Vivere stabilmente in Sardegna può essere davvero un’idea splendida. Una soluzione che ha già intrigato moltissime persone e che, con ogni probabilità, è destinata ad avere un seguito ancor più importante nel prossimo futuro.
Se ci si chiede per quale motivo vivere in Sardegna possa essere una scelta interessante, non si può non citare immediatamente la qualità della vita che questa regione può offrire. Non è un caso, d’altronde, se la scelta di vivere stabilmente in Sardegna riguardi soprattutto coppie e persone non più giovanissime, le quali desiderano trascorrere la vecchiaia all’insegna della serenità e del benessere.
Ma come fare, dunque, a vivere in Sardegna?
L’idea di stabilirsi presso l’isola sarda riguarda per buone percentuali persone pensionate, le quali dunque non devono più preoccuparsi di guadagnarsi da vivere e possono concentrarsi sul desiderio di vivere una vecchiaia piacevole, priva di pensieri.
Allo stesso tempo, tra le persone che scelgono di vivere in Sardegna vi sono delle famiglie benestanti. Si tratta prevalentemente di importanti capitalisti anche stranieri, oppure imprenditori che non hanno impedimenti lavorativi da disbrigare personalmente.
Tra chi sceglie di vivere in Sardegna, tuttavia, vi sono anche dei giovani di ceto medio, che hanno quindi la necessità, come tutti, di trovare un lavoro.
Lavorare sull’isola
Le professioni connesse con il turismo sono numerosissime. Di conseguenza l’isola sarda riesce ad offrire ogni estate numerosissimi posti di lavoro. Il turismo sardo però, come noto, è prevalentemente stagionale. Di conseguenza riuscire a vivere con il solo lavoro estivo può obiettivamente non essere semplice.
Non bisogna dimenticare tuttavia che la Sardegna accoglie in diverse sue zone un turismo lussuoso ed elitario, attorno a quale orbita un business milionario. Di conseguenza alcune figure professionali, soprattutto di tipo manageriale, possono certamente assicurarsi tramite il solo lavoro estivo degli stipendi in grado di rivelarsi ampiamente sufficienti per tutto l’anno.
Il costo della vita
Potrebbe sembrare paradossale, eppure la Sardegna è molto apprezzata anche per il suo costo della vita, davvero molto basso. Sebbene come già detto alcune zone siano una meta assolutamente VIP e prevedano un costo della vita molto elevato, altri versanti dell’isola si rivelano pressoché opposti in tal senso.
Paragonando il costo della vita di molte zone della Sardegna a quello di numerose città italiane, soprattutto dei centri più importanti quali Roma e Milano, la differenza risulta davvero fortissima, soprattutto per chi ha la necessità di affittare un appartamento.
I collegamenti da e verso l’isola
La scelta di vivere in Sardegna è ottimale anche per quanto riguarda gli ottimi collegamenti che contraddistinguono quest’isola. Credere che la Sardegna sia mal collegata con l’Italia e con l’estero, infatti, sarebbe un errore.
I porti italiani da cui partono regolarmente numerosissimi traghetti per la Sardegna sono numerosi e riguardano ogni zona d’Italia: Genova, Livorno, Piombino, Napoli, Civitavecchia, Palermo.
Anche per quanto riguarda l’estero la Sardegna è una regione molto ben collegata. Basti citare a tal riguardo porti quali quello spagnolo di Barcellona, quello francese di Marsiglia, e quelli, vicinissimi, situati in Corsica.
Sebbene infine il traghetto sia la soluzione più scelta da chi intende raggiungere la Sardegna, anche per il fatto che consente di poter trasferire sull’isola il proprio veicolo, non bisogna peraltro dimenticare numerose opportunità per quanto concerne i collegamenti aerei, soprattutto nei mesi estivi.
Vivere in Sardegna: conclusioni
Insomma, la Sardegna non è solo turismo, ma può essere anche una scelta di vita molto interessante, perfetta per chi pone la qualità della vita al primo posto tra le proprie priorità. Un’isola che può garantire un relax ed una distensione fisica e mentale senza precedenti.
La Sardegna infatti è la regione ideale per chi desidera costruirsi una vita ben distante rispetto al caos cittadino ed ai più tipici paesaggi urbani.
SASSARI: Un concerto-evento completamente gratuito a partire dalle 18:00 del 20 maggio in piazza d’Italia. Tanti artisti tra i più rappresentativi e richiesti riuniti sul palco per “Sassari in Festa”.
L’evento, ideato e condotto da Giuliano Marongiu, è organizzato dal Comune di Sassari con la collaborazione della Fondazione “Maria Carta”.
Sassari in festa – Tutti gli invitati
Sul palco si alterneranno i Tazenda che si esibiranno insieme ai Bertas – Benito Urgu, I Collage, Maria Luisa Congiu e Valerio Scanu.
