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Cagliari, arriva al cinema “Cuori liberi, fino all’ultimo respiro”

Si terrà a Cagliari la prima al cinema del docufilm a tema peste suina africana (PSA) e violenza sugli animali. Il manufatto racconta i fatti del 20 settembre 2023 avvenuti nel rifugio Cuori liberi di Sairano (PV), che portarono a numerose proteste. La pellicola, distribuita da Mescalito Film, sarà proiettata mercoledì 16 ottobre alle 20.30 ed alle 21.15 al cinema Greenwich d’Essai in via Sassari 67. Il costo del biglietto è fissato a 6,60€.

Locandina dell’evento (foto concessa)

Presente in sala la sezione locale di LNDC Animal Protection, che interverrà sui temi del docufilm con un dialogo aperto al pubblico. Sempre l’associazione animalista LNDC Animal Protection, insieme a LAV, ha sostenuto la produzione del docufilm. La regia è di Alessio Schiazza, con la partecipazione di Sara D’Angelo (Rete dei Santuari di Animali Liberi) e Roberto Manelli (Rifugio Progetto Cuori Liberi).

Il film in serata al cinema di Cagliari ripercorre le tappe della vicenda che portò a settimane di resistenza da parte di attivisti ed animali contro l’uccisione indiscriminata ordinata dall’ATS di Pavia. L’epilogo della vicenda fu l’uccisione dei maiali (precedentemente sottratti da situazioni di sfruttamento e maltrattamento) ed una ferocia inaudita usata su coloro che li volevano difendere in modo pacifico, oltre che danni importanti alle strutture del rifugio, sostenuto senza alcun impiego di fondi pubblici.

La battaglia per fare chiarezza sui fatti è tuttora aperta. Quest’ultima continuerà anche in sede politica per avere protocolli sanitari che tengano conto del fatto che i santuari ospitano animali non destinati alla produzione alimentare e che sono stati sottratti a situazioni di sfruttamento e maltrattamento, che necessitano quindi di una normativa ad hoc, ferma restando la necessità di garantire il rispetto di tutte le misure di biosicurezza in caso di presenza di animali malati.

Il documentario “Cuori liberi, fino all’ultimo respiro” ripercorre le tappe di questa vicenda, facendo luce su una pagina buia dei diritti animali e umani nella storia italiana. Continueremo a chiedere giustizia e a lottare per un’effettiva tutela dei rifugi, dei santuari e delle vite che ospitano, verso un necessario e urgente cambiamento radicale del sistema produttivo. La PSA è l’emblema di un modello fallimentare di produzione che si basa sul confinamento estremo di milioni di animali trattati alla stregua di oggetti, e solo pochi fortunati sottratti a questo ciclo crudele trovano vita e rispetto all’interno dei rifugi e santuari

LNDC Animal Protection, 14 ottobre 2024

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In Sardegna ragazzi con Sindrome di Down scrivono un libro

Nuovo grande esempio di emancipazione delle persone con disabilità in Sardegna, a Tempio Pausania (SS). Si terrà infatti domenica 13 ottobre 2024 alle 18:00 presso l’auditorium della Casa del Fanciullo in Piazza Spano, in concomitanza con la Giornata nazionale delle Persone con sindrome di Down, la presentazione del libro “Guida Nuraghe Majori” pubblicata da Maxottantotto edizioni. Il libro in questione, infatti, ha la caratteristica di essere stato scritto interamente da autori con sindrome di Down. L’evento è patrocinato dalla rassegna letteraria locale Mintuà – Parole in circolo.

Copertina del libro (foto concessa)

Il nuovo libro scritto da operatori con Sindrome di Down è una guida molto agevole particolarmente indicata per un pubblico di bambini ed adulti con difficoltà di lettura e comprensione. Il prodotto è il frutto di un progetto dell’AIPD Gallura.

L’idea è nata per caso, ovvero grazie al ruolo di guide turistiche che gli autori avevano svolto anni addietro al nuraghe Majori, in occasione di una giornata associativa. Questo antefatto dimostra la grande elasticità e capacità di adattamento che determinati operatori, se dotati degli strumenti giusti e di pari opportunità, riescono a conseguire.

«Questo evento – dichiara Domenica Azzena, direttrice artistica di Mintuà e presidente di Carta Dannata – celebra le capacità e le esigenze delle persone con sindrome di Down e delle loro famiglie, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica, dei media e delle istituzioni».

Il piccolo volume didattico che verrà presentato questa domenica è frutto degli autori Adriano Arbau, Gian Piero Cannas, Simona Canu, Antonio Careddu, Manuela Muzzu e Giuliana Pittorru. A dare supporto tecnico agli autori e all’associazione sono stati invece gli archeologi Angela Antona, Miriam Spano e Simone Vero. Il contributo grafico infine è opera di Giuseppe Barraqueddu.

(in copertina immagine di repertorio Wikimedia Commons)

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Integrazione Europea ed il suo futuro, evento a Cagliari

Si terranno a Cagliari, da venerdì 18 a domenica 20 ottobre 2024, tre giornate di formazione e dibattito politico sul futuro del Processo d’Integrazione Europea. L’evento è organizzato dal Movimento Federalista Europeo sezione Cagliari (MFE Cagliari) in cooperazione con l’Unione dei federalisti europei (UEF). Dopo ogni intervento dei relatori è previsto un dibattito aperto a tutti i partecipanti.

fotografia che raffigura Roberto Castaldi e Vincenzo Di Dino dell'MFE Cagliari
Roberto Castaldi e Vincenzo Di Dino, MFE Cagliari (foto Pitzoi Arcadu)

I lavori si apriranno venerdì 18 ottobre a partire dalle ore 17:00 presso la sala “Salvatorangelo Cucca” nella sede ASEL di Piazza Galilei n°17. Il primo appuntamento sarà la presentazione del libro «L’Europa di domani. Un’Unione rinnovata in un mondo che cambia» di Alberto Majocchi (presente al dibattito). Successivamente, sono previsti numerosi ospiti per le giornate a seguire, fra i quali Alessandra Todde (presidente RAS), Massimo Zedda (sindaco di Cagliari) e Luisa Trumellini (segretaria MFE Italia).

