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COPERTINA il diritto di vivere con una famiglia

Jorge, Juan e Carlos | Il diritto di VIVERE con una FAMIGLIA

Il caso dei fratelli Jorge, Juan e Carlos è un’ulteriore prova della forza della missione di SOS Villaggi dei Bambini.

Dopo essere stati abbandonati e rimasti separati per due anni, i fratelli hanno potuto ricongiungersi assieme nel 2000, accolti da una Mamma SOS.

Dopo essere stati abbandonati dalla loro famiglia biologica, la sorte di tre fratellini divenne incerta quando furono ospitati in diverse strutture nel 2005.

Mentre Juan e Carlo furono portati nello Stato di Hidalgo, Jorge rimase da solo a Città del Messico.

Adam Jones, Street Scene with Women Pedestrians (Ocosingo-Chiapas, Mexico 2021)

La buona sorte arrivò nella loro vita con il coinvolgimento di SOS Villaggi dei Bambini

La buona sorte arrivò nella loro vita con il coinvolgimento di SOS Villaggi dei Bambini, che prese a cuore la situazione e fece in modo di accoglierli tutti assieme nella stessa casa, per legare nuovamente la loro fratellanza.

Jorge, Carlos e Juan furono accolti con una grande festa al Villaggio SOS di Città del Messico il 22 giugno 2007, quando avevano rispettivamente otto, sette e cinque anni.

Adesso vivono tutti assieme da oltre un anno.

Jorge, Juan e Carlos provenivano originariamente dalla Città di Iguala nello Stato Guerrero, situato nel Messico sud-orientale.

Nel dicembre del 2005 furono abbandonati dalla loro madre e da allora avevano vissuto separati in strutture statali, senza l’opportunità di mantenere alcun contatto fra di loro.

Jorge ne risentì maggiormente: era malato di diabete e piangeva spesso perché voleva tanto riabbracciare i suoi fratellini.

Juan e Carlos riuscirono a riunirsi per primi nel gennaio del 2006, in un rifugio a Hidalgo

La speranza sfiorò le loro vite quando il personale di ambedue i rifugi venne a conoscenza della loro storia e capirono che non era giusto farli vivere lontani.

Riunire i tre fratelli era la cosa migliore da fare.

Organizzare il loro ricongiungimento non è stata cosa semplice

Jorge era entusiasta dell’idea, ma Carlo dopo tutto quel tempo lontano dai fratelli credeva che non gli volessero più bene. Juan, il più piccolo, non si ricordava nemmeno dei suoi fratelli più grandi.

Dopo alcuni mesi standogli vicino e aiutandoli a comprendere la situazione, il loro rapporto cominciò a tornare quello di una volta ed oggi i 3 bambini giocano tutti assieme nello stesso giardino.

Seattle City Council, CDSA preschool photos

Il modello di accoglienza familiare SOS ha dato a loro maggiore sicurezza, grazie alla certezza di sapere che adesso nessuno li lascerà di nuovo soli.

Sanno che un giorno cresceranno e potranno diventare degli adulti autonomi, con un loro lavoro ed una loro casa.

Il direttore del Villaggio SOS, Carlos Toriz, dice:

Pensiamo che i bambini abbandonati possano riuscire più facilmente ad allontanarsi dalla paura se mantengono i contatti con i propri fratelli, soprattutto crescendo all’interno di un ambiente domestico ed amorevole. Prima che fossero accolti al Villaggio SOS, Juan, Jorge e Carlos non avevano alcuna speranza di potersi rivedere e tornare a vivere in un contesto familiare..

Carlos Toriz, direttore villaggio SOS bambini

La vita dei 3 fratelli è stata trasformata positivamente sotto tutti i punti di vista

Ora Juan frequenta l’asilo e la sua insegnante dice che è un bimbo molto sorridente e gioioso, benché talvolta richieda molte attenzioni.

È un bambino pieno di vita, affettuoso, tenero e birichino

Gli piace molto giocare con i suoi fratelli.

Carlos frequenta la seconda elementare, ma ha qualche problema di linguaggio ed apprendimento a causa dei traumi dell’abbandono.

Nel Villaggio SOS frequenta dei corsi di linguaggio e terapia, che lo stanno aiutando a superare i suoi problemi.

Benché il suo progresso sia lento, Carlos fa del suo meglio per prendere buoni voti a scuola ed è stato congratulato dalle maestre per il suo impegno.

È un bambino timido e sensibile, ma gli piace giocare e parlare con i suoi fratelli

Per Carlos è stato difficile adattarsi al contatto fraterno, poiché era rimasto molto tempo in un rifugio da solo e non riusciva a sentirsi parte della famiglia.

