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Beniamino Zuncheddu potrebbe non ricevere risarcimento dallo Stato

Beniamino Zuncheddu, detenuto ingiustamente per 33 anni, potrebbe non ricevere alcun indennizzo dallo Stato. Questo perché secondo la Corte di Appello non c’è certezza della sua colpevolezza, ma con l’insufficienza di prove, neanche della sua innocenza.


Leggi anche: Beniamino Zuncheddu assolto dopo 33 anni in carcere: «Mi hanno rubato la vita, ora ho bisogno di un risarcimento» (Il Messaggero)


Basterebbe un cavillo burocratico per permettere allo Stato italiano di non pagare alcun risarcimento per Beniamino Zuncheddu. L’ex pastore sardo, sempre per colpa dello Stato, ha infatti visto la sua vita rovinata dopo essere stato ingiustamente condannato per la strage del Sinnai. Per questo fatto di sangue avvenuto l’8 gennaio 1991 egli fu giudicato come esecutore materiale della strage. Ciononostante fu poi assolto il 26 gennaio 2024 in seguito alla revisione del processo.

Appena dopo l’assoluzione, intercettato dai microfoni del quotidiano Open, egli dichiarò «Sono contentissimo, è un’emozione inspiegabile». Ma oggi è arrivata l’ennesima delusione da parte dello Stato.

Riporta Il Messaggero che il processo di revisione della quarta sezione della Corte di Appello di Roma «non ha condotto alla dimostrazione della certa ed indiscutibile estraneità di Beniamino Zuncheddu […] ma ha semplicemente fatto emergere un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza».

Sempre secondo i giudici «La già esile speranza di poter pervenire ad una ricostruzione veritiera ed attendibile dello svolgimento dei fatti dopo trent’anni è stata gravemente pregiudicata dalla forte attenzione mediatica riservata a questa vicenda».

Beniamino Zuncheddu: per lui la partita è ancora aperta

A giugno 2024 l’avvocato difensore Mario Trogu presenterà la richiesta di risarcimento. In questa occasione spiegherà come quel verdetto sia una seconda ingiustizia ai danni dell’ex pastore.

L’avvocato Trogu commenta: «Le nostri tesi sull’innocenza di Beniamino sono state tutte accolte nella motivazione. Ma poi il tutto sfocia in quelle conclusioni non condivisibili e che sono infatti la parte più deludente della sentenza. Nonostante il castello di accuse contro Beniamino sia crollato dall’inizio alla fine, i giudici scrivono che l’assoluzione non è piena perché l’imputato non ha dimostrato la sua totale estraneità ai fatti».

Sempre in conclusione egli tuona: «È un ragionamento, quello finale dei magistrati, che contrasta con la Costituzione, la nostra legge processuale ed anche con quanto sempre sostenuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: La presunzione di innocenza. Perché fino a quando la responsabilità non è provata, l’imputato va considerato comunque innocente».

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La corruzione politica e amministrativa in Italia

La corruzione sembra essere un problema cronico della società italiana. Già conosciuta e oggetto di pubblico dibattito presso i romani, la corruzione non ha mai smesso di scandire il susseguirsi delle vicende storiche del nostro paese.

La corruzione politica: gli antefatti

Ricordiamo la vendita delle indulgenze ai tempi di Papa Leone X, che generò, per ripulsa, la Riforma protestante. Passando poi in anni più recenti allo scandalo della Banca Romana, che travolse il governo Giolitti nel 1892-93 e di cui parla anche Pirandello nel romanzo I vecchi e i giovani, per arrivare, ai giorni nostri allo scandalo delle tangenti, indicato dai giornali  anche col nome di “inchiesta di Mani Pulite” o “Tangentopoli”.

Uno scandalo che ha decimato la classe dirigente della Prima Repubblica

Negli anni novanta, dopo Tangentopoli, la corruzione ha coinvolto imprenditori e uomini politici ed ha decimato la classe dirigente della cosiddetta Prima Repubblica. Dopo Tangentopoli, la percezione di tanti è che in realtà la corruzione sia in Italia ancora molto diffusa.

Quando si parla di corruzione si fa riferimento, in realtà, a due reati specifici:

  • La corruzione propriamente detta: quando si offre denaro ad un pubblico funzionario per riceverne dei vantaggi;
  • La concussione: quando è il pubblico ufficiale a richiedere una ricompensa in cambio di favori da elargire.