L’ MFE Italia è nato clandestinamente a Milano nel 1943 da oppositori del fascismo, convinti che solo un’organizzazione federale avrebbe potuto far rientrare l’Europa, distrutta dalla guerra causata dagli stati nazionali, come protagonista nel quadro geopolitico internazionale. Sempre I’MFE durante la guerra partecipò alla Resistenza armata e svolse un’attività di contatti con gli ambienti della Resistenza europea. Successivamente nacque, nel dicembre 1945, l’Unione dei federalisti europei (UEF), che costituisce ancora oggi il quadro politico-organizzativo sovranazionale dell’azione dei movimenti federalisti europei. Infine, solo nel 1951, è nata la Gioventù Federalista Europea (GFE), ramo giovanile autonomo dell’MFE, con sede locale a Cagliari ed ufficiosamente a Sassari.

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Taglio fondi UNISS. «garantire qualità dell’istruzione universitaria»

Nuovo drastico taglio di fondi per l’UNISS. Il Ministero dell’Università e della Ricerca ha da poco pubblicato il riparto del Fondo di Finanziamento Ordinario tra gli atenei di tutto il Paese. Il documento prevede un taglio nazionale complessivo di 800 milioni. Nel 2024 Sassari perderà 2.239.221 milioni di euro rispetto al finanziamento del 2023 (-3,10%), diventando una delle più penalizzate sul suolo nazionale nonostante il suo prestigio.

Il Fondo di Finanziamento Ordinario è uno strumento che ha subito un taglio significativo con la Riforma Gelmini e la crisi finanziaria del 2008. In seguito è lentamente tornato a crescere, ma la formula di distribuzione ha favorito gli atenei del nord o comunque quelli di grandi dimensioni.

Gli atenei di piccole e medie dimensioni, specialmente del sud, hanno invece visto i propri fondi diminuire, con una politica che non ha saputo investire in istruzione e ricerca proprio in quei territori a rischio. L’UNISS non ha fatto eccezione, subendo un taglio di fondi costante.

In Sardegna di conseguenza si riscontra una continua fuga di giovani abbinata ad una forte dispersione scolastica. Inoltre a ciò le istituzioni non prenderebbero iniziative sufficienti per scongiurare quei fenomeni di marginalizzazione sempre più preoccupanti ed aggravati proprio dalla stessa desertificazione demografica.

In questa situazione ed in un momento di sofferenza economica, evidenzia UDU Sassari in un comunicato, la prima voce che il Governo taglia è l’Università. Sempre per UDU questa politica, tra l’altro in linea con gli ultimi decenni di tagli lineari alle Università pubbliche, ha causato un sottofinanziamento cronico del sistema con conseguenti aumenti di tasse e riduzione dei servizi didattici.

Già nel 2023 l’ateneo sassarese lamentava carenza di fondi e di spazi necessari per garantire il corretto svolgimento delle lezioni e lo studio individuale e/o di gruppo. Carenze, che comunque, si manifestano da anni.

Al posto di un taglio di fondi per l’UNISS ci sarebbe però un’alternativa. Per l’Unione degli Universitari la priorità dovrebbe essere invece garantire la sicurezza delle strutture ed avere aule con posti sufficienti per tutte le studentesse e gli studenti. Altro punto cardine sarebbe l’estensione della NoTax Area fino a 30.000,00€ di ISEE. Solo così iscriversi a Sassari sarebbe una possibilità concreta per un numero ancora maggiore di giovani sardi.

In conclusione, l’UDU afferma che «Solo un’università che consente a tutte e tutti di studiare senza distinzione di classe sociale può garantirsi le forze migliori per dare prospettive di sviluppo e crescita al nostro territorio, così necessarie in un momento di crisi del mondo che viviamo. La strada da seguire è necessariamente quella di finanziare per prime l’istruzione e la ricerca. Serve uno sforzo collettivo che consenta alla Sardegna di ripartire, mettendo al primo posto la giustizia sociale».

Le parole di Elisabetta Bettoni, Senatrice Accademica all’Università di Sassari

Oggi è necessario evitare che a causa di questi tagli vengano ridotti i servizi e aumentate le tasse. L’Università di Sassari e la politica Sarda a tutti i livelli devono riconoscere il pericolo e scongiurare questo scenario: deve essere garantita la qualità e l’accessibilità dell’istruzione universitaria e della ricerca, che sono i veri motori dello sviluppo per la Sardegna

Elisabetta Bettoni, 7 ottobre 2024

(in copertina immagine di repertorio Wikimedia Commons CC BY-SA 3.0)

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Sardigna (no) est Italia

Questo articolo vuole offrire una narrazione leggera e dipanata in forma temporale, per ripercorre il passato della Sardegna e dei sardi e per riflettere sull’identità di quest’ultimi.

La colonizzazione culturale ed il processo di Italianizzazione della Sardegna

Sardigna no est Italia. Una frase che spesso si incontra in Sardegna scritta nei muri o in manifesti politici indipendentisti, dà spunto a diverse domande.

Un graffito dove è scritto in lingua sarda un motto indipendentista
Graffito a Milano (foto Wikimedia Commons user: Sciking CC BY-SA 4.0)

Perché la Sardegna non è (o non dovrebbe essere) italiana? I sardi si sentono sardi o italiani?

Le risposte a queste domande necessitano un approfondimento storiografico non indifferente, che si intreccia a sua volta anche con le dinamiche politiche avvenute in tempi odierni nella nostra isola.

È certo che le risposte possano essere soggettive, considerando che possano essere il frutto di una acculturazione Italiana e dei processi formativi della nazione.