Per questa ragione, la sua Mamma SOS gli è stata molto vicino, per dimostrargli che ora non deve più avere paura e tutti i membri del Villaggio SOS gli staranno vicini.

Jorge frequenta la terza elementare, gli piacciono i dinosauri e sogna di diventare archeologo un qualche giorno in futuro.

La sua crescita è minacciata dalla sua malattia: il diabete

È molto pesante da sopportare e deve sottostare a cure a base di insulina, che alterano il suo carattere e l’umore.

Per Jorge è molto difficile convivere con il diabete, poiché ama le caramelle e adesso deve seguire una rigida dieta per mantenere i giusti livelli di glucosio.

Benché talvolta si senta frustrato, Jorge sa che la sua famiglia lo ama e lo sostiene.

Il riavvicinamento dei 3 fratelli ha permesso la guarigione delle ferite emotive causate dalla lontananza dalla famiglia.

Benché ognuno abbia la sua peculiare e talvolta molto diversa personalità, vi è qualcosa che condividono: il desiderio di stare insieme in un luogo dove c’è amore e rispetto per loro.

Note

  • Tratto da SOS villaggi dei bambini
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Cosa sono le SRLS? una breve introduzione

Costituire srl con 1 euro di capitale sociale e senza costi notarili. Mi è capitato di dover chiamare diversi notai, ma solo dopo vari tentativi ho trovato un professionista disposto ad accogliere la richiesta.

Gli studi notarili non si sono organizzati a tal proposito, forse anche perché non introitano compensi da tale operazione.

Devo dire con sorpresa, che l’impreparazione su questa novità nel Diritto Societario è grande.

Nella stesura originaria di questa legge, era prevista la costituzione di queste società anche da parte dei Dottori Commercialisti, che spaventati da questo aggravio di lavoro, hanno declinato l’invito.

Ora, sappiamo che ci sono due novità fondamentali: 1 euro di capitale senza costi notarili

La possibilità per gli under 35 di costituire srl con 1 euro di capitale sociale e senza costi notarili (escluse imposta di registro di €. 168 e diritti camerali mediamente di €. 200), è di notevole utilità e offre numerosi vantaggi.

Si è scritto molto al riguardo, soprattutto sul fatto che le banche non valutano una società senza capitale (perché, quelle con capitale le valutano?).

Io penso che oggi una srl abbia molti vantaggi a partire dalla “responsabilità limitata” e per finire agli innumerevoli usi che se ne possono fare.

L’altra novità è una srl per gli over 35, sempre a capitale ridotto, ma che dovranno rassegnarsi a pagare il solito compenso al Notaio previsto per le società di capitali. Qua invece credo non abbiano semplificato un bel niente. Non c’è l’obbligo del versamento del capitale sociale.

Per le vecchie srl il capitale sociale minimo era 10.000 euro, conferendone in realtà 1/3, quindi circa 3.000, che in teoria possono essere versati (prestati da papà o da nonno), ritirare la ricevuta, e poi ritirarli immediatamente, il tutto nel giro di mezz’ora…o addirittura si può conferire il capitale in natura (beni mobili e immobili, e anche qui esiste una letteratura vastissima: bene mobile è anche una Lambretta).

Note

  • Scritto da Gianluca Fadda, Consulente e Dirigente d’Azienda e redattore di Nuova Isola dal 2009 al 2014
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Vivere in Sardegna: perché può essere un’idea interessante?

Vivere stabilmente in Sardegna può essere davvero un’idea splendida. Una soluzione che ha già intrigato moltissime persone e che, con ogni probabilità, è destinata ad avere un seguito ancor più importante nel prossimo futuro.

Se ci si chiede per quale motivo vivere in Sardegna possa essere una scelta interessante, non si può non citare immediatamente la qualità della vita che questa regione può offrire. Non è un caso, d’altronde, se la scelta di vivere stabilmente in Sardegna riguardi soprattutto coppie e persone non più giovanissime, le quali desiderano trascorrere la vecchiaia all’insegna della serenità e del benessere.

Ma come fare, dunque, a vivere in Sardegna?

L’idea di stabilirsi presso l’isola sarda riguarda per buone percentuali persone pensionate, le quali dunque non devono più preoccuparsi di guadagnarsi da vivere e possono concentrarsi sul desiderio di vivere una vecchiaia piacevole, priva di pensieri.

Allo stesso tempo, tra le persone che scelgono di vivere in Sardegna vi sono delle famiglie benestanti. Si tratta prevalentemente di importanti capitalisti anche stranieri, oppure imprenditori che non hanno impedimenti lavorativi da disbrigare personalmente.

