aveva imparato da Chojun.

Li Morio Higaonna perfezionò la sua tecnica e strinse il legame ancor di più con Anichi Miyagi.


Racconta Morio:

Arrivavo al Dojo verso le 07:00 ed entravo come tutti dal retro.

Normalmente arrivavo per primo e dopo aver salutato la moglie di Chojun Miyagi, mi mettevo a lavorare  mi cambiavo i vestiti e mi mettevo a pulire il Dojo.

Scopavo e lo inumidivo leggermente, per evitare scivoloni durante l’allenamento, quindi tiravo fuori gli attrezzi per l’allenamento che conservavamo dentro riempivo le anfore d’acqua.

Nel giardino del dojo di Chojun, la moglie si incaricava di riscuotere le quote, ma non passò molto tempo che la quota di Morio venne eliminata, come premio dei suoi sforzi, della sua costanza e dei suoi progressi.

Mia madre pagava la mia quota mensile nel Dojo, ma dopo alcuni mesi Myazato Sensei, vedendomi allenare con serietà e duramente, non volle che pagassi più.

Quando portai il denaro a mia madre, lei mi rimandò di nuovo a pagare, ma Myazato non accettò, decisi allora di partecipare di più all’attività del Dojo, insegnando ai nuovi, pulendo ecc…

A volte, Anichi Sensei veniva a casa mia di domenica, affinché se potevo, andassi con lui a casa di Chojun Miyagi, per riparare il makiwara, pulire o qualunque altra cosa fosse necessaria.

Anichi dedicava tutto il tempo libero al dojo del Sensei Chojun Sensei.

“Quando finivamo, la moglie di Chojun normalmente ci dava una tazza di tee e qualche pasticcino, e quando ce ne andavamo ci dava delle borse di arance affinché le portassimo a casa nostra“


Chojun Miyagi muore nel 1953. Sono anni molto difficili per Higaonna Sensei

Chojun Miyagi muore nel 1953, sono anni molto difficili per Higaonna Sensei, perchè deve lavorare su vari fronti, senza trascurare la sua pratica personale.

Nel 1959 Anichi ha bisogno di denaro per mantenere la sua famiglia e si arruola nella marina mercantile.

Assunto da una compagnia petrolifera, Morio perde per il momento il suo quotidiano insegnamento e ad esempio,egli stesso racconta:

Quando Anichi entrò nella Marina Mercantile, logicamente lasciai il Dojo, non mi sentivo più a mio agio, inoltre me ne andai a Tokyo per studiare all’università ed insegnare il Karate, poiché lì c’era uno dei miei compagni, che sostituii nelle lezioni quando lui se ne andò via. Fu un periodo in cui mi allenavo ed insegnavo tutto il giorno, fu un bel periodo!

L’arrivo a Tokyo

Nel 1960 Morio si trasferisce a Tokyo per entrare all’università, recandosi ad Okinawa un paio di volte all’anno come minimo, il che gli permise di non staccarsi dal Karate della piccola isola.

Molto presto inizia ad impartire lezioni di Karate a Takushoku che era un’università con un importante club di Karate Shotokan.

In effetti, a causa di un tremendo scontro in cui uno dei suoi membri si era visto coinvolto, l’università aveva proibito il Karate.

Ciò diede l’opportunità a Morio di iniziare nuove lezioni di Karate, questa volta di Goju Ryu

Poco dopo essersi stabilito nella sua nuova dimora, ed ebbe un gran successo.

Il 30 dicembre 1960 si fecero i primi esami multi-stile di passaggio di Dan ad Okinawa.

I principali istruttori furono promossi 5° Dan, ma M° Morio era contrario ai gradi, pensava che non portassero altro che problemi.

Dopo la laurea in economia Morio inizia ad impartire lezioni di Karate in altre università della capitale del Giappone, e la sua fama crebbe ancor di più.

Questa sua fama gli creò non pochi nemici nell’ambito del Karate

Uno con cui ebbe a che fare per diversi anni fu Eichi Miyazat.

Morio gli chiese anche la collaborazione per mettere fine alle diatribe, ma Eichi rifiutò accusando Morio di tentare di cambiare la storia del Goju Ryu attraverso un suo libro.

La partenza da Tokyo negli Stati Uniti per motivi economici

Giudicando impossibile vivere di solo Karate, Morio si trasferì negli Stati Uniti. Non ci resistette per molto, e tornò ad Okinawa per poter continuare ad apprendere il Karate.

Considerandosi non un Maestro, ma un allievo pronto ad imparare tutto ciò che altri Maestri potessero insegnarli, ancora insegna ed impara.

Il suo Kata preferito è Seishan, continua ad insegnare in un Dojo tipico Okinawense, piccolo, di legno, con un’entrata diretta dalla strada, senza ornamenti, ma solo ricordi.

Note


Il KAMAE (構え): la corretta POSIZIONE di un ARTISTA MARZIALE

Questa parola di origine Giapponese che significa posizione è senza dubbio l’inizio e la fine di ogni tecnica che viene eseguita nelle arti marziali classiche

Kamae: La forma corretta

Questa parola di origine Giapponese che significa “Postura” è senza dubbio l’inizio e la fine di ogni tecnica che viene eseguita nelle arti marziali classiche, nel momento in cui respiriamo ed esaliamo anidride carbonica all’esterno del nostro organismo, la postura sarà senza dubbio il tramite di una traiettoria di successo o sconfitta.

