Israele

Israele prende di mira le zone umanitarie di Gaza

Con un lancio capillare di volantini lo Stato di Israele ha ordinato lo sgombero di alcune zone popolate del centro della Striscia di Gaza. I bersagli erano stati in precedenza definiti come «safe zone umanitarie» o comunque zone di interdizione ai combattimenti. Le aree interessate sono la zona nord di Khan Younis e la parte orientale di Deir al-Balah.

Gli esperti della IDF fanno sapere di avere identificato delle aree che sarebbero utilizzate dai miliziani palestinesi per il lancio di razzi sul territorio israeliano. Oltre a ciò, i promulgatori del diktat non hanno fornito ulteriori prove alla loro tesi. Stando alle fonti, agli occupanti civili della zona (svariate migliaia con a carico bambini) non verrà fornita alcuna assistenza per facilitargli lo sgombero.

Profughi palestinesi estranei alla violenza vengono continuamente sgomberati dalle zone umanitarie per “ragioni di sicurezza” dagli inizi del conflitto. Per chiunque si rifiutasse verrebbe inevitabilmente coinvolto negli scontri. Gli sfortunati finirebbero infine per perire sotto le bombe israeliane. Una storia simile è accaduta al marito di Amal Abu Yahia, madre di tre figli, morto nella sua stessa casa nel quartiere di Khan Younis.

Stando ai resoconti locali, i soldati della IDF continuano a ritornare a rastrellare zone dichiarate precedentemente “liberate” bombardate a tappeto all’inizio del conflitto riducendole in polvere. Secondo il commissario dell’UNRWA Philippe Lazzarini, il sistema dei campi profughi risulta estremamente insufficiente, costringendo migliaia di sfollati ad accatastarsi i zone umanitarie che in poche giorni diventano sovraffollate.

Il ruolo di Russia e Stati Uniti nel conflitto di Israele

Il principale alleato israeliano, gli USA, comunicano tramite Kamala Harris di stare costantemente lavorando per un cessate il fuoco. Per la vicepresidente candidata alle presidenziali «Israele ha il diritto di contrastare i terroristi di Hamas, però, come ho già detto molte volte, ha anche un’importante responsabilità nell’evitare vittime civili». Anche la Russia tenta ad incentivare una distensione del conflitto. Già a febbraio si sono tenuti a Mosca colloqui diplomatici per tentare di riunificare il fronte palestinese, diviso in diverse fazioni politiche e militari (le principali la stessa Hamas ed il partito Fatah guidato dall’attuale Presidente della Palestina Mahmūd Abbās). Sempre il Presidente della Palestina ha comunicato che incontrerà presto Vladimir Putin per proseguire i colloqui di riconciliazione.

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Corte dell’Aia: Stop offensiva a Rafah, «Rischio genocidio»

La Corte internazionale di giustizia dell’Aia ordina ad Israele di fermare la distruttiva offensiva militare a Rafah. Pur non qualificando con tale termine l’offensiva, viene ordinato ad Israele di prendere una serie di misure per prevenire «Nel rispetto della convenzione internazionale per la prevenzione del genocidio».



Il caso contro Israele all’Aia è stato aperto a gennaio dopo l’accusa presentata dal Sudafrica. Negli ultimi giorni la stessa aveva chiesto nuovamente alla Corte di ordinare lo stop alle operazioni militari. Con questi ultimi provvedimenti, il Sudafrica ha accolto con favore la decisione definita «più forte» della Corte.

La decisione della Corte è stata presa con una maggioranza schiacciante di 13 voti contro 2. La Corte dell’Aia ha poi chiesto ad Hamas la liberazione «immediata e incondizionata» degli ostaggi ancora prigionieri a Gaza dal 7 ottobre 2023.

Il giudice Nawaf Salam ha dichiarato che la situazione è cambiata da quando la Corte ha emesso i suoi precedenti ordini di misure cautelari e dunque possono essere richieste nuove misure di emergenza.

Stop offensiva a Rafah, le reazioni all’ordinanza

Per il ministro israeliano per la Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir (citato dal giornale israeliano Ynet e riportato da Open.online): «L’irrilevante sentenza della Corte antisemita dell’Aia dovrebbe avere una sola risposta: l’occupazione di Rafah, l’aumento della pressione militare e la completa distruzione di Hamas, fino al raggiungimento della completa vittoria nella guerra».

Hamas ha accolto invece con favore la decisione della Corte, aggiungendo però che quanto da essa ordinato non è ancora abbastanza.

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Irlanda, Norvegia e Spagna riconosceranno lo Stato Palestinese

I primi ministri irlandese Simon Harris e il norvegese Jonas Gahr Støre, assieme al premier spagnolo Pedro Sanchez, hanno concordato un’azione congiunta d’impatto. Irlanda e Norvegia hanno infatti ufficializzato la procedura per il riconoscimento dello Stato palestinese. In aggiunta il premier spagnolo Sanchez ha annunciato che Madrid lo farà sicuramente entro il prossimo 28 maggio. «Questo riconoscimento non è contro Israele e il popolo di Israele, né a favore di Hamas», precisa Sanchez.