Tra chi sceglie di vivere in Sardegna, tuttavia, vi sono anche dei giovani di ceto medio, che hanno quindi la necessità, come tutti, di trovare un lavoro.

Lavorare sull’isola

Le professioni connesse con il turismo sono numerosissime. Di conseguenza l’isola sarda riesce ad offrire ogni estate numerosissimi posti di lavoro. Il turismo sardo però, come noto, è prevalentemente stagionale. Di conseguenza riuscire a vivere con il solo lavoro estivo può obiettivamente non essere semplice.

Non bisogna dimenticare tuttavia che la Sardegna accoglie in diverse sue zone un turismo lussuoso ed elitario, attorno a quale orbita un business milionario. Di conseguenza alcune figure professionali, soprattutto di tipo manageriale, possono certamente assicurarsi tramite il solo lavoro estivo degli stipendi in grado di rivelarsi ampiamente sufficienti per tutto l’anno.

Il costo della vita

Potrebbe sembrare paradossale, eppure la Sardegna è molto apprezzata anche per il suo costo della vita, davvero molto basso. Sebbene come già detto alcune zone siano una meta assolutamente VIP e prevedano un costo della vita molto elevato, altri versanti dell’isola si rivelano pressoché opposti in tal senso.

Paragonando il costo della vita di molte zone della Sardegna a quello di numerose città italiane, soprattutto dei centri più importanti quali Roma e Milano, la differenza risulta davvero fortissima, soprattutto per chi ha la necessità di affittare un appartamento.

I collegamenti da e verso l’isola

La scelta di vivere in Sardegna è ottimale anche per quanto riguarda gli ottimi collegamenti che contraddistinguono quest’isola. Credere che la Sardegna sia mal collegata con l’Italia e con l’estero, infatti, sarebbe un errore.

I porti italiani da cui partono regolarmente numerosissimi traghetti per la Sardegna sono numerosi e riguardano ogni zona d’Italia: Genova, Livorno, Piombino, Napoli, Civitavecchia, Palermo.  

Anche per quanto riguarda l’estero la Sardegna è una regione molto ben collegata. Basti citare a tal riguardo porti quali quello spagnolo di Barcellona, quello francese di Marsiglia, e quelli, vicinissimi, situati in Corsica.

Sebbene infine il traghetto sia la soluzione più scelta da chi intende raggiungere la Sardegna, anche per il fatto che consente di poter trasferire sull’isola il proprio veicolo, non bisogna peraltro dimenticare numerose opportunità per quanto concerne i collegamenti aerei, soprattutto nei mesi estivi.

Vivere in Sardegna: conclusioni

Insomma, la Sardegna non è solo turismo, ma può essere anche una scelta di vita molto interessante, perfetta per chi pone la qualità della vita al primo posto tra le proprie priorità. Un’isola che può garantire un relax ed una distensione fisica e mentale senza precedenti.

La Sardegna infatti è la regione ideale per chi desidera costruirsi una vita ben distante rispetto al caos cittadino ed ai più tipici paesaggi urbani.

Note

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COPERTINA sport a scuola

Progetto sport a scuola: esperienze di vita

Quattro anni, sono passati quattro anni dal giorno in cui mi presentai ai due comprensivi per la presentazione del progetto e mi sembra ieri il primo giorno che iniziai la mia attività motoria.

Gli sguardi degli alunni erano differenti a seconda della classe che frequentavano, curiosità, allegria, esuberanza, tutto faceva parte dell’atteggiamento nei miei confronti, ma un denominatore era comune a tutti, la voglia di muoversi, di correre, giocare e soprattutto di sfogarsi.

Immediatamente attuai tutti i criteri per la prevenzione di eventuali inconvenienti, cercando di regolare con l’attività in palestra l’iperattività dei più esuberanti e spronando i più timidi, ma un problema sorse immediatamente.

Il dover cercare di capire per ogni bambino il probabile carattere, per poter poi gestire i vari atteggiamenti che si sarebbero manifestati con l’attività ludica che sicuramente sarebbe stata anche selettiva ed evitare quindi prese in giro dei vincitori nei confronti dei perdenti.

Un lavoro oltre che fisico, psicologico, stressante, mi attendeva, ma ero preparato e la carica adrenalinica era alta

La fiducia dei docenti, dirigenti e alunni mi stimolavano nella ricerca del meglio per tutti, la prima settimana fu veramente stressante e ci lasciammo con tutte le classi (730 alunni) pieni di voglia di fare.

