karate

Gichin Funakoshi, il fondatore del Karate-dō

Premessa

Gichin Funakoshi non fu solo il fondatore del karate-dō, ma seppe inoltre infondere a quest’Arte il suo senso della vita. Le tecniche e i rudimenti del Karate-do iniziarono ad esistere, come tutti sanno, quando Funakoshi li organizzò in un tutto coerente.

Fu proprio la visione e l’impegno personale del suo carattere a dare forza e senso globale ad uno stile che si è consacrato come uno dei punti di riferimento delle Arti Marziali in tutto il pianeta.

Per questo motivo conoscere a fondo la concettualizzazione del Karate di Funakoshi non è uno sforzo inutile, oggigiorno sono pochi gli studenti del Karate che conoscono le formule originarie della loro Arte, forse, per alcuni può sembrare persino anacronistica la pretesa di questo articolo.

Chi non conosce il passato, difficilmente potrà affrontare il futuro

Funakoshi fu un uomo con una personalità molto particolare, e per avvicinarci al Funakoshi uomo, alla sua personalità non c’è niente di meglio che leggersi la sua autobiografia Karate-Do, Il mio cammino, ormai tradotta in quasi tutte le lingue.

In essa troviamo un uomo semplice, non un intellettuale. Un uomo con una morale retta e ben definita, con principi che delineano una forte spina dorsale dalla quale sgorga un carattere forte e leale alle proprie convinzioni.

Senza dubbio non dovette essere facile avere a che fare con lui in vita: tuttavia era una di quelle personalità magnetiche, un leader nato, capace di trasmettere all’esterno il suo messaggio attraverso una forte impronta, e benché l’Arte che lui definì assomigli poco alle forme ed ai principi che conosciamo oggi come Karate, non va dimenticato che la sua evoluzione sarebbe stata impossibile senza un punto di partenza fermo e stabile, come quello che il Maestro seppe imprimere alla via della mano vuota.


Venti principi che definiscono la formale etichetta e l’atteggiamento che devono esistere nella pratica dell’Arte

Per questo è essenziale comprendere uno dei suoi lasciti principali, sfornati dal suo Dojo Kun, venti principi che definiscono la formale etichetta e l’atteggiamento che devono esistere nella pratica dell’Arte, affinché l’allievo raggiunga l’eccellenza, anticamente questi principi si recitavano a voce alta prima di ogni lezione, una pratica persa perfino nei Dojo più tradizionali.

Recitati come una litania, gli allievi li conoscevano a memoria e pur senza capirli, nel loro apprendistato, continuavano a poco a poco ad integrarne il senso e la ragione d’essere, l’articolo che oggi sto scrivendo, cerca di addentrarsi nel senso e nelle ragioni nascoste di questi venti punti, per facilitare ai più giovani una comprensione più profonda e completa delle origini essenziali della loro Arte Marziale e per ricordare ai più maturi, sia in età che in esperienza, la provenienza, i fondamenti della nostra tradizione Marziale.

Funakoshi, uomo di poche parole e di ancor meno spiegazioni, sosteneva che quello che impari con il tuo corpo non lo dimentichi mai, mentre quello che impari con la tua testa è facile da dimenticare. Senza dubbio il Maestro non immaginò nemmeno che, negli anni seguenti, la testa sarebbe servita (in troppi casi) solamente a reggere il cappello, perciò senza ribattere il fondatore, vorrei analizzare uno ad uno i punti ed il relativo significato, un’eredità piena di valore ora e sempre, un ulteriore regalo del fondatore al quale i Karateka devono sempre rispetto e gratitudine.


I · IL KARATE-DO COMINCIA E FINISCE CON IL SALUTO

La gentilezza ed il rispetto si dimostrano e si acquisiscono anche con la pratica. Salutare è ricordare al nostro corpo che deve obbedire ad alcuni criteri, nei quali il rispetto deve sottomettere altri impulsi che, senza dubbio, si attivano nella pratica (aggressività, paura, etc).

Dominarli è uno dei compiti dell’artista marziale, ma oltre alla cortesia, il saluto Orientale chinando il capo, possiede un senso simbolico e persino energetico poco diffuso, o, che poi è la stessa cosa, piuttosto dimenticato, chinando il capo, sia in posizione Seiza che stando in piedi, unifichiamo i principi di Cielo e Terra.

I principi e le loro energie che penetrano il nostro corpo attraverso la colonna vertebrale (dischi e genitali) come due serpenti di forza, in Seiza le mani devono unirsi contemporaneamente (non prima una poi l’altra), creando un triangolo formato tra i pollici e gli indici, tra i quali si deve collocare la fronte.

La cortesia significa contenimento per reindirizzare gli istinti, la sua ripetizione risulta sempre educativa ed organizzativa per le gerarchie, il saluto al Maestro ha questo significato, il saluto con il tuo contendente riconfigura lo spazio formale del combattimento apportandovi dei limiti, ricordandoci che il nemico è dentro di noi, non fuori.

L’altro è solo uno specchio (un’opportunità di presa di coscienza ), nel quale le nostre limitazioni si vedranno rispecchiate, il quale non è, dunque, il colpevole di esse.

II · NON UTILIZZERAI MAI IL KARATE-DO SENZA MOTIVO

Sun Tsu comincia il suo libro sulla Guerra avvertendoci: “La Guerra è un tema di vitale importanza, il territorio della vita e della morte, non deve essere affrontato alla leggera”.

Giustificare l’aggressione è un argomento filosoficamente complesso, per Funakoshi l’aggressività si spiega solo come atto difensivo, la violenza gratuita era continuamente criticata dal Maestro, oppostosi perfino al Ju Kumite (combattimento libero) che suo figlio invece propugnava.

Inoltre, il Karate è persino un allenamento della personalità, dello spirito dell’allievo che allena il suo carattere ed il suo corpo per raggiungere uno stato di allerta e di eccellenza, non per ostentare le sue abilità o per dimostrare a sé stesso o agli altri qualcosa.

III · PRATICARE IL KARATE-DO CON SENTIMENTO DI GIUSTIZIA

Rafforzando il punto precedente, il Maestro aggiunge inoltre che la pratica del Karate ed il suo utilizzo devono servire solo cause giuste, con atteggiamenti impeccabili, allo stesso modo, in questo punto Funakoshi ammonisce coloro che pretendono di utilizzare il Karate e le sue conoscenze al servizio di ignobili cause.

Per gli Istruttori, la selezione degli allievi e delle loro intenzioni nell’apprendimento dell’Arte  era una delle sue principali preoccupazioni e, sebbene oggigiorno il potente Cavaliere Denaro abbia abbassato i parametri limitando l’entrata solo a coloro che pagano la retta mensile, è giusto ricordare che abbiamo una responsabilità aggiunta nell’esercizio dell’insegnamento dell’Arte.

IV · PRIMA DI CONOSCERE GLI ALTRI BISOGNA CONOSCERE SE STESSI

Esattamente come recitava il testo scritto nel portico dell’Oracolo di Delfi “Conosci te stesso“, Funakoshi stabilisce qui uno dei principi essenziali della via del Guerriero, “Niente fa niente a nessuno! “ invece di nasconderci incolpando continuamente gli altri delle circostanze negative della nostra vita,Funakoshi per prima cosa ci intima di guardarci dentro ed, in questo modo, di assumerci la responsabilità per i nostri atti .

Invece di perdere tempo a tentare di fuggire dalle nostre miserie evidenziando le altrui, il Maestro ci chiede rigore nei nostri giudizi, guarda prima te stesso, poi te stesso, poi ancora te stesso e, dopo esserti guardato dentro, rifallo ancora una volta, e solo a questo punto considera gli altri.

V · DALLA TECNICA NASCE L’INTUIZIONE

Questo è un principio spesso mai interpretato in Occidente, molti credono che sia la tecnica in sé ad essere importante, tuttavia dobbiamo partire dal fatto che per gli orientali il valore delle cose sta nella loro forma.

La tazza esiste ed ha un’utilità nella misura in cui possiede uno spazio in grado di contenere.

La ruota rotea e sostiene la propria struttura perché possiede uno spazio tra i raggi, la tecnica è dunque “la forma“ che ci conduce al movimento naturale, non un busto stretto che strangola la nostra fluidità, tuttavia, per raggiungere tale abilità è necessario allenare la tecnica per alla fine realizzare la conoscenza attraverso il vincolo con “il naturale”.

Così Funakoshi ci ricorda che la pratica di una forma tecnica corretta, ci collegherà alla nostra conoscenza essenziale con l’intuizione, per fluire in modo naturale con le infinite circostanze.

VI · NON LASCIATE VAGABONDARE LO SPIRITO

La concentrazione è in ogni pratica Orientale un principio insostituibile, quando il duro allenamento esercita una pressione sufficiente, la mente tende a vagabondare, ad allenarsi, per interrompere lo sforzo.

Funakoshi era un uomo di abitudini e principi solidi ed ordinati, conoscitore del fatto che tutto comincia in Yin, mantenerci fermi nel qui e adesso è essenziale per la pratica del Karate come via di coscienza.

La routine e le ripetizioni dell’allenamento sono una dura prova per la concentrazione, l’allievo deve evitare la dispersione mentale e la meccanizzazione del movimento, solo essendo presenti, le tecniche possiedono la forza e l’intensità adeguate, solo concentrati nella loro applicazione possiamo ricaricare i nostri sistemi di forza, per concludere l’allenamento più forti di quando l’abbiamo cominciato.

VII · IL FALLIMENTO NASCE DALLA NEGLIGENZA

Per il Maestro non ci sono casualità, non ci sono “Ma” e non ci sono “Se”! Con questo punto il Maestro rafforza il precedente, l’attenzione, l’impegno sono essenziali nella pratica.

Non servire adeguatamente le parti che formano il tutto, farlo con deficienza, senza l’attenzione dovuta o senza lo sforzo necessario, conduce al fallimento, il fallimento non è una disgrazia che cade arbitrariamente dal cielo, ma anzi è sempre il risultato della distrazione, della disattenzione, dell’abbandono, della negligenza, dell’apatia o della trascuratezza.

Funakoshi ci ricorda che siamo responsabili dei nostri atti e dei suoi risultati, aprendoci così la porta delle possibilità di miglioramento e di crescita, l’evoluzione esiste a partire dal continuo errore, perciò il guerriero si alza ad ogni caduta con la certezza che, se corregge il suo errore, potrà raggiungere il suo obiettivo.

VIII · IL KARATE-DO SI PRATICA SOLO NEL DOJO

Il Dōjō è letteralmente “il posto del risveglio“ , il Karate-dō , non è una pratica utile ad attaccarsi per le strade, il suo obiettivo non è sottomettere gli altri, bensì rimodellare se stessi, per risvegliarci in una realtà dove il simbolico e il reale sono una cosa sola.

Con questo principio il Maestro ci ricorda ancora una volta che non dobbiamo utilizzare inadeguatamente le nostre conoscenze, circoscrivendo la nostra pratica nello spazio sacro del Dōjō .

IX · LA PRATICA DEL KARATE-DO DURA TUTTA LA VITA

Come pratica spirituale, il Karate-do è un’Arte che fa parte per sempre della natura degli allievi, inoltre, recitando questa frase gli allievi rinnovano quotidianamente il loro impegno con l’Arte, dandogli lo spazio adeguato nel loro essere.

Come pratica dai lunghi e lenti risultati, il Karate richiede un impegno durevole per raggiungere i suoi obiettivi e togliere il velo che nasconde i suoi tesori, perciò il Maestro in questo principio, ripete la necessità in un impegno per tutta la vita.

X · AFFRONTO I PROBLEMI CON LO SPIRITO DEL KARATE-DO

Ancora una volta comprendiamo attraverso un altro principio, che il Karate do come Arte trascende l’ambito del puramente fisico o sportivo, il Karate è un modo di vivere, un modo di affrontare le cose .

Quando Funakoshi ci intima di affrontare i problemi con spirito del Karate do, ci ricorda che siamo guerrieri ventiquattro ore al giorno, non solo quando siamo sul tatami , in questo modo il Karate do è implicato in tutti gli avvenimenti dell’esistenza del praticante, in modo tale che le virtù che l’adornano debbano attivarsi davanti alle avversità con autocontrollo, responsabilità, forza di superamento, rispetto ed impegno.

XI · IL KARATE-DO È COME L’ACQUA CHE BOLLE

L’acqua è un argomento ricorrente ed essenziale nella tradizione nipponica, esistono duecento termini differenti per dire acqua in funzione dello stato e delle circostanze che la circondano.

L’acqua è il principio della vita e l’essenza della sua natura è andare verso il basso, fluire, avvolgere, non opporsi.