Gli Istentales si esibiranno con il Coro di Ittireddu. Altri invitati saranno Franca Pinna, I Janas, Alessandro Pili, Maria Giovanna Cherchi, I Fantafolk, I Double Dose, Giuliano Rassu, I Niera, Gabriele Masala, Fabrizio Sanna, Ammerare, Andrea Rosas e Alessandro Azara.
Ci sarà spazio anche per le più belle canzoni della musica sassarese con i Zeppara e Sassari Vecciu, per il canto corale che mette insieme le voci dei Cantori di Via Majore e degli Amici del Canto sardo di Sassari, per le danze tradizionali di Usini, Sassari, Ovodda e Uri.
Uno spettacolo che punta a coinvolgere tutti gli spettatori, per una festa che segna il ritorno in piazza di una maratona ricca e varia, dopo la lunga pausa pandemica.
L’iniziativa precede il giorno della Cavalcata Sarda, che animerà le vie del centro con la sfilata di migliaia di figuranti in costume provenienti da tutte le parti dell’Isola.
L’evento sarà caratterizzato dal passaggio e l’esibizione delle maschere tradizionali dell’entroterra, con centinaia di cavalieri e amazzoni a cavallo che rievocheranno la prima storica edizione del 1899.
L’edizione 2023, caratterizzata dal ritorno delle Pariglie all’Ippodromo a partire dalle 17:00, ritroverà i protagonisti della tradizione in piazza d’Italia dalle 18:00 con la Rassegna regionale di danze, suoni e canti dell’Isola.
SASSARI: La biblioteca comunale aderisce a Il Maggio dei libri, la campagna nazionale di invito alla lettura promossa dal Cepell – Centro per il libro e la lettura.
Il Centro ha l’obiettivo di attuare politiche di diffusione del libro e della lettura in Italia, nonché di promuovere il libro e la cultura italiana all’estero,
Si parte già dal 2 maggio. Ecco tutte le date
2 maggio ore 18:00: Presentazione dellibro Vita di un altro di Antonio Fiori, un’opera in cui prosa e poesia si fondono.
9 maggio sempre alle 18:00: Laura Fois racconterà nella sua opera prima dal titolo Come la noce nel cuscino, la storia di due giovani le cui vite sono accomunate da una lacerante perdita familiare.
11 maggio alle 17:00: Fabrizio Casu analizzerà la figura della femme fatale come specchio delle contraddizioni della civiltà borghese con Femme fatale. Incantro e crisi della società borghese . Un saggio in cui moda, arte, cinema, scienza, letteratura, filosofia, cultura pop e sociologia si intersecano per restituire un quadro dell’evoluzione di questo fenomeno.
25 maggio alle 18:00: Giuseppe Pulina, presenterà Giacomo Giacomo, romanzo di formazione in cui il lettore viene coinvolto fra i pensieri e le emozioni dell’adolescente protagonista.
30 maggio alle 18:00: Con Sulle tracce di Almeida, romanzo di Ottavio Olita, il protagonista andrà alla ricerca di sé stesso seguendo le tracce di Almeida Garret, intellettuale, scrittore, giornalista, politico, esiliato tra i primi estensori della carta costituzionale portoghese.
Tutti gli eventi si svolgeranno nella sala conferenze della biblioteca comunale in piazza Tola. L’ingresso è libero.
NORD SARDEGNA: I comuni di Porto Torres e Sassari hanno programmato nuovi appuntamenti per l’apposizione del microchip ai propri cani.
Al fine di combattere il randagismo le due municipalità turritane hanno programmato i seguenti appuntamenti:
Microchippatura cani Porto Torres
Appuntamento il 21 marzo 2023 presso la sede della Multiservizi solo previa prenotazione. La prestazione sarà completamente gratuita.
È necessario:
PRENOTARE presso la sede della compagnia barracellare, in via Pacinotti fianco Comando Polizia Locale, la prenotazione potrà avvenire solo nelle giornate del 10 e del 15 marzo 2023 dalle 10:00 alle 12:00;
Portare all’appuntamento i propri documenti di identità ed i dati identificativi dell’animale;
Presentarsi all’appuntamento in orario.
Il comune di Porto Torres ricorda che:
Saranno accettati anche cani provenienti da altri comuni;
Gli animali non dovranno avere pulci, zecche o altri parassiti;
I propri cani devono essere tenuti al guinzaglio;
I cani aggressivi o di grossa taglia dovranno avere la museruola;
L’iscrizione all’anagrafe canina, mediante l’applicazione del microchip, è obbligatoria;
I proprietari o i detentori a qualsiasi titolo, residenti in Sardegna o ivi dimoranti per un periodo di tempo superiore ai 90 giorni, devono iscrivere gli animali entro il termine di 10 giorni dalla nascita o comunque dall’acquisizione del possesso;
Per qualsiasi ulteriore informazione si può consultare il sito internet sardegnasalute.it al seguente link.