Una sorpresa mi attendeva dopo la pausa del fine settimana, alla ripresa all’inizio di ogni lezione quando gli alunni entrarono in palestra una gran parte corse verso di me abbracciandomi e corsi il rischio di “Capottare“ perché tanta era la foga dell’abbraccio che a stento riuscivo a tenere l’equilibrio.

Non avevo però messo in conto altri problemi, “ Perché quella bambina non partecipa all’attività “ dissi alla docente della classe, “ha la parrucca, sta facendo la chemioterapia“ mi rispose, forse se mi avessero dato un pugno allo stomaco ne avrei risentito di meno, mi sentii pervadere dalla rabbia per l’impotenza che si ha in questi casi.

Lo sguardo della bambina era triste, ma una piccola luce mi diceva che avrebbe voluto partecipare ai giochi.

Si facevano le capriole e dei circuiti, smisi di far eseguire le capriole e feci fare solo i circuiti in modo che anche la bambina potesse non avere problemi con la parrucca, dicendo agli altri che far troppe capriole avrebbero fatto venire capogiro.

Dopo una piccola resistenza la bambina si inserì con i compagni e la vidi sorridere, poi ridere e urlare per la gioia, non nascondo che mi si inumidirono gli occhi

Altro problema che mi si presentò fu un bambino che non voleva assolutamente salire neanche un gradino di 20 cm, mi resi conto che nei circuiti non voleva saltare neanche ostacoli di 10 cm, provai allora a mettere una corda per terra e gli dissi di scavalcarla, ma si bloccò davanti alla fune senza osare scavalcarla.

Non insistetti, cercai di capire il motivo per cui era terrorizzato nell’effettuare un movimento così semplice, non ci riuscii mai, ma con la pazienza e grazie alla fiducia che aveva in me, lo condussi attraverso un percorso e dopo alcuni mesi saltava la corda, faceva le capriole e saltava ostacoli di 50 cm d’altezza.

Non nascondo che ancora oggi quando mi vede e mi abbraccia felice di stare con me e i compagni, mi commuovo e dico a me stesso che devo continuare questo lavoro, gratuito ma pieno di soddisfazioni per i risultati che raggiungo

Presto mi scontrai con la realtà che anche nelle elementari, in qualsiasi classe anche nelle prime, già si intravedevano non solo atteggiamenti da bulli, ma anche vessazioni verso i più deboli e probabilmente anche i più educati e timidi.

Non fu facile trovare la strada, ma iniziai attraverso l’attività ludica a ridimensionare l’ego dei bulletti, e far accrescere l’amor proprio e la sicurezza degli altri, il risultato non tardò ad arrivare e anche i bulli si adeguarono alla nuova situazione che si era creata, giocando e collaborando con tutti, senza vessare più nessuno.

“Ciao Maestro !!!“ alcuni urlano così mentre passano in macchina con i genitori, altri incontrandomi per strada, in ogni luogo passi c’è sempre qualche alunno che mi saluta, mi sento orgoglioso di questo, mi dico “Il lavoro è stressante, non ho tempo per me, ho rinunciato al mio tempo libero, ma non si può non essere felici per l’affetto che i bambini mi stanno dimostrando“.

Durante una lezione mi accorsi che una bambina non partecipava attivamente ai giochi e durante l’attività motoria lo sguardo era assente

Mi avvicinai chiedendogli se si sentisse poco bene ma non mi rispose, mi avvicinò la docente e mi disse che la bambina viveva in  “casa famiglia“ , mi sentii una stretta al cuore, pensai alla tristezza che si portava dentro la bambina e presi una decisione, dovevo farla ridere! Fermai tutti i bambini e gli feci mettere le mani intorno alla vita, dissi “ al mio via fatemi una boccaccia, non si fecero pregare.

Tutti in sincronia tirarono fuori la lingua  e urlando mi fecero le boccacce, vidi la bambina ridere e anche lei si unì agli altri, ancora oggi quando siamo a lezione mi chiede di fare le boccacce ed io acconsento volentieri perché poi almeno per l’ora di lezione non vedo più la tristezza nei suoi occhi, ma la vedo felice che gioca assieme agli altri.

Il secondo e terzo anno furono 850 gli alunni, le problematiche non mancavano, dal bambino che non articolava bene i movimenti ad un altro che non sapeva correre, saltare, c’era chi non accettava la sconfitta, chi invece vincendo beffeggiava i compagni, cercai di risolvere tutti questi problemi.