Seguendo l’ordine cronologico iniziamo dall’eta del Bronzo

Come accennato, durante l’età del Bronzo (2200-900 a.C.) possiamo considerare la Sardegna come cultura indipendente.

I nuraghi vennero infatti edificati dalle popolazioni autoctone dell’epoca (Ugas, 2006), senza influenze extra-isolane, in particolare Micenee, come invece si concordava sino a non molto tempo fa (Lilliu, 1999).

I sardi di allora intrattenevano infatti scambi commerciali, ricevevano ed esportavano beni materiali, essendone loro stessi i principali vettori. Navigavano, quindi, si spostavano, intrattenevano commerci e pirateggiavano lungo le coste del Mediterraneo.

Tali evidenze si riscontrano nei risultati di campagne di scavo effettuate nella stessa Sardegna, ma anche in Corsica, Sicilia, Lipari, Creta, Cipro, Egitto, Spagna e vicino Oriente (Burge et al. 2019).

I sardi dell’età del Bronzo appaiono come una civiltà a se stante, con villaggi circoscritti a ciascun nuraghe, proprie tradizioni funerarie e propria cultura materiale.

Il territorio appare suddiviso in aree destinate a diversi usi, tra cui quello funerario, come evidente dai raggruppamenti di tombe dei giganti o a pozzetto (eg: Mont’e Prama). Non possiamo ricostruire interamente la società della Sardegna dell’epoca: si hanno poche informazioni, a causa della mancanza di documenti scritti da loro stessi, a differenza di altre popolazioni contemporanee, come Egizi e Babilonesi.

Possiamo comunque trovare alcuni indizi

Tuttavia, possiamo trovare alcuni indizi, come spesso capita, nelle tradizioni funerarie. Le famose tombe dei giganti erano infatti tombe comunitarie, volte ad accogliere al loro interno molto probabilmente l’intera comunità, piuttosto che una ristretta élite.

Se gli antichi sardi facessero distinzioni sociali tra loro, non ci è noto: seppur probabile (visto che era una pratica comune a praticamente tutte le altre culture contemporanee del Mediterraneo), ciò non appare dalla tradizione funeraria che parte dal Neolitico sino al Bronzo Recente/Finale (Joussoume, 1988; Lilliu, 2017; Ugas, 2016).

Questo potrebbe significare che le comunità che abitavano la Sardegna a quel tempo vivessero in una società egalitaria, o per lo meno egalitaria in termini di tradizioni funerarie. Questo è dibattuto da Mauro Perra che sostiene come l’antica società sarda potrebbe essere stata elitaria a prescindere dalla tradizione funeraria (Perra, 2009).

Realtà distante dall’egualitarismo furono quelle dei popoli con cui entrarono in contatto gli antichi sardi, tra cui Ittiti ed Egizi, note monarchie. Non abbiamo evidenze su come gli antichi sardi si autogovernassero, solo ipotesi, tema che verrà approfondito in separata sede.

È inoltre doveroso evidenziare come gli antichi sardi abbiano sviluppato e trasformato un’architettura megalitica originale, costruendo i già menzionati nuraghi. Queste strutture sono il frutto di secoli di sviluppo, che vedono nel nuraghe classico, poi diventato complesso, il non plus ultra di un’architettura autoctona ed indipendente.

La nascita di una cultura così fortemente caratterizzata e caratterizzante per il paesaggio dell’isola e per i suoi contatti, unitamente alla preistoria del Mediterraneo, ha contribuito a formare una forte identità
isolana, in opposizione a tentativi di oppressione proveniente dall’esterno
. I nuraghi infatti, rappresentano il simbolo di una cultura, un’identità interamente sarda, che resiste e rimane in piedi tuttora.

Facendo un lungo salto temporale, passiamo al tempo dei Giudicati

Dopo secoli di dominazione prima punica e romana, e poi bizantina, varie ed eventuali invasioni che non menzioniamo in questa sede, si arriva al tempo dei Giudicati. I Giudicati furono quattro regni indipendenti che amministravano le sub-regioni dell’isola, chiamate curatorias. Questi erano il Giudicato di Torres, con capitale l’odierna Porto Torres, poi Ardara ed infine Sassari, Il Giudicato di Arborea, quello di Cagliari e infine quello di Gallura.

I Giudicati avevano potere di legiferare, naturalmente in lingua sarda, vedasi ad esempio la Carta De Logu. Questa rappresenta un vero e proprio ordinamento giuridico con norme che ne fanno un vero e proprio codice civile e penale. Questi regni, governati da un Iudex cioè un Giudice (Juighe in Sardo) amministrarono la Sardegna fino alla conquista aragonese, avvenuta ufficialmente dopo che il regno di Aragona vinse la Battaglia di Sanluri il 30 Giugno 1409.

I presupposti della conquista risalgono tuttavia a quasi due secoli prima, quando Papa Bonifacio VIII concesse la Sardegna e la Corsica come feudi al Regno di Aragona, con la Bolla Ad Honorem Dei Onnipotenti Patris, per sedare la guerra tra angioini e aragonesi sul Regno di Sicilia. Il Papa diede dunque una licentia invadendi, il diritto ad invadere l’isola, pur sapendo che l’isola avesse una propria entità autonoma, di cui chiaramente aveva poca conoscenza e ancor meno considerazione.

Dopo la conquista aragonese

Nonostante l’isola venne conquistata, la popolazione mantenne le proprie identità, tradizioni, e lingua. Eccezion fatta naturalmente per tutto ciò che l’inquisizione spagnola non riuscì a estirpare, come l’arte di curare con l’erboristeria ed altre pratiche pagane. Solo la nobiltà imparò lo spagnolo, lingua ufficiale, mentre i ceti più bassi continuarono a usare il sardo, contribuendo indirettamente al mantenimento di una forte identità nazionalistica.