Quando Funakoshi cita l’acqua nel suo stato di ebollizione, ci sta parlando dell’acqua nel suo stato “legno“, facendo riferimento ai cinque elementi chiamati GO KYO in Giappone.

Il legno si caratterizza per essere la forza di volontà e l’acqua in ebollizione si trasforma così nella realizzazione opposta della sua natura, attivandosi sale invece di scendere, cercando l’evaporazione, quest’attivazione della natura dell’acqua è il fuoco di consapevolezza che sorge dallo sforzo del praticante.

Perciò il praticante deve essere capace di rimanere in uno stato fluido ma attivo, sempre pronto a rispondere ad un attacco.

XII · NON ALIMENTATE L’IDEA DI VINCERE NÈ QUELLA DI ESSERE VINTI

Questo punto è quello che ha generato la tanto discussa polemica se il Karate debba essere o meno praticato in competizione.

La cosa essenziale in questo ambito risiede nell’atteggiamento corretto dell’allievo.

Se collochiamo l’obiettivo all’esterno infatti, senza dubbio non lo stiamo collocando all’interno.

Ma tale decisione è più uno stato d’animo che un atto definito, per il Maestro, il Karate è innanzitutto una via interna, come cammino verso l’auto-superamento nel Karate, i risultati esterni non possono essere il suo fondamento.

Pertanto il nemico non sta fuori bensì dentro di noi, ogni volta che rispondiamo solo esternamente, staremo trascurando la vera ragione d’essere dell’Arte.

XIII · ADATTARE L’ATTEGGIAMENTO A QUELLO DELL’AVVERSARIO

Bisogna evitare le formule preconcette nella vita, essere flessibili, adattarsi sempre alle circostanze, la pratica dell’Arte non è l’applicazione di formule, bensì la risoluta conquista delle risorse necessarie per fluire costantemente oltre le nostre limitazioni.

“Ogni toro ha la sua corrida“ recita il detto taurino, perciò quelli che pretendono di usare sempre la stessa tecnica davanti a diversi rivali saranno sconfitti.

XIV · IL SEGRETO DEL COMBATTIMENTO RISIEDE NELL’ARTE DI SAPER DIRIGERLO

Il combattimento come dice Sun Tsu , è un tutto dove regna l’apparente disordine, tuttavia l’esperto sa comprendere le chiavi nascoste utili ad ordinarlo, è possibile dirigere, perché nel mezzo dell’apparente caos dobbiamo capire che non solo esiste un ordine, ma che può essere diretto da un centro.

Comprendere che il centro della spirale dirige la sua periferia, sia nello spazio che nel tempo, è la chiave Maestra che ci propone Funakoshi ricordandoci che tutto questo è possibile e ci intima a cercare quei ritmi essenziali che dominano ogni contesa, per diventare padroni del ritmo del rivale affinché balli secondo la nostra musica.

XV · LE MANI E I PIEDI DEVONO COLPIRE COME SCIABOLE

Qui il Maestro sottolinea la conoscenza delle spirali come le forze e i movimenti più potenti e naturali.

Einstein ci aprì gli occhi comprendendo l’affermazione per la quale la linea più vicina a due punti è quella retta, non sarebbe stata sempre corretta, la stessa conformazione delle nostre braccia sorge nel periodo embrionale  da due spirali che derivano dalla collisione delle forze Cielo e Terra, che generano l’embrione.

Nella loro polarizzazione che è la crescita, queste forze sviluppano due paia di spirali di sette giri che generano le braccia e le gambe, una è più lunga, Yin (le gambe), e l’altra è più corta, Yang (le braccia), la loro concezione e la loro architettura fanno si che ogni movimento circolare sia facilitato.

Per questa ragione la Katana giapponese è curva, di fronte alla maggior parte delle spade occidentali, la comprensione dei principi della spirale è incisa profondamente nella conoscenza popolare Orientale e spesso rappresentata nei suoi simboli, il Maestro ci ricorda con questo principio che dobbiamo agire in sintonia con la natura delle cose e non contro essa, aprendo con questa chiave la porta ad un principio che ogni allievo deve ricordare nel proprio apprendistato.

Una chiave per ricordare oltre ciò che il suo Maestro gli insegna.

XVI · SGOMBERANDO LA SOGLIA DELLA VOSTRA CASA 10.000 NEMICI VI ASPETTANO

Ancora una volta il principio dell’attenzione continua, l’attenzione deve chiudersi nell’entropia , niente di meglio perciò di mettersi alla prova, per questo il Maestro non insegna il suo trucco, state sempre in guardia! Così la vostra attenzione rimarrà all’erta.

I vietnamiti normalmente si ripetevano: “chi si aspetta il peggio, non prende mai l’iniziativa“, non so perché ma personalmente questa regola mi riporta sempre alla memoria un detto Orientale che mi piace molto: “Se una tigre fa la guardia al passaggio, diecimila cervi non passeranno“.

XVII · KAMAE È LA REGOLA PER IL PRINCIPIANTE, DOPO È POSSIBILE ADOTTARE UNA POSIZIONE PIÙ NATURALE

Kamae. Stare in guardia , attenti, in posizione, pronti a reagire.

Sanzionando la precedente affermazione, il Maestro ci ricorda che l’allenamento possiede dei gradi ed ha un’evoluzione, l’allenamento è come un imbuto dove devi passare, restringe la tua natura, prescindendo quindi dal non necessario, per poi tornare ad essere te stesso ma trasformato dall’esperienza.

È un modo di rendere naturale un viaggio di andata e ritorno nel quale il tuo bagaglio è la cosa imprendibile, i tuoi ricordi, le tue esperienze. Su questo punto ricordo il detto Zen:

Prima dello Zen, la montagna è montagna, la valle, valle, la Luna, Luna. Durante lo Zen la montagna non è più la montagna, né la valle, valle, né la Luna, Luna . Dopo lo Zen, la montagna ritorna ad essere montagna, la valle, valle, la Luna, Luna.

Niente è cambiato, tuttavia tutto è differente. Kamae è un atteggiamento con il quale si allena una chiave che apre una porta, non la stanza nella quale vuoi entrare, è il dito che indica la luna, non la luna stessa.

XVIII · I KATA DOVRANNO ESSERE REALIZZATI CORRETTAMENTE, TUTTAVIA NEL COMBATTIMENTO REALE I LORO MOVIMENTI SI ADATTERANNO ALLE CIRCOSTANZE

Di nuovo ci ricorda di essere flessibili, ma rigorosi.

I Kata sono la base della  “Forma“, perciò è essenziale che nella loro pratica si allenino i movimenti con perfezione tecnica, non c’è contraddizione tra questo e combattere con movimenti che non riproducano quelli che si eseguono nel Kata, come sostengono alcuni maestri attuali.

Funakoshi lo disse chiaramente in questo punto, ancora una volta dobbiamo ricordare la posizione che assumono gli Orientali rispetto alle forme e che sviluppammo nell’analisi del primo punto del Dojo Kun.

Lo scopo del Karate-do non è quello di creare lottatori estremi, bensì sviluppare lo spirito od il corpo dell’allievo attraverso un allenamento che tiri fuori il meglio di lui, favorendo la positiva formazione di individui che possano, inoltre, essere elementi positivi per le loro società.

XIX · TRE FATTORI VANNO CONSIDERATI: LA FORZA, LA CONSISTENZA ED IL GRADO TECNICO

Davanti ad un compagno o di fronte ad un avversario Funakoshi ci ricorda i tre fattori che dobbiamo tenere in considerazione nella valutazione di noi stessi e di chi abbiamo di fronte, i primi due si riferiscono a considerazioni fisiche ed il terzo all’esperienza e alle conoscenze.

XX · APPROFONDITE IL VOSTRO PENSIERO

Probabilmente all’epoca, come adesso, gli allievi di Karate erano persone più d’azione che di riflessione, ma dato che tutto va visto nel suo opposto, il Maestro conclude le sue proposte con una chiara allusione allo sviluppo mentale degli allievi.

In questo piano di realtà tutto è mente o, con le parole di Carlos Castaneda, “Il Mondo è una descrizione“.

Non è vano, quindi, ricordare ad ogni praticante di Karate do di sviluppare le proprie abilità e le proprie conoscenze per crescere come persona, comprendendo la realtà che sta dietro le apparenze, riflettendo e meditando per completare il proprio apprendistato.



Conclusioni

Abbiamo visto in questa analisi che il Karate-do che propose il suo fondatore è una pratica trascendente, nella misura in cui può portarci oltre il simbolico, una via che apre porte e finestre per permetterci di capire e di agire giustamente, persino oltre le valutazioni morali.

Una via di crescita interna che sgorga all’esterno in risultati positivi

una formulazione della via del guerriero che ha saputo, in un modo o nell’altro, trovare un’eco quasi impensabile in quei giorni passati in cui il Maestro coniugò la tradizione Guerriera millenaria dell’Oriente con la comprensione e le formule iniziatiche proprie della tradizione nipponica, raggiungendo una formula Universale ed intensa che è durata, ha evoluto e trasformato migliaia di esseri umani nelle ultime decadi.

Benché oggi i suoi principi esposti nel Dojo Kun siano ignorati, essi rimangono vivi nella spirito che soggiace alle diverse pratiche negli svariati stili, trasformazioni e polarizzazioni di una stessa spirale iniziale, un punto di partenza fermo che ebbe un nome: Gichin Funakoshi .

Perciò, Maestro, con questo articolo voglio rinnovarvi la mia eterna gratitudine ed il mio riconoscimento

E per farlo, niente di meglio che ripensarti proprio quando tanti allievi pensano che tu sia antiquato.

Quello che loro non sanno, è che il classico in quanto tale è eterno e non può mai essere antiquato.

Note


[MAESTRI DELLA STORIA] «Adeus» Hélio Gracie

Hèlio Gracie era un uomo autosufficiente per quanto riguardava la salute, era una roccia per gli anni che aveva e sapeva come badare a se stesso attraverso l’alimentazione e i suoi rimedi naturali.

Questa volta, però, la cosa era molto più seria di una semplice tosse… Poco dopo il ricovero al pronto soccorso per grosse difficoltà respiratorie, gli venne diagnosticato un polmone allagato e un’estesa infezione.

Hèlio lottò contro la febbre alta per tutta la notte, ma il suo organismo non la superò, i più grandi guerrieri sanno che c’è una battaglia che non vinceranno, ma non per questo abbandonano la lotta prima che sia giunto il momento giusto, quel momento in cui l’unica vittoria possibile diventa il sapersi arrendere totalmente e il lasciarsi andare.

Hèlio non solo derise la morte per un lunghissimo periodo di tempo, molto al di sopra della media delle persone normali, la cosa più importante è che visse una vita notevole ed intensa e come egli stesso voleva.

Il suo nome rimarrà per sempre impresso nell’immaginario collettivo come il padre della rivoluzione

Popolò la terra di figli, una dinastia di campioni dediti alla causa, insegnò a migliaia, che insegnarono a milioni e la sua visione marziale oltrepassò frontiere, culture ed ideologie, il suo passaggio in questa terra lascerà un segno nella storia delle Arti Marziali.

Il suo nome rimarrà per sempre impresso nell’immaginario collettivo come uno dei grandi Maestri, come il padre della rivoluzione Gracie e dell’avvento dei combattimenti senza regole, l’importanza di saper lottare nella più corta distanza e della maestria nel grappling.

La sua forte personalità, le sue idee autorevoli, dirette, proprie di una persona forte e territoriale, colpirono come potenti trapani i praticanti per molti anni, il Gran Maestro ha sempre detto alle persone a lui più vicine che voleva riposare nella sua proprietà.

Mentre si fanno i passi delle sue ultime volontà, suo figlio Royce, che era presente e ha seguito da vicino il suo funerale, probabilmente si impegnerà per ottenere il più presto possibile il trasferimento dei suoi resti, ma sempre seguendo i desideri del defunto, il funerale doveva essere immediato.

Se ne va il Maestro, ma rimangono i suoi insegnamenti, le opere sono i figli dell’uomo, rimane anche il suo seme biologico, una lunga prole, figli e nipoti, orgogliosi rappresentanti di una saga infinita, come lo spirito che animava il suo creatore, rimangono i suoi figli spirituali.

Quelli che praticamente adottò ed educò come veri e propri figli, quegli allievi che anticamente si chiamavano UCHI DESHI in Giappone, come il Gran Maestro Mansur.