Nel 1999 l’Unione europea si dichiarò pronta a «riconoscere uno Stato palestinese a tempo debito» senza mai andare oltre. Per Sanchez, il premier israeliano Benjamin Netanyahu mette in pericolo la soluzione dei due Stati e ed ha solamente provocato con la sua politica «dolore e distruzione» nella Striscia di Gaza. Per il leader Hamas Bassem Naim la «coraggiosa resistenza palestinese» ha spinto Irlanda, Spagna e Norvegia a riconoscere lo Stato palestinese.

Il Presidente dello Stato di Palestina Mahmūd Abbās ha salutato l’annuncio di Irlanda, Norvegia e Spagna di riconoscere lo Stato di Palestina ed ha esortato gli altri Paesi della Ue a fare lo stesso. Per lui «L’obiettivo è quello di raggiungere la Soluzione a 2 stati basata sulle Risoluzioni internazionali e nei confini del 1967». Israele invece ha richiamato gli ambasciatori dai rispettivi Paesi. Duro il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz: «La parata della stupidità irlandese-norvegese non ci scoraggia, siamo determinati a raggiungere i nostri obiettivi».

L’Italia è ancora uno dei tanti paesi UE che non riconosce la Palestina come stato. Per Antonio Tajani «l’Italia è favorevole, ma è lo Stato palestinese che deve riconoscere Israele ed è Israele che deve riconoscere lo Stato palestinese. Inoltre uno Stato palestinese non dovrebbe essere guidato da Hamas».

La Francia infine tramite un portavoce del ministero degli Esteri «non ritiene che al momento ci siano le condizioni perché questa decisione (il riconoscimento dello stato di Palestina, n.d.r.) abbia un impatto reale».

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L’Aia: Sinwar (Hamas) e Netanyahu colpevoli di crimini di guerra.

La Corte penale internazionale dell’Aia emette alcuni mandati d’arresto per «Crimini di guerra». Oltre che per il capo di Hamas (gruppo considerato dall’Unione Europea e da gran parte dell’Occidente un’organizzazione terroristica), Yahya Sinwar, spicca anche un secondo nome: Benjamin Netanyahu.

Secondo il procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan i capi d’accusa (ad entrambi i leader) sono per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Se si contesta al leader di Hamas la strage del 7 ottobre 2023, l’Aia contesta al premier Netanyahu la campagna militare distruttiva lanciata nella Striscia di Gaza. Secondo gli osservatori, non è mai successo prima d’ora che il tribunale dell’Aia prendesse di mira un Paese alleato degli Stati Uniti (un provvedimento del genere era stato emesso di recente contro Vladimir Putin per la sua condotta in Ucraina).

Nello specifico, le accuse contro Netanyahu sono di «aver causato lo sterminio, usato la fame come metodo di guerra – inclusa la negazione degli aiuti umanitari – e preso di mira deliberatamente i civili durante il conflitto». Nello specifico anche il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant è accusato di crimini simili.

La sentenza dev’essere obbligatoriamente riconosciuta da tutti i firmatari del trattato di adesione alla Corte (Tutta l’UE, Italia inclusa). Israele e gli Usa però attualmente non hanno firmato il Trattato di adesione alla Corte.



L’Aia contro Netanyahu ed Hamas, le reazioni alla sentenza

Netanyahu, furioso ed oltraggiato dal decreto, ha affermato che questa presa di posizione «non fermerà nè me nè noi». In generale, gran parte della scena politica israeliana, opposizione inclusa, si è detta offesa dalla sentenza. Neanche Hamas ha gradito l’editto, poiché «Mette sullo stesso piano la vittima e l’aggressore». Secondo il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Wasel Abu Youssef, la mossa della Corte penale internazionale «fa confusione su chi sia realmente la vittima. Il popolo palestinese ha il diritto di difendersi».

Infine secondo Joe Biden, formalmente amico di Israele ma anche lui sempre più in contrasto per la condotta di guerra spregiudicata operata finora,  «La richiesta del procuratore della Corte penale internazionale di mandati di arresto contro i leader israeliani è vergognosa»

(in copertina immagine di repertorio Wikimedia Commons)

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Israele intensifica attacchi a Gaza, ignorando pressioni USA

La visita di Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, non è bastata per placare gli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza.

La Casa Bianca ha di recente inviato il consigliere americano (che non ritiene che quello che succede a Gaza sia un genocidio) per interfacciarsi con i leader isrealiani. L’obiettivo principale di Sullivan era quello di convincere la leadership dello stato di Netanyahu a condurre attacchi più mirati contro Hamas ed evitare aggressioni distruttive su larga scala (ovvero quelle finora perpetrate).

Al 19 maggio 2024, stando a fonti di Al Jazeera, gli scontri armati hanno ucciso più di 35mila palestinesi, incluse donne e bambini.