Microchippatura cani Sassari
Appuntamenti il 14 e 29 marzo 2023, dalle 9:00 alle 11:00, al canile comunale di Sassari, località Funtana sa Figu, previa prenotazione. La prestazione sarà completamente gratuita.
È necessario:
PRENOTARE al numero 079279630-612. Sono necessari gli estremi dei propri dati identificativi (dati anagrafici, codice fiscale e n. del documento di riconoscimento. Si accetta solo Carta d’identità o Patente di guida)
ATTENZIONE: Saranno accettati solo un numero massimo di 40 cani.
Il comune di Sassari ricorda che:
Gli animali devono essere esenti da infestazioni di pulci, zecche o altri parassiti. Non saranno accettati i cani non trattati con antiparassitari;
I cani aggressivi o di grossa taglia devono essere muniti di museruola;
Lo scudo con croce rossa accantonata da quattro mori bendati è il simbolo del popolo sardo
Studiosi di tutti i tempi si sono mossi in un intrico di leggenda e realtà storica, tra Sardegna e Spagna.
Tutti hanno cercato di ricostruire origini e significati, ma lo stemma dei quattro mori rimane ancora oggi sostanzialmente un mistero.
La tradizione iberica lo considerava la bandiera della Sardegna una creazione di Re Pietro I d’Aragona
Il fine fu la celebrazione della vittoria di Alcoraz (1096).
La vittoria sarebbe stata ottenuta anche grazie all’intervento di San Giorgio (campo bianco e croce rossa) e che avrebbe lasciato sul campo le quattro teste recise dei re arabi sconfitti.
Sulla tradizione iberica si innestò la tradizione sarda.
Questa, contro ogni evidenza storica, legava lo stemma al leggendario gonfalone dato da papa Benedetto II ai Pisani in aiuto dei Sardi.
I pisani furono mandati contro i crudeli saraceni di Museto che in quegli anni minacciavano di conquistare Sardegna e Italia (1017).
In realtà, la più antica attestazione dell’emblema della Sardegna risale al 1281 ed è costituita da un sigillo della cancelleria reale di Pietro il Grande d’Aragona
Ma fu soltanto nella seconda metà del XIV secolo che i quattro mori apparvero per la prima volta legati alla Sardegna.
Questo fu come simbolizzandone il Regno all’interno della confederazione della Corona d’Aragona (Stemmario di Gerle).
Importato dunque dai re aragonesi, il simbolo comparve nella Sardegna spagnola su opere a stampa, monete e sui gonfaloni dei corpi speciali dei Tercios de Cerdeña, istituiti da Carlo V per la difesa dell’isola e distintisi a Tunisi (1535) e Lepanto (1571) nelle operazioni contro i Turchi.
L’iconografia del simbolo fu quanto mai confusa e le teste dei mori furono rappresentate in vario modo: volte a destra e a sinistra o affrontate, scoperte, coronate, cinte da una benda sulla fronte
Risale alla metà del Settecento l’iconografia destinata a perdurare, con le teste volte a sinistra e le bende calate sugli occhi.
Delle ragioni di quest’ultima innovazione, se dettate dal caso oppure più maliziosamente alludenti agli atteggiamenti (illiberali) del governo piemontese verso la popolazione isolana, non sapremo mai.
Lo stemma comparve nell’arma composita della dinastia piemontese su atti, monetazione di zecca sarda e bandiere dei miliziani
Successivamente ornò gli stendardi delle brigate combattenti sarde, tra queste la “Sassari”, divenuta leggendaria per le imprese eroiche sul fronte austriaco della Grande Guerra.
Nel 1952 lo scudo dei quattro mori diventava stemma ufficiale ed ornava il gonfalone della Regione Autonoma della Sardegna (DPR del 5 Luglio 1952).
Oggi i sardi hanno la loro bandiera.
I quattro mori però, memori dell’antico affronto piemontese, hanno voltato la testa e aperto gli occhi, non più fasciati dalla benda che torna a cingere la fronte.
Latifondista sardo-punico originario di Cornus. Parliamo di Amsicora, protagonista della rivolta che nel 215 a.C. vide contrapposti i sardi ai romani.
Gli episodi salienti della ribellione sono giunti fino a noi attraverso due importanti fonti latine : Tito Livio, storiografo di età augustea, e Silio Italico, poeta del periodo flavio.
La vicenda di Amsicora si svolse negli anni critici della seconda guerra punica
I dominatori romani, per far fronte alle spese del conflitto contro Annibale, attuavano in Sardegna una durissima politica fiscale, imponendo tributi e requisizioni granarie.
Fu così che i sardi, logorati dal malcontento e stanchi dell’arroganza romana, si ribellarono schierandosi apertamente con Cartagine.
Il senato della metropoli africana decise di appoggiare i rivoltosi inviando nell’isola uno dei suoi uomini più validi: Asdrubale il Calvo.
Il senato romano di contro affidò il comando delle operazioni militari al valente generale Tito Manlio Torquato.
