Italia Paese del ‘caro-mutui’: quelli a tasso fisso non accennano a calare, mentre su quelli variabili rimane l’incognita ‘spread’, spesso molto elevato e quindi maggiormente rischioso in caso di rialzi dei tassi di riferimento a livello europeo.
È quanto risulta dalle elaborazioni delle associazioni di consumatori che sottolineano come, nel caso del fisso, i tassi applicati siano “perfino superiori al 6%”, contro un tasso Bce all’1%“; quelli variabili, anche se attualmente più contenuti, sono anche più “pericolosi”, perché soggetti ad eventuali aumenti futuri della banca centrale europea.
Proprio per questo, “anche nell’attuale fase si continua a consigliare tassi fissi”.
A mettere in guardia i consumatori è Elio Lannutti (Adusbef) che ha anche stilato una classifica degli istituti convenienti a seconda delle diverse tipologie di mutuo richiesto.
Dalla classifica emerge, ad esempio, che per un mutuo a 10 anni l’offerta più conveniente sul variabile viene dal Monte dei Paschi di Siena.
Sull’altro fronte, Barclays Bank risulta essere la banca che impone i tassi variabili più alti, al contrario dei tassi fissi, dove invece offre le rate più convenienti.
Adusbef, spiega una nota, “ha elaborato una comparazione dei migliori tassi offerti dalle maggiori banche, sia fissi che variabili per un mutuo di 200.000 euro con durata decennale, ventennale e trentennale“.
L’associazione dei consumatori consiglia ai mutuatari di evitare quanto accaduto in passato. Quando 3,2 milioni di famiglie su 3,5, Seguendo i consigli delle banche, furono costrette ad indebitarsi a tassi indicizzati più bassi.
Precisamente accadde che:
Seguendo i consigli delle banche, furono costrette ad indebitarsi a tassi indicizzati più bassi, soprattutto per la strategia degli istituti di credito che avevano ritirato dal mercato i prestiti a tasso fisso, con le ricadute negative su rate aumentate anche del 50% a seguito dell’aumento del costo del denaro.
Ecco alcune rilevazioni sui tassi elaborate da Adusbef
MUTUO 10 ANNI
L’offerta più conveniente viene da Che Banca con un Taeg del 5,04%, sebbene il Tasso annuo nominale più basso sia quello di IntesaSanpaolo e Banca Popolare di Bari (entrambe con Tan del 4,85%). Cariparma impone i tassi più alti: Tan del 5,61%, Taeg 5,94%.
MUTUO 20 ANNI
I tassi crescono da mezzo a circa un punto rispetto al mutuo decennale. L’offerta più vantaggiosa è di Che Banca: con un Taeg del 5,57%. BNL presenta il Tan più basso (5,35%) ma il Taeg risultante (5,65%) è maggiore di quello di Che Banca. Il taeg più alto è imposto da BHW col 6,08%.
MUTUO A 30 ANNI
Da Banca Woolwich e Barclays Bank gli interessi più bassi, al di sotto del 5%: per entrambi il Tan è del 4,70% e il Taeg è del 4,87%. L’offerta più pesante è quella di Banca Sella: Tan del 5,87% e Taeg del 6,24%.
TASSO FISSO
In assoluto, per le tre scadenze (10, 20, 30 anni) il mutuo a tasso fisso più conveniente è quello trentennale offerto da Banca Woolwich e da Barclays Bank, con interessi al di sotto del 5% (per entrambe le banche: Tan 4,70% e Taeg del 4,87%), con rate per 1.037 euro mensili.
Sempre per le tre scadenze, il mutuo a tasso fisso più costoso è quello trentennale di Banca Sella, con un Taeg del 6,24% e rata di 1.182 euro. Il Taeg incorpora le spese di istruttoria (da 250 a 300 euro) e quelle di perizia (circa 300 euro).
TASSO VARIABILE
L’interesse applicato è pari a circa la metà di quello applicato ai mutui a tasso fisso. Per un mutuo a 10 anni, l’offerta più conveniente viene da Mps con un Taeg del 2,28% e con un Tan del 2,12%. È Barclays ad imporre i tassi più alti, con un Tan del 2,88% ed un Taeg pari al 3,03%.