Alcuni casi li ho risolti, altri al 50%, altri no, non ho potuto far niente se non fargli avere più fiducia in se stessi

Oggi ancora mi trovo ad affrontare delle situazioni che non mi consentono una vita facile, il più delle volte a causa dell’assenza della figura paterna o materna o ancora di tutte e due,i bambini sono tristi, non più tardi di quindici giorni fa una bambina di prima elementare molto timida e probabilmente con completa assenza di fiducia in se stessa non voleva partecipare ad un gioco per paura di perdere con l’avversaria ed essere presa in giro, capii subito la situazione e dopo parecchie insistenze da parte mia alla fine cedette e partecipò.

Devo essere sincero, feci in modo che la bambina vincesse contro una compagna molto più agguerrita, vidi che mi sorrideva felice di aver vinto e mi dissi che quel piccolo imbroglio l’avevo fatto a fin di bene, quando l’ora di motoria finì e la docente le mise in fila per rientrare in classe, la bambina si allontanò dalla fila e venne da me e mi disse “Ti voglio tanto bene“ , aveva capito?

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Note


COPERTINA anatocismo bancario

[INTERESSI] Attenzione all’Anatocismo bancario

Cos’è l’anatocismo bancario

L’anatocismo (dal greco ἀνατοκισμός anatokismós, «usura») esprime un metodo di calcolo degli interessi per il quale gli interessi maturati secondo una certa periodicità, pattuita tra creditore e debitore, sono essi stessi produttivi di altri interessi, cioè sono sommati al capitale dato in prestito (capitalizzati) in modo tale da contribuire (insieme al capitale) a maturare altri interessi nei periodi successivi.

Questo metodo di calcolo favorisce il creditore a discapito del debitore.


Un esempio chiarirà meglio il concetto

  • Tasso d’interesse: 10%
  • Capitale iniziale: € 1.000,00
  • Periodicità di liquidazione degli interessi: trimestrale

Quando non c’è l’anatocismo si ha:

  • Interesse trimestrale = (1.000,00 x 3 x 10)/1200 = € 25,00

Quindi, ogni trimestre i 1.000 euro di capitale fruttano sempre € 25,00

Con l’anatocismo:

  • Interesse del primo trimestre = (1.000,00 x 3 x 10)/1200 = € 25,00
  • Interesse del secondo trimestre = [(1,000,00 + 25,00) x 3 x 10]/1200 = € 25,625
  • Interesse del terzo trimestre = [(1.025,00 + 25,625) x 3 x 10]/1200 = € 26,265625
  • e così via per gli altri trimestri…

Quindi, con l’anatocismo aumentano gli interessi da corrispondere al creditore.


Questo fenomeno dell’anatocismo era proprio quello che accadeva alle liquidazioni degli interessi sui conti correnti bancari.

Infatti, quasi tutte le Banche liquidavano gli interessi a debito del correntista con frequenza trimestrale, mentre liquidavano gli interessi a credito dello stesso solo con cadenza annuale.

Ciò provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi ed il conseguente fenomeno dell’anatocismo, perché venivano calcolati interessi su interessi.

La storia dell’anatocismo bancario

Pixabay, Money in notes (2016)

Il divieto dell’anatocismo (bancario e non) è sempre esistito nel nostro ordinamento giuridico in virtù dell’art. 1283 del Codice Civile.

Tuttavia le Banche agivano legittimamente quando applicavano la sopraesposta metodologia di calcolo degli interessi sui conti correnti, perché tale comportamento consuetudinario era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza, almeno fino al momento in cui ha preso il via tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti la fattispecie dell’anatocismo.

Processo di revisione culminato con la definitiva sentenza del 4 novembre 2004, n. 21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale in sostanza si afferma l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo.

Prima di questa sentenza c’era stato l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999

Prima di questa famosa sentenza c’era stato comunque l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999, comma 2, che, introducendo un nuovo comma all’art. 120 del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), ha previsto la possibilità di stabilire, tramite un’apposita delibera del Cicr (Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio), le modalità ed i criteri di produzione degli interessi sugli interessi (anatocismo), maturati nell’esercizio dell’attività bancaria, purché fosse rispettata la stessa periodicità sia nel conteggio sui saldi passivi, sia su quelli attivi.

In sostanza, la volontà legislativa, trasfusa nel TUB, è nel senso della non illegittimità del comportamento delle Banche qualora queste provvedano a liquidare periodicamente non solo gli interessi maturati a loro favore, ma anche quelli a credito del correntista.

È sufficiente il riconoscimento di questa reciprocità di trattamento e quindi la contabilizzazione sul conto corrente di eventuali interessi a credito della clientela, per essere in regola con le norme legislative disciplinanti il complesso fenomeno dell’anatocismo.