Dopo la Guerra di Successione Spagnola (1701-1714) i Savoia presero in mano le redini della Sardegna, che divenne ufficialmente parte del Regno Sardo-Piemontese nel 1720.

I dominatori sabaudi

Ai Savoia poco interessava del popolo sardo, dal quale esigevano tributi, manodopera a basso costo e materie prime isolane. Il popolo sardo era inoltre oggetto di ludibrio da parte de piemontesi, e la classe aristocratica sarda, considerata “inferiore”, aveva meno influenza nella politica del Regno.

Il Regno di Sardegna infatti di sardo aveva solo il nome, perché i regnanti e la maggioranza della aristocrazia erano nobili piemontesi, che naturalmente spingevano sempre più verso una centralizzazione piemontese, in maniera non dissimile da quello che avvenne anche nella penisola, a livello nazionale, dopo il 1946.

L’invasione francese e la resistenza sarda

Nel 1793 due flotte Francesi tentarono di invadere l’isola. Una a nord, dall’arcipelago della Maddalena, e l’altra da sud nel Golfo di Cagliari. La corona, sospettosa ed incapace di difendersi dall’armata Francese (la più forte dell’epoca), lasciò volutamente sguarnita l’isola, ritenendola sacrificabile ed incapace di difendersi.

Giovanni Maria Angioy, magistrato e rivoluzionario, organizzó delle milizie isolane, reclutando in ogni angolo dell’isola. Finanziò egli stesso, insieme al Vescovo di Cagliari, l’acquisizione dell’equipaggiamento necessario alla difesa.

Una volta sbarcati nel Golfo di Cagliari, i francesi furono respinti dalle milizie guidate da Vincenzo Sulis anche grazie alle condizioni meteo favorevoli agli assediati, come la provvidenziale nebbia che disorientó gli invasori (numerosi gli incidenti di fuoco amico tra i Francesi), e l’orografia del terreno: gli stagni e le paludi del circondario cagliaritano non facilitarono certo l’avanzata degli invasori.

I francesi conquistarono tuttavia facilmente le Isole di Carloforte e Sant’Antioco, dove vennero accolte dalla popolazione locale, per questo, una volta trovata una fervida resistenza sulla costa cagliaritana ammutinarono.

A nord, l’isola venne difesa da Domenico Leoni (noto Millelire) e da altri volontari che da Palau riuscirono a bombardare l’ammiraglia Fauvette, abilmente adescata dalla galeotta al comando del Maddalenino Tommaso Zonza (Caterini, 2016).

La narrazione distorta dei piemontesi

Il Re Vittorio Amedeo III di Savoia, volendo premiare i sudditi per la difesa del Regno, decise di offrire delle ricompense, che però ovviamente finirono nelle tasche dei piemontesi in carica, e non in quelle dei volontari sardi che difesero l’isola.

Non sorprende che ciò incrementò ancor di più il malcontento nei confronti dei regnanti. È doveroso fare notare, come discusso da Caterini (2018, p. 212), che la narrazione “ufficiale” ignora totalmente il ruolo della resistenza sarda nella difesa dell’isola, narrando invece di come il potente esercito francese (ricordiamolo nuovamente, il meglio organizzato e più efficiente dell’epoca), come preso da un raptus di folle autolesionismo, si sabotò da sé per poi semplicemente ripartire: ma si sa, la storia è scritta dai vincitori e queste vicende non vengono insegnate nelle scuole Italiane, ancor meno in quelle sarde.

Dopo la difesa dell’isola, la classe dirigente isolana richiamò gli Stamenti (componenti del Parlamento del Regno) per chiarire le loro richieste al Regno. Quest’ultimo acconsentì a cinque delle richieste, che in sintesi ottennero così una maggiore autonomia e l’assegnazione di impieghi governativi anche ai sardi.

Queste concessioni vennero comunque cessate dal governo piemontese che non vedeva di buon occhio le richieste avanzate, ritenendo naturalmente che sarebbero andate ad intaccare il controllo piemontese sull’isola. Dopo decadi di soprusi, durissime condizioni economiche e malattie, il malcontento continuò a crescere, e questo rifiuto fu la proverbiale goccia che fece traboccare il vaso, già colmo da vari anni.

I vespri sardi e la Sarda Rivolutzione

I sardi si ribellarono, seguendo l’esempio della Rivoluzione Francese, ed il 28 Aprile del 1794 furono cacciati dall’isola il Viceré Balbiano insieme a tutti i funzionari piemontesi presenti a Cagliari.

A seguito di questo evento, gli Stamenti presero il controllo e autogovernarono l’isola per diversi mesi, fecero leva sulle precedenti richieste e con la cooperazione del popolo ne aggiunsero una nuova, l’amnistia per i partecipanti ai fatti del 28 Aprile. Il popolo, comprendente le milizie volontarie che cacciarono i funzionari, ebbe parte attiva nella formulazione delle leggi e delle richieste (cosa impensabile all’epoca) lavorando in maniera democratica (Carta, 2001).

A questo punto il Re accettò alcune richieste, appuntando Gerolamo Pitzolo come Intendente Generale ed il Marchese della Planargia Gavino Paliaccio come Generale delle Armi.

Questo non bastò a placare l’indipendentismo

Questi tuttavia non avevano ideali indipendentisti, ed anzi tramavano contro l’ala progressista sarda e miravano a reprimere, anche con l’uso della forza, le correnti democratiche che si andavano formando.

Il 1795 vide un’altra ribellione, causata della mancata riunione degli Stamenti, che fu impedita dall’esercito comandato dal Paliaccio. Successivamente, l’ala democratica insorse con le milizie, prevalendo sugli uomini del Paliaccio: questo, insieme al Pitzolo, venne arrestato e giustiziato dalla folla.

Fu proprio durante questo periodo rivoluzionario che Francesco Ignazio Manu scrisse la poesia Su Patriotu Sardu a sos Feudatarios, poi riconosciuto dalla Regione Sardegna come inno ufficiale nel 2018.