Osservando la posizione corporale si possono scorgere in maniera lampante alcune interpretazioni: l’individuazione di tratti della personalità, la descrizione di alcune malattie e l’identificazione di stati emozionale.

Osservando il KI come un’energia continua che interagisce con tutto questo universo interiore, non è una novità che i dolori siano i risultati di un malessere situato nel lato opposto del nostro corpo.

Per rendere l’idea, una spalla dolorante può essere il risultato di una distorsione della caviglia avvenuta anni addietro, apparentemente una cosa non ha niente a che vedere con l’altra, ma in realtà, quando qualcuno zoppica a causa di una distorsione,finisce per deviare l’anca irrigidendo la spalla.

Quando il problema scompare, è possibile che l’anca, la colonna e le spalle continuino ad avere la posizione sbagliata.

In relazione alla linea di gravità del corpo, i muscoli posturali sono quasi tutti posizionati posteriormente, in congiunzione dalla nuca discendono fino alle dita del piede, dove garantiscono il nostro equilibrio, i muscoli situati davanti alla colonna sono i più deboli.

Nell’addome si trovano gli addominali che potenziano movimenti quali: piegare, girare,ed alzare, alleviando la tensione alla base della schiena e sostenendo gli organi interni.

La posizione corporale eretta (in movimento o ferma) si ottiene mediante l’equilibrio tra le forze che agiscono nel centro di gravità

Spingendo il corpo verso terra, e la forza dei muscoli antigravitazionali che fanno lo sforzo nel senso contrario.

Se quei muscoli cedessero, il corpo si piegherebbe, per effetto della forza di gravità, il fatto che i nostri muscoli siano organizzati come una catena, ci obbliga a considerare la meccanica corporale in maniera complessiva e simultanea, coloro che tengono il petto in fuori e la spalle parallele, sono in genere persone coraggiose, decise ed energetiche, quando si presentano così stanno dicendo chiaramente “sono pronto e non ho paura”.

La posizione del collo è determinata dai piedi, dalle ginocchia, l’asse corporale e l’equilibrio del bacino con le spalle, il collo deve essere allineato con la colonna, non deve cadere in avanti e tanto meno all’indietro, ma essere perfettamente equilibrato all’interno dell’asse corporale, se il collo fosse allungato verso l’alto, anche il tratto laringeo dovrebbe esserlo, costringendoci a lavorare in condizioni precarie, se fosse schiacciato sul petto, rimarrebbe parimenti imprigionato e senza possibilità di realizzare i suoi caratteristici movimenti.

Se a livello di massimo allungamento le articolazioni sono molto tese, è molto probabile che l’allievo incontri dei problemi nell’esecuzione dei movimenti, pertanto risulta fondamentale eseguire quotidianamente il rilassamento delle articolazioni e dei muscoli.

Un tipo di esercizio che può essere eseguito, indipendentemente dall’analisi, è la liberazione delle articolazioni con movimenti rotatori lenti

Partendo dal collo, spalle, braccia, fino alla vita, ginocchia e caviglie, la respirazione è alla base di tutta la tecnica della spada e della resistenza del praticante, l’aria, entrando per il naso, subisce un processo di riscaldamento dovuto ad una grande concentrazione di vasi sanguigni ivi localizzati e che si modificano secondo la mutazione climatica esterna.

Quando la temperatura esterna è bassa, i vasi sanguigni che irrigano la regione si contraggono, assicurando la circolazione sanguigna per più tempo, dando la sensazione che il naso all’interno sia gonfio, con questo procedimento, la cavità nasale rimane molto più calda, è come una stufa che continua a permettere che l’aria passando attraverso il naso, possa ricevere il giusto riscaldamento per il buon funzionamento dell’organo.

Tuttavia, se il giorno è caldo, i vasi sanguigni permetteranno una circolazione più attiva, come se il naso fosse più ampio, tale regolazione calorica lavora molto a beneficio del cantante che deve solo permettere l’entrata buco- nasale di aria in ambienti chiusi.

Quando è all’aperto, l’entrata di aria deve essere fatta attraverso il naso, soprattutto se fa freddo, evitando il più possibile che l’aria gelata danneggi la mucosa della laringe.

Il diaframma è un grande muscolo a forma di cupola, con una concavità inferiore, che separa la cavità toracica da quella addominale, quando inspiriamo, il diaframma si colloca verso il basso, diminuendo la cavità addominale e ampliando così la cavità toracica, i muscoli intercostali invece dilatano le costole, promuovendo una compressione negativa nei confronti dell’ambiente, introducendo l’aria all’interno dei polmoni, una buona respirazione è fondamentale per l’assorbimento del KI.

Tutto il processo respiratorio influenza l’allenamento in maniera diretta, in questo caso, è importante evidenziare che la percezione è strettamente correlata alla concentrazione, noi lavoriamo con due tipi di memoria: la memoria fotografica e la memoria motoria.

La memoria fotografica registra i fatti, mentre quella motoria ripete semplicemente ciò che registriamo

Quanto più siamo concentrati su un fatto, tanto questo verrà assimilato e la memoria motoria agirà più rapidamente,per questo motivo è importante che al momento dell’utilizzo della memoria fotografica, l’oggetto di studio, sia una sequenza o una tecnica e  venga registrata senza errori.

