Ven. Mar 7th, 2025

Sport

Gichin Funakoshi, il fondatore del Karate-dō

Premessa

Gichin Funakoshi non fu solo il fondatore del karate-dō, ma seppe inoltre infondere a quest’Arte il suo senso della vita. Le tecniche e i rudimenti del Karate-do iniziarono ad esistere, come tutti sanno, quando Funakoshi li organizzò in un tutto coerente.

Fu proprio la visione e l’impegno personale del suo carattere a dare forza e senso globale ad uno stile che si è consacrato come uno dei punti di riferimento delle Arti Marziali in tutto il pianeta.

Per questo motivo conoscere a fondo la concettualizzazione del Karate di Funakoshi non è uno sforzo inutile, oggigiorno sono pochi gli studenti del Karate che conoscono le formule originarie della loro Arte, forse, per alcuni può sembrare persino anacronistica la pretesa di questo articolo.

Chi non conosce il passato, difficilmente potrà affrontare il futuro

Funakoshi fu un uomo con una personalità molto particolare, e per avvicinarci al Funakoshi uomo, alla sua personalità non c’è niente di meglio che leggersi la sua autobiografia Karate-Do, Il mio cammino, ormai tradotta in quasi tutte le lingue.

In essa troviamo un uomo semplice, non un intellettuale. Un uomo con una morale retta e ben definita, con principi che delineano una forte spina dorsale dalla quale sgorga un carattere forte e leale alle proprie convinzioni.

Senza dubbio non dovette essere facile avere a che fare con lui in vita: tuttavia era una di quelle personalità magnetiche, un leader nato, capace di trasmettere all’esterno il suo messaggio attraverso una forte impronta, e benché l’Arte che lui definì assomigli poco alle forme ed ai principi che conosciamo oggi come Karate, non va dimenticato che la sua evoluzione sarebbe stata impossibile senza un punto di partenza fermo e stabile, come quello che il Maestro seppe imprimere alla via della mano vuota.


Venti principi che definiscono la formale etichetta e l’atteggiamento che devono esistere nella pratica dell’Arte

Per questo è essenziale comprendere uno dei suoi lasciti principali, sfornati dal suo Dojo Kun, venti principi che definiscono la formale etichetta e l’atteggiamento che devono esistere nella pratica dell’Arte, affinché l’allievo raggiunga l’eccellenza, anticamente questi principi si recitavano a voce alta prima di ogni lezione, una pratica persa perfino nei Dojo più tradizionali.

Recitati come una litania, gli allievi li conoscevano a memoria e pur senza capirli, nel loro apprendistato, continuavano a poco a poco ad integrarne il senso e la ragione d’essere, l’articolo che oggi sto scrivendo, cerca di addentrarsi nel senso e nelle ragioni nascoste di questi venti punti, per facilitare ai più giovani una comprensione più profonda e completa delle origini essenziali della loro Arte Marziale e per ricordare ai più maturi, sia in età che in esperienza, la provenienza, i fondamenti della nostra tradizione Marziale.

Funakoshi, uomo di poche parole e di ancor meno spiegazioni, sosteneva che quello che impari con il tuo corpo non lo dimentichi mai, mentre quello che impari con la tua testa è facile da dimenticare. Senza dubbio il Maestro non immaginò nemmeno che, negli anni seguenti, la testa sarebbe servita (in troppi casi) solamente a reggere il cappello, perciò senza ribattere il fondatore, vorrei analizzare uno ad uno i punti ed il relativo significato, un’eredità piena di valore ora e sempre, un ulteriore regalo del fondatore al quale i Karateka devono sempre rispetto e gratitudine.


I · IL KARATE-DO COMINCIA E FINISCE CON IL SALUTO

La gentilezza ed il rispetto si dimostrano e si acquisiscono anche con la pratica. Salutare è ricordare al nostro corpo che deve obbedire ad alcuni criteri, nei quali il rispetto deve sottomettere altri impulsi che, senza dubbio, si attivano nella pratica (aggressività, paura, etc).

Dominarli è uno dei compiti dell’artista marziale, ma oltre alla cortesia, il saluto Orientale chinando il capo, possiede un senso simbolico e persino energetico poco diffuso, o, che poi è la stessa cosa, piuttosto dimenticato, chinando il capo, sia in posizione Seiza che stando in piedi, unifichiamo i principi di Cielo e Terra.

I principi e le loro energie che penetrano il nostro corpo attraverso la colonna vertebrale (dischi e genitali) come due serpenti di forza, in Seiza le mani devono unirsi contemporaneamente (non prima una poi l’altra), creando un triangolo formato tra i pollici e gli indici, tra i quali si deve collocare la fronte.

La cortesia significa contenimento per reindirizzare gli istinti, la sua ripetizione risulta sempre educativa ed organizzativa per le gerarchie, il saluto al Maestro ha questo significato, il saluto con il tuo contendente riconfigura lo spazio formale del combattimento apportandovi dei limiti, ricordandoci che il nemico è dentro di noi, non fuori.

L’altro è solo uno specchio (un’opportunità di presa di coscienza ), nel quale le nostre limitazioni si vedranno rispecchiate, il quale non è, dunque, il colpevole di esse.

II · NON UTILIZZERAI MAI IL KARATE-DO SENZA MOTIVO

Sun Tsu comincia il suo libro sulla Guerra avvertendoci: “La Guerra è un tema di vitale importanza, il territorio della vita e della morte, non deve essere affrontato alla leggera”.

Giustificare l’aggressione è un argomento filosoficamente complesso, per Funakoshi l’aggressività si spiega solo come atto difensivo, la violenza gratuita era continuamente criticata dal Maestro, oppostosi perfino al Ju Kumite (combattimento libero) che suo figlio invece propugnava.

Inoltre, il Karate è persino un allenamento della personalità, dello spirito dell’allievo che allena il suo carattere ed il suo corpo per raggiungere uno stato di allerta e di eccellenza, non per ostentare le sue abilità o per dimostrare a sé stesso o agli altri qualcosa.

III · PRATICARE IL KARATE-DO CON SENTIMENTO DI GIUSTIZIA

Rafforzando il punto precedente, il Maestro aggiunge inoltre che la pratica del Karate ed il suo utilizzo devono servire solo cause giuste, con atteggiamenti impeccabili, allo stesso modo, in questo punto Funakoshi ammonisce coloro che pretendono di utilizzare il Karate e le sue conoscenze al servizio di ignobili cause.

Per gli Istruttori, la selezione degli allievi e delle loro intenzioni nell’apprendimento dell’Arte  era una delle sue principali preoccupazioni e, sebbene oggigiorno il potente Cavaliere Denaro abbia abbassato i parametri limitando l’entrata solo a coloro che pagano la retta mensile, è giusto ricordare che abbiamo una responsabilità aggiunta nell’esercizio dell’insegnamento dell’Arte.

IV · PRIMA DI CONOSCERE GLI ALTRI BISOGNA CONOSCERE SE STESSI

Esattamente come recitava il testo scritto nel portico dell’Oracolo di Delfi “Conosci te stesso“, Funakoshi stabilisce qui uno dei principi essenziali della via del Guerriero, “Niente fa niente a nessuno! “ invece di nasconderci incolpando continuamente gli altri delle circostanze negative della nostra vita,Funakoshi per prima cosa ci intima di guardarci dentro ed, in questo modo, di assumerci la responsabilità per i nostri atti .

Invece di perdere tempo a tentare di fuggire dalle nostre miserie evidenziando le altrui, il Maestro ci chiede rigore nei nostri giudizi, guarda prima te stesso, poi te stesso, poi ancora te stesso e, dopo esserti guardato dentro, rifallo ancora una volta, e solo a questo punto considera gli altri.

V · DALLA TECNICA NASCE L’INTUIZIONE

Questo è un principio spesso mai interpretato in Occidente, molti credono che sia la tecnica in sé ad essere importante, tuttavia dobbiamo partire dal fatto che per gli orientali il valore delle cose sta nella loro forma.

La tazza esiste ed ha un’utilità nella misura in cui possiede uno spazio in grado di contenere.

La ruota rotea e sostiene la propria struttura perché possiede uno spazio tra i raggi, la tecnica è dunque “la forma“ che ci conduce al movimento naturale, non un busto stretto che strangola la nostra fluidità, tuttavia, per raggiungere tale abilità è necessario allenare la tecnica per alla fine realizzare la conoscenza attraverso il vincolo con “il naturale”.

Così Funakoshi ci ricorda che la pratica di una forma tecnica corretta, ci collegherà alla nostra conoscenza essenziale con l’intuizione, per fluire in modo naturale con le infinite circostanze.

VI · NON LASCIATE VAGABONDARE LO SPIRITO

La concentrazione è in ogni pratica Orientale un principio insostituibile, quando il duro allenamento esercita una pressione sufficiente, la mente tende a vagabondare, ad allenarsi, per interrompere lo sforzo.

Funakoshi era un uomo di abitudini e principi solidi ed ordinati, conoscitore del fatto che tutto comincia in Yin, mantenerci fermi nel qui e adesso è essenziale per la pratica del Karate come via di coscienza.

La routine e le ripetizioni dell’allenamento sono una dura prova per la concentrazione, l’allievo deve evitare la dispersione mentale e la meccanizzazione del movimento, solo essendo presenti, le tecniche possiedono la forza e l’intensità adeguate, solo concentrati nella loro applicazione possiamo ricaricare i nostri sistemi di forza, per concludere l’allenamento più forti di quando l’abbiamo cominciato.

VII · IL FALLIMENTO NASCE DALLA NEGLIGENZA

Per il Maestro non ci sono casualità, non ci sono “Ma” e non ci sono “Se”! Con questo punto il Maestro rafforza il precedente, l’attenzione, l’impegno sono essenziali nella pratica.

Non servire adeguatamente le parti che formano il tutto, farlo con deficienza, senza l’attenzione dovuta o senza lo sforzo necessario, conduce al fallimento, il fallimento non è una disgrazia che cade arbitrariamente dal cielo, ma anzi è sempre il risultato della distrazione, della disattenzione, dell’abbandono, della negligenza, dell’apatia o della trascuratezza.

Funakoshi ci ricorda che siamo responsabili dei nostri atti e dei suoi risultati, aprendoci così la porta delle possibilità di miglioramento e di crescita, l’evoluzione esiste a partire dal continuo errore, perciò il guerriero si alza ad ogni caduta con la certezza che, se corregge il suo errore, potrà raggiungere il suo obiettivo.

VIII · IL KARATE-DO SI PRATICA SOLO NEL DOJO

Il Dōjō è letteralmente “il posto del risveglio“ , il Karate-dō , non è una pratica utile ad attaccarsi per le strade, il suo obiettivo non è sottomettere gli altri, bensì rimodellare se stessi, per risvegliarci in una realtà dove il simbolico e il reale sono una cosa sola.

Con questo principio il Maestro ci ricorda ancora una volta che non dobbiamo utilizzare inadeguatamente le nostre conoscenze, circoscrivendo la nostra pratica nello spazio sacro del Dōjō .