Dopo questi avvenimenti Giovanni Maria Angioy venne incaricato come Alter Nos, cioè sostituto Viceré, e cerco’ di riformare la società, mirando all’abolizione del feudalesimo: ricorse all’uso della forza contro i feudatari, venne pero’ respinto dagli Stamenti e forzato alla fuga in Francia, dove morì.

Ci furono numerose altre ribellioni negli anni a seguire, che videro pero’ emergere vincitore il governo sabaudo, spesso aiutato da banditi locali (a cui veniva molto opportunamente concessa la grazia in cambio dell’aiuto prestato), come nel caso dell’Eccidio di Thiesi (Sa die de S’atacu) del 1800.
Con l’Unificazione d’Italia del 1861, i sardi divennero ufficialmente Italiani. Poco cambio’ nella realtà sarda, afflitta dalle stesse problematiche di prima, e con le campagne pullulanti di banditi che venivano braccati dai Carabinieri Reali.

Nel Regno d’Italia nulla è cambiato

L’isola ed i suoi abitanti continuarono ad essere sfruttati per le proprie risorse, forza lavoro e materie prime.

Nel frattempo le mire espansioniste di casa Savoia posarono lo sguardo ben oltre le montagne della Sardegna. Nei primi del ‘900 infatti il Regno mirava a colonizzare territori nel nord Africa ed a riappropriarsi delle regioni in mano agli Austroungarici. Fu con le guerre in Tripolitania e Tunisia che il Regno d’Italia svuoto’ quasi completamente l’Isola dalla sua razza canina autoctona, il pastore Sardo (conosciuto come cane beltigadu, trighinu, cane Fonnesu etc), rinomato per la sua cattiveria e doti di guardiania agli armenti e proprietà (Balìa, 2005). L’uso di questi cani era infatti destinato a stanare e uccidere i nemici in terra straniera, cosi’ da poter limitare le perdite umane.

La Grande Guerra ed i sacrifici della Sardegna

Oltre a decimare la popolazione canina sarda il Regno, in nome dell’unificazione, porto’ la nazione in guerra contro L’impero Austro-Ungarico nel 1915. Questo avvenimento non solo depopolò il continente, ma costo’ alla Sardegna un carissimo prezzo. Venne costituita la Brigata Sassari, composta quasi totalmente da sardi, ad eccezione di alcuni ufficiali. La brigata ebbe una media di 138 caduti ogni 1000 soldati, contro una media nazionale di 104 (Motzo, 2007).

Le campagne si spopolarono, e la brigata venne ricostituita più volte attingendo a ragazzi sempre più giovani dalle famiglie isolane. La brigata inoltre era di difficile in infiltrazione per le spie italofone o indigene delle regioni occupate dagli Austroungarici, dato che la lingua parlata dai soldati e ufficiali era il sardo.

I soldati stessi non si sentivano Italiani, erano contrari e non capivano perché dovessero prendere parte ad una guerra che non fosse la loro, per una nazione che non era la loro. Lo stesso Lussu descrive come la Brigata fu l’unica a non essere punita per essersi opposta alle fucilazioni a causa dei suoi sforzi nelle trincee (Lussu, 2014).

La lingua sarda ed il fascismo

L’italianizzazione della Sardegna avvenne realmente in questo periodo. La Guerra e l’esperienza vissuta in trincea spinse Lussu ed i sardi a sviluppare una nuova coscienza regionale-nazionale. Questo portò alla fondazione, nel 1921, del Partito Sardo D’azione, di stampo autonomista più che separatista che pero’ mirava ad essere un partito per i sardi. Il partito Fascista cercò inutilmente di fondersi con il PSd’Az, ma non poté superare la forte opposizione di Lussu e degli altri fondatori, profondamente antifascisti.

Negli anni a seguire, durante il fascismo e lo scioglimento di tutti i partiti politici, Lussu venne esiliato. Il PSd’Az venne ricreato nel dopoguerra ma non raggiunse mai gli originali obiettivi autonomistici, discostandosi invece da essi, per coalizzarsi, di recente nel 2018, con la Lega Nord.

La denigrazione delle lingue minoritarie

È noto infatti, come il fascismo abbia “creato” l’Italiano, incrementando l’insegnamento della lingua a scuola a discapito delle altre lingue preesistenti a livello nazionale, come la lingua sarda e le sue varianti.

L’italianizzazione non colpi’ solo la lingua ma anche l’archeologia. La cultura sarda protostorica differisce in toto da quella classico-etrusca scelta da Mussolini nella sua narrazione patriottica propagandista: nell’ottica fascista andava quindi declassata ed oscurata. Fortuna volle che Antonio Taramelli riuscì a studiare e scavare numerosi siti durante il ventennio, nonostante ciò non rispettasse pienamente la visione fascista.

Nella repubblica l’italianizzazione contro la lingua sarda continua

Il processo di Italianizzazione continuò ancor più’ pesantemente nel dopoguerra, in tutta la nazione ed ovviamente anche, anzi soprattutto, in Sardegna.

L’alfabetizzazione delle masse creò un nuovo bilinguismo o multilinguismo, la propaganda nazionale voleva creare dal nulla, anzi imporre, un’identità Italiana, proprio come aveva fatto il fascismo fino al 1945, seppur per motivi diversi (che tanto diversi non erano, tuttavia: potere e denaro, ed i soliti motivi dietro a ciascuna di queste grandi operazione politiche).

Le proverbiali uova da rompere per fare questa succulente frittatona italiana

Le uova da rompere erano quelle delle regioni, da sempre aventi distinte identità locali (spesso anche a livello sub-regionale), e le più dure erano quelle più remote od isolate, che proprio per questo motivo avevano identità più’ “forti”.