La rivolta di Amsicora ebbe come epicentro la pianura del basso Tirso
La rivolta ebbe come epicentro la pianura del basso Tirso con i suoi fiorenti centri punici, tra cui Cornus, considerata da Livio la “capitale” della regione.
Furono i possidenti terrieri sardo-punici di queste città, che temevano di rimanere vittime delle confische romane, a farsi promotori del movimento di liberazione.
Alla testa dei possessores ribelli vi era Amsicora, definito da Tito Livio «il primo, di gran lunga, per prestigio e per ricchezze».
Si narra che il primo atto dell’offensiva ebbe luogo mentre Amsicora si trovava nei monti della Barbagia
Egli si era recato in quei luoghi con l’intento di coinvolgere nella ribellione le tribù dei Balari e degli Iliensi, i cosiddetti “Sardi Pelliti” (Sardi coperti di pelli) della testimonianza liviana.
Nel frattempo Josto, figlio e luogotenente di Amsicora, in assenza del padre, affrontò imprudentemente Tito Manlio Torquato con i suoi 22.000 fanti e 1.200 cavalieri, subendo una dura sconfitta.
In questo scontro, probabilmente nel Campidano di San Vero Milis, perirono 3.000 rivoltosi e 800 uomini furono fatti prigionieri.
Mentre il vittorioso Manlio si ritirava verso Carales, le forze di Amsicora e di Asdrubale si riunivano per organizzare una nuova offensiva.
Quest’ultima battaglia si svolse in una località non lontana da Carales, forse tra Sestu e Decimo, e vide vittoriosi i romani
Morirono 12.000 sardo-punici, 3.700 furono catturati, fra questi Asbrubale. Josto, secondo il racconto di Silio Italico, cadde vittima della lancia di Ennio, illustre poeta latino che in quegli anni serviva fra le truppe romane di stanza in Sardegna.
Amsicora, sconvolto per la morte del figlio e per l’esito disastroso della battaglia, si uccise durante la notte perché nessuno potesse impedirgli di compiere l’estremo gesto.
Giurista insigne, gettò le basi del moderno diritto internazionale marittimo. Nacque a Sassari nel 1749 da famiglia medio borghese.
Laureatosi nel 1772 in leggi, dopo due anni di pratica legale, nel 1774 lasciò Sassari alla volta di Torino. Qui esercitò la pratica forense e, nel 1777, divenne pubblico funzionario dell’ufficio generale delle regie finanze.
Inviato a Nizza come giudice del consolato del commercio e del mare, ebbe modo di dimostrare la propria competenza e iniziò a pubblicare il Dizionario universale ragionato di giurisprudenza mercantile, in quattro volumi (1786-1788).
Quest’opera era il risultato di una ricerca sistematica di leggi e consuetudini delle città europee e si imponeva per le concezioni ampie e innovative, che raccordavano cambio, traffici ed attività marinare attraverso norme internazionali.
Per il giurista sardo i riconoscimenti non si fecero attendere
Vittorio Amedeo III conferì all’Azuni il titolo e i privilegi di senatore (1789) e lo incaricò di redigere il piano per il codice della marina mercantile degli Stati Sardi (1791).
Occupata Nizza dai francesi nel 1792, lo studioso fu costretto ad abbandonare la città ed a rifugiarsi a Torino. Iniziò un periodo difficile, segnato dalle invidie per la sua rapida e brillante carriera, che lo portò a trasferirsi a Firenze.
Chiese di tornare in Sardegna con un impiego ufficiale, ma anche questo, per volere degli stamenti sardi, gli fu negato. Seguirono privazioni e altri trasferimenti a Modena, Trieste e Venezia.
Nonostante le difficoltà, l’Azuni continuò a studiare, giungendo a pubblicare nel 1796 Sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa, opera importantissima che gli valse la cittadinanza onoraria della città di Pisa (1796) e l’incarico da parte di Napoleone di redigere con altri giuristi il nuovo codice marittimo e commerciale francese (1801).
Negli anni 1799-1802 ebbe anche modo di dedicare alla Sardegna, sempre amata nonostante il rifiuto patito, le opere Essai sur l’histoire géographique, politique te naturelle du royaume de Sardaigne e Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne.
Queste opere mettevano in evidenza la centralità strategica dell’isola nel Mediterraneo e ne analizzavano le problematiche economiche in un’ottica straordinariamente moderna.
Pubblicò Droit Maritime de l’Europe nel 1805 e Origine et progrès de la législation maritime nel 1810, anno in cui fu anche nominato da Bonaparte cavaliere dell’Impero.
Gli ultimi anni
Con la successiva caduta di Napoleone, di cui era ritenuto un sostenitore, l’Azuni fu esonerato da ogni incarico. Come conseguenza si ritrovò a vivere nella sua casa di Genova in un’umiliante indigenza.