IX · LA PRATICA DEL KARATE-DO DURA TUTTA LA VITA

Come pratica spirituale, il Karate-do è un’Arte che fa parte per sempre della natura degli allievi, inoltre, recitando questa frase gli allievi rinnovano quotidianamente il loro impegno con l’Arte, dandogli lo spazio adeguato nel loro essere.

Come pratica dai lunghi e lenti risultati, il Karate richiede un impegno durevole per raggiungere i suoi obiettivi e togliere il velo che nasconde i suoi tesori, perciò il Maestro in questo principio, ripete la necessità in un impegno per tutta la vita.

X · AFFRONTO I PROBLEMI CON LO SPIRITO DEL KARATE-DO

Ancora una volta comprendiamo attraverso un altro principio, che il Karate do come Arte trascende l’ambito del puramente fisico o sportivo, il Karate è un modo di vivere, un modo di affrontare le cose .

Quando Funakoshi ci intima di affrontare i problemi con spirito del Karate do, ci ricorda che siamo guerrieri ventiquattro ore al giorno, non solo quando siamo sul tatami , in questo modo il Karate do è implicato in tutti gli avvenimenti dell’esistenza del praticante, in modo tale che le virtù che l’adornano debbano attivarsi davanti alle avversità con autocontrollo, responsabilità, forza di superamento, rispetto ed impegno.

XI · IL KARATE-DO È COME L’ACQUA CHE BOLLE

L’acqua è un argomento ricorrente ed essenziale nella tradizione nipponica, esistono duecento termini differenti per dire acqua in funzione dello stato e delle circostanze che la circondano.

L’acqua è il principio della vita e l’essenza della sua natura è andare verso il basso, fluire, avvolgere, non opporsi.

Quando Funakoshi cita l’acqua nel suo stato di ebollizione, ci sta parlando dell’acqua nel suo stato “legno“, facendo riferimento ai cinque elementi chiamati GO KYO in Giappone.

Il legno si caratterizza per essere la forza di volontà e l’acqua in ebollizione si trasforma così nella realizzazione opposta della sua natura, attivandosi sale invece di scendere, cercando l’evaporazione, quest’attivazione della natura dell’acqua è il fuoco di consapevolezza che sorge dallo sforzo del praticante.

Perciò il praticante deve essere capace di rimanere in uno stato fluido ma attivo, sempre pronto a rispondere ad un attacco.

XII · NON ALIMENTATE L’IDEA DI VINCERE NÈ QUELLA DI ESSERE VINTI

Questo punto è quello che ha generato la tanto discussa polemica se il Karate debba essere o meno praticato in competizione.

La cosa essenziale in questo ambito risiede nell’atteggiamento corretto dell’allievo.

Se collochiamo l’obiettivo all’esterno infatti, senza dubbio non lo stiamo collocando all’interno.

Ma tale decisione è più uno stato d’animo che un atto definito, per il Maestro, il Karate è innanzitutto una via interna, come cammino verso l’auto-superamento nel Karate, i risultati esterni non possono essere il suo fondamento.

Pertanto il nemico non sta fuori bensì dentro di noi, ogni volta che rispondiamo solo esternamente, staremo trascurando la vera ragione d’essere dell’Arte.

XIII · ADATTARE L’ATTEGGIAMENTO A QUELLO DELL’AVVERSARIO

Bisogna evitare le formule preconcette nella vita, essere flessibili, adattarsi sempre alle circostanze, la pratica dell’Arte non è l’applicazione di formule, bensì la risoluta conquista delle risorse necessarie per fluire costantemente oltre le nostre limitazioni.

“Ogni toro ha la sua corrida“ recita il detto taurino, perciò quelli che pretendono di usare sempre la stessa tecnica davanti a diversi rivali saranno sconfitti.

XIV · IL SEGRETO DEL COMBATTIMENTO RISIEDE NELL’ARTE DI SAPER DIRIGERLO

Il combattimento come dice Sun Tsu , è un tutto dove regna l’apparente disordine, tuttavia l’esperto sa comprendere le chiavi nascoste utili ad ordinarlo, è possibile dirigere, perché nel mezzo dell’apparente caos dobbiamo capire che non solo esiste un ordine, ma che può essere diretto da un centro.

Comprendere che il centro della spirale dirige la sua periferia, sia nello spazio che nel tempo, è la chiave Maestra che ci propone Funakoshi ricordandoci che tutto questo è possibile e ci intima a cercare quei ritmi essenziali che dominano ogni contesa, per diventare padroni del ritmo del rivale affinché balli secondo la nostra musica.

XV · LE MANI E I PIEDI DEVONO COLPIRE COME SCIABOLE

Qui il Maestro sottolinea la conoscenza delle spirali come le forze e i movimenti più potenti e naturali.

Einstein ci aprì gli occhi comprendendo l’affermazione per la quale la linea più vicina a due punti è quella retta, non sarebbe stata sempre corretta, la stessa conformazione delle nostre braccia sorge nel periodo embrionale  da due spirali che derivano dalla collisione delle forze Cielo e Terra, che generano l’embrione.

Nella loro polarizzazione che è la crescita, queste forze sviluppano due paia di spirali di sette giri che generano le braccia e le gambe, una è più lunga, Yin (le gambe), e l’altra è più corta, Yang (le braccia), la loro concezione e la loro architettura fanno si che ogni movimento circolare sia facilitato.

Per questa ragione la Katana giapponese è curva, di fronte alla maggior parte delle spade occidentali, la comprensione dei principi della spirale è incisa profondamente nella conoscenza popolare Orientale e spesso rappresentata nei suoi simboli, il Maestro ci ricorda con questo principio che dobbiamo agire in sintonia con la natura delle cose e non contro essa, aprendo con questa chiave la porta ad un principio che ogni allievo deve ricordare nel proprio apprendistato.

Una chiave per ricordare oltre ciò che il suo Maestro gli insegna.

XVI · SGOMBERANDO LA SOGLIA DELLA VOSTRA CASA 10.000 NEMICI VI ASPETTANO

Ancora una volta il principio dell’attenzione continua, l’attenzione deve chiudersi nell’entropia , niente di meglio perciò di mettersi alla prova, per questo il Maestro non insegna il suo trucco, state sempre in guardia! Così la vostra attenzione rimarrà all’erta.

I vietnamiti normalmente si ripetevano: “chi si aspetta il peggio, non prende mai l’iniziativa“, non so perché ma personalmente questa regola mi riporta sempre alla memoria un detto Orientale che mi piace molto: “Se una tigre fa la guardia al passaggio, diecimila cervi non passeranno“.

XVII · KAMAE È LA REGOLA PER IL PRINCIPIANTE, DOPO È POSSIBILE ADOTTARE UNA POSIZIONE PIÙ NATURALE

Kamae. Stare in guardia , attenti, in posizione, pronti a reagire.

Sanzionando la precedente affermazione, il Maestro ci ricorda che l’allenamento possiede dei gradi ed ha un’evoluzione, l’allenamento è come un imbuto dove devi passare, restringe la tua natura, prescindendo quindi dal non necessario, per poi tornare ad essere te stesso ma trasformato dall’esperienza.

È un modo di rendere naturale un viaggio di andata e ritorno nel quale il tuo bagaglio è la cosa imprendibile, i tuoi ricordi, le tue esperienze. Su questo punto ricordo il detto Zen:

Prima dello Zen, la montagna è montagna, la valle, valle, la Luna, Luna. Durante lo Zen la montagna non è più la montagna, né la valle, valle, né la Luna, Luna . Dopo lo Zen, la montagna ritorna ad essere montagna, la valle, valle, la Luna, Luna.

Niente è cambiato, tuttavia tutto è differente. Kamae è un atteggiamento con il quale si allena una chiave che apre una porta, non la stanza nella quale vuoi entrare, è il dito che indica la luna, non la luna stessa.

XVIII · I KATA DOVRANNO ESSERE REALIZZATI CORRETTAMENTE, TUTTAVIA NEL COMBATTIMENTO REALE I LORO MOVIMENTI SI ADATTERANNO ALLE CIRCOSTANZE

Di nuovo ci ricorda di essere flessibili, ma rigorosi.

I Kata sono la base della  “Forma“, perciò è essenziale che nella loro pratica si allenino i movimenti con perfezione tecnica, non c’è contraddizione tra questo e combattere con movimenti che non riproducano quelli che si eseguono nel Kata, come sostengono alcuni maestri attuali.

Funakoshi lo disse chiaramente in questo punto, ancora una volta dobbiamo ricordare la posizione che assumono gli Orientali rispetto alle forme e che sviluppammo nell’analisi del primo punto del Dojo Kun.

Lo scopo del Karate-do non è quello di creare lottatori estremi, bensì sviluppare lo spirito od il corpo dell’allievo attraverso un allenamento che tiri fuori il meglio di lui, favorendo la positiva formazione di individui che possano, inoltre, essere elementi positivi per le loro società.

XIX · TRE FATTORI VANNO CONSIDERATI: LA FORZA, LA CONSISTENZA ED IL GRADO TECNICO

Davanti ad un compagno o di fronte ad un avversario Funakoshi ci ricorda i tre fattori che dobbiamo tenere in considerazione nella valutazione di noi stessi e di chi abbiamo di fronte, i primi due si riferiscono a considerazioni fisiche ed il terzo all’esperienza e alle conoscenze.

XX · APPROFONDITE IL VOSTRO PENSIERO

Probabilmente all’epoca, come adesso, gli allievi di Karate erano persone più d’azione che di riflessione, ma dato che tutto va visto nel suo opposto, il Maestro conclude le sue proposte con una chiara allusione allo sviluppo mentale degli allievi.

In questo piano di realtà tutto è mente o, con le parole di Carlos Castaneda, “Il Mondo è una descrizione“.

Non è vano, quindi, ricordare ad ogni praticante di Karate do di sviluppare le proprie abilità e le proprie conoscenze per crescere come persona, comprendendo la realtà che sta dietro le apparenze, riflettendo e meditando per completare il proprio apprendistato.



Conclusioni

Abbiamo visto in questa analisi che il Karate-do che propose il suo fondatore è una pratica trascendente, nella misura in cui può portarci oltre il simbolico, una via che apre porte e finestre per permetterci di capire e di agire giustamente, persino oltre le valutazioni morali.

Una via di crescita interna che sgorga all’esterno in risultati positivi

una formulazione della via del guerriero che ha saputo, in un modo o nell’altro, trovare un’eco quasi impensabile in quei giorni passati in cui il Maestro coniugò la tradizione Guerriera millenaria dell’Oriente con la comprensione e le formule iniziatiche proprie della tradizione nipponica, raggiungendo una formula Universale ed intensa che è durata, ha evoluto e trasformato migliaia di esseri umani nelle ultime decadi.

Benché oggi i suoi principi esposti nel Dojo Kun siano ignorati, essi rimangono vivi nella spirito che soggiace alle diverse pratiche negli svariati stili, trasformazioni e polarizzazioni di una stessa spirale iniziale, un punto di partenza fermo che ebbe un nome: Gichin Funakoshi .

Perciò, Maestro, con questo articolo voglio rinnovarvi la mia eterna gratitudine ed il mio riconoscimento

E per farlo, niente di meglio che ripensarti proprio quando tanti allievi pensano che tu sia antiquato.