Perché, allora, nonostante le condanne talvolta severe e i tragici prezzi umani pagati da alcuni inquisiti, la corruzione continua a prosperare nel nostro paese? Gli studiosi, sociologi, magistrati, economisti, ne hanno abbozzato, in questi anni, i motivi.

Molti hanno convenuto che l’Italia non sia ancora una democrazia forte e compiuta, con un mercato concorrenziale ben funzionante.

Le procedure della pubblica amministrazione sono farraginose. Il modo di organizzare gli uffici eccessivamente burocratico e superato. Si lavora ancora sulla correttezza formale degli adempimenti e non sui risultati.

L’interpretazione di norme, leggi e regolamenti intricatissimi lascia ampia discrezionalità al singolo funzionario e crea gli spiragli favorevoli per l’infiltrarsi della corruzione.

Nella corruzione ci sono anche dei motivi culturali

Lo Stato è spesso percepito, in vaste aree del paese e forse a causa dello storico susseguirsi di dominazioni straniere, come qualcosa di estraneo, di antagonista.

L’arricchimento è considerato dagli italiani come il principale segno di distinzione e di superiorità sociale. L’aristocrazia del denaro è l’unica gerarchia riconosciuta. I soldi facili costituiscono una tentazione cui, ai più, è difficile resistere. Anche il potere lo si acquisisce col denaro, più che con la competenza.

Il tornaconto personale, l’appartenenza a una famiglia, un clan o una corporazione professionale hanno sempre la meglio nel Belpaese, con ricadute sul rispetto per il bene comune e l’interesse collettivo.

Uno studioso anglosassone ha stigmatizzato questa insufficienza etica degli italiani, definendola “familismo amorale” (Edward C. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, ed Il Mulino)

Forse persino la nostra appartenenza alla religione cattolica, al contrario di quanto avviene nell’ambito della religione protestante o addirittura calvinista, ci abitua ad essere indulgenti verso le nostre debolezze e i nostri peccati, e ci invita all’assoluzione invece che alla condanna e all’espiazione.

La corruzione e il civismo

Valori di civismo molto diffusi in democrazie molto più mature della nostra, trovano da noi un’adesione soltanto formale, di facciata. La vita pubblica italiana scorre da sempre sul doppio binario morale dei vizi privati e delle pubbliche virtù, del predicare bene e razzolare male.

La corruzione, intanto, non soltanto crea ingiustizia, ma danneggia pesantemente anche la vita economica della penisola. Quando i giochi sono truccati, a vincere sono i più furbi, non i più bravi.

Se l’azienda che vince un appalto pubblico, per esempio, costruisce opere malfatte, inutili, a costi altissimi, il danno che ne deriva alla collettività è immenso.

“Ungere le ruote” diventa la prassi abituale se l’appartenenza a un clan fa premio sul merito. Nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, nelle aziende, nella vita economica in genere di un paese corrotto, vinceranno i mediocri, mentre i più competenti rischieranno di essere esclusi.

La corruzione si può battere

Anzi, si deve battere, se si vogliono vincere le sfide della globalizzazione. Riformando la giustizia, rendendola più celere, riducendo il numero delle leggi, ma aumentando la loro efficacia, migliorando la trasparenza degli atti della pubblica amministrazione e sfoltendo nello stesso tempo il numero di funzionari, remunerandoli meglio e rendendo più efficiente il loro lavoro.

Inoltre è necessario creare le condizioni per una maggiore collaborazione fra gli stati nel perseguire gli illeciti.

Ed infine, soprattutto, bisogna che gli italiani riacquistino i valori di responsabilità e di rispetto verso le regole, nella consapevolezza che l’interesse generale così conseguito è, in ultima analisi, l’autentico vero interesse di tutti noi cittadini e consumatori.

Note

Bibliografia

  • Davigo, P., La giubba del re. Intervista sulla corruzione, Bari, Laterza, 2004
  • Davigo, P., Mannozzi, G., La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Bari, Laterza, 2007
  • Di Pietro, A., Intervista su tangentopoli, Bari, Laterza, 2000
  • Galante Garrone, A., L’Italia corrotta (1895-1996). Cento anni di malcostume politico, Roma, Editori Riuniti, 1996

Vivere in Sardegna: perché può essere un’idea interessante?

Vivere stabilmente in Sardegna può essere davvero un’idea splendida. Una soluzione che ha già intrigato moltissime persone e che, con ogni probabilità, è destinata ad avere un seguito ancor più importante nel prossimo futuro.