Nel 1818 il giurista Azuni entrò nella Reale Società Agraria ed Economica cittadina
Nel 1818, per l’intervento di influenti personaggi vicini al re Vittorio Emanuele I, fu nominato giudice del Supremo Magistrato del Consolato di Cagliari. Entrò infine a far parte della Reale Società Agraria ed Economica cittadina.
Dal 1820 alla pensione, avvenuta nel 1825, fu presidente della biblioteca universitaria di Cagliari: ruolo che svolse con particolare passione, rilanciando l’istituzione.
Morì nel 1827 lasciando i suoi beni ad una giovane donna, Maria Carpi, che l’aveva assistito fino alla fine con l’affetto di una figlia. Fu sepolto, come egli espressamente indicò, nella chiesa di Bonaria.
Uomo politico, tra i padri della costituzione italiana e dello statuto speciale per la Sardegna, leader della Democrazia Cristiana. Fu svariate volte ministro ed infine Presidente della Repubblica Italiana dal 1962 al 1964.
Nacque a Sassari nel 1891 da nobile e ricca famiglia di forte fede cattolica.
Si laureò in giurisprudenza nel 1913. Da giovane militò nel Partito Popolare Italiano e intraprese la docenza universitaria di diritto processuale che da Perugia, nel 1920, l’avrebbe portato a Cagliari, Sassari ed infine, dal 1951, a Roma.
Nel 1943 fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana, di cui rappresentò l’ala conservatrice. Fece parte della consulta regionale sarda e dell’assemblea costituente.
Il futuro Ministro e Presidente venne eletto deputato nel 1948
Ricoprì importanti incarichi a livello ministeriale:
Sottosegretario per l’agricoltura e foreste nei governi Bonomi III, Parri, De Gasperi I, (anni 1944-1945);
Più volte Ministro dell’agricoltura e foreste e della pubblica istruzione nei governi De Gasperi e Pella, (anni 1946-1953);
Primo Ministro negli anni (1955-1957);
Vicepresidente del consiglio e Ministro della difesa nel II governo Fanfani (1958);
Premier prima e Ministro dell’interno poi negli anni 1959-1960;
Ministro degli esteri nel governo Tambroni e Fanfani III, (1960);
Ministro degli esteri nel IV governo Fanfani, (1962).
Presidente della Repubblica Italiana (1962-1964).
Dopo la carriera da Ministro fu Presidente della Repubblica Italiana
Fu Presidente della Repubblica Italiana dal maggio 1962 all’agosto 1964, quando si dimise per una sopraggiunta grave infermità.
Si devono a lui importanti provvedimenti in favore della Sila e della Puglia, nonché la legge di riforma agraria e molti provvedimenti in favore della Sardegna, tra questi l’istituzione della zona industriale di Porto Torres.
Antonio Segni fu anche uno dei costruttori dell’unità europea, per il quale impegno gli fu attribuito nel 1964 il Premio “Carlo Magno” della città di Aquisgrana. Morì a Roma nel 1972.
Giudicessa d’Arborea, condottiera e legislatrice. Eleonora può essere definita, senza ombra di dubbio, la più nota dei personaggi del medioevo sardo, e forse di tutta la storia sarda, in quanto sovrana estremamente determinata nella difesa dell’indipendenza dell’isola.
Eleonora nacque probabilmente nel 1340 dalle nozze di Mariano IV
Nacque probabilmente nel 1340 dalle nozze di Mariano IV, giudice d’Arborea, con la nobildonna Timbora, figlia di Dalmazio, visconte dei Roccabertì.
La ragion di stato sancì le sue nozze con Brancaleone Doria, rampollo di una delle più illustri famiglie genovesi. Dall’unione nacquero due figli, Federico e Mariano.
La prima volta in cui Eleonora poté dimostrare le sue doti politiche e la tempra coraggiosa, fu nel marzo del 1383. In quel occasione suo fratello, il giudice d’Arborea Ugone III, con l’unica figlia Benedetta, caddero vittime di una rivolta popolare, forse causata dall’atteggiamento dispotico del giudice nei confronti dei sudditi.
Dopo quei drammatici fatti, la Corona de Logu chiamò a regnare Federico Doria-Bas, figlio primogenito poco più che decenne di Eleonora e Brancaleone; ma, poiché Federico, secondo le consuetudini del giudicato d’Arborea, era troppo giovane per assumere la pienezza dei poteri, fu deciso di porre in sua vece alla guida del giudicato sua madre Eleonora, allora quarantatreenne.
La juyghissa Eleonora si dimostrò dotata di straordinaria abilità politica e di grande forza d’animo
La juyghissa (così Eleonora é indicata dai documenti dell’epoca) si dimostrò dotata di straordinaria abilità politica e di grande forza d’animo, punendo con fermezza gli uccisori del fratello e stroncando in questo modo sul nascere un movimento orientato a costituire Oristano in comune indipendente posto sotto la protezione di Genova.
Intrapresa la lotta contro gli aragonesi, si trovò nel 1383 di fronte ad una situazione drammatica: l’arresto del marito Brancaleone.