L’incertezza e le crisi dei mercati internazionali hanno portato un malessere generale sulle iniziative e sullo sviluppo delle microimprese, da sempre ruota trainante delle economia nazionale.
La burocrazia e l’ottusità delle istituzioni non incoraggia l’imprenditore o l’impresa consolidata ad effettuare ulteriori investimenti.
I “consumatori” che preferiscono privilegiare i risparmi alle spese, timorosi del futuro, la mancanza di dati precisi sulla congiuntura mondiale e dei settori veramente trainanti.
Siamo in una situazione in cui la possibilità di trovare un posto di lavoro “fisso” sta diventando un miraggio, e la speranza di pianificare una vita diventa un sogno difficile da raggiungere.
Sembra una catastrofe, forse no
Esistono ancora dei settori dove la piccola impresa e l’autoimpiego possono creare profitto, basta buona volontà e iniziativa per creare dal niente un’attività autonoma e redditizia, ricordiamoci che la nostra Regione può ancora dare tanto, sia nei settori dell’artigianato e del turismo.
Bisogna fare uno sforzo e capire che “il rischio imprenditoriale” non è una malattia mortale è qualcosa che si può riuscire a gestire e trarre qualcosa di buono.
In questo periodo si parla tanto di crisi economica e molte persone la vedono con pessimismo e si spingono a fare delle previsioni addirittura catastrofiche.
Vedere la crisi con occhi diversi, intravedendo delle opportunità anche in una fase così delicata significa avere una visione ottimistica della vita.
L’ottimismo ci aiuta anche e soprattutto nei momenti difficili e fa scorgere opportunità laddove altri vedono solo nero.
Anche i mass media pigiano sull’acceleratore della crisi e, pur di fare audience, continuano a parlare dell’attuale fase economica come se tutto il mondo dovesse crollare, come se non ci fosse via d’uscita.
In questa fase si possono scorgere i veri ottimisti, persone che riescono a vedere il bicchiere mezzo pieno anche in situazioni di difficoltà estrema quando dominano il pessimismo e la paura, la crisi sembra più nera di quanto non lo sia nella realtà e si prevede il peggio.
Bisogna quindi guardare l’attuale fase economica con spirito ottimista, ma con razionalità, convincendoci che si può uscire da un periodo nero col pensiero positivo avendo però l’accortezza di passare all’azione: quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare…
Nel cervello c’è solo spazio per una delle due cose: ottimismo e pessimismo
Queste non possono coesistere: un pizzico di pessimismo è un ottima fonte di realismo, ma affondarci dentro vuol dire fare la fine del Kamikaze.In altre parole se si profetizza che tutto andrà male è probabile che il futuro ci darà ragione per il semplice fatto che saremo noi, in primis, a contribuire all’avverarsi della profezia.
Assumere un approccio più ottimista e positivo non può che far bene: il che non vuol dire illudersi ma cercare di affrontare I problemi con uno spirito più energico e propositivo.
E non si tratta solo di buoni propositi e belle parole, ma anche di pura neuropsicologia: è infatti un fatto scientifico che chi adotta un approccio positivo verso le cose si rivela più energico e riesce più facilmente ad uscire da una situazione problematica.
Insomma, se preferite piangetevi addosso e strizzate i fazzoletti, ma questo potrebbe solo peggiorare la situazione.
Per dirla come un saggio se hai male al piede non ti sarà di grande utilità darci sopra dei colpi di clava.
L’anatocismo (dal greco ἀνατοκισμός anatokismós, «usura») esprime un metodo di calcolo degli interessi per il quale gli interessi maturati secondo una certa periodicità, pattuita tra creditore e debitore, sono essi stessi produttivi di altri interessi, cioè sono sommati al capitale dato in prestito (capitalizzati) in modo tale da contribuire (insieme al capitale) a maturare altri interessi nei periodi successivi.
Questo metodo di calcolo favorisce il creditore a discapito del debitore.