Questo non vale solo nella percezione, ma anche nell’incorporazione della respirazione, delle articolazioni e delle tecniche di canto che devono essere studiate in brevi periodi e varie volte al giorno e sempre con regolarità e disciplina affinché producano effetto.

Secondo Souchard, una postura sbagliata porta ad un “appiattimento” dell’individuo, ossia ad una posizione comoda e confortevole, l’aumento di questa “comodità“, porta ad un aggravamento delle curve vertebrali, i nostri muscoli posteriori si accorciano, diminuisce la mobilità articolare, favorendo le fratture (artrosi, ernia discale, tendinite ecc…), compaiono mal di testa, del collo, delle spalle e accorciamento dei muscoli pettorali e vi è una perdita di altezza per l’eccessiva tensione muscolare.

Tutto ciò influenza negativamente il processo di apprendimento di qualunque arte marziale, viviamo in uno stato di continuo squilibrio fisico e la nostra postura continua ad alternarsi inconsciamente per compensare quello squilibrio.

Tesi realizzate da eminenti scienziati hanno concluso che parte della nostra posizione corporale è ereditata e una parte è copiata, ciò significa che affinché gli allievi possano mantenere una posizione perfetta e adeguata, il Maestro deve mostrarla continuamente, senza permettersi posizioni sbagliate che rischiano di essere imitate dagli allievi, anche inconsciamente.

La posizione corporale è di vitale importanza anche nella vita

Perché a partire da essa l’individuo si mette in relazione con il mondo, con la persone, così si usano diversi termini per esprimere certi atteggiamenti psicologici, tali come “tenere la testa alta“ oppure “Stare fermi “, queste espressioni a volte sono interpretazioni di linguaggio corporale.

Soprattutto dopo una pratica di anni, l’uomo è in grado di percepire la posizione e il movimento del proprio corpo e delle relative parti, la percezione della posizione e del movimento del corpo è misurato da sistemi i cui recettori sono localizzati nei labirinti ossei della testa e nelle articolazioni e tendini.

Le strutture sensoriali associate alla differenziazione della posizione e al movimento del corpo sono denominate sistemi propriocettivi e questo aspetto della percezione è chiamato propriocezione, è difficile separare i ruoli delle strutture nel labirinto uditivo e nelle articolazioni e tendini.

Quando un individuo cambia la propria posizione o si muove, questi due gruppi di strutture sono coinvolti inoltre da quelli situati nella pelle e negli organi interni, quando si adotta una posizione modificata, non si altera solo l’orientamento del corpo, ma anche gli organi interni assumono posizioni differenti, oltre a questo, la distribuzione di tensioni in varie aree della pelle varia man mano che il corpo cambia la posizione complessiva.

L’immagine corporale si definisce come un’immagine visiva e mentale del corpo dell’individuo, che include i sentimenti che riguardano il suo corpo, soprattutto in relazione alla salute e alla malattia

Lo schema corporale si riferisce ad un modello posturale del corpo, compresa la relazione delle parti corporali, una con l’altra e la relazione del corpo con l’ambiente.

Analizzandolo sotto forma di insegnamento, senza un’impronta strategica,dico che il corpo è una mappa fedele della nostra storia personale, in esso è riportato tutto ciò che viviamo, tutte le emozioni… non riconoscere ciò che i movimenti corporali rivelano è non riconoscere la memoria del nostro passato, che è parte del nostro presente.

Il corpo è uno specchio altamente rivelatore dell’inconscio, mostra flash della personalità, espone credenze, valori, preconcetti, forze e fragilità del carattere, non ci permette di mentire e rivela i segreti più intimi… In questa legge naturale, dove il più forte e/o abile trionfa, l’uomo deve acquisire per forza uno sviluppo generalizzato delle proprie strutture e funzioni e dotarsi di abilità e destrezze specifiche.

L’uomo è il cervello e muscoli in un equilibrio perfetto, i messaggi che emettiamo attraverso il nostro corpo, rappresentano ciò che abbiamo di più vero e sostanziale.

Il linguaggio corporale, se ben utilizzato, aiuta a dire le cose indicibili, a dare forma a un sentimento e a concretizzare le immagini delle emozioni più VERE!!!

Note


UGUAGLIANZA: Un aneddoto del SENSEI Richard Kim

I filosofi americani, dai dilettanti ai più esperti, hanno riflettuto sull’uguaglianza degli uomini e per comprovare le loro teorie.

Nel terreno della morte non esistono razze o credenze, ciò che conta è il bene che si è fatto nella vita.

Sono ricorsi alla Dichiarazione dei Diritti, alla Costituzione degli Stati Uniti ed al famoso discorso a Gettysburg di Lincoln.

Da giovane mi inquietava il problema dell’uguaglianza

In un ristorante di San Farcisco non hanno voluto servire alcuni miei amici per la loro razza, in questo modo così doloroso hanno potuto saggiare gli invincibili artigli della discriminazione sociale.

Erano arrabbiati, non erano mai stati trattati così ad Honolulu, dove erano nati, uno di loro pensò a voce alta “Se fossi nell’Elks Club lo capirei, ma in un locale pubblico…”

Un giorno dopo l’allenamento, parlai di uguaglianza al mio Sensei

In realtà gli parlai del fatto di San Francisco, una città in cui si supponeva non abbondassero gli atteggiamenti di questo tipo.