Il sigillo ufficiale al suddetto nuovo corso in tema di calcolo degli interessi bancari è stato poi apposto dalla sentenza del Cicr emanata il 9 febbraio 2000, la quale ha definitivamente fissato il momento di decorrenza dell’obbligo, a carico delle Banche, di riconoscere ai correntisti pari periodicità nella liquidazione degli interessi.

Questo momento è venuto quindi a coincidere con la liquidazione del 30 giugno 2000 e vedremo quanto questa data sia di grandissima rilevanza ai fini del ricalcolo degli interessi anatocistici.

Aspetti pratici

Occupiamoci ora degli aspetti pratici che deve affrontare chi è costretto a quantificare l’importo degli interessi anatocistici, allo scopo valutare la convenienza o meno di un’eventuale richiesta di rimborso.

Importantissima è la determinazione del momento iniziale e finale del periodo incriminato (per il quale vanno fatti i calcoli).

Il momento finale è necessariamente quello sopra indicato della liquidazione di giugno 2000, perché da tale mese le Banche si sono adeguate alla normativa anti-anatocistica e pertanto da allora gli interessi maturati sui conti correnti sono per definizione legittimi.

Di conseguenza qualsiasi ricalcolo degli interessi sugli interessi deve fermarsi agli interessi liquidati a marzo 2000, in quanto questi sono da considerarsi gli ultimi interessi anatocistici prodotti dal sistema bancario italiano.

Tutto quello che è successo sul conto corrente dopo il 31 marzo 2000 è completamente irrilevante ai fini dell’anatocismo ed il periodo successivo (fino ad oggi ovvero fino all’estinzione del conto) è da prendere in considerazione solo per la normale rivalutazione (in base ai tassi d’interesse) delle somme dovute risultanti dai nuovi conteggi effettuati.

Quanto detto comporta la necessaria conseguenza che i conti correnti aperti successivamente al 31 marzo 2000 sono completamente al di fuori della tematica anatocistica e pertanto nulla può essere reclamato alle Banche dai loro titolari.

Più controversa è la determinazione del momento iniziale da prendere in considerazione per rifare i calcoli computistici dell’interesse sui conti correnti

Premettendo che il termine di prescrizione per richiedere eventuali somme pagate in più è quello ordinario di 10 anni, la domanda che dobbiamo porci è da quando partono questi 10 anni, in modo da risalire al momento iniziale del periodo che stiamo cercando.

Qui sussistono due atteggiamenti giurisprudenziali decisamente diversi.

Da una parte, alcune sentenze sottolineano la rilevanza giuridica dei singoli atti di addebito periodico degli interessi e quindi la prescrizione decennale riguarderà i 10 anni antecedenti la data di presentazione della domanda giudiziale di rimborso degli interessi anatocistici.

Ciò comporta, per esempio, che una domanda giudiziale di rimborso presentata nel 2005 dovrà riguardare solo i 10 anni antecedenti e pertanto non potrà andare oltre il 1995.

Siccome il momento finale del nostro nuovo calcolo degli interessi è stato sopra identificato con marzo 2000, sarà possibile contestare gli interessi maturati sul conto corrente solo per il periodo che va dal 1995 al 2000 (marzo).

Da un’altra parte, alcune sentenze dei Tribunali italiani evidenziano invece il carattere unitario del conto corrente, e non i singoli movimenti di addebito degli interessi

Questo atteggiamento ha effetti più radicali perché porta ad identificare la data da cui parte la prescrizione decennale con l’estinzione del conto corrente (quindi la data iniziale del periodo sarebbe quella calcolata andando 10 anni indietro rispetto al giorno d’estinzione del rapporto).

Per esempio un conto corrente chiuso in febbraio 2003 avrebbe un periodo incriminato che andrebbe da febbraio 1993 a (sempre) marzo 2000.

Inoltre, per effetto di questa interpretazione giurisprudenziale potrebbe verificarsi la fattispecie, di non poco rilevo, che per i conti correnti ancora in essere, non avendo essi un termine di decorrenza della prescrizione, si potrebbe richiedere il rimborso degli interessi pagati in più (per effetto dell’anatocismo) addirittura dalla loro costituzione, anche se questa risale alla notte dei tempi.

Per esempio un conto corrente aperto nel 1974 ed ancora in essere presso l’Istituto di credito, darebbe diritto a richiedere il rimborso degli interessi anatocistici per il periodo 1974 – marzo 2000 (sempre questo).

Tuttavia ci sembra agevole dimostrare come questa seconda interpretazione dei giudici italiani sia nella pratica facilmente riconducibile alla prima

Tuttavia ci sembra agevole dimostrare come questa seconda interpretazione dei giudici italiani sia nella pratica facilmente riconducibile alla prima, cioè a quella che vuole la prescrizione decennale decorrere dalla data di presentazione della domanda giudiziale di rimborso, la quale tesi ci appare dunque l’unica soluzione materialmente percorribile.