Egli si era recato in Spagna, presso il sovrano catalano-aragonese Pietro il Cerimonioso, nel duplice intento di risanare la grave crisi che affliggeva l’Isola e di ottenere una pace vantaggiosa.
Trasferito a Cagliari, fu recluso nella Torre di San Pancrazio, dalla quale tentò, inutilmente, una rocambolesca fuga; fu dunque rinchiuso nella Torre dell’Elefante.
Eleonora si impegnò subito nelle trattative di pace. Nonostante tutti gli sforzi, però, Brancaleone fu rilasciato solo nel 1390, in seguito alla pace di Sanluri.
La pace fu stipulata nel 1388 tra la giudicessa e il sovrano Giovanni il Cerimonioso.
Questa pace fu causa di grave malcontento presso le popolazioni sarde. Questo fu poiché tutte le terre conquistate precedentemente e legate da giuramento di fedeltà al Giudicato d’Arborea, furono sciolte dal giuramento e tornarono nelle mani del sovrano iberico.
Gli Arborensi, guidati ancora una volta da Eleonora, diedero il segno della riscossa nel 1391, riuscendo a riconquistare una buona parte dei territori.
Un’altra tappa degna di nota nella vita di Eleonora è il 1392
Un’altra tappa assolutamente degna di nota nella vita e nell’opera di Eleonora è il 1392. In quell’anno la sovrana si distinse come avveduta e dinamica legislatrice, promulgando la Carta de Logu.
La Carta de Logu fu una raccolta di leggi nel campo del diritto positivo e processuale, civile e penale.
Redatte in sardo arborense ed articolate in 198 capitoli, nel proemio la giudicessa, animata da devozione filiale, dichiara di aver ripreso e arricchito la Carta de Logu di suo padre Mariano IV «sa quali cum grandissimu provvedimentu fudi facta».
Il codice arborense è un documento importantissimo. Esso rivela la volontà della giudicessa di collocare le antiche tradizioni del suo popolo nella cornice di uno stato di diritto, con un risultato che per l’epoca trova pochi confronti a livello europeo.
Del codice resta allo stato attuale un manoscritto del 1400, custodito presso la biblioteca universitaria di Cagliari. La Carta de Logu restò in uso fino al 1827, anno in cui fu sostituito dal Codice Feliciano promulgato dal re piemontese Carlo Felice.
Quanto alla famosa giudicessa, le fonti narrano che morì intorno al 1402. Ella fu forse vittima della “morte nera”, la peste, male che in quegli anni, falciò un gran numero di vite umane in tutta l’Europa
Con questa ricerca tratteremo il modo in cui la cultura alimentare sarda si è legata col tempo all’antichissimo al folklore locale. Andremo a vedere come con certi rituali, spesso legati a suggestioni e credenze locali, le persone tentavano semplicemente di alleviare la vita di ogni giorno.
Non solo Pane: Folklore nella cultura alimentare sarda
Da sempre l’umanità ha individuato negli alimenti, o nei derivati animali e vegetali, tanto gli elementi utili a garantire la sopravvivenza in senso stretto, quanto gli aspetti delle valenze magico/rituali in funzione terapeutica o scaramantica.
Queste ultime a volte sconfinano in quella che è comunemente definita superstizione, a volte invece, alla luce delle nuove scoperte scientifiche, si dimostrano realmente in grado di sconfiggere determinate malattie o di prevenirne l’insorgere.
Numerosi ricercatori hanno affrontato questo argomento con taglio diverso secondo la loro specializzazione.
Così abbiamo avuto, di volta in volta, spiegazioni di tipo sociologico, antropologico, psichiatrico e religioso ecc…
Non è mia intenzione tentare ulteriori analisi particolareggiate, per le quali rimando agli autori dei testi specifici della bibliografia essenziale citata
Semplicemente vorrei mostrare alcuni di questi aspetti legati agli alimenti, e rilevare come, nonostante la pressione delle culture egemoniche, che da sempre hanno tentato di sopprimerle, siano arrivate pressoché intatte fino ai giorni nostri e che solo oggi, stiano realmente svanendo nell’oblio a causa della massificazione dei costumi e della scomparsa della cultura orale tradizionale, che in alcuni casi era la sola deputata a tramandarle.
Storie di tradizione orale
Alcuni di questi riti magico/terapeutici sono già stati registrati, altri sono a tuttora assenti nei vari testi di d’etnologia.
Si riesce a venire a conoscenza solo dopo ore, o addirittura giorni, di paziente conversazione con le persone anziane.
Queste, infatti, tendono a riportare fatti per lo più già noti, o comunque che si sono conservati anche nella memoria più recente, chiudendo così il discorso con l’interlocutore.
Ma se si presenta loro la dovuta attenzione, anche quando si parla magari d’altro, improvvisamente salta fuori qualcosa di nuovo.
Qualcosa che magari era stato rimosso da una sorta di censura etica, o forse solo dimenticato.