“Dopo la nascita” – mi disse Sensei – “ci sono due luoghi nella vita in cui gli uomini sono uguali“ gli chiesi quali fossero e mi rispose:

Il giorno in cui entri in una palestra sei come gli altri, cominci dal basso; ed il giorno in cui ti trovi nel terreno della morte, quando la morte ti guarda, non c’è diversità siamo tutti uguali

“Ma cosa succede con le leggi?” – gli risposi “la Dichiarazione dei Diritti, la Costituzione… La legge è buona quanto la coscienza degli uomini” proseguì il Maestro.

Osserva il cuore non la legge, tutto sta nel cuore e, come artista marziale, dovresti renderti conto che il cuore degli uomini non segue il ritmo della legge.


Mi raccontò la storia dove Hozoin Gakuzenbo Inye, uno dei maestri migliori di lancia del Giappone, riesce finalmente a battere in un combattimento Yagyu Muneyoshi

Nei precedenti combattimenti Yagyu aveva avuto sempre la meglio su Inye, ma la superiorità di Inye si faceva più evidente.

Sfortunatamente, Inye rimane così tanto impressionato di sé stesso per il combattimento vinto, che la vittoria stessa gli dà alla testa.

Un giorno un giovane di circa 17 anni giunge in palestra da Inye e gli dice: sono venuto ad imparare ad usare la lancia, chiedo se puoi impartirmi delle lezioni perché tu sei il migliore e voglio imparare da te.

Il ragazzo viene accettato, Inye tratta il ragazzo in una maniera completamente inumana e si adopera al massimo per scoraggiarlo, ma il ragazzo non fa una piega e continua a dire che vuole lottare.

Inye accetta, in dieci giorni sconfigge lo stesso Inye e dopo un mese Inye non vuole neppure entrare in palestra, perché ha paura del ragazzo.

Un giorno il ragazzo si avvicina ad Inye e gli dice: “non mi fido molto di te, ti sopravaluti, non capisco come hai potuto sconfiggere Yagyu, ti sfido ad un vero combattimento, tra cinque giorni verrò nel tuo giardino, preparati ad affrontare la morte” – e se ne va.

In quel momento a Inye appare tutto più chiaro e ritorna al suo stato normale, è molto preoccupato.

”Perché non mi sono preoccupato per quel ragazzo?” – si chiede, dovevo trattarlo meglio!

Impaziente la notte prima del confronto Inye si reca nel giardino con la lancia, rimane in piedi sul bordo dello stagno e si ferma a contemplare l’acqua.

Lo sguardo del ragazzo lo scorge dal fondo.

Improvvisamente passa una nuvola e tutto si oscura e quando la nuvola passa Inye vede il riflesso della sua lancia nell’acqua con una croce sulla punta.

Nervoso, si affretta a recarsi a casa del fabbro del tempio e gli chiede ciò che oggi è noto come il Kama-yari la famosa lancia Hozoin.

Arriva la notte del confronto ed Inye attende nel giardino l’arrivo del ragazzo, ma il ragazzo non appare.

Al suo posto giunge un monaco con un messaggio: il ragazzo ti ha lasciato questo, dice il monaco.

Inye apre il messaggio il ragazzo aveva scritto:

Tratta tutti gli uomini come esseri umani, con decenza e rispetto, non siamo tutti uguali in abilità o in creatività, ma tutti siamo esseri umani.

L’importante è ciò che conserviamo nel cuore, sono sicuro che oggi l’hai capito, è l’insegnamento che voglio darti, quando ti sei reso conto che avresti affrontato la morte, hai scoperto il denominatore comune che ci rende tutti uguali, nella vita, l’uguaglianza è nel cuore degli uomini.

Note


Gichin Funakoshi, il fondatore del Karate-dō

Premessa

Gichin Funakoshi non fu solo il fondatore del karate-dō, ma seppe inoltre infondere a quest’Arte il suo senso della vita. Le tecniche e i rudimenti del Karate-do iniziarono ad esistere, come tutti sanno, quando Funakoshi li organizzò in un tutto coerente.

Fu proprio la visione e l’impegno personale del suo carattere a dare forza e senso globale ad uno stile che si è consacrato come uno dei punti di riferimento delle Arti Marziali in tutto il pianeta.

Per questo motivo conoscere a fondo la concettualizzazione del Karate di Funakoshi non è uno sforzo inutile, oggigiorno sono pochi gli studenti del Karate che conoscono le formule originarie della loro Arte, forse, per alcuni può sembrare persino anacronistica la pretesa di questo articolo.

Chi non conosce il passato, difficilmente potrà affrontare il futuro

Funakoshi fu un uomo con una personalità molto particolare, e per avvicinarci al Funakoshi uomo, alla sua personalità non c’è niente di meglio che leggersi la sua autobiografia Karate-Do, Il mio cammino, ormai tradotta in quasi tutte le lingue.

In essa troviamo un uomo semplice, non un intellettuale. Un uomo con una morale retta e ben definita, con principi che delineano una forte spina dorsale dalla quale sgorga un carattere forte e leale alle proprie convinzioni.