Un esempio chiarirà meglio il concetto
Tasso d’interesse: 10%
Capitale iniziale: € 1.000,00
Periodicità di liquidazione degli interessi: trimestrale
Quando non c’è l’anatocismo si ha:
Interesse trimestrale = (1.000,00 x 3 x 10)/1200 = € 25,00
Quindi, ogni trimestre i 1.000 euro di capitale fruttano sempre € 25,00
Con l’anatocismo:
Interesse del primo trimestre = (1.000,00 x 3 x 10)/1200 = € 25,00
Interesse del secondo trimestre = [(1,000,00 + 25,00) x 3 x 10]/1200 = € 25,625
Interesse del terzo trimestre = [(1.025,00 + 25,625) x 3 x 10]/1200 = € 26,265625
e così via per gli altri trimestri…
Quindi, con l’anatocismo aumentano gli interessi da corrispondere al creditore.
Questo fenomeno dell’anatocismo era proprio quello che accadeva alle liquidazioni degli interessi sui conti correnti bancari.
Infatti, quasi tutte le Banche liquidavano gli interessi a debito del correntista con frequenza trimestrale, mentre liquidavano gli interessi a credito dello stesso solo con cadenza annuale.
Ciò provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi ed il conseguente fenomeno dell’anatocismo, perché venivano calcolati interessi su interessi.
La storia dell’anatocismo bancario
Il divieto dell’anatocismo (bancario e non) è sempre esistito nel nostro ordinamento giuridico in virtù dell’art. 1283 del Codice Civile.
Tuttavia le Banche agivano legittimamente quando applicavano la sopraesposta metodologia di calcolo degli interessi sui conti correnti, perché tale comportamento consuetudinario era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza, almeno fino al momento in cui ha preso il via tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti la fattispecie dell’anatocismo.
Processo di revisione culminato con la definitiva sentenza del 4 novembre 2004, n. 21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale in sostanza si afferma l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo.
Prima di questa sentenza c’era stato l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999
Prima di questa famosa sentenza c’era stato comunque l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999, comma 2, che, introducendo un nuovo comma all’art. 120 del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), ha previsto la possibilità di stabilire, tramite un’apposita delibera del Cicr (Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio), le modalità ed i criteri di produzione degli interessi sugli interessi (anatocismo), maturati nell’esercizio dell’attività bancaria, purché fosse rispettata la stessa periodicità sia nel conteggio sui saldi passivi, sia su quelli attivi.
In sostanza, la volontà legislativa, trasfusa nel TUB, è nel senso della non illegittimità del comportamento delle Banche qualora queste provvedano a liquidare periodicamente non solo gli interessi maturati a loro favore, ma anche quelli a credito del correntista.
È sufficiente il riconoscimento di questa reciprocità di trattamento e quindi la contabilizzazione sul conto corrente di eventuali interessi a credito della clientela, per essere in regola con le norme legislative disciplinanti il complesso fenomeno dell’anatocismo.
Il sigillo ufficiale al suddetto nuovo corso in tema di calcolo degli interessi bancari è stato poi apposto dalla sentenza del Cicr emanata il 9 febbraio 2000, la quale ha definitivamente fissato il momento di decorrenza dell’obbligo, a carico delle Banche, di riconoscere ai correntisti pari periodicità nella liquidazione degli interessi.
Questo momento è venuto quindi a coincidere con la liquidazione del 30 giugno 2000 e vedremo quanto questa data sia di grandissima rilevanza ai fini del ricalcolo degli interessi anatocistici.
Aspetti pratici
Occupiamoci ora degli aspetti pratici che deve affrontare chi è costretto a quantificare l’importo degli interessi anatocistici, allo scopo valutare la convenienza o meno di un’eventuale richiesta di rimborso.
Importantissima è la determinazione del momento iniziale e finale del periodo incriminato (per il quale vanno fatti i calcoli).
Il momento finale è necessariamente quello sopra indicato della liquidazione di giugno 2000, perché da tale mese le Banche si sono adeguate alla normativa anti-anatocistica e pertanto da allora gli interessi maturati sui conti correnti sono per definizione legittimi.