Del resto, tutte le occasioni importanti, nell’arco dell’anno o della vita umana, sono sancite da tradizioni particolari, volte, come ho già detto, a tutelare un’esistenza che si prospetta precaria e in balia di eventi sconosciuti e ingovernabili.
Rituali esoterici per alleviare la vita
Ecco allora le storie di spiriti, di anime in pena che causano sofferenze, se non si rabboniscono in qualche modo.
Non si tratta di veri e propri riti di tipo apotropaico, bensì di azioni volte a migliorare le condizioni dei vivi, e con loro anche dei defunti, che spesso si aggirano ancora nel mondo nell’attesa della pace eterna, e che potrebbero essere addirittura parenti delle persone che “vanno a visitare”.
Queste si preoccupano quindi di rendere più lieve la loro attesa, con preghiere o azioni materiali volte a soddisfare le supposte necessarie.
A questo punto, anche il pianto, apparentemente senza motivo, di un bambino piccolo, che tra le braccia dei genitori non trova conforto, e nel lettino ancora meno, può essere causato da qualcosa di soprannaturale.
Ai genitori, ormai stremati, era consigliato, solitamente da un’anziana della famiglia, di mettere un pezzo di pane sotto il cuscino del piccolo, questi sotto la spinta della disperazione eseguivano, il bambino, dopo un po’, tornava tranquillo (non è dato sapere dopo quanto tempo) e con lui anche i genitori.
Le anime che lo infastidivano, trovato il pane, si erano messe a mangiare lasciandolo finalmente tranquillo.
Che le anime se ne andassero in giro giorno e notte cercando di mangiare non è una novità (basti pensare all’antico Egitto), ma in Gallura, ancora ai primi del novecento (e in alcune zone, anche oggi) la Notte dei Santi, si allestiva un vero e proprio banchetto ad uso e consumo delle stesse.
Una tovaglia bianca, apparecchiatura festiva, pane, vino e cibo, erano poggiati sul tavolo della cucina, la porta che si affacciava verso l’esterno era lasciata aperta e la famiglia andava a letto.
Le anime avrebbero avuto di che soddisfare la fame. Al mattino il tavolo era ripulito.
Nessuno aveva visto niente, solo a qualcuno era parso di sentire dei rumori provenienti dal locale in cui era esposto il cibo, ma del resto, chi mai si sarebbe sognato di andare a controllare?
Ovviamente poi, il fatto che il cibo fosse scomparso, dava ragione a chi quest’usanza continuava a perpetuarla
Solo qualcuno iniziava ad insinuare che forse non di anime si trattasse, ma di mendicanti o bontemponi…Inutile dire che la teoria era destinata a cadere inascoltata, o addirittura tacciata di eresia (ovviamente al contrario).
Anche la notte del 1° agosto si procedeva in modo simile
In quest’occasione si preparava un cunchinu di chjusoni (un bel piatto di gnocchi) conditi con formaggio e pomodoro fresco e, questa volta, si metteva sul davanzale.
Anche in questo caso, alle prime ore del giorno, il piatto era ripulito e le anime imbonite, con gran soddisfazione degli abitanti della casa che da questo fatto traevano auspici favorevoli per tutta la famiglia.
Di questa consuetudine rimane traccia nell’abitudine, ancora viva in alcune zone della Gallura, di preparare il 1° agosto, questa pietanza. Non sappiamo però se solo per i vivi, oppure anche per i trapassati.
Tradizioni al giorno d’oggi ormai perse
Un giustificato pudore impedisce di ammettere, oggi, una tale abitudine, anche per non essere esposti al ludibrio dei più “colti”.
Un’altra forma scaramantica, questa volta un po’ più complessa, anche perché gli informatori non sanno dare spiegazioni in merito, è quella di lu casju parafocu (il formaggio che ferma il fuoco).
In questo caso, il Giorno dell’Ascensione, l’allevatore/agricoltore prelevava una forma di cacio dalla scorta annuale, e, dopo averci inciso sopra, con un coltello, una croce, la conservava in un angolo della casa fino al termine della stagione estiva.
Questa forma possedeva la virtù di proteggere tutto il territorio, di proprietà dell’esecutore, dai temutissimi fuochi estivi.
Anche se, come già detto gli informatori non sanno spiegare questa usanza, da quanto dicono, pur non dichiarandolo apertamente, si può desumere che rappresentasse una sorta di tutela contro il male estremo per antonomasia.
Oltre a queste forme scaramantiche, altri espedienti costituiscono una via di mezzo tra queste e la medicina popolare.
Vi è, infatti, una fusione tra elementi magico – rituali ed altri che potrebbero avere, se opportunamente studiati, un riscontro spiegabile scientificamente.
Prendiamo ad esempio l’Ociu Casgju, preparato il giorno dell’Ascensione
Prendiamo ad esempio l’Ociu Casgju (olio del formaggio) che era preparato il Giorno dell’Ascensione.