Senza dubbio non dovette essere facile avere a che fare con lui in vita: tuttavia era una di quelle personalità magnetiche, un leader nato, capace di trasmettere all’esterno il suo messaggio attraverso una forte impronta, e benché l’Arte che lui definì assomigli poco alle forme ed ai principi che conosciamo oggi come Karate, non va dimenticato che la sua evoluzione sarebbe stata impossibile senza un punto di partenza fermo e stabile, come quello che il Maestro seppe imprimere alla via della mano vuota.


Venti principi che definiscono la formale etichetta e l’atteggiamento che devono esistere nella pratica dell’Arte

Per questo è essenziale comprendere uno dei suoi lasciti principali, sfornati dal suo Dojo Kun, venti principi che definiscono la formale etichetta e l’atteggiamento che devono esistere nella pratica dell’Arte, affinché l’allievo raggiunga l’eccellenza, anticamente questi principi si recitavano a voce alta prima di ogni lezione, una pratica persa perfino nei Dojo più tradizionali.

Recitati come una litania, gli allievi li conoscevano a memoria e pur senza capirli, nel loro apprendistato, continuavano a poco a poco ad integrarne il senso e la ragione d’essere, l’articolo che oggi sto scrivendo, cerca di addentrarsi nel senso e nelle ragioni nascoste di questi venti punti, per facilitare ai più giovani una comprensione più profonda e completa delle origini essenziali della loro Arte Marziale e per ricordare ai più maturi, sia in età che in esperienza, la provenienza, i fondamenti della nostra tradizione Marziale.

Funakoshi, uomo di poche parole e di ancor meno spiegazioni, sosteneva che quello che impari con il tuo corpo non lo dimentichi mai, mentre quello che impari con la tua testa è facile da dimenticare. Senza dubbio il Maestro non immaginò nemmeno che, negli anni seguenti, la testa sarebbe servita (in troppi casi) solamente a reggere il cappello, perciò senza ribattere il fondatore, vorrei analizzare uno ad uno i punti ed il relativo significato, un’eredità piena di valore ora e sempre, un ulteriore regalo del fondatore al quale i Karateka devono sempre rispetto e gratitudine.


I · IL KARATE-DO COMINCIA E FINISCE CON IL SALUTO

La gentilezza ed il rispetto si dimostrano e si acquisiscono anche con la pratica. Salutare è ricordare al nostro corpo che deve obbedire ad alcuni criteri, nei quali il rispetto deve sottomettere altri impulsi che, senza dubbio, si attivano nella pratica (aggressività, paura, etc).

Dominarli è uno dei compiti dell’artista marziale, ma oltre alla cortesia, il saluto Orientale chinando il capo, possiede un senso simbolico e persino energetico poco diffuso, o, che poi è la stessa cosa, piuttosto dimenticato, chinando il capo, sia in posizione Seiza che stando in piedi, unifichiamo i principi di Cielo e Terra.

I principi e le loro energie che penetrano il nostro corpo attraverso la colonna vertebrale (dischi e genitali) come due serpenti di forza, in Seiza le mani devono unirsi contemporaneamente (non prima una poi l’altra), creando un triangolo formato tra i pollici e gli indici, tra i quali si deve collocare la fronte.

La cortesia significa contenimento per reindirizzare gli istinti, la sua ripetizione risulta sempre educativa ed organizzativa per le gerarchie, il saluto al Maestro ha questo significato, il saluto con il tuo contendente riconfigura lo spazio formale del combattimento apportandovi dei limiti, ricordandoci che il nemico è dentro di noi, non fuori.

L’altro è solo uno specchio (un’opportunità di presa di coscienza ), nel quale le nostre limitazioni si vedranno rispecchiate, il quale non è, dunque, il colpevole di esse.

II · NON UTILIZZERAI MAI IL KARATE-DO SENZA MOTIVO

Sun Tsu comincia il suo libro sulla Guerra avvertendoci: “La Guerra è un tema di vitale importanza, il territorio della vita e della morte, non deve essere affrontato alla leggera”.

Giustificare l’aggressione è un argomento filosoficamente complesso, per Funakoshi l’aggressività si spiega solo come atto difensivo, la violenza gratuita era continuamente criticata dal Maestro, oppostosi perfino al Ju Kumite (combattimento libero) che suo figlio invece propugnava.

Inoltre, il Karate è persino un allenamento della personalità, dello spirito dell’allievo che allena il suo carattere ed il suo corpo per raggiungere uno stato di allerta e di eccellenza, non per ostentare le sue abilità o per dimostrare a sé stesso o agli altri qualcosa.

III · PRATICARE IL KARATE-DO CON SENTIMENTO DI GIUSTIZIA

Rafforzando il punto precedente, il Maestro aggiunge inoltre che la pratica del Karate ed il suo utilizzo devono servire solo cause giuste, con atteggiamenti impeccabili, allo stesso modo, in questo punto Funakoshi ammonisce coloro che pretendono di utilizzare il Karate e le sue conoscenze al servizio di ignobili cause.

Per gli Istruttori, la selezione degli allievi e delle loro intenzioni nell’apprendimento dell’Arte  era una delle sue principali preoccupazioni e, sebbene oggigiorno il potente Cavaliere Denaro abbia abbassato i parametri limitando l’entrata solo a coloro che pagano la retta mensile, è giusto ricordare che abbiamo una responsabilità aggiunta nell’esercizio dell’insegnamento dell’Arte.