Il giorno 29 gennaio 2009 ci è arrivata la notizia del decesso di Hèlo Gracie, a 95 anni, a causa di una polmonite

A furia di ascoltare le storie del superuomo brasiliano, si cominciava a credere alla sua immoralità, ma, sfortunatamente, il giorno 29 gennaio 2009 ci è arrivata la notizia del decesso di Hèlo Gracie, a 95 anni, a causa di una polmonite.

Dei nove figli solo Royce e Rolker hanno avuto il tempo di arrivare alle esequie, gli altri erano sparsi tra gli Stati Uniti e l’Europa,

“Due giorni fa, mia madre mi chiamò e mi disse che papà non sarebbe rimasto con noi per molto, allora mi misi immediatamente in viaggio, sembrava stesse aspettando, appena sono arrivato, se ne è andato.“

Questa la dichiarazione di Royce venuto direttamente in volo da Los Angeles. Ma vediamo di percorrere quella che fu la vita di questo Grande Maestro di Jiu Jitsu.

Nato il 1 Ottobre 1913, il più piccolo dei cinque figli maschi di Gasato e Cesalina

Hèlio Gracie passò la sua adolescenza a Belem, una cittadina dove suo padre conobbe il giapponese Conte Koma , l’amicizia tra i due spinse Koma ad insegnare il suo Ju Jitsu a Carlos, figlio maggiore di Gasato.

Il giapponese che aveva girato il mondo facendo presentazioni, sfide e insegnando il suo Ju Jitsu, trovò in Belem, nella persona di Carlos, il suolo fertile di cui aveva bisogno per perpetuare il suo Ju Jitsu che, allora in Giappone già cominciava a cedere il passo al Judo.

Durante parte della sua infanzia e della sua adolescenza, Hèlio soffriva di problemi di salute e perdeva inspiegabilmente conoscenza, problemi che non gli furono mai diagnosticati con precisione.

Il medico di famiglia non gli permetteva di fare sforzi e gli aveva proibito di allenarsi, nel frattempo, osservava distintamente le lezioni e gli allenamenti dei suoi fratelli, nel 1922, Carlos va a vivere a Rio e nel 1925 apre la prima Accademia Gracie di Ju Jitsu nel quartiere di Flamenco.

Per mezzo di sfide pubblicate nei giornali, insieme ai fratelli, dimostrava l’efficacia del Ju Jitsu, ottenendo così i suoi primi allievi .

Un giorno, quando Hèlio aveva già 15 anni, suo fratello Carlos ritardò ad una lezione e il giovane Hèlio decise che egli stesso avrebbe diretto quell’allenamento, con sorpresa di tutti, la lezione fu un successo e da allora, non abbandonò più gli allenamenti e non soffrì più di quella strana patologia di cui era affetto.

Negli anni 20 i Gracie dovettero usare un Marketing aggressivo chiamato “Gracie Challenge“

Per stabilire il suo stile in Brasile, negli anni 20 i Gracie dovettero usare un Marketing aggressivo chiamato “Gracie Challenge“, lanciando sfide attraverso i giornali al fine di attirare l’attenzione della gente su quell’arte dal nome strano, gli annunci dicevano:

“Se vuoi farti rompere un braccio contatta Carlos Gracie a questo numero di telefono“ e fu esattamente provando l’efficacia del suo stile contro rappresentanti del Karate, del Pugilato, della Lotta Libera e della Capoeira che i fratelli Carlos, Gorge, Oswaldo e Hèlio fecero si che il nome Gracie fosse rispettato in Brasile.

Negli anni 90 arrivò il turno di Corion, il figlio maggiore di Hèlio, che usò la stessa strategia per mostrare il valore del Ju Jitsu brasiliano negli USA, insieme ai suoi fratelli e cugini, Corion vinse centinaia di sfide in garage, all’università e perfino nei seminari, fino a riuscire a convincere un allievo milionario a pagare la produzione dell’UFC, uno spettacolo che dimostrò praticamente a tutto il mondo, l’efficacia del Gracie Ju Jitsu in combattimenti con campioni di tutti gli stili di lotta.

Le impressionanti vittorie di Gorge, Carlos e Oswaldo, nelle prime sfide di Vale-Tudo di quell’epoca, spingevano rapidamente il nome Gracie.

A poco a poco Hèlio cominciò a farsi notare negli allenamenti

A poco a poco Hèlio cominciò a farsi notare negli allenamenti e a 18 anni, il 16 gennaio del 1932 , suo fratello maggiore lo accompagnò per la sua prima prova del fuoco nelle regole del Vale-Tudo, contro il campione brasiliano di Boxe Antonio Portugal.

Nonostante il naturale nervosismo del debutto, Hèlio sconfisse l’avversario con tanta rapidità che alcuni pensarono che la lotta fosse un imbroglio.

Il Gracie deviò il primo jab lanciato da Portugal e lo proiettò al suolo, a terra lo finalizzò con una chiave al braccio in 40 secondi.

Dopo la prima vittoria, Hèlio cominciò a condividere gli spazi nei mezzi di comunicazione con i suoi fratelli maggiori già famosi.

Hélio era un uomo autosufficiente

Hélio era un uomo autosufficiente per quanto riguardava la salute, era una roccia per gli anni che aveva e sapeva come badare a se stesso attraverso l’alimentazione e i suoi rimedi naturali.

Questa volta, però, la cosa era molto più seria di una semplice tosse… Poco dopo il ricovero al pronto soccorso per grosse difficoltà respiratorie, gli venne diagnosticato un polmone allagato e un’estesa infezione.

Hélio lottò contro la febbre alta per tutta la notte, ma il suo organismo non la superò.

I più grandi guerrieri sanno che c’è una battaglia che non vinceranno, ma non per questo abbandonano la lotta prima che sia giunto il momento giusto, quel momento in cui l’unica vittoria possibile diventa il sapersi arrendere totalmente e il lasciarsi andare.

Hèlio non solo derise la morte per un lunghissimo periodo di tempo, molto al di sopra della media delle persone normali, la cosa più importante è che visse una vita notevole ed intensa e come egli stesso voleva.


Popolò la Terra di campioni

Popolò la terra di figli, una dinastia di campioni dediti alla causa.

Insegnò a migliaia, che insegnarono a milioni e la sua visione marziale oltrepassò frontiere, culture ed ideologie.

Il suo passaggio in questa terra lascerà un segno nella storia delle Arti Marziali, il suo nome rimarrà per sempre impresso nell’immaginario collettivo come uno dei grandi Maestri, come il padre della rivoluzione Gracie e dell’avvento dei combattimenti senza regole, l’importanza di saper lottare nella più corta distanza e della maestria nel Grappling.

La sua forte personalità, colpirono come potenti trapani i praticanti per molti anni

La sua forte personalità, le sue idee autorevoli, dirette, proprie di una persona forte e territoriale, colpirono come potenti trapani i praticanti per molti anni.

Il Gran Maestro ha sempre detto alle persone a lui più vicine che voleva riposare nella sua proprietà, ma le leggi degli stati moderni sono così spesso complicate da apparire assurde e invece di dipingere la segnaletica delle strade o qualunque cosa utile, i politici si mettono a legiferare su temi che concernono la libertà dell’individuo, come per esempio quello di scegliere il posto della sua ultima dimora.

Mentre si fanno i passi delle sue ultime volontà, suo figlio Royce, che era presente e ha seguito da vicino il suo funerale, probabilmente si impegnerà per ottenere il più presto possibile il trasferimento dei suoi resti, ma sempre seguendo i desideri del defunto, il funerale doveva essere immediato.

Se ne va il Maestro, ma rimangono i suoi insegnamenti

Le opere sono i figli dell’uomo, rimane anche il suo seme biologico, una lunga prole di figli e nipoti, orgogliosi rappresentanti di una saga infinita, come lo spirito che animava il suo creatore.

Rimangono i suoi figli spirituali, quelli che praticamente adottò ed educò come veri e propri figli, quegli allievi che anticamente si chiamavano UCHI DESHI in Giappone, come il Gran Maestro Mansur.

A furia di ascoltare le storie del superuomo brasiliano, si cominciava a credere alla sua immoralità

Sfortunatamente però, il giorno 29 gennaio 2009 ci è arrivata la notizia del decesso di Hélio Gracie, a 95 anni, a causa di una polmonite.

Dei nove figli solo Royce e Rolker hanno avuto il tempo di arrivare alle esequie, gli altri erano sparsi tra gli Stati Uniti e l’Europa, questa la dichiarazione di Royce venuto direttamente in volo da Los Angeles:

Due giorni fa, mia madre mi chiamò e mi disse che papà non sarebbe rimasto con noi per molto, allora mi misi immediatamente in viaggio, sembrava stesse aspettando, appena sono arrivato, se ne è andato

Vediamo di percorrere quella che fu la vita di questo Grande Maestro di Jiu Jitsu

Nato il 1 Ottobre 1913, il più piccolo dei cinque figli maschi di Gasato e Cesalina.

Hélio Gracie passò la sua adolescenza a Belem, una cittadina dove suo padre conobbe il giapponese Conte Koma. L’amicizia tra i due spinse Koma ad insegnare il suo Ju Jitsu a Carlos, figlio maggiore di Gasato.

Il giapponese che aveva girato il mondo facendo presentazioni, sfide e insegnando il suo Ju Jitsu. Trovò in Belem, e nella persona di Carlos, il suolo fertile di cui aveva bisogno per perpetuare il suo Ju Jitsu che, allora in Giappone già cominciava a cedere il passo al Judo.

Durante parte della sua infanzia e della sua adolescenza, Hélio soffriva di problemi di salute e perdeva inspiegabilmente conoscenza, problemi che non gli furono mai diagnosticati con precisione.

Il medico di famiglia non gli permetteva di fare sforzi e gli aveva proibito di allenarsi, nel frattempo, osservava distintamente le lezioni e gli allenamenti dei suoi fratelli.

Nel 1922, Carlos va a vivere a Rio e nel 1925 apre la prima Accademia Gracie di Ju Jitsu nel quartiere di Flamenco, per mezzo di sfide pubblicate nei giornali, insieme ai fratelli, dimostrava l’efficacia del Ju Jitsu, ottenendo così i suoi primi allievi .

Un giorno, quando Hélio aveva già 15 anni, suo fratello Carlos ritardò ad una lezione e il giovane Hélio decise che egli stesso avrebbe diretto quell’allenamento, con sorpresa di tutti, la lezione fu un successo e da allora non abbandonò più gli allenamenti e non soffrì più di quella strana patologia di cui era affetto.

Le “Gracie Challenge“

Per stabilire il suo stile in Brasile, negli anni 20 i Gracie dovettero usare un Marketing aggressivo chiamato “Gracie Challenge“, lanciando sfide attraverso i giornali al fine di attirare l’attenzione della gente su quell’arte dal nome strano.

Gli annunci dicevano: “Se vuoi farti rompere un braccio contatta Carlos Gracie a questo numero di telefono“ e fu esattamente provando l’efficacia del suo stile contro rappresentanti del Karate, del Pugilato, della Lotta Libera e della Capoeira che i fratelli Carlos, Gorge, Oswaldo e Hélio fecero si che il nome Gracie fosse rispettato in Brasile.

Negli anni 90 arrivò il turno di Corion, il figlio maggiore di Hèlio, che usò la stessa strategia per mostrare il valore del Ju JItsu brasiliano negli USA, insieme ai suoi fratelli e cugini, Corion vinse centinaia di sfide in garage, all’università e perfino nei seminari, fino a riuscire a convincere un allievo milionario a pagare la produzione dell’UFC, uno spettacolo che dimostrò praticamente a tutto il mondo l’efficacia del Gracie Ju Jitsu in combattimenti con campioni di tutti gli stili di lotta.

Le impressionanti vittorie di Gorge, Carlos e Oswaldo, nelle prime sfide di Vale-Tudo di quell’epoca, spingevano rapidamente il nome Gracie.

A poco a poco Hèlio cominciò a farsi notare negli allenamenti e a 18 anni, il 16 gennaio del 1932 , suo fratello maggiore lo accompagnò per la sua prima prova del fuoco nelle regole del Vale-Tudo contro il campione brasiliano di Boxe Antonio Portugal.

Nonostante il naturale nervosismo del debutto, Hélio sconfisse l’avversario con tanta rapidità che alcuni pensarono che la lotta fosse un imbroglio.

Il Gracie deviò il primo jab lanciato da Portugal e lo proiettò al suolo. A terra infine lo finalizzò con una chiave al braccio in 40 secondi.

Dopo la prima vittoria, Hèlio cominciò a condividere gli spazi nei mezzi di comunicazione con i suoi fratelli maggiori già famosi.