Di conseguenza qualsiasi ricalcolo degli interessi sugli interessi deve fermarsi agli interessi liquidati a marzo 2000, in quanto questi sono da considerarsi gli ultimi interessi anatocistici prodotti dal sistema bancario italiano.
Tutto quello che è successo sul conto corrente dopo il 31 marzo 2000 è completamente irrilevante ai fini dell’anatocismo ed il periodo successivo (fino ad oggi ovvero fino all’estinzione del conto) è da prendere in considerazione solo per la normale rivalutazione (in base ai tassi d’interesse) delle somme dovute risultanti dai nuovi conteggi effettuati.
Quanto detto comporta la necessaria conseguenza che i conti correnti aperti successivamente al 31 marzo 2000 sono completamente al di fuori della tematica anatocistica e pertanto nulla può essere reclamato alle Banche dai loro titolari.
Più controversa è la determinazione del momento iniziale da prendere in considerazione per rifare i calcoli computistici dell’interesse sui conti correnti
Premettendo che il termine di prescrizione per richiedere eventuali somme pagate in più è quello ordinario di 10 anni, la domanda che dobbiamo porci è da quando partono questi 10 anni, in modo da risalire al momento iniziale del periodo che stiamo cercando.
Qui sussistono due atteggiamenti giurisprudenziali decisamente diversi.
Da una parte, alcune sentenze sottolineano la rilevanza giuridica dei singoli atti di addebito periodico degli interessi e quindi la prescrizione decennale riguarderà i 10 anni antecedenti la data di presentazione della domanda giudiziale di rimborso degli interessi anatocistici.
Ciò comporta, per esempio, che una domanda giudiziale di rimborso presentata nel 2005 dovrà riguardare solo i 10 anni antecedenti e pertanto non potrà andare oltre il 1995.
Siccome il momento finale del nostro nuovo calcolo degli interessi è stato sopra identificato con marzo 2000, sarà possibile contestare gli interessi maturati sul conto corrente solo per il periodo che va dal 1995 al 2000 (marzo).
Da un’altra parte, alcune sentenze dei Tribunali italiani evidenziano invece il carattere unitario del conto corrente, e non i singoli movimenti di addebito degli interessi
Questo atteggiamento ha effetti più radicali perché porta ad identificare la data da cui parte la prescrizione decennale con l’estinzione del conto corrente (quindi la data iniziale del periodo sarebbe quella calcolata andando 10 anni indietro rispetto al giorno d’estinzione del rapporto).
Per esempio un conto corrente chiuso in febbraio 2003 avrebbe un periodo incriminato che andrebbe da febbraio 1993 a (sempre) marzo 2000.
Inoltre, per effetto di questa interpretazione giurisprudenziale potrebbe verificarsi la fattispecie, di non poco rilevo, che per i conti correnti ancora in essere, non avendo essi un termine di decorrenza della prescrizione, si potrebbe richiedere il rimborso degli interessi pagati in più (per effetto dell’anatocismo) addirittura dalla loro costituzione, anche se questa risale alla notte dei tempi.
Per esempio un conto corrente aperto nel 1974 ed ancora in essere presso l’Istituto di credito, darebbe diritto a richiedere il rimborso degli interessi anatocistici per il periodo 1974 – marzo 2000 (sempre questo).
Tuttavia ci sembra agevole dimostrare come questa seconda interpretazione dei giudici italiani sia nella pratica facilmente riconducibile alla prima
Tuttavia ci sembra agevole dimostrare come questa seconda interpretazione dei giudici italiani sia nella pratica facilmente riconducibile alla prima, cioè a quella che vuole la prescrizione decennale decorrere dalla data di presentazione della domanda giudiziale di rimborso, la quale tesi ci appare dunque l’unica soluzione materialmente percorribile.
Il motivo di questa conclusione è oggettivamente indiscutibile, checché ne dica parte della giurisprudenza e anche della dottrina: ad una domanda di rimborso che richiedesse la restituzione di interessi su interessi per un periodo superiore ai 10 anni antecedenti la data odierna, le Banche risponderebbero semplicemente che, non avendo più a disposizione la documentazione relativa al periodo eccedente i 10 anni passati, non sarebbero in grado di fornire alcun dato, né di effettuare nessun tipo di conteggio.