IV · PRIMA DI CONOSCERE GLI ALTRI BISOGNA CONOSCERE SE STESSI

Esattamente come recitava il testo scritto nel portico dell’Oracolo di Delfi “Conosci te stesso“, Funakoshi stabilisce qui uno dei principi essenziali della via del Guerriero, “Niente fa niente a nessuno! “ invece di nasconderci incolpando continuamente gli altri delle circostanze negative della nostra vita,Funakoshi per prima cosa ci intima di guardarci dentro ed, in questo modo, di assumerci la responsabilità per i nostri atti .

Invece di perdere tempo a tentare di fuggire dalle nostre miserie evidenziando le altrui, il Maestro ci chiede rigore nei nostri giudizi, guarda prima te stesso, poi te stesso, poi ancora te stesso e, dopo esserti guardato dentro, rifallo ancora una volta, e solo a questo punto considera gli altri.

V · DALLA TECNICA NASCE L’INTUIZIONE

Questo è un principio spesso mai interpretato in Occidente, molti credono che sia la tecnica in sé ad essere importante, tuttavia dobbiamo partire dal fatto che per gli orientali il valore delle cose sta nella loro forma.

La tazza esiste ed ha un’utilità nella misura in cui possiede uno spazio in grado di contenere.

La ruota rotea e sostiene la propria struttura perché possiede uno spazio tra i raggi, la tecnica è dunque “la forma“ che ci conduce al movimento naturale, non un busto stretto che strangola la nostra fluidità, tuttavia, per raggiungere tale abilità è necessario allenare la tecnica per alla fine realizzare la conoscenza attraverso il vincolo con “il naturale”.

Così Funakoshi ci ricorda che la pratica di una forma tecnica corretta, ci collegherà alla nostra conoscenza essenziale con l’intuizione, per fluire in modo naturale con le infinite circostanze.

VI · NON LASCIATE VAGABONDARE LO SPIRITO

La concentrazione è in ogni pratica Orientale un principio insostituibile, quando il duro allenamento esercita una pressione sufficiente, la mente tende a vagabondare, ad allenarsi, per interrompere lo sforzo.

Funakoshi era un uomo di abitudini e principi solidi ed ordinati, conoscitore del fatto che tutto comincia in Yin, mantenerci fermi nel qui e adesso è essenziale per la pratica del Karate come via di coscienza.

La routine e le ripetizioni dell’allenamento sono una dura prova per la concentrazione, l’allievo deve evitare la dispersione mentale e la meccanizzazione del movimento, solo essendo presenti, le tecniche possiedono la forza e l’intensità adeguate, solo concentrati nella loro applicazione possiamo ricaricare i nostri sistemi di forza, per concludere l’allenamento più forti di quando l’abbiamo cominciato.

VII · IL FALLIMENTO NASCE DALLA NEGLIGENZA

Per il Maestro non ci sono casualità, non ci sono “Ma” e non ci sono “Se”! Con questo punto il Maestro rafforza il precedente, l’attenzione, l’impegno sono essenziali nella pratica.

Non servire adeguatamente le parti che formano il tutto, farlo con deficienza, senza l’attenzione dovuta o senza lo sforzo necessario, conduce al fallimento, il fallimento non è una disgrazia che cade arbitrariamente dal cielo, ma anzi è sempre il risultato della distrazione, della disattenzione, dell’abbandono, della negligenza, dell’apatia o della trascuratezza.

Funakoshi ci ricorda che siamo responsabili dei nostri atti e dei suoi risultati, aprendoci così la porta delle possibilità di miglioramento e di crescita, l’evoluzione esiste a partire dal continuo errore, perciò il guerriero si alza ad ogni caduta con la certezza che, se corregge il suo errore, potrà raggiungere il suo obiettivo.

VIII · IL KARATE-DO SI PRATICA SOLO NEL DOJO

Il Dōjō è letteralmente “il posto del risveglio“ , il Karate-dō , non è una pratica utile ad attaccarsi per le strade, il suo obiettivo non è sottomettere gli altri, bensì rimodellare se stessi, per risvegliarci in una realtà dove il simbolico e il reale sono una cosa sola.

Con questo principio il Maestro ci ricorda ancora una volta che non dobbiamo utilizzare inadeguatamente le nostre conoscenze, circoscrivendo la nostra pratica nello spazio sacro del Dōjō .

IX · LA PRATICA DEL KARATE-DO DURA TUTTA LA VITA

Come pratica spirituale, il Karate-do è un’Arte che fa parte per sempre della natura degli allievi, inoltre, recitando questa frase gli allievi rinnovano quotidianamente il loro impegno con l’Arte, dandogli lo spazio adeguato nel loro essere.

Come pratica dai lunghi e lenti risultati, il Karate richiede un impegno durevole per raggiungere i suoi obiettivi e togliere il velo che nasconde i suoi tesori, perciò il Maestro in questo principio, ripete la necessità in un impegno per tutta la vita.

X · AFFRONTO I PROBLEMI CON LO SPIRITO DEL KARATE-DO

Ancora una volta comprendiamo attraverso un altro principio, che il Karate do come Arte trascende l’ambito del puramente fisico o sportivo, il Karate è un modo di vivere, un modo di affrontare le cose .