Note


Mas Oyama, l’ideatore del Kyokushinkai

Una delle figure più impressionanti della storia del Karate Moderno. Controverso e leggendario, la figura di Mas Oyama ha segnato un prima e un dopo. Analizziamo la sua storia, quella dell’uomo e quella del mito.

In genere quando si parla di grandi Maestri di arti marziali, si tende sempre o quasi a parlare dei loro pregi o difetti come Maestri e la loro storia inizia sempre con fatti che riguardano il Dojo e gli allievi.

In questo excursus del Maestro invece affronteremo la sua vita dall’inizio e cercheremo di capire tutto ciò che c’è stato prima che l’arte marziale costruisse un Maestro.

Chi è Masutatsu Ōyama

Hyung Yee, meglio conosciuto col suo nome giapponese Masutatsu Ōyama, nasce in Corea del Sud nel 1923 da una famiglia nobile.

Come la maggior parte dei grandi Maestri, è un bambino con una salute abbastanza cagionevole, e per porvi rimedio, suo fratello maggiore tenta di iniziarlo a molteplici sport come calcio, atletica e nuoto.

Ma sarà un lavoratore proveniente dalla Corea del Nord assunto da suo padre che, su sua richiesta, comincia ad insegnarli Kenpō (una sorta di boxe cinese) all’età di 9 anni.

Al piccolo Masutatsu però non interessa molto quest’Arte poiché ha una mente sognatrice e fantasiosa, incapace di concentrarsi e di sacrificarsi.

Presto riconosce di non aver fatto quasi nessun progresso nel Kenpō e rivolge il suo interesse verso le convulsioni politiche e ideologiche che sta soffrendo l’oriente negli anni 30.

L’impegno militare ed il trasferimento in Giappone

Viene dichiarata la guerra sino-giapponese e la penisola coreana forma il suo primo pilota militare, SHIN, che si trasforma in un eroe nazionale e in un esempio che tutta la gioventù coreana vuole seguire.

Nel 1938 parte per il Giappone alla ricerca della migliore formazione

Alla vigilia della seconda guerra mondiale il giovane Masutatsu si vede così coinvolto in questa febbre nazionalista e, cosciente del fatto che se voleva arrivare a qualcosa doveva compiere degli studi,a 15 anni nel 1938 parte per il Giappone alla ricerca della migliore formazione in un’accademia militare della prefettura di Yamanashi.

Un’altra versione meno romanzata della sua partenza per il paese del Sol Levante è che deve abbandonare la sua casa obbligato dalle circostanze, dopo aver picchiato suo padre poiché quest’ultimo aveva fatto lo stesso con la madre.

Ma con la velocità con cui si svolgono i fatti, non ha il tempo né l’opportunità di procurarsi del denaro.

Ancora non si sa come sia riuscito a raggiungere la costa per imbarcarsi, i suoi problemi finanziari aumentano a causa del costo del biglietto, quindi sbarca in Giappone praticamente senza soldi.

Nel Sol Levante conoscerà subito quanto è duro essere immigrato e povero in un paese nazionalista e xenofobo

Nessuno vuole affittargli una stanza né dargli lavoro, questo inizia a forgiare nel giovane una determinazione incrollabile, cresce di fronte alle avversità, poiché si rifiuta di tornare in Corea sconfitto.

Dopo alcune settimane durissime durante le quali si vede costretto a dormire in strada e ad accettare qualsiasi lavoretto occasionale che gli permettesse di mettere qualcosa sotto i denti.

Alla fine riesce a prendere in affitto una piccola stanza a Tokyo, dove si iscrive all’Università di Takushoku e trova un lavoro come lattaio che gli permette di pagarsi sia la stanza e gli studi.

Nonostante il miglioramento della sua situazione, Oyama si sente solo e demoralizzato in un paese ostile e cerca un’attività che gli permetta di sfogarsi e di essere motivato.

All’inizio si interessa al Judo ma poco dopo scopre il Karate, a quei tempi ancora un’Arte sconosciuta

All’inizio si interessa al Judo e si iscrive al Kodokan di Igoro Kano, ma poco dopo scopre il Karate, che a quei tempi era ancora un’Arte praticamente sconosciuta, dal momento che Funakoshi l’aveva introdotta in Giappone appena 15 anni prima.

Per Lui quest’arte è una rivelazione, quindi desidera prendere lezioni dal miglior Maestro, e si reca proprio nella scuola del fondatore dello Shotokan, Gichin Funakoshi, e si sottopone alla guida di uno dei suoi figli, Yoshitaka Funakoshi.

Oyama si dedica al Karate anima e corpo, giorno e notte, tanto che, nel giro di un anno, a soli 17 anni ottiene la sua prima cintura nera 1° Dan.

Il suo impegno e la sua devozione per il Karate si riflette in un fisico impressionante e si dedica ad indurire le mani e gambe con rotture spettacolari.

Rimane poco dell’immagine del bambino malaticcio che aveva caratterizzato i primi anni della sua vita

Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e Oyama a 18 anni si arruola nell’esercito imperiale, ed alla fine della guerra è un 4° Dan forgiato e indurito dagli orrori del conflitto e dell’occupazione, è allora che accade un fatto che cambia completamente la sua vita e la sue motivazioni.

Si tratta di uno Stato Coreano indipendente (fino a quel momento la penisola coreana era stata sempre occupata dai due giganti espansionistici dell’estremo Oriente: Cina e Giappone), ma quello che colpisce maggiormente Oyama è la dichiarazione di guerra civile tra il Nord e il Sud della Corea.

Questa divisione del suo paese natale strazia il cuore del giovane esiliato coreano, che non sopporta di vedere come la sua gente, manipolata dagli interessi della politica internazionale, sia portata a massacrarsi a vicenda.

Fratello contro fratello, tutto questo lo porta a diventare membro di un’organizzazione politica che lotta per l’unione delle due Coree, ma la vita gli riserva un altro duro colpo, poiché nel giro di poco tempo si rende conto che quella organizzazione non è mossa da ideali, ma piuttosto da interessi economici che si possono ricavare da intrighi internazionali.

L’auto esilio

Profondamente deluso e disgustato da tutto, Mas Oyama si lascia prendere dalla disperazione e dal disinteresse.

Abbandonando tutto ciò che aveva raggiunto fino a quel momento, il mondo gli sta crollando addosso quando conosce un carismatico Maestro di Karate chiamato So-Nei-Chu anche lui di origine coreana e adepto di una setta chiamata Nichiren.

Questo personaggio mistico gli dà solo un consiglio: abbandonare la sua vita attuale, ritirarsi in montagna e coltivare nella natura il suo corpo e il suo spirito, forse così sarebbe riuscito a ristabilire il suo equilibrio emozionale e a raddrizzare la tormentata traiettoria della sua vita.

Oyama comprende che solo un cambio radicale di esistenza può riportargli l’entusiasmo e l’energia, quindi decide di seguire i consigli e si stabilisce sul monte Kiyozumi, nella prefettura di Chiba, sulle rive dell’oceano pacifico.

Lo accompagna nel ritiro un suo allievo che si chiama Yashiro, e insieme costruiscono una capanna di legno in un luogo isolato e comincia la loro nuova vita in simbiosi con la natura selvaggia.

Si alzano alle prime luci dell’alba per correre lungo i monti scoscesi, praticano le rotture colpendo alberi, rami e pietre con i piedi e pugni nudi, lavorano sulla tecnica in coppia e colpiscono un sacco pieno di sabbia.

Sono allenamenti estremamente duri, interminabili ed estenuanti

Se si sopravvive, prove di questo tipo forgiano spiriti e corpi di ferro, infatti Yashiro non riesce a tollerare questo stile di vita per molto tempo e una notte esce dalla capanna per non ritornarvi mai più.

Mas Oyama resta da solo ed inizia a dubitare del senso di tutto ciò, scrive a So-Nei-Chu esponendogli la sua titubanza e questi gli risponde con una frase semplice ma ad effetto

Quello che sembra impossibile può essere realizzato solo da uno spirito perseverante, PERSEVERA! E tutto ciò che ora ti sembra assurdo acquisterà un nuovo significato

Questo infonde nuove forze al morale di Oyama che intensifica gli allenamenti, esigendo da se stesso sempre di più e aumentando l’austerità della sua esistenza.

Alimentandosi fondamentalmente di erbe e qualche altro alimento che gli forniva madre natura, sceglie un pino bello grosso e si propone di dargli 200 pugni prima di ogni pasto, “quando l’albero cadrà sarò pronto a ritornare”.

Dopo diversi mesi, rompe l’albero con un colpo inferto con la mano (shuto) nella parte più indebolita e logorata del pino dai colpi precedenti.

In quel momento ricorda la leggenda di un maestro di Karate che fu in grado di uccidere un toro con un unico colpo, questo sarà il nuovo obiettivo che si darà Oyama: ripetere questa impresa.

E così dopo un anno e mezzo di isolamento, decide di tornare alla civiltà e di mettere alla prova i suoi progressi.

Mentalmente è un uomo nuovo

Mentalmente è un uomo nuovo che è riuscito a cicatrizzare le ferite che gli aveva lasciato la divisione della sua patria, fisicamente dimostra la sua netta superiorità su qualsiasi avversario, radendoli letteralmente al suolo nel primo campionato di Karate aperto a tutti gli stili che si tiene a Tokyo nel 1947.

Il primo incontro con il toro

Continua a ronzargli per la testa l’idea di uccidere un toro con un solo pugno, quindi un giorno si reca in un mattatoio un fuori Tokyo e dopo una lunga spiegazione alle sorprese autorità, queste gli danno il permesso di affrontare un toro di 500 chili.

Oyama gli sferra un pugno secco sul muso e il toro fugge insanguinato ma vivo.

Riesce solo a rompergli un corno, piuttosto scoraggiato decide di rinunciare al proprio desiderio e di dedicarsi a promuovere il Karate in tutto il mondo.

In giro per il Mondo

Nel 1957 Mas Oyama è invitato da un judoka 6° Dan chiamato Kokoshi Endo a fare un giro di dimostrazioni per gli Stati Uniti, fanno più di trenta esibizioni ed Oyama sfida molti professionisti di lotta libera e di boxe vincendo sempre per K.O. arrivando ad apparire fino a nove volte nella televisione americana, poi torna in Giappone coperto di glorie e con le tasche piene di denaro.

Il secondo incontro con il toro

Con il morale alto, decide di ritentare il suo sogno di uccidere un toro con un solo colpo, studia attentamente le abitudini di lotta dei tori e allena con enfasi speciale lo sprint per riuscire a scappare dalla carica di un toro furibondo, quindi aumenta la sua resistenza fisica correndo quasi 8 chilometri al giorno, oltre alle sue solite cinque ore di allenamento giornaliero.

Una società cinematografica gli propone di filmare l’incontro e Oyama accetta, nel 1953 tutto sembra pronto perché tenti di sconfiggere un toro da 625 chili con corna da 40 centimetri, il duello avrà luogo in un piccolo villaggio di pescatori chiamato Tateyama, nella prefettura di Chiba, e sarà filmato.

Il toro viene liberato e carica Oyama

Questi lo evita con un giro e lo afferra per le corna con lo scopo di atterrarlo e ucciderlo, ma, con una forza impressionante, il toro scuote la testa e Oyama viene lanciato in aria, si rialza immediatamente in piedi con il busto coperto di sangue e torna ad afferrare il toro per le corna.

Davanti allo sguardo attonito degli spettatori, dopo una lunga resistenza Oyama riesce a buttarlo a terra, dove lo fulmina con uno Shuto sul muso, Oyama  ha appena raggiunto l’obiettivo che si era prefissato anni prima durante la sua vita da eremita, ha ucciso un toro a mani nude.

L’incontro è durato 35 minuti, tre anni dopo Oyama decide di ripetere l’impresa, questa volta allo stadio Denen di Tokyo.

Dal momento che la società giapponese per la protezione degli animali gli ha proibito in modo legale di uccidere pubblicamente un toro, Oyama decide di rompergli semplicemente un corno per metterlo fuori combattimento.

In questo secondo incontro riesce a mettere K.O. un toro in tre minuti, in totale Oyama affronta 52 tori nel corso della sua vita, dei quali 48 finiscono con un corno rotto e 4 muoiono.

Il trasferimento in Thailandia

Oyama non è famoso solo per i suoi incontri con i tori, nel 1954 si trasferisce nel sud-est asiatico, in Thailandia.

Lo scopofu di sconfiggere il miglior Thai-Boxer e così ripristinare l’onore di alcuni Karateka giapponesi che erano stati sconfitti dai tailandesi.

Oltre a ciò è guidato anche dal proposito di mostrare l’efficacia delle sue tecniche di Karate e di promuovere così la sua arte.