Quello che loro non sanno, è che il classico in quanto tale è eterno e non può mai essere antiquato.

Note


COPERTINA sport a scuola

Progetto sport a scuola: esperienze di vita

Quattro anni, sono passati quattro anni dal giorno in cui mi presentai ai due comprensivi per la presentazione del progetto e mi sembra ieri il primo giorno che iniziai la mia attività motoria.

Gli sguardi degli alunni erano differenti a seconda della classe che frequentavano, curiosità, allegria, esuberanza, tutto faceva parte dell’atteggiamento nei miei confronti, ma un denominatore era comune a tutti, la voglia di muoversi, di correre, giocare e soprattutto di sfogarsi.

Immediatamente attuai tutti i criteri per la prevenzione di eventuali inconvenienti, cercando di regolare con l’attività in palestra l’iperattività dei più esuberanti e spronando i più timidi, ma un problema sorse immediatamente.

Il dover cercare di capire per ogni bambino il probabile carattere, per poter poi gestire i vari atteggiamenti che si sarebbero manifestati con l’attività ludica che sicuramente sarebbe stata anche selettiva ed evitare quindi prese in giro dei vincitori nei confronti dei perdenti.

Un lavoro oltre che fisico, psicologico, stressante, mi attendeva, ma ero preparato e la carica adrenalinica era alta

La fiducia dei docenti, dirigenti e alunni mi stimolavano nella ricerca del meglio per tutti, la prima settimana fu veramente stressante e ci lasciammo con tutte le classi (730 alunni) pieni di voglia di fare.

Una sorpresa mi attendeva dopo la pausa del fine settimana, alla ripresa all’inizio di ogni lezione quando gli alunni entrarono in palestra una gran parte corse verso di me abbracciandomi e corsi il rischio di “Capottare“ perché tanta era la foga dell’abbraccio che a stento riuscivo a tenere l’equilibrio.

Non avevo però messo in conto altri problemi, “ Perché quella bambina non partecipa all’attività “ dissi alla docente della classe, “ha la parrucca, sta facendo la chemioterapia“ mi rispose, forse se mi avessero dato un pugno allo stomaco ne avrei risentito di meno, mi sentii pervadere dalla rabbia per l’impotenza che si ha in questi casi.

Lo sguardo della bambina era triste, ma una piccola luce mi diceva che avrebbe voluto partecipare ai giochi.

Si facevano le capriole e dei circuiti, smisi di far eseguire le capriole e feci fare solo i circuiti in modo che anche la bambina potesse non avere problemi con la parrucca, dicendo agli altri che far troppe capriole avrebbero fatto venire capogiro.

Dopo una piccola resistenza la bambina si inserì con i compagni e la vidi sorridere, poi ridere e urlare per la gioia, non nascondo che mi si inumidirono gli occhi

Altro problema che mi si presentò fu un bambino che non voleva assolutamente salire neanche un gradino di 20 cm, mi resi conto che nei circuiti non voleva saltare neanche ostacoli di 10 cm, provai allora a mettere una corda per terra e gli dissi di scavalcarla, ma si bloccò davanti alla fune senza osare scavalcarla.

Non insistetti, cercai di capire il motivo per cui era terrorizzato nell’effettuare un movimento così semplice, non ci riuscii mai, ma con la pazienza e grazie alla fiducia che aveva in me, lo condussi attraverso un percorso e dopo alcuni mesi saltava la corda, faceva le capriole e saltava ostacoli di 50 cm d’altezza.

Non nascondo che ancora oggi quando mi vede e mi abbraccia felice di stare con me e i compagni, mi commuovo e dico a me stesso che devo continuare questo lavoro, gratuito ma pieno di soddisfazioni per i risultati che raggiungo

Presto mi scontrai con la realtà che anche nelle elementari, in qualsiasi classe anche nelle prime, già si intravedevano non solo atteggiamenti da bulli, ma anche vessazioni verso i più deboli e probabilmente anche i più educati e timidi.

Non fu facile trovare la strada, ma iniziai attraverso l’attività ludica a ridimensionare l’ego dei bulletti, e far accrescere l’amor proprio e la sicurezza degli altri, il risultato non tardò ad arrivare e anche i bulli si adeguarono alla nuova situazione che si era creata, giocando e collaborando con tutti, senza vessare più nessuno.

“Ciao Maestro !!!“ alcuni urlano così mentre passano in macchina con i genitori, altri incontrandomi per strada, in ogni luogo passi c’è sempre qualche alunno che mi saluta, mi sento orgoglioso di questo, mi dico “Il lavoro è stressante, non ho tempo per me, ho rinunciato al mio tempo libero, ma non si può non essere felici per l’affetto che i bambini mi stanno dimostrando“.

Durante una lezione mi accorsi che una bambina non partecipava attivamente ai giochi e durante l’attività motoria lo sguardo era assente

Mi avvicinai chiedendogli se si sentisse poco bene ma non mi rispose, mi avvicinò la docente e mi disse che la bambina viveva in  “casa famiglia“ , mi sentii una stretta al cuore, pensai alla tristezza che si portava dentro la bambina e presi una decisione, dovevo farla ridere! Fermai tutti i bambini e gli feci mettere le mani intorno alla vita, dissi “ al mio via fatemi una boccaccia, non si fecero pregare.

Tutti in sincronia tirarono fuori la lingua  e urlando mi fecero le boccacce, vidi la bambina ridere e anche lei si unì agli altri, ancora oggi quando siamo a lezione mi chiede di fare le boccacce ed io acconsento volentieri perché poi almeno per l’ora di lezione non vedo più la tristezza nei suoi occhi, ma la vedo felice che gioca assieme agli altri.

Il secondo e terzo anno furono 850 gli alunni, le problematiche non mancavano, dal bambino che non articolava bene i movimenti ad un altro che non sapeva correre, saltare, c’era chi non accettava la sconfitta, chi invece vincendo beffeggiava i compagni, cercai di risolvere tutti questi problemi.

Alcuni casi li ho risolti, altri al 50%, altri no, non ho potuto far niente se non fargli avere più fiducia in se stessi

Oggi ancora mi trovo ad affrontare delle situazioni che non mi consentono una vita facile, il più delle volte a causa dell’assenza della figura paterna o materna o ancora di tutte e due,i bambini sono tristi, non più tardi di quindici giorni fa una bambina di prima elementare molto timida e probabilmente con completa assenza di fiducia in se stessa non voleva partecipare ad un gioco per paura di perdere con l’avversaria ed essere presa in giro, capii subito la situazione e dopo parecchie insistenze da parte mia alla fine cedette e partecipò.

Devo essere sincero, feci in modo che la bambina vincesse contro una compagna molto più agguerrita, vidi che mi sorrideva felice di aver vinto e mi dissi che quel piccolo imbroglio l’avevo fatto a fin di bene, quando l’ora di motoria finì e la docente le mise in fila per rientrare in classe, la bambina si allontanò dalla fila e venne da me e mi disse “Ti voglio tanto bene“ , aveva capito?

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Note


COPERTINA la speranza del karate nelle olimpiadi

[ARCHIVIO] La speranza del Karate alle Olimpiadi è morta!

Consentitemi questo piccolo sfogo di amarezza. Il titolo di questo articolo esprime chiaramente ciò che voglio intendere.

Fin dalla unificazione F.I.K – F.E.S.I.K.A ad oggi Iscritto alla F.I.J.L.K.A.M c’è un’unica speranza che ha unito tutti noi che abbiamo militato nella F.I.J.L.K.A.M, ed era che un giorno, visti gli iscritti, viste le medaglie e visto il riconoscimento del C.O.N.I, ci saremmo visti gareggiare alle Olimpiadi.

Ho molta difficoltà nell’affrontare questo argomento e probabilmente una forte delusione, nel sapere che dopo circa vent’anni di lavoro ed illusione, oggi cada tutto.

Gli sforzi del Miliardario Tatsuno, che oltre l’impegno oltre i suoi appoggi politici ha profuso denaro e mezzi arrivando quasi al successo portando il karate alle Olimpiadi ma non potendo realizzarlo a causa della sua prematura morte.

Sicuramente però una grande parte l’ha fatta la divisione tra la WUKO di Delcourt e la JTKF di Nishiyama affinché il C.I.O non prendesse seriamente in considerazione l’ingresso del Karate alle Olimpiadi.

MA NOI CI ABBIAMO CREDUTO, AVEVAMO LE CREDENZIALI A POSTO!

Le scissioni e le nuove Federazioni nate un po’ dappertutto. Sicuramente non hanno aiutato questa disciplina.

Si è tentato modificando il sistema d’arbitraggio, il livello tecnico è stato portato a livelli stratosferici, ma non è servito allo scopo.

Marcus Cyron, Table tennis at the 2018 Summer Youth Olympics

Lo stesso prof Pellicone effettuò un tentativo per farsi eleggere alla presidenza della WKF (federazione fondata da Delcourt eliminando il gruppo di Nishiyama), ma ne uscì perdente perché vinse lo spagnolo Espinos che ha fatto di tutto per rendersi antipatico ai karateka di mezzo mondo.

Il C.I.O. ha fatto la sua scelta sul Golf ed il Rugby per le Olimpiadi del 2016, lasciandoci fuori e uccidendo le ultime speranze!

Per i non addetti ai lavori può non significare niente. Per noi che abbiamo sperato, sofferto sacrificato è una situazione che ci mette KO anche perché ci avevamo veramente creduto.

Non rimane che continuare a lavorare e credere in quello che facciamo, si sa che la vita va affrontata senza farci schiacciare dagli eventi negativi.

Andiamo avanti non sarà una mancata Olimpiade a non farci sentire MAESTRI DI ARTI MARZIALI E DI VITA!!!

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Note


Ridi pagliaccio… ridi! Lo spettacolo deve continuare

Continuare… nonostante tutto.

Mamma, perché quel pagliaccio piange mentre cerca di far ridere noi?”

Questo chiesi a mia madre quando avevo cinque anni e mi aveva portato al Circo Zanfretta a Carbonia.

Piange perché deve aver ricevuto una cattiva notizia, ma l’ordine è ridi pagliaccio…ridi, lo spettacolo deve continuare nonostante tutto“

Quelle parole mi rimasero come scolpite nella mente, mi chiedevo come si potesse continuare lo spettacolo mentre il cuore chiedeva di poter piangere e scappare via.

Questo ricordo comunque fu ed è il credo che ho sempre seguito nella mia vita lavorativa e sportiva.

Nel 1985 dopo due anni di preparazione, portai una mia atleta ai campionati Italiani di Karate, avevamo passato i due anni di lavoro sacrificando tante domeniche per dedicarci alla preparazione individuale.

Avevo sperimentato che nonostante la corazza che mi ero creato, mi affezionavo ad ogni allievo. Il lavorare, sudare e sacrificare assieme creava e crea un flusso che ci univa e tuttora ci unisce.

Arrivammo a Roma e vinse in titolo Italiano dopo ben cinque combattimenti. Una volta tornati a casa però non venne più in palestra, la contattai e mi disse queste testuali parole

Il mio ragazzo non vuole che continui perché se mi rompono il naso non mi vuole più“.