Quando Funakoshi ci intima di affrontare i problemi con spirito del Karate do, ci ricorda che siamo guerrieri ventiquattro ore al giorno, non solo quando siamo sul tatami , in questo modo il Karate do è implicato in tutti gli avvenimenti dell’esistenza del praticante, in modo tale che le virtù che l’adornano debbano attivarsi davanti alle avversità con autocontrollo, responsabilità, forza di superamento, rispetto ed impegno.

XI · IL KARATE-DO È COME L’ACQUA CHE BOLLE

L’acqua è un argomento ricorrente ed essenziale nella tradizione nipponica, esistono duecento termini differenti per dire acqua in funzione dello stato e delle circostanze che la circondano.

L’acqua è il principio della vita e l’essenza della sua natura è andare verso il basso, fluire, avvolgere, non opporsi.

Quando Funakoshi cita l’acqua nel suo stato di ebollizione, ci sta parlando dell’acqua nel suo stato “legno“, facendo riferimento ai cinque elementi chiamati GO KYO in Giappone.

Il legno si caratterizza per essere la forza di volontà e l’acqua in ebollizione si trasforma così nella realizzazione opposta della sua natura, attivandosi sale invece di scendere, cercando l’evaporazione, quest’attivazione della natura dell’acqua è il fuoco di consapevolezza che sorge dallo sforzo del praticante.

Perciò il praticante deve essere capace di rimanere in uno stato fluido ma attivo, sempre pronto a rispondere ad un attacco.

XII · NON ALIMENTATE L’IDEA DI VINCERE NÈ QUELLA DI ESSERE VINTI

Questo punto è quello che ha generato la tanto discussa polemica se il Karate debba essere o meno praticato in competizione.

La cosa essenziale in questo ambito risiede nell’atteggiamento corretto dell’allievo.

Se collochiamo l’obiettivo all’esterno infatti, senza dubbio non lo stiamo collocando all’interno.

Ma tale decisione è più uno stato d’animo che un atto definito, per il Maestro, il Karate è innanzitutto una via interna, come cammino verso l’auto-superamento nel Karate, i risultati esterni non possono essere il suo fondamento.

Pertanto il nemico non sta fuori bensì dentro di noi, ogni volta che rispondiamo solo esternamente, staremo trascurando la vera ragione d’essere dell’Arte.

XIII · ADATTARE L’ATTEGGIAMENTO A QUELLO DELL’AVVERSARIO

Bisogna evitare le formule preconcette nella vita, essere flessibili, adattarsi sempre alle circostanze, la pratica dell’Arte non è l’applicazione di formule, bensì la risoluta conquista delle risorse necessarie per fluire costantemente oltre le nostre limitazioni.

“Ogni toro ha la sua corrida“ recita il detto taurino, perciò quelli che pretendono di usare sempre la stessa tecnica davanti a diversi rivali saranno sconfitti.

XIV · IL SEGRETO DEL COMBATTIMENTO RISIEDE NELL’ARTE DI SAPER DIRIGERLO

Il combattimento come dice Sun Tsu , è un tutto dove regna l’apparente disordine, tuttavia l’esperto sa comprendere le chiavi nascoste utili ad ordinarlo, è possibile dirigere, perché nel mezzo dell’apparente caos dobbiamo capire che non solo esiste un ordine, ma che può essere diretto da un centro.

Comprendere che il centro della spirale dirige la sua periferia, sia nello spazio che nel tempo, è la chiave Maestra che ci propone Funakoshi ricordandoci che tutto questo è possibile e ci intima a cercare quei ritmi essenziali che dominano ogni contesa, per diventare padroni del ritmo del rivale affinché balli secondo la nostra musica.

XV · LE MANI E I PIEDI DEVONO COLPIRE COME SCIABOLE

Qui il Maestro sottolinea la conoscenza delle spirali come le forze e i movimenti più potenti e naturali.

Einstein ci aprì gli occhi comprendendo l’affermazione per la quale la linea più vicina a due punti è quella retta, non sarebbe stata sempre corretta, la stessa conformazione delle nostre braccia sorge nel periodo embrionale  da due spirali che derivano dalla collisione delle forze Cielo e Terra, che generano l’embrione.

Nella loro polarizzazione che è la crescita, queste forze sviluppano due paia di spirali di sette giri che generano le braccia e le gambe, una è più lunga, Yin (le gambe), e l’altra è più corta, Yang (le braccia), la loro concezione e la loro architettura fanno si che ogni movimento circolare sia facilitato.

Per questa ragione la Katana giapponese è curva, di fronte alla maggior parte delle spade occidentali, la comprensione dei principi della spirale è incisa profondamente nella conoscenza popolare Orientale e spesso rappresentata nei suoi simboli, il Maestro ci ricorda con questo principio che dobbiamo agire in sintonia con la natura delle cose e non contro essa, aprendo con questa chiave la porta ad un principio che ogni allievo deve ricordare nel proprio apprendistato.

Una chiave per ricordare oltre ciò che il suo Maestro gli insegna.

XVI · SGOMBERANDO LA SOGLIA DELLA VOSTRA CASA 10.000 NEMICI VI ASPETTANO

Ancora una volta il principio dell’attenzione continua, l’attenzione deve chiudersi nell’entropia , niente di meglio perciò di mettersi alla prova, per questo il Maestro non insegna il suo trucco, state sempre in guardia! Così la vostra attenzione rimarrà all’erta.