Se ci si chiede per quale motivo vivere in Sardegna possa essere una scelta interessante, non si può non citare immediatamente la qualità della vita che questa regione può offrire. Non è un caso, d’altronde, se la scelta di vivere stabilmente in Sardegna riguardi soprattutto coppie e persone non più giovanissime, le quali desiderano trascorrere la vecchiaia all’insegna della serenità e del benessere.

Ma come fare, dunque, a vivere in Sardegna?

L’idea di stabilirsi presso l’isola sarda riguarda per buone percentuali persone pensionate, le quali dunque non devono più preoccuparsi di guadagnarsi da vivere e possono concentrarsi sul desiderio di vivere una vecchiaia piacevole, priva di pensieri.

Allo stesso tempo, tra le persone che scelgono di vivere in Sardegna vi sono delle famiglie benestanti. Si tratta prevalentemente di importanti capitalisti anche stranieri, oppure imprenditori che non hanno impedimenti lavorativi da disbrigare personalmente.

Tra chi sceglie di vivere in Sardegna, tuttavia, vi sono anche dei giovani di ceto medio, che hanno quindi la necessità, come tutti, di trovare un lavoro.

Lavorare sull’isola

Le professioni connesse con il turismo sono numerosissime. Di conseguenza l’isola sarda riesce ad offrire ogni estate numerosissimi posti di lavoro. Il turismo sardo però, come noto, è prevalentemente stagionale. Di conseguenza riuscire a vivere con il solo lavoro estivo può obiettivamente non essere semplice.

Non bisogna dimenticare tuttavia che la Sardegna accoglie in diverse sue zone un turismo lussuoso ed elitario, attorno a quale orbita un business milionario. Di conseguenza alcune figure professionali, soprattutto di tipo manageriale, possono certamente assicurarsi tramite il solo lavoro estivo degli stipendi in grado di rivelarsi ampiamente sufficienti per tutto l’anno.

Il costo della vita

Potrebbe sembrare paradossale, eppure la Sardegna è molto apprezzata anche per il suo costo della vita, davvero molto basso. Sebbene come già detto alcune zone siano una meta assolutamente VIP e prevedano un costo della vita molto elevato, altri versanti dell’isola si rivelano pressoché opposti in tal senso.

Paragonando il costo della vita di molte zone della Sardegna a quello di numerose città italiane, soprattutto dei centri più importanti quali Roma e Milano, la differenza risulta davvero fortissima, soprattutto per chi ha la necessità di affittare un appartamento.

I collegamenti da e verso l’isola

La scelta di vivere in Sardegna è ottimale anche per quanto riguarda gli ottimi collegamenti che contraddistinguono quest’isola. Credere che la Sardegna sia mal collegata con l’Italia e con l’estero, infatti, sarebbe un errore.

I porti italiani da cui partono regolarmente numerosissimi traghetti per la Sardegna sono numerosi e riguardano ogni zona d’Italia: Genova, Livorno, Piombino, Napoli, Civitavecchia, Palermo.  

Anche per quanto riguarda l’estero la Sardegna è una regione molto ben collegata. Basti citare a tal riguardo porti quali quello spagnolo di Barcellona, quello francese di Marsiglia, e quelli, vicinissimi, situati in Corsica.

Sebbene infine il traghetto sia la soluzione più scelta da chi intende raggiungere la Sardegna, anche per il fatto che consente di poter trasferire sull’isola il proprio veicolo, non bisogna peraltro dimenticare numerose opportunità per quanto concerne i collegamenti aerei, soprattutto nei mesi estivi.

Vivere in Sardegna: conclusioni

Insomma, la Sardegna non è solo turismo, ma può essere anche una scelta di vita molto interessante, perfetta per chi pone la qualità della vita al primo posto tra le proprie priorità. Un’isola che può garantire un relax ed una distensione fisica e mentale senza precedenti.

La Sardegna infatti è la regione ideale per chi desidera costruirsi una vita ben distante rispetto al caos cittadino ed ai più tipici paesaggi urbani.

Note

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Greenwashing nel decreto rinnovabili: Gli ambientalisti rispondono

ROMA: Associazioni ambientaliste italiane scrivono al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin segnalando lacune e greenwashing nel decreto biocarburanti del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE) e chiedendo un incontro sulla falsariga delle fonti rinnovabili.

Nella lettera le associazioni sollecitano il ministro a promuovere le rinnovabili elettriche e il biometano destinato agli usi non elettrificabili.