Il motivo di questa conclusione è oggettivamente indiscutibile, checché ne dica parte della giurisprudenza e anche della dottrina: ad una domanda di rimborso che richiedesse la restituzione di interessi su interessi per un periodo superiore ai 10 anni antecedenti la data odierna, le Banche risponderebbero semplicemente che, non avendo più a disposizione la documentazione relativa al periodo eccedente i 10 anni passati, non sarebbero in grado di fornire alcun dato, né di effettuare nessun tipo di conteggio.

Infatti, le Banche, come tutte le altre Aziende, sono, per disposizione del codice civile, tenute a conservare tutta la documentazione delle operazioni effettuate “solo” per 10 anni, avendo poi la facoltà di stracciare tutto questo materiale di archivio.

Quindi, tranne il caso puramente ipotetico del correntista che abbia conservato con cura per l’intero periodo tutti (nessuno escluso) gli estratti conto ed i conti scalari (questi ultimi sono i documenti da cui risultano tassi e condizioni), il ricalcolo degli interessi, per periodi maggiori di quello che parte da 10 anni fa ed arriva sempre a marzo 2000, è praticamente impossibile.

Conclusioni

Per concludere accenniamo alla questione della Commissione di Massimo Scoperto (CMS), che è quella spesa che gli Istituti di credito fanno pagare sul massimo scoperto di conto del periodo interessato.

Su questo aspetto c’è da dire che nessuna norma si è finora interessata della questione, avendo la legislazione anatocistica sempre riguardato l’illegittimità dei soli interessi e non delle spese.

È anche vero che modificandosi gli uni (gli interessi), si modifica (in peggio) anche l’altra (la CMS).

Tuttavia il calcolo della nuova commissione (sui nuovi saldi) è di estrema difficoltà e la sua domanda di rimborso non avrebbe allo stato, secondo alcuni, nessun fondamento normativo di giustificazione.

Ci limitiamo pertanto a dire che, nel silenzio legislativo e giurisprudenziale, ogni conclusione in merito è giusta e sbagliata al tempo stesso.

Note

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  • A cura del Consorzio INSEA

Forme giuridiche per l’impresa: Introduzione al mondo delle società!

In questa scheda vengono sinteticamente evidenziate le differenze tra l’attività autonoma e quella d’impresa nella sua duplice versione, individuale e societaria.

Il lavoro autonomo: Il lavoratore autonomo, così come descritto nel Codice Civile, è colui che compie, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincoli di subordinazione nei confronti del committente.

Le forme di società in cui svolgere un’attività autonoma sono:

  • Esercizio di arti e professioni,
  • Collaborazione coordinata e continuativa,
  • Prestazione occasionale.

Si considera artista o professionista chi svolge un’arte o una professione non come dipendente, ma comunque con carattere di abitualità.

Distinguiamo ancora tra professioni protette, per l’esercizio delle quali è richiesta l’iscrizione preventiva in albi, ordini, elenchi (si pensi all’avvocato, all’architetto, al commercialista…), subordinata di norma al superamento di un esame di stato, e professioni libere per le quali non è richiesta alcuna iscrizione (artisti, consulenti, ecc.).

Dal punto di vista fiscale e previdenziale occorre sapere:

  • Aprire partita IVA;
  • Iscriversi all’INPS, o ad altre casse specifiche per le professioni protette,
  • Versarvi i contributi previdenziali;
  • Tenere una regolare contabilità
  • Dichiarare i redditi percepiti.

La seconda forma del lavoro autonomo è rappresentata dalla collaborazione coordinata e continuativa, un’attività lavorativa prestata senza vincolo di subordinazione, ma comunque in modo continuativo.

A differenza del lavoro dipendente in questo caso non si viene assunti dal datore di lavoro, ma si presta la propria opera secondo quanto concordato con il committente. Attualmente questa forma è sostituita dal Contratto a progetto.

Dal punto di vista fiscale e previdenziale:

  • Non è necessaria l’apertura della partita IVA;
  • Viene trattenuta direttamente dal committente una ritenuta d’acconto ai fini IRPEF pari al 20% dei compensi;
  • È necessaria l’iscrizione all’INPS e il versamento ai fini previdenziali (attualmente, l’aliquota per chi non è già iscritto all’INPS o ad altre casse è del 12%, di cui 1/3 a carico del lavoratore e 2/3 a carico del datore di lavoro);
  • Deve essere presentata la dichiarazione dei redditi.