Piangendo mi disse che non sarebbe più venuta in palestra.

Un pezzo della mia corazza si ruppe e sentii che anche un pezzo di cuore se ne andava, fu difficile per me credere ancora in qualcuno che mi chiedeva di essere preparato per le gare, ma lo feci, iniziai a preparare altri ragazzi e una ragazza di 20 anni e 50 kg di peso.

Lavorammo sodo per diversi anni, facendo esperienza gareggiando in tornei promozionali, fino a che non venne il momento dei campionati Italiani.

Il Palalido a Roma era gremito, atleti e spettatori creavano un’atmosfera elettrizzante.

L’adrenalina era alta, quando salì sul tatami la mia atleta vi furono molte risate e fischi. I 50 kg creavano ilarità, ma quando vinse il primo combattimento vi furono più applausi che fischi, quando infine vinse, dopo cinque combattimenti il titolo Italiano, un boato scosse il palazzetto, gli applausi e le urla di incredulità del pubblico furono la gratifica per la ragazza, nonostante tutte le umiliazioni era stata caparbia e il risultato l’aveva premiata!

Maestro, devo partire per lavoro a Limone sul Garda. Mi piange il cuore, devo abbandonare la palestra!

Un altro pezzo di corazza si ruppe e un altro pezzo di cuore assieme a lei.

Continuai comunque a credere nei miei atleti, ripromettendomi però di non affezionarmi più a nessuno. Sono passati tanti anni da quei giorni, forse centinaia di atleti sono transitati in palestra, iniziai la preparazione di un ragazzetto di nove anni il quale aveva espresso il desiderio di combattere.

Campionati regionali medaglia d’oro, campionati del mondo quarto posto su 40 combattenti, campionati interregionali medaglia d’oro, mi affezionai a quel ragazzino, perfezionammo tattiche di gara, strategie che si dimostrarono vincenti, le soddisfazioni iniziavano ad arrivare, mi dicevo

Vedi, dopotutto c’è qualcuno che non demorde, che vuol continuare, che vuole essere un campione, hai fatto bene a dare ancora fiducia”.

Circa un mese fa mentre ci si preparava per i prossimi mondiali, prima dell’allenamento questo ragazzino venne con la madre la quale mi disse:

Non vuole più continuare, con grosso dispiacere anche per noi, abbiamo cercato di fargli cambiare idea ma non c’è niente da fare

Avevo dimenticato cosa si provasse, ma in quel momento sentii una mano che mi stringeva il cuore, non riuscii a dire altro che “Pazienza, ti stai portando via un pezzo del mio cuore, ma sopravvivrò!“.

Andati via. Entrai nello spogliatoio, e senza accorgermene sentii una lacrima che mi scendeva lungo la guancia.

L’asciugai, udii i ragazzi che entravano in palestra per iniziare la lezione. Era ora, mi tornò in mente: “Ridi pagliaccio…ridi, lo spettacolo deve continuare“.

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Note

COPERTINA Lo sviluppo organico del preadolescente

[SALUTE E BENESSERE] Lo sviluppo organico del preadolescente

Dai sei agli undici anni la crescita e l’evoluzione del corpo dei fanciulli e delle fanciulle è simile e ha lo stesso ritmo

Invece tra gli undici e i quattordici anni, lo sviluppo delle ragazze è più rapido.

Alla fine della preadolescenza i due sessi sono completamente differenziati

In quest’ultimo stadio evolutivo,alcuni sistemi ed apparati, come quello locomotorio e respiratorio, presentano una rapida evoluzione.

Leif Knutsen, Diversity of youth in Oslo (Norway)

Altri presentano uno sviluppo intenso, come ad esempio tutti gli organi del sistema genitale, altri ancora, come alcune ghiandole, continuano a crescere fino alla pubertà e poi regrediscono.

Per quanto riguarda le proporzioni del corpo, all’inizio di questo periodo si ha un aumento della crescita in statura ed una più lenta crescita di peso, l’aumento della statura è determinato in modo particolare dall’allungamento degli arti (braccia e gambe), più che del tronco, si producono per questo squilibri nelle proporzioni del corpo, tipici dell’adolescenza.

La differenziazione tra i sessi riguarda anche le proporzioni del corpo

Nelle ragazze si allarga il bacino, che nei maschi rimane snello, il contrario avviene per la larghezza delle spalle, rimangono snelle nelle femmine e si allargano nei maschi.

La mano dei maschi diventa più larga e muscolarmente più forte, ma in generale nei due sessi piedi e mani crescono in modo sproporzionato rispetto all’avambraccio e alle gambe.

Il diverso ritmo di sviluppo dei segmenti corporei determina squilibri che possono riguardare anche gli arti omologhi, esso può provocare una inadeguatezza nello schema corporeo e un’insicurezza nell’immagine di se, con tutti i problemi psicologici connessi.

Inoltre il corpo dell’adolescente può presentare malleabilità nello scheletro e transitoria insufficienza muscolare, tutto ciò favorisce l’insorgere di alterazioni morfologiche.

È questa l’età nella quale senza adeguata profilassi (come ad esempio l’esercizio fisico) possono correggersi ma talvolta rapidamente aggravarsi alterazioni strutturali

Benché tutto ciò possa essere aggravato da fattori esterni, come ad esempio le posizioni scorrette nel banco scolastico, il portare pesi eccessivi (cartelle pesanti in posizioni non simmetriche, ossia sempre dallo stesso lato), fattori ereditari e costituzionali hanno una importanza prevalente.

In questo periodo si ha una diminuzione del tessuto adiposo sottocutaneo, specie negli arti ed in forma più evidente nei maschi.

I muscoli scheletrici si sviluppano, in particolare per l’allungamento delle fibre muscolari, questa crescita è influenzata dal controllo ormonale e su di essa può influire favorevolmente l’attività fisica.

Forte è la crescita della muscolatura degli arti inferiori che arriva fino al 50% dell’intera massa muscolare.

Fino a 13 anni lo sviluppo muscolare ha un andamento parallelo nei due sessi, poi rallenta nelle ragazze, con l’aumento della massa muscolare cresce anche la forza muscolare.

Le ragazze raggiungono prima dei maschi il momento in cui sviluppano la massima forza muscolare, a causa della loro precoce maturazione sessuale, ciò è dovuto al fatto che il sistema nervoso vegetativo si stabilizza gradualmente.

Altre cause sono di natura psico-fisica, come stati d’animo, stati emozionali, tipici di questa età

Con il progredire della maturazione si ha una diminuzione della frequenza cardiaca a riposo e sotto sforzo.

La ventilazione polmonare è strettamente connessa con il livello di sviluppo anatomico dell’apparato respiratorio, l’accelerato ritmo di crescita delle vie aeree, degli alveoli e del tessuto polmonare rappresenta la base organica sulla quale si fonda l’aumento della capacità funzionale dell’apparato respiratorio, cioè della ventilazione polmonare.

Paterm A.D., Polish teenagers (2008)

Anche la respirazione nei tessuti, valutata secondo il criterio più significativo che è il consumo di ossigeno al minuto, mostra un aumento costante.

Vi sono notevoli differenze tra i due sessi, la crescita del massimo del consumo d’ossigeno è simile fino ai 13-14 anni, nei maschi la crescita dura fino a 18-19 anni e più lentamente fino a 20-22 anni.

Nelle femmine non allenate ha però una stasi.

Va notato che in generale tutti i parametri che misurano la funzionalità dell’apparato cardiocircolatorio nei soggetti allenati è maggiore che in quelli non allenati.

Le capacità di adattamento funzionale e strutturale dell’apparato cardiocircolatorio al carico è molto ampia, forti reazioni di adattamento si hanno anche nell’apparato respiratorio, la meccanica respiratoria appare più economica, diminuisce infatti,la frequenza respiratoria sotto sforzo mentre la respirazione è più profonda.

Anche i processi metabolici cambiano con i processi generali di crescita

All’inizio della pubertà la capacità aerobica non è ancora abbastanza sviluppata, essa si rafforza grazie alla maggior funzionalità dell’apparato cardiocircolatorio e di quello respiratorio.

La capacità anaerobica si forma invece più tardi ed in questa fase è ancora insufficiente in ambo i sessi, è opportuno quindi limitare l’uso dei carichi di tipo anaerobicolattacido.

Il sistema nervoso centrale, che ha raggiunto un elevato sviluppo, completa la sua maturazione proprio in periodo puberale, si ottiene un aumento della rapidità dei movimenti, che viene ulteriormente accelerata da un’attività fisica ben diretta.

In questo periodo, dagli 11 ai 14 anni, si stabilizza e si affina soprattutto la coordinazione dell’attività muscolare, malgrado i problemi che possono sorgere a causa dei cambiamenti delle proporzioni del corpo e, a causa dell’aumento di certi presupposti condizionali, come forza.

Per quanto riguarda il sistema nervoso vegetativo, si può osservare una labilità momentanea dovuta alle grande proporzioni organiche e funzionali a tutti i livelli degli organi interni, (si pensi al mutamento del sistema genitale che ha un ruolo importantissimo nello sviluppo vegetativo)

Queste trasformazioni causano rapide variazioni di umore e alternanza di prestazioni intellettuali e sportive.

Dai 10 anni in poi per le femmine, dagli 11-12 anni per i maschi, ha inizio un nuovo periodo dello sviluppo.

Si parla allora di prepubertà e pubertà ed anche di preadolescenza

Queste parole vanno spiegate.

Prepubertà e pubertà sono termini che stanno ad indicare lo sviluppo in senso fisico, l’inizio della funzione sessuale e riproduttiva, l’aumento del peso corporeo, lo sviluppo degli arti inferiori ecc…

Preadolescenza e adolescenza sono termini più generali che includono sempre un riferimento più o meno diretto ai fenomeni fisiologici di questa età di formazione, ma che privilegiano i paralleli processi intellettuali e cognitivi e i profondi mutamenti della vita affettiva.

Note


Similitudini fra la PASSIONE per i GIOCHI gladiatori e il CALCIO

Schiere di tifosi osannanti scandiscono i nomi degli uomini in campo per l’evento sportivo dell’anno, ad assistervi in tribuna d’onore ci sono i pezzi grossi della politica e dell’economia, ma non è una finale di Champions league, è la fotografia di uno spettacolo di gladiatori al Colosseo più o meno duemila anni fa.

Allora come oggi gli spettacoli sportivi appassionavano migliaia di cittadini, tanto che i potenti presero ad approfittarne.

Nacque così il meccanismo del consenso che l’autore satirico Giovenale (1° secolo d.C) definì panem et circenses: si organizzavano pubbliche attività ludiche per ingraziarsi il popolo e distogliere l’attenzione dei cittadini dalla vita politica in modo da lasciarla in mano alle élite.

Suona moderno anche questo, vero?

Ma vediamo come divennero popolari i giochi gladiatori.

In origine erano riti funerari. La traccia più antica di giochi gladiatori è stata trovata in alcune tombe di Paestum del IV secolo a.C. ed allora gli spargimenti di sangue avevano un significato simbolico legato al culto dei morti, si chiamavano infatti munera, cioè dovere, dono.