Cosa dice il decreto sulle fonti rinnovabili

Dal Decreto si evince che non verranno promosse le rinnovabili nei trasporti, ma verranno sostenuti solo i biocarburanti e, in futuro, i carburanti sintetici e quelli con CO2 “riciclata”, provenienti da rifiuti plastici.

Non viene, inoltre, menzionata l’elettricità da fonti rinnovabili, sia quella che alimenta le auto elettriche che il trasporto pubblico.

Cosa dicono gli ambientalisti

I biocarburanti non sono a zero emissioni e quindi non sono paragonabili all’elettricità rinnovabile.

Inoltre gli ambientalisti nella missiva ribadiscono che un quarto dei biocarburanti incentivati in “doppia contabilità” (500 milioni pagati dagli automobilisti) rappresenterebbero un vero e proprio falso biodiesel. Questo perché gli importatori di oli vegetali usati non fornirebbero una credibile certificazione di provenienza.

Questa lacuna porta a triplicare le emissioni di CO2 e bruciare le foreste tropicali del sud-est asiatico per far posto alla coltivazione delle palme. Questo modus operandi è stato infatti già segnalato nel 2020 dagli stessi rappresentanti dei governi europei alla Commissione europea.

Secondo le stime di Transport & Environment a causa dei biocarburanti derivati dall’olio di palma e dalla soia sono a rischio 630.000 ettari di foreste.

Per porre fine all’inganno del greenwashing nell’importazione di oli esausti per le associazioni sarebbe sufficiente aggiungere o revisionare il decreto per rendere obbligatoria la certificazione della raccolta differenziata per i Comuni, i ristoranti e mense.

Se il governo italiano non controlla le importazioni, in assenza di certificazioni serie, allora è necessario che gli oli esausti di importazione siano esclusi dalla contabilità come rinnovabili e dagli incentivi di mercato. 

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  • FONTE & APPROFONDIMENTI: Ufficio Stampa Legambiente
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LEGAMBIENTE: Caldaie a gas? Pezzi da Museo

ROMA: Legambiente: «Stop alle installazioni di nuove caldaie alimentate a gas fossile entro il 2025». Presentata il 10 febbraio 2023 la nuova campagna denominata  “Caldaie a gas? Pezzi da Museo” a firma Legambiente, una delle più rinomate ONLUS ambientaliste d’Italia.

La campagna consisterà in una mostra itinerante che porterà in tutte le sue tappe la mostra Il “Museo delle caldaie” per raccontare con un pizzico di ironia la storia ed i problemi ambientali, sanitari e sociali delle caldaie a gas fossile.

Tale campagna è frutto di una collaborazione fra Legambiente e Kyoto Club ed è basata sui report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia.

Cosa è la campagna  “Caldaie a gas? Pezzi da Museo”

Nomen omen (“un nome un destino” n.d.r) dicevano gli antichi romani. Lo scopo di questa nuova campagna di informazione parla chiaro: Decarbonizzare i sistemi di riscaldamento e raffrescamento responsabili quasi del 18% delle emissioni di CO2 in Italia abolendo l’installazione di caldaie a gas fossile, ritenute obsolete ed inquinanti.

Legambiente, in supporto con Kyoto Club, lancia così questa nuova sfida. Le due associazioni ambientaliste si augurano inoltre che i sussidi dedicati all’installazione di caldaie a gas inquinanti vengano dirottati verso l’incentivazione di tecnologie di riscaldamento moderne e più sostenibili.

Obiettivi della campagna

Questa campagna porte come punti cardine i seguenti obiettivi:

  • Combattere l’emergenza climatica;
  • Lottare contro la povertà energetica. 

Le tappe

La mostra sulle caldaie, partita da Bari il 14 febbraio 2023, toccherà oltre al punto di partenza ben altre 11 città italiane:

  • Avellino;
  • Ivrea;
  • Torino;
  • Roma;
  • Potenza;
  • Perugia;
  • Udine;
  • Padova;
  • Ancona;
  • Enna;
  • Napoli.

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Note


[PILLOLE DI STORIA] Domenico Alberto Azuni, l’illustre giurista

Giurista insigne, gettò le basi del moderno diritto internazionale marittimo. Nacque a Sassari nel 1749 da famiglia medio borghese.