I vietnamiti normalmente si ripetevano: “chi si aspetta il peggio, non prende mai l’iniziativa“, non so perché ma personalmente questa regola mi riporta sempre alla memoria un detto Orientale che mi piace molto: “Se una tigre fa la guardia al passaggio, diecimila cervi non passeranno“.

XVII · KAMAE È LA REGOLA PER IL PRINCIPIANTE, DOPO È POSSIBILE ADOTTARE UNA POSIZIONE PIÙ NATURALE

Kamae. Stare in guardia , attenti, in posizione, pronti a reagire.

Sanzionando la precedente affermazione, il Maestro ci ricorda che l’allenamento possiede dei gradi ed ha un’evoluzione, l’allenamento è come un imbuto dove devi passare, restringe la tua natura, prescindendo quindi dal non necessario, per poi tornare ad essere te stesso ma trasformato dall’esperienza.

È un modo di rendere naturale un viaggio di andata e ritorno nel quale il tuo bagaglio è la cosa imprendibile, i tuoi ricordi, le tue esperienze. Su questo punto ricordo il detto Zen:

Prima dello Zen, la montagna è montagna, la valle, valle, la Luna, Luna. Durante lo Zen la montagna non è più la montagna, né la valle, valle, né la Luna, Luna . Dopo lo Zen, la montagna ritorna ad essere montagna, la valle, valle, la Luna, Luna.

Niente è cambiato, tuttavia tutto è differente. Kamae è un atteggiamento con il quale si allena una chiave che apre una porta, non la stanza nella quale vuoi entrare, è il dito che indica la luna, non la luna stessa.

XVIII · I KATA DOVRANNO ESSERE REALIZZATI CORRETTAMENTE, TUTTAVIA NEL COMBATTIMENTO REALE I LORO MOVIMENTI SI ADATTERANNO ALLE CIRCOSTANZE

Di nuovo ci ricorda di essere flessibili, ma rigorosi.

I Kata sono la base della  “Forma“, perciò è essenziale che nella loro pratica si allenino i movimenti con perfezione tecnica, non c’è contraddizione tra questo e combattere con movimenti che non riproducano quelli che si eseguono nel Kata, come sostengono alcuni maestri attuali.

Funakoshi lo disse chiaramente in questo punto, ancora una volta dobbiamo ricordare la posizione che assumono gli Orientali rispetto alle forme e che sviluppammo nell’analisi del primo punto del Dojo Kun.

Lo scopo del Karate-do non è quello di creare lottatori estremi, bensì sviluppare lo spirito od il corpo dell’allievo attraverso un allenamento che tiri fuori il meglio di lui, favorendo la positiva formazione di individui che possano, inoltre, essere elementi positivi per le loro società.

XIX · TRE FATTORI VANNO CONSIDERATI: LA FORZA, LA CONSISTENZA ED IL GRADO TECNICO

Davanti ad un compagno o di fronte ad un avversario Funakoshi ci ricorda i tre fattori che dobbiamo tenere in considerazione nella valutazione di noi stessi e di chi abbiamo di fronte, i primi due si riferiscono a considerazioni fisiche ed il terzo all’esperienza e alle conoscenze.

XX · APPROFONDITE IL VOSTRO PENSIERO

Probabilmente all’epoca, come adesso, gli allievi di Karate erano persone più d’azione che di riflessione, ma dato che tutto va visto nel suo opposto, il Maestro conclude le sue proposte con una chiara allusione allo sviluppo mentale degli allievi.

In questo piano di realtà tutto è mente o, con le parole di Carlos Castaneda, “Il Mondo è una descrizione“.

Non è vano, quindi, ricordare ad ogni praticante di Karate do di sviluppare le proprie abilità e le proprie conoscenze per crescere come persona, comprendendo la realtà che sta dietro le apparenze, riflettendo e meditando per completare il proprio apprendistato.



Conclusioni

Abbiamo visto in questa analisi che il Karate-do che propose il suo fondatore è una pratica trascendente, nella misura in cui può portarci oltre il simbolico, una via che apre porte e finestre per permetterci di capire e di agire giustamente, persino oltre le valutazioni morali.

Una via di crescita interna che sgorga all’esterno in risultati positivi

una formulazione della via del guerriero che ha saputo, in un modo o nell’altro, trovare un’eco quasi impensabile in quei giorni passati in cui il Maestro coniugò la tradizione Guerriera millenaria dell’Oriente con la comprensione e le formule iniziatiche proprie della tradizione nipponica, raggiungendo una formula Universale ed intensa che è durata, ha evoluto e trasformato migliaia di esseri umani nelle ultime decadi.

Benché oggi i suoi principi esposti nel Dojo Kun siano ignorati, essi rimangono vivi nella spirito che soggiace alle diverse pratiche negli svariati stili, trasformazioni e polarizzazioni di una stessa spirale iniziale, un punto di partenza fermo che ebbe un nome: Gichin Funakoshi .

Perciò, Maestro, con questo articolo voglio rinnovarvi la mia eterna gratitudine ed il mio riconoscimento

E per farlo, niente di meglio che ripensarti proprio quando tanti allievi pensano che tu sia antiquato.

Quello che loro non sanno, è che il classico in quanto tale è eterno e non può mai essere antiquato.

Note