L’insegnamento della lingua Italiana alle generazioni che vissero durante il ventennio e nel primo dopoguerra avvenne in maniera poco ortodossa, se “insegnamento” si poteva chiamare.

Come possono testimoniare le generazioni di persone ora tra i 70 e i 90 anni di vita, era vietato usare lingue autoctone a scuola ( impropriamente chiamate “dialetti”, una minuzia lessicale volta tuttavia a sminuirne l’importanza, anche a livello quotidiano, nel subconscio delle masse).

L’uso di queste comportava nel migliore dei casi l’essere sgridati, mentre più spesso punizioni, spesso corporali, erano date dagli insegnanti che adoperavano stecche e piccoli frustini per punire gli alunni.

Lingua sarda retrograda, usata dalla plebe e quindi inutile

Inoltre, col retaggio fascista si diffuse la credenza che la lingua autoctona fosse retrograda, rozza, usata dalla plebe e quindi inutile. Meglio usare l’Italiano perché questa era la lingua nazionale e dei letterati. Questa visione, unita anche a un complesso di inferiorità (fomentato e corroborato da due secoli di soprusi e trattamenti di sfavore), ha contribuito a creare nuove generazioni di sardi bilingui, ma anche di sardi Italofoni capaci di capire le lingue sarde ma incapaci di parlarle.

In questo processo la lingua nativa viene quindi eclissata dalla lingua arrivata dal continente, e declassata dalla stessa popolazione, generazione dopo generazione.

Viene ritenuta adatta all’uso informale e nel nucleo domestico, ma inadatta a esprimere concetti di livello e non viene insegnata nelle scuole. Per decenni, le lingue locali vengono stigmatizzate, in Sardegna come nel resto d’Italia (ad eccezione di alcune aree oggetto di particolari favoritismi, che non discuteremo in questa sede).

Non venendo insegnata la storia, la cultura e la lingua sarda nelle scuole, dopo decenni di studio e acculturazione italiana, il risultato è una identità mista. Le nuove generazioni, ma anche quelle che correntemente si collocano tra i 35 e i 60 anni di età, spesso si identificano come italiani o sardi ma anche semplicemente italiani.

La lingua sarda e l’avvento dei Mass Media

La forte emigrazione, la scolarizzazione e l’avvento della televisione hanno contribuito ad annullare la lingua sarda e con essa l’identità, che senza la lingua, fatica ad esistere (ironicamente, nonostante la lingua, anche l’identità’ italiana fatica ad esistere: e questo fallimento su entrambi i fronti rende ancor più’ tragica l’estirpazione delle identità’ locali, un eccidio culturale perpetrato quindi invano).

In Sardegna, da parte di molti genitori, fu ritenuto squalificante far parlare ai propri figli il sardo, incentivandoli in maniera forzata ad usare l’italiano. Si è creato quindi un complesso di inferiorità che ha portato parte della popolazione a preferire una lingua piuttosto dell’altra, ed a deridere chi volesse imparare il sardo.

Meglio che parli in italiano, così non deformi il sardo!

Se non si è di madrelingua sarda e si prova a parlarlo, non è raro infatti sentire commenti quali Menzus chi faeddes in italianu gai no istropias su sardu! ossia Meglio che parli in italiano cosi non deformi il sardo!

Il sardo quindi, tramite l’italianizzazione, diventa il proprio peggior nemico e deride i propri conterranei invece di incoraggiarli ad imparare la propria lingua: il “lavaggio” dell’isola in tema tricolore trova qui il suo più’ grande, doloroso successo.

Non stupisce infatti che i dati ISTAT del 2017 mostrino come in Sardegna l’uso della lingua sarda in famiglia superi di poco il 30%, a confronto del resto del sud Italia e delle isole dove l’incidenza è del 68%.

La Regione Sardegna può incrementare e favorire l’insegnamento del sardo in via opzionale, con la legge regionale 22/2018 e nonostante la lingua sia tutelata dalla costituzione, continua a ignorare la questione.

Tuttora in Sardegna non si può scegliere di imparare la lingua sarda nei moduli di iscrizione scolastici. Questo, in maniera voluta o meno contribuisce alla folklorizzazione di una lingua e cultura che andrà
decadendo
, mischiandosi con l’italiano e rimanendo destinata ad uso orale e folkloristico. Finché la lingua non verrà insegnata ed i giovani non saranno aiutati ad appropriarsi della loro lingua, essi continueranno a sentirsi italiani.

(Si ringrazia calorosamente il dott. Dario Oggioni per aver letto e commentato le bozza di questo articolo)

Bibliografia

  • Balìa, R. 2005. Canis Gherradoris. L’arcano, tra mito e storia. PTM.
  • Brigaglia, M. 2008. Emilio Lussu e “Giustizia e Libertà”, Dall’evasione di Lipari al ritorno in Italia (1929-1943). Edizioni Della Torre. II edizione.
  • Burge, T., Fischer, P., Gradoli, M. G., Perra, M., Sabatini, S. 2019. Nuragic pottery form Hala Sultan Tekke: The Cypriot-Sardinian Connection. Aegypten und Levante – Egypt and the Levant. Osterreichische Der Wissenschaften. Wien. 29, 231-244.
  • Carta, L. 2001. La Sarda Rivoluzione. Condaghes.
  • Caterini, F. 2016. 23 Febbraio 1793, Controffensiva contro i francesi di Napoleone a La Maddalena. Sardegnablogger.
  • Caterini, F. 2018. La Mano Destra Della Storia, la demolizione della memoria e il problema storiogra co in Sardegna. Carlo Del no Editore.
  • ISTAT. 2017. Anno 2015, L’uso della Lingua Italiana, dei dialetti e delle Lingue Straniere.
  • Joussoume, R. 1988. Dolmens for the dead: megalith buildings throughout the world. Batsford Ltd.
  • Lilliu, G. 1999. la civiltà nuragica – Sardegna archeologica, studi e monumenti 2. Carlo Del no Editore.
  • Lilliu, G. 2017. La Civiltà dei Sardi, dal Paleolitico all’età dei nuraghi. Il Maestrale.
  • L’Unione Sarda, 2018. La Sardegna ha il suo Inno.
  • Lussu, E. 2014. Un’anno sull’altipiano. Einaudi.
  • Perra, M. 2009. Osservazione sull’evoluzione sociale e politica in età nuragica. Rivista di Scienze Preistoriche. LIX. 355-568.
  • Motzo, L. 2007. Gli intrepidi Sardi della Brigata Sassari. Edizioni Della Torre.
  • Ugas, G. 2016. Shardana e Sardegna: I Popoli del Mare, gli alleati del Nordafrica e la ne dei Grandi Regni (XV-XII secolo a.C.). Edizioni Della Torre.