A poco a poco, però, i combattimenti acquistarono una popolarità tale da vivere di vita propria, la gente aveva scoperto la passione per i giochi e, come accade oggi, i politici non tardarono a rendersene conto.

Ma potremmo chiederci cosa c’entri la politica

I giochi gladiatori diventarono uno strumento attraverso il quale i magistrati, ed in seguito ancora di più l’imperatore, si facevano pubblicità.

Divennero talmente importanti che la legge stabilí che un magistrato, una volta eletto, avesse l’obbligo di allestire un gioco gladiatorio o di costruire un edificio pubblico.

Quasi tutti sceglievano i giochi, garantivano il maggior consenso popolare.

Il popolo inneggiava sui muri i propri eroi

La popolarità dei gladiatori è testimoniata per esempio dai graffiti di Pompei, che ci danno un quadro della vita quotidiana più fedele delle fonti storiche, se gli intellettuali dell’epoca guardavano i gladiatori con una certa puzza sotto il naso (allo stesso modo oggi alcuni intellettuali guardano con sufficienza al mondo del calcio) il popolo al contrario li idolatrava.

Il popolo inneggiava sui muri i propri eroi, che spesso avevano soprannomi evocativi: Ferox (Feroce), Leo (Leone), Tigris (Tigre), Aureolus (Ragazzo d’oro) ecc…

Forse Aureolus era il Maradona dell’epoca, le analogie con il mondo del calcio sono molto più numerose di quanto si immagini, due gladiatori potevano scontrarsi tra loro solo se appartenevano alla stessa “classe“, un po’ come oggi una squadra di serie A non può giocare con una di serie B.


I gladiatori vivevano e si allenavano molto duramente

In luoghi preposti, i ludi, spesso gli allenatori erano i rudiarii, ex gladiatori che, esaurito il vigore della gioventù, si convertivano in “mister“, e a gestire i ludi erano i lanisti, sorta di impresari che selezionavano gli schiavi più promettenti, li addestravano, li sottoponevano a diete particolari per rinforzare i muscoli e poi li affittavano, a prezzi esorbitanti, ai grandi personaggi politici dell’epoca o a privati che volevano ingraziarsi il popolo.

Il giro d’affari era paragonabile a quello del calcio di oggi, e come oggi c’erano le scommesse, non sono giunte prove di gare truccate,ma si sa che prima dei combattimenti c’era sempre una probatio armorum, la “prova delle armi“.

Un rito attraverso il quale i gladiatori dimostravano che le loro spade erano adeguatamente affilate, evidentemente il popolo voleva essere sicuro di non essere imbrogliato.

A spendere più di tutti erano gli editores, le figure che affittavano i gladiatori, cioè che mettevano i soldi, un po’ come gli attuali presidenti delle squadre di calcio, le cifre che giravano erano talmente alte che l’imperatore Marco Aurelio (II secolo d.C.) fu costretto a calmierare i prezzi.

Se volessimo prendere esempio dagli antichi romani, non avremmo solo Marco Aurelio a cui ispirarci, Cicerone riferisce della Lex Tullia de ambitu, una legge approvata sotto il suo consolato, nel 63 a.C., che impediva ai personaggi pubblici di finanziare giochi gladiatori nei due anni che precedevano le elezioni.

I Romani erano ben consapevoli di quanto i giochi conferissero popolarità a chi li sponsorizzava, lo sapeva bene l’imperatore Augusto, che per controllarli meglio rese obbligatorio ottenere l’autorizzazione preventiva del senato, e lo sapeva Nerone che, dimostrando fiuto politico, divenne amico di molti famosi gladiatori.

I gladiatori non erano solo degli schiavi

I gladiatori non erano solo degli schiavi. I lanisti gli reclutavano e gli obbligavano a seguire regimi alimentari rigorosi e a sostenere allenamenti intensi, ma se in campo si comportavano bene, ottenevano fama e gloria e molti soldi .

Ben presto gli editores presero a pagare profumatamente i vincitori dei combattimenti più importanti, dando loro l’occasione di un riscatto sociale, molti riuscirono a comprarsi la libertà e addirittura a diventare ricchi.

Per non parlare del successo con l’altro sesso, come i calciatori di oggi, anche i gladiatori erano nel mirino delle donne più belle dell’epoca.

Il poeta satirico Giovenale ironizzò sulla vicenda di una certa Eppia, che abbandonò casa e famiglia per seguire il gladiatore Sergio, che aveva anche un aspetto ributtante, sfregiato, con un enorme porro in mezzo al naso ed un occhio perennemente gocciolante.

Un graffito di Pompei inneggia poi al thraex Celado, che faceva sospirare le fanciulle, i gladiatori erano così noti che andavano in giro in turnèe (potrei dire in trasferta) per tutto l’impero, a Benevento un’ iscrizione funeraria ricorda un gladiatore “straniero“ giunto addirittura da Colonia, in Germania.

Fu per tutti questi vantaggi che anche uomini liberi presero la decisione di diventare gladiatori ,la fama, i soldi e le donne facevano gola a molti, così gli svantaggi passavano in secondo piano.

Chi sceglieva di diventare gladiatore rinunciava ad alcuni privilegi, al diritto di voto per esempio e alla possibilità di intraprendere un carriera politica, i gladiatori, come del resto gli attori e i personaggi di spettacolo, erano considerati cittadini di serie B.

Un’ambivalenza difficile da capire per noi

Anche se erano gli idoli delle folle, erano poco apprezzati dalla classe dirigente, poiché il mestiere di esibirsi difronte a un pubblico era ritenuto poco nobile, per non dire degradante.

Uno svantaggio che si crede impropriamente che avessero i gladiatori è un elemento tutt’altro che trascurabile, il rischio di morire, ma non così tanto come si pensa o come ci hanno fatto credere nei film, a nessuno conveniva che morissero, né al lanista, che aveva investito tempo e risorse su di loro, né tanto meno all’editor, che era tenuto a risarcire cifre esorbitanti al lanista in caso di morte del gladiatore.

A Pompei, per esempio, in ciascuno dei 32 combattimenti documentati dai graffiti, furono coinvolte 20 coppie di gladiatori, dalla lettera scritta accanto ai loro nomi (M per missus, cioè graziato, V per vicit, vinse, e O barrata per i morti) è stato appurato che i morti furono in tutto tre.

Di solito a morire erano i più pusillanimi o i più scorretti, la cui uccisione veniva invocata a furor di popolo.

Sant’Agostino denunciava l’inumana voluttà che travolgeva chi assisteva a questi spettacoli di morte, l’abbrutimento morale di chi si faceva inebriare dagli spargimenti di sangue, la sua visione era  condizionata dalle persecuzioni contro i cristiani.

Le persecuzioni ebbero il loro culmine nelle arene nel lV- V secolo a Roma, l’immagine che esce dagli studi storici, specie in centri minori come Pompei, è però diversa, la gente non era assetata di sangue,né amava lo spettacolo della morte in sé.

L’affermarsi del cristianesimo soppresse i giochi

Generalmente quello che il popolo voleva vedere erano buoni combattimenti, con gladiatori abili, coraggiosi e rispettosi delle regole, che erano rigidissime e ben codificate, né più né meno che i tifosi di oggi che si incontrano al bar dello sport, possiamo immaginare che gli spettatori di allora amassero discutere tra loro delle prove dei loro beniamini.

L’affermarsi del cristianesimo soppresse i giochi fra il lV e il V secolo, che ne denunciò (anche in quanto manifestazione del mondo pagano) la violenza.

Al tramonto dei giochi contribuirono anche la decadenza delle arene che li ospitavano e di Roma stessa.

Da allora in poi in Europa non ci fu più un fenomeno sociale paragonabile ai giochi dei gladiatori, almeno sino al successo del calcio dei nostri tempi.

Note


Nel karate ci sono PREGIUDIZI, lo sappiamo TUTTI

Quanti Sensei sono realmente qualificati per insegnare una disciplina così difficile?

I lottatori, fuori controllo, ripresero la lotta avventandosi uno sull’altro come in una lotta tra cane e gatto. Varie cinture nere e altri assistenti saltarono allora sul ring. Quando smisero di lottare, la gente che era salita sul ring tentò di attaccare un uomo con la pelle di colore differente, come se un’onda razzista fosse sul punto di esplodere nel Karate americano. Gli organizzatori del torneo a questo punto pensarono di tenere dei tornei separati per bianchi e neri, sperando che lo spirito del Bushido restituisca la saggezza agli atleti di Karate prima che degenerasse tutto nei tornei

La filosofia del Bushido finisce sempre per apparire in discussioni accademiche di questo tipo, l’ideale sarebbe che prevalesse sempre lo spirito del Bushido, così non ci sarebbero problemi, ma quanti Sensei sono realmente qualificati per insegnare una disciplina così difficile?

Quanti oggi possono dire oggi ai loro allievi “Seguitemi ,che io vi indicherò la strada“?

Il mio Maestro “Nakaashi” una volta mi ha detto I pregiudizi sono un atteggiamento della mente, la discriminazione è un’azione”.

Uno può apparire senza l’altro, i comitati e le commissioni possono formarsi per creare un codice di condotta che elimini il pregiudizio di fondo, ma c’è un solo modo per combattere i pregiudizi: un cambiamento di carattere, aiutato ed appoggiato dalla disciplina e dal rispetto.

I Maestri di una volta avevano la risposta. Per loro, nei loro insegnamenti era l’Etica: sapevano che la natura di un uomo non cambiava perchè si vestiva con abiti civili o con il gi.

Il cambiamento del carattere deve essere fatto dall’allenamento, un allenamento con una severa disciplina

La continua ripetizione e revisione delle basi, anno dopo anno, fu pensata per fare una selezione e lasciar fuori gli allievi troppo emotivi e impazienti.

Gli istruttori il cui comportamento si basa più sulla rottura che sulle promesse non dovrebbero parlare, nessuno può negare che l’atteggiamento degli allievi rifletta l’ambiente dei Dojo nel quale si allenano, ogni Dojo è unico, ognuno ha nel suo specifico ambiente la sua specifica personalità, un Dojo è il riflesso dei Sensei, dell’organizzazione e dell’ambiente.

Generalmente, un Dojo attrae e conserva gli allievi che si inseriscono nel suo ambiente

Se un Sensei segue una traiettoria deviata, i suoi allievi seguiranno la stessa traiettoria, c’era una vecchia storia che illustra questo punto:

Perché non cammini dritto figlio mio? Disse un vecchio granchio a suo figlio, devi imparare ad andare dritto!Insegnami come, padre, rispose il giovane granchio, e quando andrai dritto, proverò a seguirti.

Un’immagine vale più di mille parole e finché i Sensei di questo paese non agiscono seguendo questo principio, il Karate sarà come il vecchio granchio che non riuscì a rispondere al proprio figlio.


Era appena finita la guerra del Pacifico e l’occupazione del Giappone era in pieno svolgimento

Una sera, dopo aver visto un film, Arai andò a camminare a Isezaki-cho, la strada principale di Yokohama, da dove provenivano grida, voci, parolacce che ascoltava ed il suono di una rissa a Negishiva, nell’unico luogo aperto tutta la notte.