Il combattimento si tiene in una calda serata, un gran numero di persone si accalcano intorno al ring quando Mas Oyama sale nel suo angolo.

Suona la campana indicando l’inizio del primo round.

Mentre gira intorno all’avversario studiando i suoi movimenti, il tailandese chiamato Black Cobra lancia all’improvviso un velocissimo calcio circolare che raggiunge Oyama in testa e lo atterra.

Con gran sorpresa del pubblico rumoroso, il coreano si alza prima che l’arbitro finisca di contare e, avendo bene imparato la lezione continua a studiare il suo avversario.

Il thai-boxer torna ad eseguire un altro potentissimo calcio circolare cercando la mandibola di Oyama, ma questi para il colpo, sbilancia il suo avversario e lo fa rotolare a terra sferrandogli un calcio circolare, il tailandese si rialza sorpreso, mentre il pubblico tace.

L’attacco successivo questa volta è di Oyama, che lo sconfigge con un pugno fratturandogli la mandibola, Oyama si ferma alcuni giorni per affrontare tutti i tailandesi che vogliono salire sul ring con lui e, dopo aver vinto tutti i combattimenti torna in Giappone.

La nascita del Kyokushinkai

D’ora in poi è stato un continuo divulgare il suo stile in tutto il mondo, battezzato da egli stesso nel 1961 Kyokushinkai.

Scrisse libri ed aprì scuole negli stati uniti oltre che in Giappone esegue diverse dimostrazioni con successi clamorosi anche al Madison Square Garden.

Solo a Tokyo si stimano 20.000 praticanti dello stile Kyokushinkai, e questo stile è rappresentato in 43 paesi.

Sono state pubblicate centinaia di autobiografie, e nel 2004 fu realizzato un film sulle imprese di Oyama intitolato FIGHTER IN THE WIND .

La morte ed il ricordo postumo

Masutatsu Oyama muore il 23 aprile 1994 all’età di 70 anni per un cancro ai polmoni, il suo stile ora si pratica in più di 120 paesi superando i 10 milioni di praticanti.

Il Presidente del Sud Africa Nelson Mandela dichiarò:

Finché lo stile di Oyama continuerà con la sua espansione inarrestabile, lo stesso Mas Oyama vivrà nelle mente e nei cuori dei suoi praticanti.

Questa è stata la vita di un grande Maestro, forse non tutti conoscono l’intera vita di questo combattente prima Maestro dopo.

Questo deve insegnarci a non arrenderci mai ma trovare sempre la strada della vittoria nell’arte, come nella vita.

Note


[MAESTRI DELLA STORIA] Yamaguchi Gogen “Il gatto”

Yamaguchi Gogen nacque il 20 gennaio del 1909 nell’isola di Kyusho (Isola del sole) a pochi mesi dalla sua nascita, i suoi genitori decisero di trasferirsi nell’isola di Kagoshima.

Lo chiamavano il gatto perché possedeva abilità sorprendenti, il suo sguardo insieme alla sua fama, senza dubbio, gli bastavano per pietrificare o immobilizzare qualsiasi avversario, come il gatto paralizza i topi.

Il motivo di questo spostamento di domicilio era dovuto ad un vulcano

Tutt’oggi attivo, si trovava molto vicino all’isola dove risiedevano, precisamente in quella di Sakarima.

Per questo motivo la prima tappa della sua vita si svolse a Kagoshima, nel seno di una modesta famiglia di commercianti.

Suo padre Yamaguchi Tokutaro, anche se era un piccolo commerciante, discendeva da una famiglia di Samurai, tuttavia i suoi mezzi erano scarsi e non bastavano a mantenere tutta la sua prole, (aveva 10 figli).

Gogen dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali

Gogen era il terzo e come tutti i suoi fratelli, dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali.

I suoi primi contatti con esse furono attraverso il Kendo, poi praticò anche il Judo.

Il suo maestro di Kendo fu Toshiakai Kirino, un grande esperto di quest’arte il quale era famoso in tutto il Giappone per le sue prodezze con la sciabola.

Tale era la sua destrezza con questa arma che era capace di tagliare nell’aria una goccia d’acqua e rinfoderare la sua Katana prima che questa cadesse al suolo.

Tutto faceva prevedere che il Bushido sarebbe stata la sua strada

Rapidamente iniziò ad emergere nel paese per il grande entusiasmo e la dedizione che dimostrava per il Kendo. Tanti furono gli elogi che gli fecero.

Ad Okinawa si accorse di lui il Sensei Maruta

Quest’ultimo era un carpentiere di Okinawa, una persona umile ed apparentemente introversa.

A causa del suo comportamento nessuno sapeva, e nemmeno sarebbe arrivato a sospettare, che sotto quella apparenza di uomo fragile e tranquillo si nascondesse un  grande maestro di Karate.

Un giorno fece partecipe Gogen del suo grande segreto, facendogli una dimostrazione pratica delle sue conoscenze.

Dopo quella dimostrazione, Gogen lo pregò di insegnargli quegli strani movimenti, però il Maestro rifiutò, argomentando che non era ancora preparato per ricevere i suoi insegnamenti (a quell‘epoca il Karate era una disciplina segreta nell’isola e normalmente non si insegnava a chiunque, ogni famiglia aveva il suo stile che, per regola generale, veniva trasmesso solo dai padri ai figli).

Gogen però era un giovane che spiccava per la sua ostinazione e dopo aver superato una dura prova che il Maestro Maruta gli fece fare solamente allora lo considerò degno di insegnargli la sua arte.

il Karate divenne tutta la sua esistenza

In pochi mesi il Karate cambiò la vita del giovane adolescente, a tal punto che divenne tutta la sua esistenza.

Durante il giorno praticava il Kendo nella scuola Jigen, famosa per l’estrema durezza dei suoi allenamenti, la notte si allenava al Karate nella sua casa.

Tale era la sua passione per questa disciplina che più di un giorno allungava i suoi allenamenti fino all’alba.

Nel suo allenamento era inevitabile che causasse rumore, così che presto risvegliò la curiosità della sua famiglia e dei vicini, i quali vedevano sorpresi come quel ragazzo passasse ore a colpire uno strano aggeggio, simile ad un Makiwara, che però ruotava.

Doveva avere molti riflessi pronti, a parte la potenza, per fermare o addirittura bloccare l’altra estremità, Gogen passava ore colpendolo.

Scoprì il piacere di superare se stessi

Presto scoprì quello che significava allenarsi fino a svenire esausti con tutto il corpo dolorante, però scoprì anche il piacere di superare se stessi e di superare tutte queste prove.

Alcuni dei suoi vicini, inclusa la sua stessa famiglia iniziarono a preoccuparsi dello stato mentale di questo giovane che passava il giorno colpendo i muri, gli alberi ecc… fino a finire con le nocche lacerate e ricoperte di sangue, inoltre fu sorpreso in diverse occasioni a realizzare movimenti strani.

Quando questo succedeva, Gogen cercava di dissimulare, facendo qualsiasi altra cosa, per cui tutti iniziarono a temere il peggio.

Suo padre, preoccupato per le sue eccentricità, decise di parlare con lui, al giovane non rimase altro rimedio che confessargli il suo grande segreto.

Durante la sua adolescenza, la sua famiglia lo mandò a studiare alla Università di Kansai

Però gli studi non erano qualcosa che catturava la sua attenzione.

Continuò ad allenarsi con la stessa intensità di sempre, per cui mancava alla maggior parte delle lezioni, per questo motivo fu espulso dal centro.

Suo padre per questo lo rimproverò in maniera dura, Gogen gli promise di cambiare la propria condotta, pregandolo di iscriverlo all’Università di Rytsumeikan per studiare diritto.

Anche se ad essere sinceri, il suo unico interesse ad essere ammesso a quell’Università era il fatto che era famosa in tutto il Giappone per il suo Dojo di Arti Marziali, nel quale era incluso il Karate (bisogna considerare che in quel periodo era praticamente sconosciuto ed inoltre non era considerato come un’arte autoctona giapponese, visto che tutti sapevano che le sue tecniche provenivano dal Kempo cinese, più conosciuto da alcuni come Kung Fu).

Nel 1931 si trasferì a Tokio, per mantenersi in forma entrò in un club di Sumo, dove scoprì che lo spirito e l’Arte in sé non erano compatibili con il Karate, il quel periodo tutto il paese si preparava per la guerra, il partito ultra-nazionalista già controllava il Governo da 11 anni, era l’esercito che dettava le leggi e le decisioni del paese.

Si propagò dal potere una propaganda aggressiva che esaltava la lealtà, il patriottismo e il codice del Bushido (codice del guerriero), il Giappone entrò in guerra con i suoi vicini asiatici, prima di dichiarare guerra agli Stati Uniti.

Note


[TECNICA & ARTI MARZIALI] Karate: Il Kata

Superare le soglie di perdita di concentrazione quando compare la stanchezza è una delle esperienze più ricorrenti nel Karate.

Lo scopo della stessa è familiarizzare con la possibilità di superare queste soglie molto al di là di quello che tutti noi crediamo e quella di riuscire a mantenere la calma interiore nel mezzo di una tempesta.

Questo ci prepara alla vita e alle circostanze inaspettate nelle quali tutti noi possiamo trovarci

Rafforza il carattere degli allievi e li dota di una serenità che li distingue, il Kata offre l’opportunità di allenare questo aspetto dell’autocontrollo, poiché nelle sue sequenze ci sono momenti di grande intensità ed esplosione, di forza ed emozione, seguiti da momenti che richiedono una grande concentrazione, serenità ed equilibrio.

Le sequenze energetiche nei Kata possiedono punti chiave, spesso questi punti sono segnati da un’esplosione di forza che comprende il grido chiamato Kiai, il Kiai è un’espressione della qualità della forza interiore di chi lo esegue, si tratta di un’emissione esplosiva di forza interiore.

Se il nostro spirito non  è liberato, il Kiai non ha potere, non si tratta di gridare di più, ma di gridare sempre dall’addome con una contrazione dello  stesso nel momento finale di esecuzione di una serie concatenata di movimenti.

Questo ci porta ad un altro punto essenziale nella pratica del Kata e del Karate in generale, tutti i movimenti nel Karate nascono dal basso addome, la zona conosciuta come Tandem o Hara, proprio sotto l’ombelico.

Si tratta del centro di equilibrio e percussione del corpo, ma anche di un centro energetico essenziale, dato che ogni spirale si controlla dal suo centro, tutti i movimenti che nascono da quest’area potranno essere compensati ed equilibrati, mentre se partono da qualsiasi altra parte del corpo tenderanno a funzionare come un’onda di scompensi che si concluderà con la perdita di controllo.

I Kata sono un magnifico modo di allenare l’attenzione da questo centro

Si può eseguire un Kata, una volta memorizzato, osservando sempre le sensazioni che hanno luogo in quest’area.

L’interiorizzazione delle stesse è come un riassunto di tutto ciò che serve nel Kata, l’Hara comanda nei movimenti, per questo l’altezza dello stesso rispetto al suolo è una delle basi di una corretta esecuzione, quando le gambe si stancano, spesso si alza il livello dell’Hara per alleviare la tensione tra movimento e movimento, questo non solo indebolisce le tecniche e sbilancia il praticante, ma sottrae alle tecniche stesse fluidità.

Quando avanziamo, in ogni movimento dobbiamo sentire come una corda che tira il nostro Hara o Tandem, alcuni Maestri mostravano questa sensazione tirando l’allievo per la cintura, quando l’Hara avanza, non solo si muove nello stesso piano nel caso delle linee d’attacco di una stessa posizione, ma lo fa in linea retta in avanti.

Queste linee d’attacco si ripetono con frequenza ne Kata Pinan, così come in altri Kata superiori, l’inclusione delle stesse mostra l’importanza dell’allenamento,in questo modo di avanzare con l’Hara nello tesso piano e dritto fino alla fine della sequenza o della linea.

La fluidità

Ecco un altro punto essenziale nella pratica del Kata, le tecniche, i movimenti devono essere fluidi, le tecniche non devono essere segnate tra di loro come passi di un meccano, ma a una deve seguire la successiva, passando immediatamente dalla tensione al rilassamento.

Se stiamo molto rigidi nell’esecuzione del Kata, sprecheremo molta energia, perderemo fluidità e la nostra forma sarà spasmodica.

Molta gente, specialmente all’inizio, tende ad essere tesa, bisogna fare uno sforzo per rilassarsi, un buon trucco è la realizzazione al rallentatore del Kata diverse volte, un altro molto curioso è concentrarsi sul rilassare i muscoli che circondano l’ano, quando non sappiamo come rilassare il corpo.