In quella data si “segnavano” capretti e agnelli e si marchiavano i manzi. Mentre gli uomini attendevano a queste incombenze le donne preparavano il pranzo.
In questa occasione era d’uopo cucinare la mazza frissa, una salsa di condimento per gli gnocchi ottenuta con la panna di latte.
Durante la cottura, la panna rilasciava l’olio in essa contenuto, questo era raccolto in un vasetto e conservato per tutto l’anno come unguento medicinale, specificamente per lu mali di la ula e lu custuppatu (mal di gola e bronchi impegnati).
Spalmato sul torace e poi ricoperto cu la calta biaitta di la pasta (la carta straccia azzurra della pasta sfusa) o cu la bambacia (ovatta) era considerato infallibile.
In altre zone quest’olio veniva preparato il 3 febbraio.
In questo caso ci troviamo di fronte ad una corrispondenza perfetta tra il rito popolare e quello religioso,
Perché in questa data la Chiesa Cattolica celebra S.Biagio vescovo e martire (III-IV sec.)
A lui sono riconosciute qualità di taumaturgo, protettore degli animali, Santo dei fidanzati e… guaritore del mal di gola.
Questo perché avrebbe guarito un bambino che stava per morire soffocato da una spina di pesce;
Ma mentre la chiesa festeggia in quel giorno “la candelora”e nella cerimonia sacra sul collo dei fedeli il celebrante poggia una candela benedetta che poi, portata a casa, verrà utilizzata tutto l’anno con questa funzione.
Il popolo utilizza le sostanze che ha a disposizione, e che, se vogliamo, sono anche affini (cera – grasso) con le stesse finalità.
C’è da sottolineare che il fatto di sottolineare che il fatto di strofinare il torace con un unguento, causando il riscaldamento della zona interessata, potrebbe, in effetti, portare ad un miglioramento delle condizioni dell’ammalato.
Se poi questo unguento è stato preparato il giorno dell’Ascensione, e quindi nel periodo in cui le piante sono quasi al culmine delle loro proprietà curative, si può ipotizzare che parte delle loro sostanze attive si siano trasferite nel latte e quindi nel nostro olio.
È chiaro che sono solo ipotesi senza fondamento certo, ma quanta di questa saggezza popolare non è stata prima irrisa e poi accolta?
Si pensi semplicemente all’uso delle erbe, da sempre patrimonio della tradizione popolare ed ora accettata e ricercata da tutti.
Diverso il discorso dell’Uovo del giorno del 25 marzo
Qui, o ci si crede, o non ci si crede. Gli “antichi” ci credevano! L’uovo deposto dalla gallina il 25 Marzo, vale a dire nove mesi prima della nascita di Gesù, quindi nel giorno ipotetico del Suo concepimento, veniva raccolto e conservato in un luogo inaccessibile fino a Natale.
Non si doveva toccarlo per nessun motivo, pena la riuscita del “prodigio”, se ci si atteneva a queste regole, il giorno di Natale l’uovo sarebbe stato ormai di cera
A questo punto diventava anch’esso medicinale e, passato sulla gola malata, la guariva, poggiato su un arto dolorante ne leniva il dolore ecc…Questi sono solo alcuni esempi della miriade di riti che l’uomo ha ricercato o creato per risolvere i problemi di ogni giorno.
Oggi ci fanno sorridere, e forse ci meravigliamo dell’ingenuità dei nostri nonni, disposti a credere a simili panzane, ma…Stiamo bene attenti, perché, come si dice: “Quel che buttiamo via dalla finestra, rientra dalla porta”.
Quanti di noi, infatti, non si sono mai sentiti dire da qualcuno, non necessariamente più anziano: “Bevi il caffè stando seduto, altrimenti non diventerai mai ricco!”
E soprattutto, chi non si è seduto immediatamente, dopo una simile minaccia?
Quanti di noi, ancora, non si sono accodati alle schiere degli adepti della Notte di Halloween, muniti di zucca e sonagli, pronti ad andare in giro, all’insegna della nuova cultura egemone, per chiedere “dolcetto o scherzetto”? invece di: “Li molti e molti”, senza pensare che la festa di Halloween non è nient’altro che un rito simile a quelli che volutamente abbiamo seppellito, bollandoli come dabbenaggini da ignoranti.
Infine, visto che il filo conduttore del nostro discorso è la tradizione alimentare.
Come facciamo a sorridere dei nostri vecchi, che traevano auspicio da un piatto di gnocchi lasciato sul davanzale o dalle foglie d’olivo nummati (cui era dato il nome di un uomo e quello di una donna), gettate sul piano incandescente dei focolare se poi, puntualmente andiamo a guardare l’oroscopo del giorno.
E a Capodanno, per quanto già satolli, non rinunciamo a mangiare le lenticchie che, per il nuovo anno, saranno foriere di soldi?
E pensare che il Capodanno in Sardegna, una volta era in settembre …Una volta!…
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