Laureatosi nel 1772 in leggi, dopo due anni di pratica legale, nel 1774 lasciò Sassari alla volta di Torino. Qui esercitò la pratica forense e, nel 1777, divenne pubblico funzionario dell’ufficio generale delle regie finanze.

Inviato a Nizza come giudice del consolato del commercio e del mare, ebbe modo di dimostrare la propria competenza e iniziò a pubblicare il Dizionario universale ragionato di giurisprudenza mercantile, in quattro volumi (1786-1788).

Quest’opera era il risultato di una ricerca sistematica di leggi e consuetudini delle città europee e si imponeva per le concezioni ampie e innovative, che raccordavano cambio, traffici ed attività marinare attraverso norme internazionali.

Per il giurista sardo i riconoscimenti non si fecero attendere

Vittorio Amedeo III conferì all’Azuni il titolo e i privilegi di senatore (1789) e lo incaricò di redigere il piano per il codice della marina mercantile degli Stati Sardi (1791).

Occupata Nizza dai francesi nel 1792, lo studioso fu costretto ad abbandonare la città ed a rifugiarsi a Torino. Iniziò un periodo difficile, segnato dalle invidie per la sua rapida e brillante carriera, che lo portò a trasferirsi a Firenze.

Chiese di tornare in Sardegna con un impiego ufficiale, ma anche questo, per volere degli stamenti sardi, gli fu negato. Seguirono privazioni e altri trasferimenti a Modena, Trieste e Venezia.

Nonostante le difficoltà, l’Azuni continuò a studiare, giungendo a pubblicare nel 1796 Sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa, opera importantissima che gli valse la cittadinanza onoraria della città di Pisa (1796) e l’incarico da parte di Napoleone di redigere con altri giuristi il nuovo codice marittimo e commerciale francese (1801).

Negli anni 1799-1802 ebbe anche modo di dedicare alla Sardegna, sempre amata nonostante il rifiuto patito, le opere Essai sur l’histoire géographique, politique te naturelle du royaume de Sardaigne e Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne.

Queste opere mettevano in evidenza la centralità strategica dell’isola nel Mediterraneo e ne analizzavano le problematiche economiche in un’ottica straordinariamente moderna.

Pubblicò Droit Maritime de l’Europe nel 1805 e Origine et progrès de la législation maritime nel 1810, anno in cui fu anche nominato da Bonaparte cavaliere dell’Impero.

Gli ultimi anni

Con la successiva caduta di Napoleone, di cui era ritenuto un sostenitore, l’Azuni fu esonerato da ogni incarico. Come conseguenza si ritrovò a vivere nella sua casa di Genova in un’umiliante indigenza.

Nel 1818 il giurista Azuni entrò nella Reale Società Agraria ed Economica cittadina

Nel 1818, per l’intervento di influenti personaggi vicini al re Vittorio Emanuele I, fu nominato giudice del Supremo Magistrato del Consolato di Cagliari. Entrò infine a far parte della Reale Società Agraria ed Economica cittadina.

Dal 1820 alla pensione, avvenuta nel 1825, fu presidente della biblioteca universitaria di Cagliari: ruolo che svolse con particolare passione, rilanciando l’istituzione.

Morì nel 1827 lasciando i suoi beni ad una giovane donna, Maria Carpi, che l’aveva assistito fino alla fine con l’affetto di una figlia. Fu sepolto, come egli espressamente indicò, nella chiesa di Bonaria.

Note


[ECONOMIA] Crisi o ripresa?

L’incertezza e le crisi dei mercati internazionali hanno portato un malessere generale sulle iniziative e sullo sviluppo delle microimprese, da sempre ruota trainante delle economia nazionale.

La burocrazia e l’ottusità delle istituzioni non incoraggia l’imprenditore o l’impresa consolidata ad effettuare ulteriori investimenti.

I “consumatori” che preferiscono privilegiare i risparmi alle spese, timorosi del futuro, la mancanza di dati precisi sulla congiuntura mondiale e dei settori veramente trainanti.

Siamo in una situazione in cui la possibilità di trovare un posto di lavoro “fisso” sta diventando un miraggio, e la speranza di pianificare una vita diventa un sogno difficile da raggiungere.

Sembra una catastrofe, forse no

Esistono ancora dei settori dove la piccola impresa e l’autoimpiego possono creare profitto, basta buona volontà e iniziativa per creare dal niente un’attività autonoma e redditizia, ricordiamoci che la nostra Regione può ancora dare tanto, sia nei settori dell’artigianato e del turismo.