Infatti, le Banche, come tutte le altre Aziende, sono, per disposizione del codice civile, tenute a conservare tutta la documentazione delle operazioni effettuate “solo” per 10 anni, avendo poi la facoltà di stracciare tutto questo materiale di archivio.
Quindi, tranne il caso puramente ipotetico del correntista che abbia conservato con cura per l’intero periodo tutti (nessuno escluso) gli estratti conto ed i conti scalari (questi ultimi sono i documenti da cui risultano tassi e condizioni), il ricalcolo degli interessi, per periodi maggiori di quello che parte da 10 anni fa ed arriva sempre a marzo 2000, è praticamente impossibile.
Conclusioni
Per concludere accenniamo alla questione della Commissione di Massimo Scoperto (CMS), che è quella spesa che gli Istituti di credito fanno pagare sul massimo scoperto di conto del periodo interessato.
Su questo aspetto c’è da dire che nessuna norma si è finora interessata della questione, avendo la legislazione anatocistica sempre riguardato l’illegittimità dei soli interessi e non delle spese.
È anche vero che modificandosi gli uni (gli interessi), si modifica (in peggio) anche l’altra (la CMS).
Tuttavia il calcolo della nuova commissione (sui nuovi saldi) è di estrema difficoltà e la sua domanda di rimborso non avrebbe allo stato, secondo alcuni, nessun fondamento normativo di giustificazione.
Ci limitiamo pertanto a dire che, nel silenzio legislativo e giurisprudenziale, ogni conclusione in merito è giusta e sbagliata al tempo stesso.
In questa scheda vengono sinteticamente evidenziate le differenze tra l’attività autonoma e quella d’impresa nella sua duplice versione, individuale e societaria.
Il lavoro autonomo: Il lavoratore autonomo, così come descritto nel Codice Civile, è colui che compie, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincoli di subordinazione nei confronti del committente.
Le forme di società in cui svolgere un’attività autonoma sono:
Esercizio di arti e professioni,
Collaborazione coordinata e continuativa,
Prestazione occasionale.
Si considera artista o professionista chi svolge un’arte o una professione non come dipendente, ma comunque con carattere di abitualità.
Distinguiamo ancora tra professioni protette, per l’esercizio delle quali è richiesta l’iscrizione preventiva in albi, ordini, elenchi (si pensi all’avvocato, all’architetto, al commercialista…), subordinata di norma al superamento di un esame di stato, e professioni libere per le quali non è richiesta alcuna iscrizione (artisti, consulenti, ecc.).
Dal punto di vista fiscale e previdenziale occorre sapere:
Aprire partita IVA;
Iscriversi all’INPS, o ad altre casse specifiche per le professioni protette,
Versarvi i contributi previdenziali;
Tenere una regolare contabilità
Dichiarare i redditi percepiti.
La seconda forma del lavoro autonomo è rappresentata dalla collaborazione coordinata e continuativa, un’attività lavorativa prestata senza vincolo di subordinazione, ma comunque in modo continuativo.
A differenza del lavoro dipendente in questo caso non si viene assunti dal datore di lavoro, ma si presta la propria opera secondo quanto concordato con il committente. Attualmente questa forma è sostituita dal Contratto a progetto.
Dal punto di vista fiscale e previdenziale:
Non è necessaria l’apertura della partita IVA;
Viene trattenuta direttamente dal committente una ritenuta d’acconto ai fini IRPEF pari al 20% dei compensi;
È necessaria l’iscrizione all’INPS e il versamento ai fini previdenziali (attualmente, l’aliquota per chi non è già iscritto all’INPS o ad altre casse è del 12%, di cui 1/3 a carico del lavoratore e 2/3 a carico del datore di lavoro);
Deve essere presentata la dichiarazione dei redditi.