Quasi tutti i giapponesi che si trovavano per strada a quell’ora erano magnaccia, prostitute, ladri e delinquenti

Era appena finita la guerra del Pacifico e l’occupazione del Giappone era in pieno svolgimento, quasi tutti i giapponesi che si trovavano per strada a quell’ora erano magnaccia, prostitute, ladri e delinquenti, il resto erano uomini delle Forze Armate statunitensi e marinai della marina mercantile che, al crepuscolo, si riunivano nel Ne gishiya per prendersi un ultimo drink o farsi uno spuntino, in questo miscuglio così eterogeneo di gente, le risse notturne erano abituali e il Negishiva era il luogo adatto a questo.

Ci fermammo a guardare e la rissa finì in piazza, di fronte all’entrata, un marinaio della mercantile stava lottando con due soldati e un bullo, il marinaio non riusciva quasi a reggersi in piedi, un gancio sinistro nello stomaco lasciò uno sei soldati a terra e un uppercut destro lasciò l’altro stordito.

Quando stava andando dal bullo, una bottiglia che qualcuno lanciò dalla folla gli colpì alla testa e lo atterrò

La folla corse verso di lui, gli diedero calci violentissimi e, come lupi intorno ad una preda indifesa, riempirono l’ambiente di suoni spaventosi. All’improvviso, Arai si avventò sulla folla per aiutare l’uomo, emise un kiai come non si è più sentito da quella notte di novembre, il suo kiai fece tacere di colpo la folla assetata di sangue e restarono pietrificati, proprio allora apparve la Polizia Militare e, all’improvviso, la folla scomparve.

La mattina seguente, prima dell’alba, Arai andò nel cortile antistante la casa e iniziò a praticare kiaijutsu, il Sensei diceva sempre “Devi tirar fuori il tuo spirito attraverso il suono“ dopo la notte precedente Arai si rese conto che il Kiai che aveva emesso era un Kiai di stordimento, era un buon kiai che utilizzato in momenti chiave del combattimento poteva pietrificare l’avversario o paralizzarlo, doveva essere una vera e propria arma.

In genere il kiai emesso durante la pratica delle arti marziali è un semplice grido dalla gola, ma il vero si tira fuori in modo esplosivo dalla zona addominale, in coordinazione con il diaframma, la posizione della lingua è importante, le diverse posizioni della lingua danno luogo a diversi tipi di kiai.


Muso Gonnosuke affermava che aveva sconfitto in un combattimento l’incomparabile Miyamoto Musashi utilizzando un bastone

La sua affermazione era difficile da credere, poiché nessuno era riuscito a battere Miyamoto in un duello con la Katana, e tanto meno con un bastone, la storia inoltre raccontava che Miyamoto aveva vinto gli avversari in sei duelli a morte, per questo l’impresa di Gonnosuke doveva sembrare incredibile.

Secondo quanto si racconta, accadde una seconda volta, Miyamoto sconfisse Gonnosuke in un primo combattimento ma gli risparmiò la vita, la seconda volta, dopo aver studiato per tre anni come battere  Miyamoto, ci riuscì con un lungo Bo di più di un metro e lasciò che Miyamoto se ne andasse risparmiandogli anch’egli la vita, così come aveva fatto lui con la sua.

Arrivava perfino a dover rifiutare nuovi allievi, poiché il suo Dojo avrebbe potuto correre il rischio di crollare

Il contributo di Gonnosuke ai posteri comunque non è questo fatto rilevante solo nelle arti marziali, ma è stato anche il primo ad introdurre i principi nel mondo dello spettacolo delle arti marziali e le rese attrazioni per un pubblico desideroso di pagare per vederle, riuscì anche a fare del suo modo di vestire un altro spettacolo, si vestiva come un pavone reale e si pavoneggiava come tale, tutti i suoi movimenti erano calcolati, come si dice nel mondo dello spettacolo, nessun artista vale più di ciò che può ottenere al botteghino, la gente accorreva in massa per vederlo lottare e vedere come muoveva il suo corpo.

Arrivava perfino a dover rifiutare nuovi allievi, poiché il suo Dojo avrebbe potuto correre il rischio di crollare, Gonnosuke era inoltre un uomo d’affari sensato ed intelligente, con una mente fredda, non faceva quello che fanno oggi molti professionisti, far salire i prezzi alle stelle.

È un peccato che non si sia scritto molto su di lui, è probabile che i tradizionalisti abbiano detestato il suo lato professionale, ma in quel momento chi poteva prevedere eventi futuri che si sarebbero verificati 500 anni dopo?

Un buon Sensei deve trasformare il potenziale di un allievo in qualcosa di reale, ogni allievo può diventare potenzialmente un Maestro ed è il Sensei che si fa carico di motivare ed indirizzare l’allievo perchè questo possa scoprire se stesso. La motivazione del Sensei ha un effetto simile al processo che fa trasformare una crisalide in una bella farfalla


Narra un atleta

Narra un atleta: eravamo da tre giorni in un programma di allenamento estivo in montagna e si stava rivelando duro, ci restavano davanti sette giorni di un corso di dieci giorni, stavamo imparando allenamento di arti marziali e sopravvivenza in montagna.

Dovevamo adattarci per ottenere cibo da Madre Natura

Era difficile sopportare il rigoroso allenamento che aveva stabilito il professore e, inoltre, dovevamo imparare tecniche di sopravvivenza, dovevamo adattarci per ottenere cibo da Madre Natura, per me non era molto complicato, ma per un mio compagno Tanaka stava diventando molto dura.

Tanaka non era una persona molto comunicativa ma, ogni volta che apriva bocca, l’unica cosa di cui parlava era del buon cibo che c’era nel quartiere cinese di Yokohama “Non credo di essere un Samurai, ora che ci penso, i miei antenati erano agricoltori, una cosa è certa, dovevano avere sempre qualcosa da mangiare “ .

Tutti finimmo col perdere peso, a volte Sensei diceva: “Vi stanno diventando grandi i pantaloni? Ricordate che quanto più lunga è la cintura, tanto più corta sarà la vita“.

Un giorno, dopo aver imparato a catturare pesci nel fiume con un arpione, Tanaka mi disse “Sai ora che ci penso, non ho mai sentito parlare di un Samurai grasso, probabilmente l’obesità gli avrebbe impedito di fare movimenti e avrebbe diminuito la sua resistenza, sto imparando a valorizzare questa esperienza, sto iniziando a capire perché il Sensei ha incluso questo tipo di allenamento.“

L’ultima notte il Sensei di diresse verso di noi e disse: “In tutta la sua vita Miyamoto Musashi partecipò a 60 combattimenti, la maggior parte mortali, il suo primo combattimento fu a 13 anni e l’ultimo quasi a 30, in seguito non tornò più a lottare e morì sul tatami, da vecchio ed in pace“.

Decisamente, fu una delle figure più importanti del Giappone, tuttavia non riuscì a trovare un successore, mentre lo trovarono figure meno abili di lui, Miyamoto ha commesso lo stesso errore che commettono molti bravi Maestri, tentò di formare un allievo a sua immagine e somiglianza.


Un buon Sensei non è colui che forma un allievo come lui, ma colui che trasforma il potenziale del suo allievo in realtà

Io sono io e tu sei tu, quando arriva il tuo momento, dovrai trasformarti in te stesso, e il modo per farlo è insegnare le arti marziali come un’esperienza totale, non come un’arte specializzata.

Note


[AUTODIFESA & SPORT] Punti di pressione: la spazzata

Nello studio dei punti di pressione, il praticante impara subito che attaccando qualsiasi punto può prodursi una perdita di controllo corporale, che porta al suolo l’avversario.

Questo succede non solo con i punti della testa, come è logico aspettarsi, bensì anche con quelli di qualsiasi parte del corpo.

Dunque, perché abbiamo bisogno di un livello di allenamento completo per insegnare specifiche spazzate?

La risposta è semplice, alcune persone per la loro professione, non sono solite utilizzare gli attacchi a molti di questi punti per far cadere l’avversario, professioni come agenti delle forze dell’ordine, tecnici del pronto soccorso medico e personale di sicurezza esigono metodi di controllo di basso livello che non si vedono di buon occhio in questa società.

Tuttavia, controllare ed annullare una persona pericolosa riduce il rischio di subire ferite, sia per noi che per le persone che ci stanno attorno, la chiave sta nel comprendere alcuni obiettivi accessibili da qualsiasi angolo e nell’allenarsi fino a trasformarli in un movimento naturale, è anche importante conoscere ciò che succede esattamente utilizzando uno di questi obiettivi, il che rappresenta contemporaneamente un vantaggio strategico per la persona che li utilizza.

Quando sappiamo come il corpo reagisce o si muove le possibilità che abbiamo e come intensificare l’attacco in caso di necessità, riduciamo gli scenari imprevisti e con questo lo stress e il panico, dopo aver acquisito dimestichezza con l’allenamento dovremo aumentare lo stress, la velocità e l’intensità dello stesso, per abituarci all’aumento di adrenalina ed ai suoi effetti, imparando a lavorare sugli stessi.

Oltre questo allenamento dovremo possedere altre due abilità: quella della neutralizzazione (in situazioni gravi d’emergenza) e quella del controllo continuo

I punti di pressione che si utilizzano sono la chiave ed il metodo più semplice per accedere al sistema nervoso del corpo.

Focalizzatevi, per esempio, sull’obiettivo del nervo mentoniano Miscellaneo della testa e del collo, il quale prevede tre modi per essere attivato, tre angolazioni principali d’accesso e tre di controllo, questo non offre solo una notevole versatilità,  ma anche delle ottime opzioni di controllo per chi le utilizza.

Premendo questo nervo verso il basso e verso il centro del collo, debiliteremo i muscoli del collo e potremo girare la testa dell’avversario e manovrarla in diverse direzioni, in avanti, all’indietro, ai lati e, specialmente, verso il basso, sfregando questo punto rapidamente si produce immediatamente la disfunzione delle gambe e del controllo corporale, neutralizzando così la minaccia con la stessa rapidità. In casi di vera necessità, colpendo questo punto possono anche provocarsi vari livelli di perdita di conoscenza, questi risultati possono essere ottenuti da davanti, di lato e perfino da dietro, il che aumenta considerevolmente la valenza di questo bersaglio, grazie a questo e a molti altri obiettivi sarà molto più facile manovrare, ridurre e persino immobilizzare un aggressore.

Benché questo punto sia molto accessibile, dovremo disporre di una gran varietà di obiettivi per ogni circostanza o necessità

Un altro obiettivo ugualmente efficace e versatile è quello che si trova dietro la mandibola e sotto il lobo dell’orecchio: il triplo riscaldatore, gli agenti delle forze dell’ordine, il personale di sicurezza militare e gli artisti marziali conoscono questo punto da molto tempo, ma quello che normalmente non si conosce è la sua fruibilità e il suo livello di disfunzione.

Per esempio, possiamo dominare l’avversario premendo alternativamente su entrambi i lati, alzando o abbassando e persino mettendo KO con un minimo sforzo, l’angolo più idoneo per colpire questo punto è verso la punta del naso, con delle leggere variazioni, sia nell’angolo che nel metodo di applicazione, per ottenere risultati differenti.