La fluidità dipende dal fatto che non ci sia un eccessivo consumo di energia, ma anche da una mente calma e serena.

Il nemico principale della fluidità è la meccanizzazione dei movimenti, quando la mente si estranea dall’allenamento, il corpo ripete senza intenzione, questa è la meccanizzazione.

Un movimento senza spirito né presenza dell’anima è inutile per l’allenamento marziale, la nostra Società più alle forme che ai contenuti, favorisce questo atteggiamento, l’allievo deve imparare a rendersi conto che questo atteggiamento è contrario al senso della pratica del Kata.

Per quanto esatta e precisa tenti di essere una tecnica, senza la presenza dello spirito e dell’intenzione, colui che la esegue non vale niente!

I KATA sono la base dell’arte marziale e naturalmente del KARATE

KATA significa forma, si tratta di una serie di movimenti concatenati in una sequenza energetica precisa che disegnano una lotta immaginaria con uno o più avversari.

L’idea dei Kata era quella di permettere l’allenamento in solitario dell’allievo, la perpetuazione della tecnica  e dell’autocontrollo.

Il Kata apre molte possibilità all’allievo di Karate, perché gli permette di correggere ed assimilare i movimenti basilari che compongono il suo studio, all’interno di sequenze logiche di combinazioni che poco a poco andrà interiorizzando fino a farle proprie.

I Kata sono, inoltre, una danza bella e potente, la loro corretta esecuzione meraviglia qualsiasi persona, che ne sappia o meno di Karate, poiché da essa deriva sempre la maggiore delle grazie, oltre che un’eleganza, una potenza ed un autocontrollo magnifici.

I Kata Pinan furono creati da Itosu intorno all’anno 1907 probabilmente basandosi sui Kata Passai, Chinto ( Gankaku ), Kushanku e Jon. Questi Kata furono anche la base degli Heian che Funakoshi Guichin creò anni dopo.

L’idea di queste forme basilari e intermedie è quella di rafforzare e insegnare all’allievo le linee guida dell’arte del Karate, cominciando con combinazioni più semplici che, poco a poco, diventano sempre più complesse, sia per le tecniche realizzate sia per la combinazione delle stesse, stimolando equilibrio concentrazione ed autocontrollo in una sequenza crescente.

La pratica delle forme essenziali del Karate, al contrario di quella che pensano molti allievi, non è qualcosa di superato, bensì contengono in sé l’essenza dell’arte, non ha importanza il grado, la loro esecuzione deve far parte della pratica di ogni Karateka nel corso della sua vita.

Le chiavi per lo studio dei Kata ogni Maestro dovrebbe conoscerle affinché vi sia una comprensione ed una attivazione dei meccanismi che un buon Karateka deve avere.

MEMORIZZAZIONE

Quando l’allievo è in grado di memorizzare bene un Kata non deve aver bisogno di pensare prima di ogni movimento, quando dico memorizzare non è solo ricordare con la mente, ma deve essere il corpo stesso a ricordare le sequenze.

Questo si ottiene, è chiaro, con una ripetizione, ma ci sono dei trucchi affinché questo processo riesca con successo. Il primo di questi è, senza dubbio, quello di allenarsi sui Kata con gli occhi chiusi, una volta appresa la sequenza.

L’attenzione si concentrerà quindi sulle sensazioni corporee, che sono la base della memorizzazione corporale dei movimenti.

Quando si inizia ogni linea, conviene controllare e correggere le direzioni

Si potrà verificare quanto possa essere difficile mantenere il corretto equilibrio e l’adeguata direzione delle linee, quando si scoprono gli errori, si dovranno memorizzare i punti attraverso le sensazioni corporee, dove una punta di piede appoggiata male o una rotazione eccessiva dell’anca fanno perdere l’orientamento.

Molte volte la vista ci permette di correggere errori tecnici attraverso piccoli trucchetti, questo allenamento ad occhi chiusi scopre quelle lacune nella nostra esecuzione, ma ci aiuterà anche a memorizzare profondamente, a livello di  memoria muscolare, le tecniche che ci sono all’interno di ogni Kata, liberando la nostra attenzione per il vero oggetto della pratica, la mobilizzazione di tutto il nostro potenziale energetico, nella cornice della maggiore serenità.

Per entrare in sintonia con questo particolare esistono alcuni piccoli trucchi o punti che vorrei segnalare come guida.

Il primo di tutti questi è sempre stato ripetuto dai Maestri, si tratta dell’uso dello sguardo, sono gli occhi a dirigere la nostra forza in un Kata e devono essere i primi a concentrarsi nel passo successivo tra movimento e movimento.

La testa deve sempre ruotare per prima, prima di realizzare un giro, se gli occhi non si fissano prima sull’obiettivo, non c’è forza nel Kata, diventa solo una danza senza intenzionalità, ripetuta senza verità.

Un aspetto essenziale per l’uso della forza nel Kata è raggiungere il controllo della respirazione, all’inizio e alla fine del Kata, la respirazione deve raggiungere lo stesso stato.

È chiaro che la pratica di un Kata provoca un’accelerazione del ritmo cardiaco, ma il Karateka deve sovrapporsi a questa domanda del suo corpo attraverso la respirazione, la respirazione è la chiave del nostro stato mentale, la regola fondamentale che si riferisce ad essa è di mantenersi sulla soglia di massima efficacia con il minimo sforzo.

Per allenarsi su questo aspetto è un buon trucco praticare lo stesso Kata varie volte a velocità rapida e, subito dopo, lentamente.

La pratica meccanica dei Kata non permetterà il loro apprendimento, per quanto in una prima fase, quella della memorizzazione, questo non sia un problema, l’allievo deve essere molto serio e impegnato con se stesso su questo punto.

La tecnica deve avere spirito, intenzione e focus

In questo modo, in questo modo uno potrà commettere errori tecnici, ma la sua esecuzione sarà corretta per il suo livello, questa, nel mio personale modo di vedere questo argomento, è la cosa più importante.

Alla fine commetteremo sempre imperfezioni formali, la perfezione non esiste nella forma ma in come si vive l’esecuzione, ridurre i Kata a conquiste formali è stupido e non serve a niente e a nessuno, è meglio iscriversi a far danza classica, si otterrebbero risultati migliori!

Con il Karate non si gioca,con il Kata non si dubita, non può esserci indifferenza, pigrizia né meccanizzazione, Kata è soprattutto un esercizio dello spirito.

Un altro aspetto importante nell’apprendimento di un Kata è la capacità di visualizzare l’avversario o gli avversari, ma questo deve avere luogo in una seconda fase dello studio.

I Bunkai (l’applicazione del kata con avversari reali) spiegano la ragione e il modo in cui si sviluppa il combattimento con uno o più avversari, l’allievo non deve innamorarsi di una spiegazione, poiché spesso è possibile incontrarne di diverse.

Gli antichi Maestri fecero così perché l’essenza del Kata è in se stesso e non nel combattimento

Esistono, di fatto, serie di movimenti nei Kata basilari che risultano assurdi da una prospettiva pratica.

Non sono stati pochi i Maestri che hanno propiziato il loro studio inverso, ovvero retrocedendo nelle tecniche di difesa ma avanzando in quelle di attacco.

Questo modo di allenarsi, sebbene irregolare, può risultare molto curioso e utile agli allievi più avanzati, secondo me, la cosa più importante nel momento di immaginare gli avversari sta nella mobilitazione emotiva che provoca.

I Kata devono essere vissuti, sperimentati in modo reale, come se si trattasse di un combattimento in cui fosse in gioco la nostra vita, impregnare di realismo i nostri movimenti visualizzando gli avversari non deve farci perdere il centro e la calma, ma darà potenza e veridicità alla nostra performance del Kata.

Prima di eseguire un Kata c’è un momento di silenzio, il praticante deve chiudere gli occhi in Mokuso (meditazione) liberando la sua mente da qualsiasi pensiero, per farlo bisogna respirare con l’Hara e si concentra su di sé espirando lentamente diverse volte, in seguito, e solo quando è in pace, tende leggermente l’Hara prima della prima azione gridando il nome del Kata con fermezza.

Nel suo allenamento, il praticante si isolerà dall’ambiente con sempre maggiore facilità, è chiaro che, nel corso di dimostrazione o esami, è facile sentirsi inquieti, intimoriti od osservati, ma un praticante deve imparare ad entrare nella sua interiorità, in quello spazio di pace del suo Hara, evitando ogni pregiudizio mentale attraverso la respirazione e la concentrazione.

La pratica continua darà quindi i suoi risultati inibendoci dall’ambiente e da qualsiasi influenza concentrati sul “qui e adesso“.

Questo ci porta al punto successivo, l’esperienza dell’istante, la presenza della mente quieta nel qui e adesso continuo è uno dei risultati dell’allenamento del Kata.

Per quanto cambi la tensione delle sequenze, si deve fluire nell’esecuzione delle stesse senza essere in anticipo né essere in ritardo né di rimanere bloccati (si può essere troppo dipendenti dall’esteriorità), solo quando viviamo ogni tecnica e movimento con la mente tranquilla e perfettamente concentrata sull’esecuzione potremo raggiungere l’adeguata fluidità.

Uno degli insegnamenti dei Kata sta nella loro corretta posizione, gli aspetti tecnici del Kata devono essere allenati con persistenza e si deve essere molto esigenti con ogni movimento e con il modo in cui questo si allaccia al seguente.

La colonna deve essere diritta, se c’è troppa tensione creeremo iper-lordosi accentuando la curva lombare, da questa posizione non può fluire l’energia dall’Hara e, di conseguenza, i nostri movimenti ci stancheranno eccessivamente, poiché a quel punto tutto dipenderà da un lavoro muscolare.

Bisogna insistere ancora una volta sul concentrarsi sulle sensazioni dell’Hara, deve essere in stato d’allerta rilassato o teso, ma non sempre teso

Per mantenere la corretta posizione della colonna ci sono due riferimenti basilari, l’Hara deve poter muovere il bacino da qualsiasi posizione in qualsiasi direzione.

La testa deve essere perfettamente allineata con la colonna, la posizione del mento è un riferimento importante, se sporge troppo, la nostra fronte avanzerà e la nostra posizione sarà sbilanciata in avanti, se troppo all’interno probabilmente stiamo facendo una iper-lordosi e c’è un eccesso di tensione generale.

Quando la fronte sporge troppo in avanti significa che l’esecutore è troppo accelerato e che colpisce con la testa anziché con l’Hara

Deve imparare a essere meno mentale per placare la sua angoscia per il futuro, vive più nella tecnica successiva che in quella che sta realizzando.

Se la sua posizione è quella opposta, dimostra di essere intimorito, l’ambiente lo blocca (lo stanno guardando e si sente giudicato), questa posizione significa anche un’alterazione in eccesso di un’aggressività contenuta.

Lo spirito di abbandono. Il Kata realizzato correttamente emana un’aura di pace, questo accade con l’adeguato atteggiamento spirituale, un Kata è, alla fine,una lotta con noi stessi, ogni vera lotta è a morte, questo significa che, prima di eseguire un Kata, il praticante deve visualizzare che non c’è niente di più importante e, contemporaneamente, che niente di quello che capita lì sarà importante eccetto la sua impeccabilità.

L’abbandono di ogni speranza rendeva invincibili i guerrieri Samurai, quando la mente si focalizza sull’obiettivo, appare la paura del fallimento e, con essa,l’energia non fluisce, la mente, invece di concentrarsi sul positivo, su ciò che sa, su ciò per il quale è stata allenata e in cui confida, si concentra sul negativo, attraendo il fallimento.

La funzione ultima dello studio del Kata è la formazione dello spirito degli allievi, per portarli fino a quella comprensione nella quale lo spirito si libera e trascende il dolore e la paura.

Note


Le 7 REGOLE del BUSHIDO (武士道) – VIRTÙ DEI SAMURAI

Pensare che tutto il mondo può essere l’avversario quando esci da casa, immaginare che molti avversari ti stanno aspettando, oggi è un atteggiamento ossessivo e preoccupante, ma ai tempi dei Samurai era più facile trovare i nemici a ogni piè sospinto.

Oggi non significa uscire di casa negativamente pensando ossessivamente che tutti sono nemici, la realtà di oggi è sicuramente peggiorata e i giornali e vari episodi ti fanno pensare che non posso andare in giro completamente spensierato o con la testa tra le nuvole.

L’agguato potrebbe essere, come si dice sempre, dietro l’angolo

Alcuni Samurai erano così attenti e vigili che si accorgevano della presenza di una persona che si nascondeva per attaccarli, alcuni percepivano l’energia negativa di colui che voleva ucciderlo, con questo intuito anticipavano l’avversario e salvavano la vita.