Sassari, giovani autistici diventano camerieri professionisti

Nella città di Sassari l’iniziativa congiunta della Fondazione Lorenzo Paolo Medas, di Casa Artigiani e del ristorante “La Roccia” porta alla nascita di un concreto progetto di inclusione sociale.

Circa dieci giovani autistici, riferisce l’Unione Sarda, hanno intrapreso una strada nel mondo della ristorazione professionale grazie ad uno speciale corso con il quale hanno conseguito la certificazione Haccp, licenza fondamentale per lavorare in sicurezza con alimenti e bevande. Fra gli operatori scelti anche individui con forme più intense e socialmente invalidanti dello spettro autistico, come i ragazzi non-verbali o in generale con altre condizioni simili che causano maggiore difficoltà a trovare lavoro stabile ed integrarsi nel tessuto sociale.

Giulio Piu, segretario di Casa Artigiani, afferma con questa iniziativa di avere avuto a che fare con «studenti entusiasti». I neo-camerieri adesso lavoreranno al Club Inside Aut, di prossima apertura presso via Madrid.

Una grande iniziativa che lascia pienamente soddisfatto il segretario di Casa Artigiani, il quale afferma in conclusione «Io credo che il cliente sarà molto soddisfatto di trovare questa novità e ragazzi come loro».

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Tempio Pausania, Battista Baltolu presenta la sua opera prima

Si terrà al Museum Bar Ristorante di Tempio Pausania, in piazza Gallura 27 alle ore 18:00 del giorno domenica 29 settembre 2024, la presentazione del primo libro dello scrittore tempiese Battista Baltolu. Il libro, chiamato Una tranquilla cittadina con editore Maxottantotto Edizioni, racconta episodi di vita riferibili a una Tempio Pausania che, sotto mentite spoglie, nell’opera prende il nome fittizio di Colleventoso.

Mintuà 2024 comunica l’organizzazione di un nuovo evento di promozione dedicato ad un artista locale. La presentazione del libro di questa domenica, con la presenza fisica dell’autore, avrà inoltre l’accompagnamento dell’editor Laura Fadda e del musicista e cantautore Roberto Acciaro. Il libro a firma del Baltolu è caratterizzato da «ingredienti giusti per una storia che contiene anche il racconto di un delitto che spezzerà il tempo ordinario e sempre uguale di una tranquilla cittadina, specchio di quella parte del Belpaese che nel secondo dopoguerra avrebbe seguito altre strade e altre storie».

Mintuà – Parole in circolo è una rassegna letteraria che nel 2024 giunge al suo quinto anno consecutivo di attività. Ogni anno scrittori sardi e nazionali, affermati o esordienti, sono stati ospitati nelle annuali edizioni di questa ormai consolidata realtà culturale tempiese.

Locandina dell’evento

Mintuà è una parola che deriva dalla Lingua gallurese che significa menzionare, citare oppure anche commemorare, ricordare, tenere a mente.

Chi è Battista Baltolu

Battista Baltolu (foto concessa)

Settantenne, tempiese. Battista Baltolu ha studiato al liceo classico della sua città natale per poi trasferirsi a Bologna per studiare Medicina e Chirurgia. Ha interrotto gli studi universitari per dedicarsi per quasi una quarantina di anni al lavoro di impiegato presso l’Ente Foreste della Sardegna. Infaticabile lettore e grande appassionato di scrittura, ha partecipato a più concorsi letterari, ottenendo anche risultati riconosciuti. Un suo racconto fa parte dell’antologia deandreiana della nona edizione del premio letterario Una storia sbagliata.

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Sassari, Cavalcata sarda rinviata al 4 giugno

SASSARI: Data l’altissima probabilità di precipitazioni per sabato e domenica, confermata anche oggi dai bollettini meteorologici nazionali e regionali, l’Amministrazione comunale ha deciso di rinviare al fine settimana del 3 e 4 giugno la Cavalcata sarda e i suoi eventi collegati.

«Abbiamo sperato fino a stamattina che le previsioni potessero migliorare prima di prendere una decisione così importante – spiega il sindaco Nanni Campus -. Purtroppo però oggi è stato segnato un ulteriore peggioramento. 

La Cavalcata sarda non è una manifestazione legata allo scioglimento di un voto religioso che deve tenersi necessariamente in una data, ma l’appuntamento della penultima domenica di maggio è semplicemente una consuetudine.

Nel fare questa scelta abbiamo preso in considerazione diversi aspetti e sentito il direttore artistico, Giuliano Marongiu, per valutare la fattibilità dell’idea. 

Abbiamo anche pensato che fermare l’organizzazione oggi e indicare da subito una nuova data permette di limitare i danni economici che subirebbero esercenti, ristoratori, e tutte le altre attività interessate, compresi i venditori ambulanti. Anche “rinchiudere” il concerto-evento in un teatro limiterebbe la partecipazione, mentre noi vogliamo che sia una festa di tutti, così come i canti e i balli che per definizione si tengono in piazza».