Un altro obiettivo da evidenziare si trova davanti al muscolo sternocleidomastoideo

Allo stesso livello del pomo d’Adamo, il nervo è una ramificazione del nervo iperglosale e si collega con il nervo vago, questo punto, inoltre, condivide la fruibilità del triplo riscaldatore e si può usare anche per causare asfissia.

Come si sa esistono due principali metodi per asfissiare un individuo o finalizzarlo o per fargli perdere conoscenza: tagliando la somministrazione d’aria è un metodo lungo e pericoloso, perché il praticante può essere ferito durante i minuti di lotta per la sopravvivenza, Tuttavia, per tagliare la somministrazione di sangue abbiamo bisogno solo di pochi secondi, benché continui ad esistere il suddetto pericolo, poiché l’avversario cercherà di difendersi per eliminare la minaccia, se utilizziamo correttamente il punto dello Stomaco 9, porremo fine immediatamente alla sua resistenza.

Sfregando verso il basso e verso l’interno il punto dello stomaco 9, si produce la disfunzione delle braccia (facendole cadere senza che pregiudichino il viso o la testa del praticante) e la debilitazione di tutta la funzione corporale, di modo che la sua applicazione risulta più sicura nei secondi precedenti agli effetti dell’asfissia per blocco sanguigno.

Quando le braccia dell’avversario si trovano sulle nostre in una situazione di grappling, sarà difficile raggiungere ed accedere a tutti i precedenti punti, nonostante ciò, esistono molti obiettivi accessibili che ci daranno il controllo dell’avversario, abbattendolo rapidamente e provocando la disfunzione temporanea del corpo.

Colpendo il punto dello stomaco 11, impediremo agli impulsi nervosi di arrivare ai muscoli sotto il punto nel lato del corpo dove lo applichiamo, accediamo a questo punto dalla parte esterna, ma di lato e dietro il vertice della clavicola, il nervo deve essere premuto contro la parte di dietro della clavicola e verso il basso per ottenere la disfunzione, ed il metodo migliore per attivarlo è raggiungerlo direttamente con la mano.

Sotto la presa dell’avversario contiamo anche su un paio di obiettivi facili per abbattere o provocare la disfunzione temporanea dell’aggressore, sopra la struttura pelvica

Il punto della cistifellea 26 è situato sopra l’osso dell’anca (cresta iliaca), ed è una ramificazione del nervo ileoipogastrico del polmone 1.

Premendo e colpendo questo nervo contro l’osso provocheremo un dolore acuto, la paralisi e la disfunzione dell’arto inferiore, questo farà cadere l’avversario verso il lato attaccato, permettendo al praticante di contenerlo o di scappare, in alcune persone può provocare persino nausea.

L’altro è il punto della cistifellea 23, situato due dita di lato della vertebra, appena sotto la 12à costola si trova un’altra ramificazione del nervo sub-costale, colpendo o premendo verso il basso ad un angolo di 45 gradi verso i genitali provocheremo un dolore acuto, la perdita di controllo muscolare e nausea.

Una delle caratteristiche di questo punto è che può contenere una spazzata di spalla o di anca.

Quando il judoka o un altro esperto in spazzate ruota la schiena e l’anca verso di noi per fare leva, semplicemente sfregando l’accesso a questo nervo verso il basso e l’interno, gli faremo cedere le gambe,debilitando la sua base, è necessario essere cauti durante l’allenamento, poiché la perdita della base può provocare lesioni nella parte bassa della schiena, dato che sarà li dove si applicherà ora tutta la pressione.

Un altro vantaggio di questo metodo per evitare la spazzata è che, cadendo, l’avversario rimarrà in una posizione perfetta per praticare l’asfissia per blocco sanguigno

Come abbiamo detto prima, un attacco dalla schiena o una montada, inoltre, per gli agenti delle forze dell’ordine, questo metodo è eccellente per abbattere da dietro l’avversario, per controllarlo o per guadagnare un vantaggio nel momento di introdurre il delinquente in un veicolo o in una cella.

La conoscenza dei punti di pressione servono anche per migliorare le spazzate nelle arti marziali,  se si imparano i punti di pressione è anche per provocare la disfunzione corporale al fine di inabilitare e far cadere un avversario, si praticano anche molte delle spazzate che vengono usate nelle arti marziali, queste comprendono dagli spostamenti di gambe alle chiavi articolari  e perfino movimenti di sacrificio.

I punti di pressione possono migliorare qualsiasi metodo utilizzato per far cadere o abbattere un avversario, dall’Aikido allo Shotokan.

Cominciando da una spazzata di piede tradizionale, usando un punto chiamato milza 6, all’interno dello stinco ad un palmo di distanza dall’osso della caviglia, potremo ottenere due spazzate differenti, colpendo questo punto verso l’alto, facciamo saltare la gamba verso l’alto e all’indietro, e non sarà necessario aumentare la forza o il tempo della spazzata convenzionale.

Se affrontiamo un avversario molto più grande di noi, è possibile lesionarsi la gamba o qualche articolazione sopportando il suo peso e la sua forza

Ma se utilizziamo correttamente i punti di pressione e calciamo questo punto verso l’alto con un angolo di 45 gradi, si produce il cosiddetto riflesso flessore o di ritirata, dove il suo stesso sistema nervoso farà alzare la gamba all’indietro squilibrando l’avversario.

Se attacchiamo lo stesso punto verso il basso con un angolo di 45 gradi, debiliteremo la caviglia e la parte inferiore della gamba, utilizzando il riflesso di paralisi naturale.

Qui è dove si perde il controllo di tutti i muscoli periferici che sostengono il peso, facendo collassate l’individuo, questo implica un potenziale e grave danno alla caviglia e alle articolazioni del ginocchio, durante la paralisi dei muscoli e la ricaduta del corpo in zone carenti d’appoggio, il peso viene disperso lateralmente e dato che le articolazioni non sono progettate per questo, si produce la lesione dei legamenti interni e del tessuto connettore. Persino i tendini che circondano la zona della caviglia, ad eccezione dell’osso frontale dello stinco, contengono quello che viene chiamato l’apparato di Golgi.

L’apparato di Golgi è un meccano recettore, esistono due recettori muscolari: il fuso neuromuscolare e l’apparato di Golgi, presenti ambedue in tutti i muscoli, hanno la funzione di evitare il danno muscolare

Il fuso neuromuscolare si trova all’interno del muscolo ed è sensibile allo stiramento muscolare, controlla la lunghezza del muscolo, se il muscolo si distende troppo ,il fuso neuromuscolare invia un messaggio al midollo spinale ed immediatamente si produce la contrazione del muscolo per evitare la lesione da stiramento eccessivo.

L’apparato di Golgi si trova nel tendine e misura la tensione di tale muscolo, benché possa sembrare simile al fuso neuromuscolare, non lo è, l’apparato di Golgi invia informazioni al cervello su piccole porzioni del muscolo, affinché il cervello sappia non solo quello che sta facendo il muscolo nella sua totalità, ma anche quello che sta facendo ognuna delle parti che compone quel muscolo.

Quando l’organo tendineo di Golgi capta un’eccessiva tensione sul muscolo (come stiramento prodotto dal nostro attacco sotto forma di sfregamento), invia un segnale al midollo spinale il quale, a sua volta, provoca il rilassamento del muscolo per ridurre la tensione.

La differenza principale tra l’apparato di Golgi ed il fuso neuromuscolare è che il fuso neuromuscolare obbliga il muscolo a contrarsi per evitare uno stiramento eccessivo, mentre l’apparato di Golgi obbliga il  muscolo a rilassarsi per ridurre la tensione

Dato che ambedue i recettori sono presenti in tutti i tendini, attaccando il braccio abbiamo visto come uno sfregamento (stiramento), il muscolo si rilassa e la gamba collassa.Possiamo usare i punti di pressione per attaccare la gamba, lavorando sulla stessa spazzata con due risultati completamente diversi, possiamo calciare con il tallone nel punto situato alla base del muscolo del polpaccio, dove si collega con il tendine d’Achille, calciando questo punto verso l’alto e ad un angolo di 45 gradi, faremo in modo che il riflesso di ritirata del sistema nervoso alzi la gamba (anche questo stesso punto e metodo possono essere usati per manovre per noi vantaggiose).

Si può calciare anche direttamente per abbattere direttamente un avversario da dietro, poiché la gamba salta in avanti priva di controllo così rapidamente che risulta quasi impossibile mantenere l’equilibrio ed evitare la caduta,l’altro modo per utilizzare queste due manovre è mirare verso il basso sul punto situato giusto sopra il muscolo del polpaccio sotto la parte posteriore del ginocchio.

Questo provocherà il collasso della gamba, che in certi casi può essere più sicuro dell’elevazione della stessa, poiché in quel momento l’equilibrio del praticante potrebbe essere in pericolo, più siamo vecchi, più sarà importante questo metodo per ottenere la spazzata perché i muscoli, le articolazioni e l’equilibrio si debilitano.

Conoscendo gli obiettivi dei punti di pressione, aumentiamo la versatilità e l’efficacia delle abilità che migliorano con l’età

Tenete presente che qualsiasi di questi  o di altri punti possono essere usati come metodo per realizzare una proiezione, un posizionamento, una spazzata o altri cambi di posizione possibili, e che non possono essere spiegati in un solo articolo,seguendo una progressione logica, dopo aver imparato i punti semplici di pressione , arriviamo al seguente livello di spazzate e di controllo, il praticante avrà bisogno solo di una minima forza per ottenere cadute, spazzate, controlli o riduzioni.

Alcuni degli obiettivi e dei metodi descritti in questo articolo, avranno necessità di allenamento costante e serio che ci permetta di dominare il controllo che ci fornisce la preparazione.

Allenatevi bene!

Note


Krav Maga: Discutiamone assieme

Durante il processo di creazione del Krav Maga, il fondatore Imi Lichtenfeld diceva sempre: “la parte della difesa personale del Krav Maga è adatta a tutti, ma per arrivare a essere un artista del Krav Maga è necessario qualcosa in più“.

Tra le altre cose abbiamo bisogno di provare noi stessi se siamo realmente capaci di fare tecniche diverse

Dobbiamo essere capaci di mettere il nostro avversario fuori combattimento nel modo più rapido ed efficace possibile e per questo abbiamo bisogno soprattutto di determinazione.

Quando il nemico porta qualsiasi tipo di arma, la nostra integrità fisica e la nostra vita saranno in pericolo finché il nostro avversario è in piedi o è capace di realizzare qualsiasi tipo di attacco,un solo movimento, un semplice calcio o pugno.

L’allenamento essenziale consiste nel rafforzare le diverse parti del corpo al massimo, cosa che è già molto,

Gli abitanti dell’isola di Okinawa, per esempio, hanno sviluppato la tecnica di pugno che Imi ha incluso nel programma di Krav Maga, consentitemi di fare un piccolo riepilogo di storia.