I colloqui e la situazione a Gaza

Sullivan ha parlato con il Presidente della Repubblica Isaac Herzog ed avrebbe dovuto anche incontrare il premier Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano si ritrova ad essere il massimo esponente della linea dura contro Hamas-Palestina. Netanyahu infatti ha dichiarato di voler proseguire gli attacchi a Rafah anche senza il sostegno degli USA. Per questo motivo, subisce fortissime pressioni in patria, con numerose proteste nelle maggiori piazze israeliane. In suo aiuto arriva Joe Biden che, nonostante lo abbia ufficialmente ammonito dal continuare l’assalto a Rafah, continua a fornire supporto bellico e diplomatico ad Israele.

L’attacco su larga scala a Rafah ha provocato, secondo le Nazioni Unite, un’emergenza profughi di più di 800 mila palestinesi. Il governo israeliano, sordo contro ogni condanna, continua a difendersi sostenendo che tali operazioni così distruttive sono assolutamente “necessarie” per distruggere ogni roccaforte di Hamas.

L’IDF (Israel Defense Forces) ha condotto incessantmente operazioni militari via terra e via aria. La stessa IDF, con la sua condotta spregiudicata, è arrivata a colpire anche dei campi profughi (come accertato per il campo profughi di Nuseirat).

A testimonianza il giornalista di Al Jazeera Hani Mahmoud, inviato sul luogo degli scontri. Egli riferisce di come edifici residenziali che ospitano intere famiglie di profughi sono indistintamente presi di mira dalle bombe. Come conseguenza, questi vengono rasi al suolo, uccidendo gli occupanti.

Residenti di Jabalia, città a 4 chilometri da Gaza City, parlano invece di come i militari ritornino a rastrellare più e più volte aree fuori dagli scontri precedentemente dichiarate libere.

In conclusione, la condotta cieca e distruttiva di Netanyahu sembra per gli osservatori non prendere minimamente coscienza di un dopoguerra con conseguente ricostruzione (anche diplomatica e sociale) della Palestina. Di conseguenza è prevedibile come le situazioni di contrasto decennali della delicata questione palestinese saranno in futuro più gravi che mai.

(in copertina immagine di repertorio Wikimedia Commons credit: Saleh Najm e Anas Sharif)

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CNN rivela: soprusi contro i detenuti palestinesi

Nel centro detenzioni della base di Sde Teiman in Israele fonti interne rimaste anonime denunciano casi di abusi e violenze contro i detenuti palestinesi. Lo rivela un’inchiesta della CNN. Il numero di detenuti all’interno della base rimane sconosciuto.



Tutto è partito da una serie di fotografie scattate di nascosto da un lavoratore israeliano presso la base militare Sde Teiman, situata nel deserto del Negev. In queste fotografie sono ritratti decine di detenuti vestiti con divise grigie bendati, sdraiati su materassi sottilissimi, circondati da filo spinato e con un aspetto fisico visivamente stremato. Una situazione ribattezzata da più parti come “L’Abu Ghraib israeliana” in riferimento agli scandali nelle prigioni irachene avvenuti nel 2003.

Il trattamento dei detenuti palestinesi

I testimoni, che temono ripercussioni da parte dei sostenitori della “linea dura” di Israele contro la Palestina, descrivono l’ambiante come accompagnato da un’aria fetida e da un continuo vociare sommesso. In riferimento a ciò viene specificato che ai detenuti è severamente vietato parlare fra di loro, e pertanto il continuo mormorio deriva da chi, in preda allo shock, parla con sé stesso.

Le guardie israeliane gridano di continuo agli internati la parola araba askut (اسكت, “state zitti”). A questi ultimi è stato ordinato di “non muoversi, stare sempre seduti dritti, non parlare e non sbirciare mai dalla benda sugli occhi“. Sempre alle guardie è stato esplicitamente autorizzato di punire i trasgressori se necessario. Di conseguenza avvengono frequenti pestaggi, perpetrati perlopiù per vendetta “per punire quello che i palestinesi hanno fatto il 7 ottobre 2023”. Meno di frequente le punizioni avvengono per motivi disciplinari come risposta ad un comportamento scorretto.

Sempre i testimoni parlano di medici che amputano gli arti dei prigionieri come conseguenza all’ammanettamento continuo che blocca la circolazione, oppure di operazioni mediche eseguite da medici non specializzati. Viene anche riferito di come un odore pungente di putrefazione dovuto alle ferite non curate lasciate in necrosi contamini l’aria. I detenuti catturati in combattimento rimasti feriti vengono lasciati abbandonati a letto in un ospedale da campo completamente nudi e solo con dei pannoloni addosso.

Le Forze di difesa israeliane non hanno ancora esplicitamente negato le accuse di condotte inappropriate. Tuttavia in un comunicato l’IDF (Israel Defense Forces, n.d.r.) ribadisce che «L’IDF assicura un trattamento appropriato nei confronti dei detenuti in custodia. Ogni accusa di condotta inappropriata perpetrata dai nostri soldati viene esaminata e trattata di conseguenza».

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