Concerto-evento, Cavalcata sarda, pariglie e canti e balli rinviati dunque a sabato 3 e domenica 4 giugno 2023

«Il settore Cultura, il direttore artistico e il Gabinetto del sindaco sono già al lavoro per riorganizzare tutto, affiancati da tutti i settori del Comune. In particolare, Giuliano Marongiu sta già contattando i gruppi per verificare la disponibilità in quelle date ed eventualmente, se necessario, si attingerà all’elenco delle numerose richieste arrivate nei mesi scorsi».

Prosegue il sindaco Campus. «Ringrazio tutti i dipendenti che, nonostante la pesante mole di lavoro, si sono immediatamente messi all’opera, con forte senso di appartenenza e del bene comune, affrontando una situazione completamente nuova».

«Abbiamo deciso di spostarla e non cancellarla perché il ritorno economico e di immagine per la città è molto elevato. Già l’anno scorso la Cavalcata è stata spostata a settembre a causa del Covid. Ed è stata un successo. Siamo fiduciosi e ci prendiamo questa responsabilità anche questo anno: la pioggia non cancellerà la Festa della Bellezza, la rinvierà soltanto e Sassari avrà la sua due giorni di grandi eventi» conclude il sindaco.

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  • FONTE & APPROFONDIMENTI: Articolo ufficio stampa comune di Sassari
  • Foto copertina ©Comune di Sassari

Porto Torres, niente contenitori in vetro e lattina durante la festa patronale

PORTO TORRES: Stop a contenitori in vetro e lattine nelle giornate della Festha Manna. Con un’ordinanza firmata nei giorni scorsi, che riprende orientamenti consolidati in tutta Italia in occasione di grandi eventi, il sindaco Massimo Mulas detta regole stringenti sulla vendita e il consumo di bevande.

Sarà vietato il consumo itinerante di qualsiasi tipo di bevanda in contenitori di vetro e in lattine

Dalla mezzanotte del 26 maggio e alle 5:00 del 30 maggio, in tutto il perimetro del territorio comunale interessato dall’evento, sarà vietato il consumo itinerante di qualsiasi tipo di bevanda in contenitori di vetro e in lattine.

La somministrazione e la vendita su area pubblica di qualunque bevanda, anche analcolica, in lattine e contenitori di vetro sarà vietata.

Infine l’abbandono in luogo pubblico o aperto al pubblico di bevande alcoliche o non alcoliche, comunque acquisite, contenute in bottiglie di vetro o in contenitori realizzati con il medesimo materiale.

Per chi non rispetterà l’ordinanza è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 25,00 a 500,00 euro per il primo accertamento. Il divieto non riguarda la sola vendita finalizzata all’uso domestico.

Le ragioni del provvedimento

Il provvedimento è stato adottato «per ragioni di decoro, di sicurezza urbana e a tutela dell’incolumità pubblica».

Si legge ancora nell’ordinanza «prevenire i rischi imputabili al consumo di bevande in contenitori di vetro ed in lattine, i cui vuoti, se abbandonati a bordo strada, possono essere utilizzati in modo improprio da persone dedite a condotte illecite».

Tutto questo soprattutto in previsione del «numero rilevante di persone che si concentrerà perlopiù nel centro storico della Città».

L’ordinanza si conclude con un invito agli esercenti a «utilizzare esclusivamente bicchieri, cannucce, piatti, posate e contenitori per trasporto e consumo bio-compostabili, al fine di ridurre il forte impatto ambientale costituito dall’utilizzo dei contenitori in plastica».

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Inquinamento a Porto Torres: tornano le macchie oleose in mare

PORTO TORRES: In procinto della stagione estiva e dopo la buona notizia riguardante il termine dell’interdizione alla balneazione della spiaggia di Fiume Santo, a Porto Torres torna l’incubo dell’inquinamento delle acque. Attualmente sono ancora sconosciute le cause del problema.

Una lunga scia di schiuma ed acqua torbida accompagnata da un pessimo odore è apparsa nei pressi della spiaggia della Marinella, vasta area sabbiosa nei pressi della foce del Riu Mannu. Spiaggia un tempo molto frequentata, da decenni risulta completamente abbandonata a causa dell‘inquinamento dovuto alla vicina area industriale. Sempre nel sito della Marinella l’associazione «Tuteliamo il Golfo dell’Asinara» ha segnalato discariche abusive di inerti edili e rifiuti ingombranti, identificando anche la presenza di manufatti in Eternit.

L’inquinamento industriale di Porto Torres

L’inquinamento industriale di Porto Torres è un problema ricorrente nato dall’istituzione del petrolchimico nel 1963. Questo fenomeno danneggia gravemente la salute dei cittadini e paralizza tutte le attività commerciali legate all’allevamento, all’industria ittica ed al turismo. Dopo il grave incidente del 2011, che ha comportato lo sversamento in mare di decine di metri cubi di olio combustibile, l’Associazione Tuteliamo il Golfo dell’Asinara si occupa di monitorare attivamente la situazione ambientale.

Poco distante dalla Marinella inoltre è ubicata la piccola spiaggia della Minciaredda, conosciuta per la sua discarica abusiva con relativo disastro ambientale. L’area in questione, dislocata su oltre 35 ettari di proprietà del Ex-Syndial, viene chiamata la «Collina dei veleni». Nell’agosto del 2003 il movimento indipendentista Irs, con un plateale blitz all’interno della zona fino a quel momento interdetta ad occhi indiscreti, portò all’attenzione dell’opinione pubblica l’entità del danno ambientale. Solo però nel 2015 i militari del Nucleo operativo ecologico provinciale hanno messo i sigilli su tutta la zona.

Ulteriormente, secondo gli atti prodotti dall’avvocatura di Stato nel corso della decennale causa legale, si evidenzia che “le analisi chimiche, eseguite nei campioni di terreno prelevati dal suolo della discarica di Minciaredda fino alla profondità di massimo 20 metri, rilevano la presenza di idrocarburi leggeri e pesanti”.

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