Quando i Giapponesi conquistarono l’isola di Okinawa, alcuni secoli fa, i soldati invasori indossavano armature di legno, composte da canne di bambù intrecciate tra loro, questa era la miglior difesa che la tecnologia di quell’epoca poteva offrire, in risposta a questo gli abitanti dell’isola si allenavano in segreto colpendo pietre e pezzi di legno per rafforzare le nocche dei pugni il più possibile.

Volevano essere in grado di penetrare l’armatura rompendola con un solo colpo e, normalmente, uccidevano il soldato con un solo pugno, quando Imi decise che fosse arrivato il momento di insegnare la tecnica, ha fatto le lezioni  appendendosi un pettorale di legno (all’altezza del petto), composto di tavole forti e dure, diceva di mettersi di fronte a lui ed iniziare a colpirlo ripetutamente con i pugni, così disse

“Rafforzerete le nocche dei pugni finché non sarete in grado di mettere KO il vostro avversario con un solo colpo. La vostra capacità di colpo crescerà lezione dopo lezione, sentirete che la vostra capacità di rompere cose, migliorerà e comprenderete il vero potenziale dei vostri colpi, saprete esattamente  quello di cui sarete capaci di fare e, sia voi sia i vostri futuri allievi raggiungerete un altissimo grado di fiducia in voi stessi “.

In una lotta reale, abbiamo solo un’opportunità di colpire ed è meglio essere capaci di mettere KO l’avversario con un unico colpo

Questa è una delle cose più importanti, in fin dei conti quasi tutti acquistiamo più autostima e, in una lotta reale, abbiamo solo un’opportunità di colpire ed è meglio essere capaci di mettere KO l’avversario con un unico colpo, ”e soprattutto ripeteva centinaia di volte, non dimenticate che il maestro deve dare e deve essere un esempio in tutto“

È molto facile colpire mattoni e pietre perché non restituiscono mai il colpo “, diceva sempre Imi, con un sorriso, “ma, se non lo facciamo non ci rafforzeremo, dobbiamo fare tutto con determinazione per superare i nostri avversari“.

“Quando impariamo a colpire una superficie dura con i nostri pugni , non solo li rendiamo più forti, spiegava Imi, ma creiamo un condizionamento nella nostra mente“.

Questo significava che, dopo alcune migliaia di colpi con le nocche a una tavola o a una superficie dura, questa azione si sarebbe trasformata in parte integrante dei nostri pensieri e che avremmo colpito sempre l’obiettivo istintivamente con le due ossa corrette,queste due nocche con le quali diamo i colpi di pugno, sono l’unico punto della mano che possiamo rafforzare, così come lavoriamo con i grandi muscoli della parte esterna della mano, con i quali facciamo il colpo di pugno a martello.

Imi ha insegnato come, usando i movimenti bio-meccanici appropriati e la posizione corretta, possiamo incrementare la potenza ed eliminare un nemico con un solo colpo

Anche se questi colpi non hanno la stessa forza dei pugni, Imi ha insegnato e spiegato come, usando i movimenti bio-meccanici appropriati e la posizione corretta, possiamo incrementare la potenza ed eliminare un nemico con un solo colpo, i nostri muscoli possono funzionare nella loro regolare intensità quotidiana, tuttavia, in un momento di pericolo, come allievi o artisti di Krav Maga dobbiamo sapere come farli funzionare in accordo con quei principi biomeccanici che ci permettono di raggiungere il nostro massimo potenziale.

Tuttavia se, al momento di colpire, le parti del nostro corpo non fossero pronte, potremmo provocare un danno a noi stessi anziché al nostro avversario (o avversari), per questo è così importante preparare e rafforzare le parti del nostro corpo, Quando si arriva ad un certo livello si impara a difendersi dai coltelli, pistola, bastone e fucile, è allora che il rafforzamento corporale si testa.

Imi diceva sempre che il Krav Maga come arte marziale include conoscenze sia teoriche che pratiche

Ognuno può allenarsi e insegnare il Krav Maga come meglio crede, ma solo se si insegnano tutti i segreti e i piccoli dettagli di questa arte in modo pieno e completo si fornirà al praticante la forza reale e il potenziale che sono nascosti nella creazione originale da Imi.

Il rafforzamento del nostro corpo non termina con il rafforzamento aggressivo delle nostre ossa colpendo pietre e pezzi di legno e altri allenamenti eccezionali, dobbiamo preparare ogni muscolo del nostro corpo, alcune ossa forti devono fare affidamento su muscoli forti, per esempio, facendo flessioni sulla punta delle dita, rafforzeremo il palmo della mano e lo trasformeremo in un’arma mortale e non sarebbe un’esagerazione confrontare il colpo di una persona ben allenata con il colpo di un’ascia.

Sensei Rotem fa flessioni sulle punte delle dita, rafforzando le sue dita fino al punto di essere capace di penetrare nello stomaco di qualsiasi avversario con un semplice ma deciso colpo, neutralizzandolo immediatamente, il colpo con le dita diventa anche più letale quando va indirizzato al collo, un movimento che probabilmente finirà l’avversario.

Imi spiegava sempre “il Krav Maga è un’arte marziale senza nessun tipo di violenza, noi ci difendiamo solo, ma chi tenta di attaccarci ne pagherà le conseguenze”

Questo è lo spirito del Krav Maga, che lo ha trasformato nella più letale e popolare delle arti marziali, chi voglia familiarizzare con il cammino originale di Imi e comprendere l’eccezionale spirito di lotta e sopravvivenza del popolo israeliano, deve seguire il percorso completo del Krav Maga, Imi ha costruito il suo Krav Maga come se fosse una cipolla, uno strato sopra l’altro e dobbiamo togliere ogni strato, uno dopo l’altro fino a trovare il nucleo.

Saltare una fase non ci porterà da nessuna parte, perderci una tecnica ci renderà incapaci ad imparare tecniche più difficili in futuro, per questo si da molta importanza a continuare a insegnare le tecniche di rafforzamento, per essere capaci di colpire l’avversario e finirlo, questa è la nostra autostima, questa è la nostra capacità di sopravvivenza per strada, non c’è altro modo.

Oggi si parla di “punti mortali, punti vitali“, questo significa che ci sono punti nel corpo che, quando sono colpiti, provocano la morte di chi riceve il colpo, Imi non ha mai parlato di questo per quanto riguarda il Krav Maga ma, quando qualcuno glielo chiese, la sua reazione fu di guardare con compassione la persona che gli aveva fatto la domanda, probabilmente ancora non c’era la conoscenza che c’è oggi sui predetti punti, i tempi erano diversi come sono oggi diverse le modalità per rafforzare le parti del corpo che colpiscono, ma la sua concezione era quella quindi proseguo dicendo che Imi diceva che ci si deve allenare sempre fino ad arrivare al punto di essere capaci di neutralizzare il nostro avversario in modo immediato in una lotta per strada e per questo probabilmente pensava che fosse essenziale allenarsi colpendo pietre e legno.

Per la strada non troveremo un avversario stupido

Non ci aiuterà a cercare i punti che vogliamo colpire, anche il nostro nemico sa come lottare, per questo dobbiamo essere capaci per essere sicuri di poter battere l’avversario colpendolo in qualsiasi parte del corpo, Imi spiegava: il nostro avversario è migliore di noi , solo quando lo avremo sconfitto saremo migliore di lui Il principio di difesa personale che Imi ha incluso nel Krav Maga, si applica perfettamente nella serie di difese, qui impariamo a difenderci da complesse tecniche di attacco dei nostri avversari, che  combinano pugni e calci simultanei.

Possiamo usare anche la tecnica segreta che Imi ha chiamato “Lehikanes“, la determinazione di andare all’interno. Questa tecnica nasconde tutti i segreti e la forza del popolo israeliano e del Krav Maga.

Note


[PILLOLE DI STORIA] Domenico Alberto Azuni, l’illustre giurista

Giurista insigne, gettò le basi del moderno diritto internazionale marittimo. Nacque a Sassari nel 1749 da famiglia medio borghese.

Laureatosi nel 1772 in leggi, dopo due anni di pratica legale, nel 1774 lasciò Sassari alla volta di Torino. Qui esercitò la pratica forense e, nel 1777, divenne pubblico funzionario dell’ufficio generale delle regie finanze.

Inviato a Nizza come giudice del consolato del commercio e del mare, ebbe modo di dimostrare la propria competenza e iniziò a pubblicare il Dizionario universale ragionato di giurisprudenza mercantile, in quattro volumi (1786-1788).

Quest’opera era il risultato di una ricerca sistematica di leggi e consuetudini delle città europee e si imponeva per le concezioni ampie e innovative, che raccordavano cambio, traffici ed attività marinare attraverso norme internazionali.

Per il giurista sardo i riconoscimenti non si fecero attendere

Vittorio Amedeo III conferì all’Azuni il titolo e i privilegi di senatore (1789) e lo incaricò di redigere il piano per il codice della marina mercantile degli Stati Sardi (1791).

Occupata Nizza dai francesi nel 1792, lo studioso fu costretto ad abbandonare la città ed a rifugiarsi a Torino. Iniziò un periodo difficile, segnato dalle invidie per la sua rapida e brillante carriera, che lo portò a trasferirsi a Firenze.

Chiese di tornare in Sardegna con un impiego ufficiale, ma anche questo, per volere degli stamenti sardi, gli fu negato. Seguirono privazioni e altri trasferimenti a Modena, Trieste e Venezia.

Nonostante le difficoltà, l’Azuni continuò a studiare, giungendo a pubblicare nel 1796 Sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa, opera importantissima che gli valse la cittadinanza onoraria della città di Pisa (1796) e l’incarico da parte di Napoleone di redigere con altri giuristi il nuovo codice marittimo e commerciale francese (1801).

Negli anni 1799-1802 ebbe anche modo di dedicare alla Sardegna, sempre amata nonostante il rifiuto patito, le opere Essai sur l’histoire géographique, politique te naturelle du royaume de Sardaigne e Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne.

Queste opere mettevano in evidenza la centralità strategica dell’isola nel Mediterraneo e ne analizzavano le problematiche economiche in un’ottica straordinariamente moderna.

Pubblicò Droit Maritime de l’Europe nel 1805 e Origine et progrès de la législation maritime nel 1810, anno in cui fu anche nominato da Bonaparte cavaliere dell’Impero.

Gli ultimi anni

Con la successiva caduta di Napoleone, di cui era ritenuto un sostenitore, l’Azuni fu esonerato da ogni incarico. Come conseguenza si ritrovò a vivere nella sua casa di Genova in un’umiliante indigenza.

Nel 1818 il giurista Azuni entrò nella Reale Società Agraria ed Economica cittadina

Nel 1818, per l’intervento di influenti personaggi vicini al re Vittorio Emanuele I, fu nominato giudice del Supremo Magistrato del Consolato di Cagliari. Entrò infine a far parte della Reale Società Agraria ed Economica cittadina.

Dal 1820 alla pensione, avvenuta nel 1825, fu presidente della biblioteca universitaria di Cagliari: ruolo che svolse con particolare passione, rilanciando l’istituzione.

Morì nel 1827 lasciando i suoi beni ad una giovane donna, Maria Carpi, che l’aveva assistito fino alla fine con l’affetto di una figlia. Fu sepolto, come egli espressamente indicò, nella chiesa di Bonaria.

Note