Prestazione occasionale

Se invece la prestazione di lavoro è un fatto occasionale, non ripetitivo (es. la distribuzione occasionale di volantini pubblicitari) allora si effettua una prestazione occasionale.

Questa situazione non richiede l’apertura della partita IVA.

È assoggettata alla ritenuta d’acconto del 20%, non richiede iscrizioni o versamenti previdenziali, ma esiste comunque l’obbligo di dichiarazione dei redditi.

L’art. 2082 del Codice Civile definisce imprenditore è colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.

Perché si possa parlare di impresa l’imprenditore deve operare sul mercato

Perché si possa parlare di impresa deve, innanzitutto, esserci un’attività economica, ovvero l’imprenditore deve operare sul mercato (ad esempio è imprenditore agricolo chi coltiva il terreno e vende i prodotti che ottiene al mercato, mentre non lo è chi produce solamente per il suo consumo).

Poi necessario che l’attività sia svolta in maniera professionale, cioè in modo abituale o periodico (come, ad esempio, il lavoro di un negoziante, ma anche del gestore uno stabilimento balneare).

Ultimo requisito è l’organizzazione, ovvero la gestione coordinata delle risorse umane, tecniche e finanziarie da parte dell’imprenditore. Esistono diverse forme giuridiche di impresa previste dal codice civile.

Distinguiamo la forma dell’impresa individuale dalle altre forme di società

Distinguiamo innanzitutto la forma dell’impresa individuale (in cui l’imprenditore è uno solo), dalle forme societarie (in cui più persone si uniscono per esercitare insieme l’attività di impresa).

L’impresa individuale fa capo ad una sola persona, che è l’unica responsabile della sua gestione (ad esempio un idraulico, un elettricista, una parrucchiera).

Per lo svolgimento dell’attività l’impresa individuale può avvalersi di dipendenti e/o collaboratori.

Se il titolare gestisce l’attività con la collaborazione dei propri familiari (coadiuvanti) può dar vita ad una impresa familiare.

In questo caso al titolare spetta almeno il 51% dell’utile, mentre il coadiuvante ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e alla divisione degli utili in rapporto al lavoro prestato.

Dal punto di vista fiscale e previdenziale occorre:
  • Richiedere eventuali licenze o autorizzazioni amministrative, sanitarie, ecc.;
  • Aprire una posizione IVA;
  • Iscriversi al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio;
  • Iscriversi all’INPS ed eventualmente all’INAIL.

Se, invece, due o più persone si accordano per gestire insieme un’attività economica, formano una società la cui costituzione deve avvenire per atto pubblico (ovvero davanti a notaio).

La costituzione di una società offre agli imprenditori il vantaggio di poter unire le forze

La costituzione di una società offre agli imprenditori il vantaggio di poter unire le forze (soprattutto economiche) per la realizzazione dell’attività nonché un minor rischio personale. Le società si dividono in società di persone e società di capitali.

Institut Ramon Llull – Barcelona Business of Design Week (2014)

In particolare la prima, in cui la figura dei soci è più importante del capitale da essi conferito, non hanno personalità giuridica, non sono, cioè soggetti giuridici distinti dalle persone dei soci i quali hanno, di norma, una responsabilità illimitata e solidale di fronte a eventuali problemi della società.

Le società di persone sono:
  • La società semplice (la tipologia più diffusa in agricoltura)
  • La società in nome collettivo (dove, semplificando, tutti i soci esercitano l’attività imprenditoriale)
  • La società in accomandita semplice (in cui alcuni soci esercitano l’attività altri sono apportatori di capitale).

È la società di capitali e non il singolo socio a essere titolare dei diritti e degli obblighi dello svolgimento dell’attività d’impresa.

Le società di capitali hanno personalità giuridica ed è quindi, la società e non il singolo socio, a essere titolare dei diritti e degli obblighi che nascono dallo svolgimento dell’attività d’impresa.

Le società di capitali sono:
  • La società a responsabilità limitata (la forma più piccola di società di capitali, dove i soci esercitano l’attività ma l’amministrazione può essere affidata anche a non soci);
  • La società per azioni (forma giuridica idonea per le imprese che presentano un tasso di rischio ed un volume di investimenti piuttosto elevati).

Un cenno a parte è necessario per le società cooperative che sono società che esercitano attività d’impresa perseguendo uno scopo mutualistico.

Tale scopo si traduce, in concreto, nel fornire beni e servizi o occasioni di lavoro direttamente ai soci a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato.

Questo tipo di società infine richiede un numero minimo di soci pari a 9 (ad eccezione della piccola società cooperativa il cui numero di soci può variare da un minimo di 3 ad un massimo di 8).

Note