Bisogna fare uno sforzo e capire che “il rischio imprenditoriale” non è una malattia mortale è qualcosa che si può riuscire a gestire e trarre qualcosa di buono.

In questo periodo si parla tanto di crisi economica e molte persone la vedono con pessimismo e si spingono a fare delle previsioni addirittura catastrofiche.

Vedere la crisi con occhi diversi, intravedendo delle opportunità anche in una fase così delicata significa avere una visione ottimistica della vita.

L’ottimismo ci aiuta anche e soprattutto nei momenti difficili e fa scorgere opportunità laddove altri vedono solo nero.

Anche i mass media pigiano sull’acceleratore della crisi e, pur di fare audience, continuano a parlare dell’attuale fase economica come se tutto il mondo dovesse crollare, come se non ci fosse via d’uscita.

In questa fase si possono scorgere i veri ottimisti, persone che riescono a vedere il bicchiere mezzo pieno anche in situazioni di difficoltà estrema quando dominano il pessimismo e la paura, la crisi sembra più nera di quanto non lo sia nella realtà e si prevede il peggio.

Bisogna quindi guardare l’attuale fase economica con spirito ottimista, ma con razionalità, convincendoci che si può uscire da un periodo nero col pensiero positivo avendo però l’accortezza di passare all’azione: quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare…

Nel cervello c’è solo spazio per una delle due cose: ottimismo e pessimismo

Queste non possono coesistere: un pizzico di pessimismo è un ottima fonte di realismo, ma affondarci dentro vuol dire fare la fine del Kamikaze.In altre parole se si profetizza che tutto andrà male è probabile che il futuro ci darà ragione per il semplice fatto che saremo noi, in primis, a contribuire all’avverarsi della profezia.

Assumere un approccio più ottimista e positivo non può che far bene: il che non vuol dire illudersi ma cercare di affrontare I problemi con uno spirito più energico e propositivo.

E non si tratta solo di buoni propositi e belle parole, ma anche di pura neuropsicologia: è infatti un fatto scientifico che chi adotta un approccio positivo verso le cose si rivela più energico e riesce più facilmente ad uscire da una situazione problematica.

Insomma, se preferite piangetevi addosso e strizzate i fazzoletti, ma questo potrebbe solo peggiorare la situazione.

Per dirla come un saggio se hai male al piede non ti sarà di grande utilità darci sopra dei colpi di clava.

Note


[CULTURA SARDA] Il nome Sardegna

Dal latino Sardinia, terra, isola dei Sardi

Dal latino Sardinia, terra, isola dei Sardi (Sardi-orum). Nome con cui i romani chiamavano la Sardegna e nome della provincia romana di Sardegna, costituita nel 227 a.C.

Vincenzo Maria Coronelli – Sardiniae Regnum et Insula (1734)

I Greci chiamavano la Sardegna Sardò

I greci chiamavano la Sardegna Sardò, connettendola a Sardo, figlio di Eracle che secondo il mito sarebbe giunto nell’isola a capo di colonizzatori libici.

La Sardegna era chiamata dai greci anche Ichnussa, dal greco ichnos (orma di piede umano), per la sua caratteristica forma (da cui anche Sandaliotis, da sandalion, sandalo).

Il radicale s(a)rd- , che identifica l’ethnos dei sardi, appartiene al sustrato linguistico mediterraneo preindeuropeo. Si ritiene che i sardi della protostoria indicassero la loro terra e se stessi con nomi derivati da questa base.

La più antica sicura attestazione scritta dell’etnico (Srdn) è contenuta nella fenicia “Stele di Nora” risalente alla fine del IX sec. a.C .

Un altro importante documento risale al VI secolo a.C.

Si tratta di un trattato di amicizia stipulato dagli abitanti della potente città magno-greca di Sibari e dal popolo dei Serdàioi, i Sardi secondo alcune accreditate ipotesi, il cui testo fu inciso su una tavola di bronzo che fu deposta nel famoso santuario panellenico di Zeus ad Olimpia.

Diversi studiosi avanzano l’ipotesi che i Sardi siano da riconoscere anche nei Serdan-, uno dei “Popoli del Mare” menzionati nei documenti egiziani tra il XVI e il XIII secolo a.C. Ciò lascerebbe immaginare una civiltà nuragica eccezionalmente avanzata ed intraprendente a livello mediterraneo, aspetti che però l’archeologia non sembra avere ancora adeguatamente documentato.

Note