Oggigiorno non c’è questa preparazione e, anche se leggiamo tanti soprusi, non è così allarmante girare per le strade, ovviamente dipende dall’ora e dalle zone delle grandi città soprattutto.

Un allenamento comunque che ci permetta di essere qui e ora e concentrati su cosa succede intorno a noi, non è da sottovalutare.

Quando un uomo varca la porta di casa, si può trovare di fronte a un milione di nemici, potrebbe diventare noioso ripetere sempre lo stesso concetto, ma non dimentichiamo che i nemici non sempre sono visibili, tangibili, prevedibili, ci sono nemici interiori che sono subdoli, macchinosi, pazienti e silenziosi.

Per affrontarli bisogna essere pronti, allenati, concentrati, un allenamento costante, anche per chi pratica discipline da difesa è importante per sconfiggere il nemico più oscuro: LA PAURA.

Se non ci si abitua a essere attaccati, a sentire la spinta,lo strattone, le urla o quant’altro possa succedere durante un alterco, quando succederà rimarrà impietrito dalla paura, che blocca ogni movimento e che blocca anche l’adrenalina necessaria per superare l’aggressione.

Questo principio è riportato anche in un antico proverbio: ”Quando un uomo oltrepassa la soglia della propria abitazione ha di fronte sette nemici“ (dal punto di vista cristiano potrebbero essere: orgoglio, invidia, avidità, rabbia, pigrizia, ingordigia e lussuria).

I nemici non sono visibili, tangibili e facili da attaccare e distruggere, molti sono invisibili, nascosti e indifferenti alla nostra attenzione. Il 7 è un numero sacro.


LE 7 REGOLE DEL BUSHIDO – VIRTÙ DEI SAMURAI:

Gi -onestà e giustizia – una sola via:

Onestà nei rapporti con gli altri,credere nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da se stessi, il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia, vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Yu -eroico coraggio:

Elevarsi al di sopra delle masse che hanno paura di agire,nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere, un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ma significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso, l’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

Jin- compassione:

l’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte, è diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune.

Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.

Rei- gentile cortesia-comportamento etico morale:

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza, un samurai è gentile anche con i nemici senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale.

Il samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia, ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

Makoto o shin:

Completa sincerità: quando un samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’azione espressa.

Egli non ha bisogno né di “dare la parola“ né di promettere, parlare e agire sono la stessa cosa.

Meyo – onore:

Vi è solo un giudice dell’onore del samurai: lui stesso.

Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà, non puoi nasconderti da te stesso.

Chugi-dovere e lealtà:

Per il samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario, egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue.

Il samurai è immensamente leale verso coloro di cui è responsabile.


Il 7 ricorre nella nostra vita

  • 7 sono le note,
  • 7 sono i mari secondo l’antica suddivisione dei greci (Mar Egeo, Mar Nero, Mar di Marmara, Mar Ionio, Mar Rosso, Mar Tirreno, Mar Mediterraneo Orientale)
  •  7 le costellazioni (Alfa, Beta, Gamma, delta, Ipsilon, Zeta, Età)
  •  7 sono le virtù (3 teologali: fede, speranza, carità; e 4 cardinali: giustizia, temperanza, prudenza e fortezza)
  • 7 sono i peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia)
  • 7 sono i colori dell’arcobaleno (rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto)
  • 7  sono i colli di Roma (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale, Vicinale).
  • 7 è il numero del perdono (dovrai perdonare settanta volte sette)
  • 7 sono i cieli dell’antichità, ciascuno corrispondente ad un pianeta (Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno)
  • 7 sono i doni dello Spirito Santo nel cristianesimo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio)
  • 7 sono i sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di 7 trombe suonate da 7 angeli, quindi dai 7 portenti e infine dal versamento delle 7 coppe dell’ira di Dio (da Giovanni, Apocalisse).
  • 7 sono i chakra (Muladhara, Svadisthana, Manipura, Anatha, Vishudda, Anja Sahasrara).

Note


Perché pratichiamo le arti marziali?

  • Che cosa facciamo, è il metodo base di praticare arti marziali: produrre energia;
  • Come lo facciamo: sono le sensazioni che si producono mentre generiamo quell’energia e questo è il metodo per trasformare le cose mediocri in eccellenti.

Nel primo caso si mobilitano solo le endorfine cerebrali (sensazioni di piacere ed ormoni rigenerati), che di per se è una gran cosa nel mondo fisico, nel secondo appare una consapevolezza nuova, che trae origine dalle sensazioni prodotte dal movimento che stiamo realizzando e che ci collega al momento.

Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te

Questo è ciò che ha voluto esprimere Sensei Funakoshi quando in uno dei suoi venti precetti afferma “ devi essere serio negli allenamenti”, in parole povere, ciò che sta dicendo è “Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te”.

Che cosa ti importa di più, i movimenti, (la forma) che perderai nel corso della vita, o ciò che scopri del tuo essere che è nascosto dall’ego dell’azione fisica? l’età porta una saggezza in grado di chiarire la domanda precedente, quante tecniche di kata o movimenti complessi ho imparato che oggi, trent’anni dopo, sono passati nel dimenticatoio? Migliaia. Quante emozioni ho provato durante la realizzazione di quei kata o di quei movimenti che tuttora sono presenti? Tutte.

L’emozione non solo perdura, ma aumenta col passare del tempo, nella memoria qualsiasi tecnica imparata durante la gioventù scompare ed il suo frutto è la frustrazione o la vanagloria: Ego

Le emozioni sono semi, la memoria è polvere che svanisce col vento del tempo, ricordo di un allievo che venticinque anni fa riuscì ad imparare ventuno kata shotokan e altri quindici di scuole diverse, un portento ! ed era cintura marrone.

L’ho incontrato qualche mese fa, pesava 110 chili e non ricordava neppure il nome di un solo kata, ma ciò che ricordava, mentre ostentava un dolce e malinconico sorriso, era quanto aveva sudato e quanto buona fosse l’energia del dojo: “la migliore epoca della mia vita” ha affermato.

Ricordi le parole di qualche canzone che ti ha emozionato da giovane? … forse ricordi addirittura di aver pianto dall’emozione, il Ki è immateriale, non si perde, né si rompe, perché non è diretto dalle leggi dell’evoluzione.

Quando perdiamo la capacità di contemplare i nostri pensieri, osservare le emozioni e provare le reazioni fisiche, viviamo si, ma in uno stato latente, viviamo da morti viventi, significa camminare nella vita senza viverla, questo è il grande segreto, quando si blocca il tempo, la persona allenata nell’osservazione della coscienza percepisce la vita con una maggiore intensità.

Come si ferma il tempo? Non pensando. E come si fa a non pensare? Contemplando il pensatore.

Il pensatore che abbiamo nel cervello è quell’entità che pensa costantemente, quella che crea il tempo psicologico, questo tempo psicologico crea ego e questo ricrea tempo psicologico, in questo ciclo senza fine viviamo una vita piena di ansietà.

È tempo speso male. Vediamo ora un metodo che può essere utilizzato in qualunque momento della vita o nel corso degli allenamenti specifici, è basato sul concetto ken zen it chi / il karate e lo zen sono un tutt’uno.

Il modo migliore per iniziare è osservare e sentire la respirazione: osserva e senti come l’aria entra fresca per le narici ed esce tiepida senza che la mente produca nessun altro pensiero, se la respirazione viene eseguita con coscienza, è impossibile che mentre poni l’attenzione su questo gesto tu possa pensare a qualsiasi altra cosa.

Fai questa prova: cerca qualcosa che abbia un buon profumo, annusala… appena finito devi renderti conto che mentre la annusavi non sei stato in grado di pensare a nulla, solo al profumo

Se la tua mente ha prodotto qualche pensiero, è perché non hai annusato appieno l’aroma, non sei stato nel qui e adesso, ti sei perso nel pensiero di qualcosa che non era li.

Hai usato la mente e questa ha giudicato qualcosa, l’osservazione e la coscienza si sono perdute nella nebulosa dei pensieri.

Una volta finito di annusare, la mente cercherà un nome o un ricordo per quel profumo, l’attività mentale si riannoda, ma se sei cosciente del fatto che durante l’atto di annusare non hai pensato a nulla, allora avrai raggiunto un momento unico, avrai vissuto pienamente quel qui e adesso!

Questo atto apparentemente semplice, ma di enorme valore spirituale, è una fugace manifestazione del “satori“, che è uno stato transitorio di vivere con pienezza il “qui e adesso“ per brevi periodi di tempo, il “satori” è un istante di illuminazione.

Nel nostro caso, in quanto artisti marziali, osserva senza pensare qualunque movimento che realizzi nel Dojo

Se hai la mano nel punto A e devi arrivare al B, senti, sii cosciente del movimento durante tutto il  percorso ed eseguirai un movimento di qualità spirituale, un movimento di “satori”, ma se quando ti trovi in A stai già pensando a B, la tua mente allora è già proiettata nel futuro e non nel presente, e così perderai la possibilità di osservare e cogliere il movimento, che è proprio ciò che arricchisce la tua coscienza.

Potrai eseguire un movimento ricco nell’azione (forma), ma vuoto nel contenuto spirituale, questa è la chiave ed il fondamento di ogni creazione artistica fatta con entusiasmo, non devi mai dimenticare che noi pratichiamo un’ Arte Marziale, la parola “entusiasmo“ significa: “essere posseduto dagli Dei “.

La mente è il grande nemico che ci impedisce di percepire il Ki in qualsiasi momento, se pensiamo all’ordine dei movimenti, se ci sbilanciamo, se pensiamo a che cosa penserà un osservatore dei nostri errori, se siamo preoccupati per l’ora o ci appigliamo a qualunque altro cavillo, allora il momento sarà di bassa qualità, benché abbia comportato una grande spesa energetica aerobica o sia stato realizzato con precisione.

Questo racconto lo descrive in maniera molto dettagliata

Il rospo superbo gracchia su un’umida roccia, mentre vede amaramente passare la vita davanti a lui, non fa niente.

Gli passa davanti un affannato millepiedi che sembra essere oltremodo felice e lui non può permetterselo, perciò decide di fargli delle domande che lo confondano e possa così perdere la sua pace. – “millepiedi dove vai?” domanda il rospo, – “Semplicemente vado” risponde il tranquillo ed affannoso millepiedi, senza alterare la sua decisa marcia. – “Cavoli”, pensa il rospo costernato “non ha perso la calma“ .

Gli domanda nuovamente –“senti millepiedi, a che cosa pensi mentre cammini? “ “non penso, cammino e basta” Risponde nuovamente con tranquillità.

Il rospo non può sopportare che vi sia qualcuno più sicuro di sé di lui, decide così di porgli una domanda più maliziosa che si possa immaginare.-“Millepiedi, in che ordine muovi le zampe ?” Il millepiedi si ferma pensa per un istante e risponde, “ per prima cosa muovo la prima zampa e dopo la seconda.

No” rettifica – “ prima la seconda e poi la quarta, no,no, mi sono confuso, prima muovo la quinta e dopo l’ottava, no,no,no! Prima la… e poi la… No,no,no! Da allora il millepiedi non è più riuscito a camminare e a ritrovare il suo cammino , la sua mente si era attivata e questa è stata la sua perdizione.

Quale è il cammino che ci condurrà verso quel misero che abbiamo denominato Ki, e che non è solo il cuore di tutte le arti marziali, ma di qualunque attività che si realizzi? Il cammino cosciente nel quale si avverte il momento presente senza l’interferenza della mente, questo è il motivo per cui pratichiamo le arti marziali e pochi ne sono coscienti.

In Giappone lo chiamano: Do

Significa essere presenti in tutto ciò che si compie, nell’azione o nella passività, nella contemplazione di qualcosa o mentre si pensa ad essa, essere coscienti persino di un errore che si è commesso, o di un successo, essere presenti significa essere coscienti di ciò che sta succedendo in ogni qui e adesso.

Ma attenzione al tempo, che agisce sulla coscienza e questa comincia a pensare (intelligenza), ed è proprio allora che cominciano a manifestare i desideri , che non sono altro che una forma di ego, di credere che per essere qualcuno abbiamo bisogno sempre di più, L’ego ha sempre fame, fame di pensieri, di giudizi, di cose, di potere, di tutto ciò che il mondo produce e soprattutto di tempo. “ non ho tempo”, “mi manca il tempo” , “ se avessi più tempo “, sono frasi comuni che ripetiamo con assiduità.

L’ego si identificherà con qualcosa e da lì ne uscirà solamente altro ego in forma di ansietà, perché non si sarà mai soddisfatti o se lo si sarà, sarà solo per poco tempo

Ora possiamo comprendere le prodezze che compiono alcuni Maestri, con la forza o con il peso si possono ottenere abilità nella forma, anche se puerili nella coscienza, ma quando scopri un Maestro autentico, in grado di compiere vere imprese, allora hai a che fare con un personaggio umile che irradia un alone di distacco che giunge al tuo anteriore come un’abile freccia.

Non ha ego.

I grandi Maestri sembrano essere vuoti, creano una sensazione che ti assorbe, danno pace ed il tempo si ferma alla loro presenza, ma la cosa più grande è che ridono molto.

Non sono nel tempo, non vivono nella vanità delle cose, vivono il “qui e adesso” di ciò che stanno facendo, ma se si fermassero davanti al televisore a guardare una partita di calcio, quella sarebbe l’unica cosa che farebbero in quel “qui  e adesso“ e l’atto di vedere la televisione rappresenterebbe un’autentica prodezza spirituale….. con il KI.         

Note


TOMARI: L’antica GROTTA SEGRETA del KARATE

Una mitica grotta nelle colline di Tomari nella città di Naha, di fronte alla costa, fu anticamente il nascondiglio dei naufraghi cinesi arrivati ad Okinawa.

Molti dei quali erano artisti marziali che cominciarono a praticare ed a insegnare il Karate in questo mitico luogo nella più assoluta clandestinità.

È questo il caso di Chinto, l’abile karateka cinese al quale dobbiamo il nome di uno dei Kata di Karate più rapidi e più fluidi.

Oppure di Kosaku Matsumora, l’eroe del posto da quando nel 1392 le famose 36 Famiglie di Kume (il cui nome si deve al quartiere dove si stabilirono) si trasferirono dalla città cinese di Fuzhou fino a Naha.

Il pellegrinaggio di cinesi ad Okinawa fu una costante, benché la storia nella quale ci immergiamo si situi quattro secoli più tardi.

Chi è Kosaku Matsumora

Kosaku Matsumora (1829-1898) nacque nella cittadina di Tomari. Di enorme talento, fu una persona che seppe approfittare del suo piccolo ma potente corpo.

Quando era giovane studiò le tradizioni marziali di Tomari, dove si distinse come coraggioso e bujin.

Arrivò ad essere ben conosciuto per la sua cavalleria e per il suo spirito vibrante e fu sempre ricordato per aver evitato che un Samurai armato di katana importunasse gli abitanti di Tomari.

Poi in uno sforzo per evitare delle rappresaglie, si confinò in un luogo remoto di Nago. È anche ricordato per aver protetto la proprietà della cittadina su incarico del governatore.

Nel 1879 le proprietà e i beni  derivanti dai contributi rischiarono di essere confiscati dal nuovo governo, dopo che il Re abdicò e il Regno venne abolito.

Ma gli sforzi degli ufficiali giapponesi per confiscare i beni di Tomari furono vani grazie in parte  all’impegno di Matsumora.

Il 7 novembre del 1898 Kosaku Matsumora muore e comincia la sua leggenda a Tomari e per un secolo il suo ricordo è rimasto nelle leggende della zona, e oggi si può ammirare un bel rilievo in suo onore.

La selva di Tomari

La zona più sconosciuta, disabitata e desolata di Tomari, ad Okinawa, è una piccola selva vicino al mare, che è composta da montagne che nascondono delle crepe nel terreno, utilizzate anticamente come nascondiglio da gente che, per una ragione o per l’altra, dovevano rimanere nell’ombra.

I naufraghi cinesi

Questo fu il caso di alcuni importanti Karateka venuti dalla Cina in nave.

Si nascosero in queste grotte dopo aver naufragato di fronte alla costa, e si guadagnavano da vivere come potevano (spesso rubando). Praticavano le loro arti marziali in queste zone nascoste, vicino alla spiaggia di Naminoue.

Verso il XIV secolo Chinto, un marinaio cinese esperto in arti marziali dotato di una notevole abilità nell’arrangiarsi in certe circostanze, cominciò ad insegnare arti marziali vicino alla grotta, e da lui ricevettero tali informali insegnamenti in questo luogo all’incirca 1840 contadini di Tomari e personaggi che sarebbero poi diventati importanti in futuro, tra cui Giei Yamada.

Non possiamo parlare di Tomari senza parlare di Kosaku Matsumora, che divenne il maestro più importante e famoso della forma marziale conosciuta da approssimativamente l’anno 1700 come Tomare Te.

Chinto e Kosaku Matsumora

Kosaku imparò questa forma del futuro Karate con Teruya Kishin e un giorno, mentre stava praticando le sue arti marziali in gran segreto e in solitario vicino alla grotta, notò che c’era qualcuno che lo stava spiando dall’interno della grotta.

Matsumora andò a raccontarlo a Teruya e quest’ultimo lo fece ritornare sul posto dove la “spia“ della grotta uscì, si scusò per aver interrotto il sua allenamento, gli consegnò un foglio e poi, quell’enigmatico personaggio semplicemente sparì.

Quando Kosaku mostrò il foglio a Teruya, questi esclamò: “chiaro, non poteva essere che lui“, si trattava di Chinto.

Tempo dopo Sokon Matsumura, il Capo Militare del castello di Shuri, fu inviato a fermare un clandestino cinese che aveva causato dei tumulti nella città e che si era stabilito nelle grotte di Tomari.

Le strategie, le furberie e le abilità di quel cinese fecero si che la missione non risultasse così facile, come in principio era sembrata, si trattava di Chinto e Sokon Matsumura per arrestarlo, si fece accompagnare da un esperto conoscitore del posto e delle grotte delle colline di Tomari.

Questo esperto non era che Kosaku Matsumora, il quale in questo modo ebbe modo di conoscere assieme a Matsumura, questo bizzarro cinese.

In poco tempo i tre diventarono amici per via della loro passione comune, le arti marziali, di cui si scambiarono le rispettive conoscenze.

L’abilità di Chinto gli fece meritare l’onore di dare poi il nome al famoso Kata (più avanti conosciuto in alcune scuole di Karate anche come Gankaku).

Benché non si sappia se sia stato una creazione sua, di Matsumura Sokon o se semplicemente sia stato importato dalla Cina da quest’ultimo e poi ribattezzato con quel nome in onore di Chinto.

Il significato esatto del nome Chinto è incerto

Una traduzione potrebbe essere “lottare dell’ovest“, mentre un’altra potrebbe essere “lottare in una città“, Chinto fu uno dei Kata che Gichin Funakoshi portò in Giappone, assieme ad altri 15, all’inizio era un Kata introdotto dal Tomari –Te ed integrato allo Scurite.

Ci sono più di 5 differenti versioni di Chinto.

La versione di Tomari mantiene qualcosa dell’essenza cinese, mentre quella di Shuri è più semplicistica, il Kata segue una linea di movimento retta e si deve eseguire con tecniche molto dinamiche.

Caratteristica di questa forma è la ripetuta posizione con la gamba alzata, che ricorda la splendida visione di una gru posata su una roccia mentre sta per colpire la sua vittima.

Si usano anche vari calci in salto, che la contraddistinguono da altri Kata.

Entrambe le caratteristiche rappresentano la preparazione del Kata per lottare su gradini e tratti di scala, da una parte, e in posti con un terreno non uniforme e perfino delle pietre dall’altra.

Il terreno dove è ubicata la grotta, ha influenzato anche la tecnica di questo Kata, con i salti con calcio frontale sferrati da sopra le rocce.

Sia il personaggio Chinto che Tomari lasceranno un segno nella vita di Kosaku Matsumora, il quale diventò poi un un vero e proprio eroe per via della sua strenua difesa degli interessi dei contadini di Tomari nel corso degli anni in cui i Samurai dell’isola principale del Giappone li sottomisero.

Divenne molto famoso e ancor oggi si ricorda in questa zona il combattimento che Matsumora una volta ebbe contro un Samurai Satsuma.

Il fatto accadde nella via Haariya. Durante il combattimento, nel quale il Samurai usò la sua Katana regolamentare e Matsumora solo una giacca di panno, il Karateka perse un dito… che gettò nel fiume insieme al capo d’abbigliamento.

Senza dubbio Matsumora è il vero simbolo di Tomari

Con tutto rispetto di un altro esperto della zona, Kokan Oyodomari, i suoi allievi ricevettero insegnamenti regolarmente dall’eroe di Tomari nelle zone della grotta, estemporanei dojo naturali di allora, ed oggi considerati da coloro che amano il Karate più tradizionale, come luoghi storici della nostra arte marziale.

Come aneddoto da menzionare va detto che Kosaku non voleva insegnare tecniche di combattimento a Motobu per via del suo modo di essere. La bizzarria di Chocki lo spinse a spiare Kosaku nei suoi allenamenti privati e a rubargli così alcune sue conoscenze.

Note


[SALUTE & BENESSERE] Lo SPORT per TUTTI

PERCHÉ LO SPORT PER TUTTI?


Attraverso lo sport è possibile confrontarsi con se stessi, soffrire, gioire, perdere o vincere, ma soprattutto è importante imparare ad affrontare le sfide della vita nel rispetto dei propri limiti e degli avversari qualsiasi siano le differenze in campo.


L’importanza di svolgere l’attività sportiva per le persone disabili

L’importanza di svolgere l’attività sportiva per le persone disabili ha diversi significati: la possibilità di migliorare le proprie condizioni fisiche, intellettive o sensoriali.

La possibilità di partecipare ad un’attività organizzata e ben strutturata che garantisca ai disabili la reale percezione di appartenenza ad un gruppo nel quale rispecchiarsi e sentirsi parte integrante; la possibilità di compiere nuove esperienze attraverso le quali sia possibile confrontarsi e crescere insieme.

Il raggiungimento di risultati, che ricompensano di tutta la fatica fisica e psichica e di tutte le difficoltà affrontate; l’affermazione dello sport per le persone disabili non più ritenuto solo come qualcosa di terapeutico o di particolare data la condizione, ma con un completo riconoscimento dell’attività sportiva agonistica o amatoriale che sia; la capacità per il disabile di rispettare regole ed orari imparando a vivere situazioni sempre più strutturate.

Lo sport può essere considerato anche come una terapia

L’attività sportiva può essere considerata a tutti gli effetti anche come una vera e propria terapia all’interno dei diversi percorsi riabilitativi a prescindere dalla disabilità che sia fisica, intellettiva o sensoriale.

Lo sport inteso come “terapia” permette di:

  • Migliorare le capacità motorie o di movimento;
  • Arricchire le capacità sensoriali;
  • Migliorare il gesto fisico;
  • Aumentare i riflessi;
  • Incrementare la forza muscolare;
  • Accrescere la capacità respiratoria;
  • Migliorare gli scambi gassosi e l’ossigenazione del sangue;
  • Aumentare la resistenza alla fatica;
  • Favorire l’aggregazione ed i rapporti sociali;
  • Stimolare la persona ad affrontare le difficoltà;
  • Apprendere delle capacità attraverso una serie di esperienze;
  • Contribuire alla creazione e costruzione o ricostruzione della propria identità.

Ovviamente ogni attività sportiva deve essere condotto da operatori specializzati, i quali, sulla base di un’attenta conoscenza della situazione patologica presente, sviluppano un programma di recupero mirato per ogni persona.

Le discipline che possono essere utilizzate sono le più svariate

Derek Jensen, Youth-soccer in Indiana (2005)

Le discipline che possono essere utilizzate sono le più svariate: corsa, nuoto, pallacanestro,
pallavolo, calcio, tennis-tavolo, bocce, tiro con l’arco, arti marziali, hockey, ippica, scherma, ecc.

Per ognuna di queste discipline sportive è possibile individuare una serie di esercizi preparatori o di base che consentano di realizzare gli scopi precedentemente elencati e di ottenere quindi un miglioramento generale delle condizioni cliniche della persona disabile.

Per rendere l’attività sportiva una vera e propria terapia è necessario garantire delle strutture idonee dotate di attrezzature e materiali dove poter svolgere gli allenamenti.

Comunque sia, che lo sport venga compiuto per migliorarsi, per stare con gli altri, per svolgere della ginnastica, per seguire un proprio bisogno di competitività, l’importante è quello di considerarlo un ottimo e valido strumento per sconfiggere pregiudizi, stereotipi e superare barriere che l’ignoranza crea ed amplifica, permettendo ad ognuno di noi di superare i propri limiti e di migliorare le proprie condizioni fisiche, psichiche e sensoriali.

Note