Prestazione occasionale
Se invece la prestazione di lavoro è un fatto occasionale, non ripetitivo (es. la distribuzione occasionale di volantini pubblicitari) allora si effettua una prestazione occasionale.
Questa situazione non richiede l’apertura della partita IVA.
È assoggettata alla ritenuta d’acconto del 20%, non richiede iscrizioni o versamenti previdenziali, ma esiste comunque l’obbligo di dichiarazione dei redditi.
L’art. 2082 del Codice Civile definisce imprenditore è colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.
Perché si possa parlare di impresa l’imprenditore deve operare sul mercato
Perché si possa parlare di impresa deve, innanzitutto, esserci un’attività economica, ovvero l’imprenditore deve operare sul mercato (ad esempio è imprenditore agricolo chi coltiva il terreno e vende i prodotti che ottiene al mercato, mentre non lo è chi produce solamente per il suo consumo).
Poi necessario che l’attività sia svolta in maniera professionale, cioè in modo abituale o periodico (come, ad esempio, il lavoro di un negoziante, ma anche del gestore uno stabilimento balneare).
Ultimo requisito è l’organizzazione, ovvero la gestione coordinata delle risorse umane, tecniche e finanziarie da parte dell’imprenditore. Esistono diverse forme giuridiche di impresa previste dal codice civile.
Distinguiamo la forma dell’impresa individuale dalle altre forme di società
Distinguiamo innanzitutto la forma dell’impresa individuale (in cui l’imprenditore è uno solo), dalle forme societarie (in cui più persone si uniscono per esercitare insieme l’attività di impresa).
L’impresa individuale fa capo ad una sola persona, che è l’unica responsabile della sua gestione (ad esempio un idraulico, un elettricista, una parrucchiera).
Per lo svolgimento dell’attività l’impresa individuale può avvalersi di dipendenti e/o collaboratori.
Se il titolare gestisce l’attività con la collaborazione dei propri familiari (coadiuvanti) può dar vita ad una impresa familiare.
In questo caso al titolare spetta almeno il 51% dell’utile, mentre il coadiuvante ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e alla divisione degli utili in rapporto al lavoro prestato.
Dal punto di vista fiscale e previdenziale occorre:
Richiedere eventuali licenze o autorizzazioni amministrative, sanitarie, ecc.;
Aprire una posizione IVA;
Iscriversi al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio;
Iscriversi all’INPS ed eventualmente all’INAIL.
Se, invece, due o più persone si accordano per gestire insieme un’attività economica, formano una società la cui costituzione deve avvenire per atto pubblico (ovvero davanti a notaio).
La costituzione di una società offre agli imprenditori il vantaggio di poter unire le forze
La costituzione di una società offre agli imprenditori il vantaggio di poter unire le forze (soprattutto economiche) per la realizzazione dell’attività nonché un minor rischio personale. Le società si dividono in società di persone e società di capitali.
In particolare la prima, in cui la figura dei soci è più importante del capitale da essi conferito, non hanno personalità giuridica, non sono, cioè soggetti giuridici distinti dalle persone dei soci i quali hanno, di norma, una responsabilità illimitata e solidale di fronte a eventuali problemi della società.
Le società di persone sono:
La società semplice (la tipologia più diffusa in agricoltura)
La società in nome collettivo (dove, semplificando, tutti i soci esercitano l’attività imprenditoriale)
La società in accomandita semplice (in cui alcuni soci esercitano l’attività altri sono apportatori di capitale).
È la società di capitali e non il singolo socio a essere titolare dei diritti e degli obblighi dello svolgimento dell’attività d’impresa.
Le società di capitali hanno personalità giuridica ed è quindi, la società e non il singolo socio, a essere titolare dei diritti e degli obblighi che nascono dallo svolgimento dell’attività d’impresa.
Le società di capitali sono:
La società a responsabilità limitata (la forma più piccola di società di capitali, dove i soci esercitano l’attività ma l’amministrazione può essere affidata anche a non soci);
La società per azioni (forma giuridica idonea per le imprese che presentano un tasso di rischio ed un volume di investimenti piuttosto elevati).
Un cenno a parte è necessario per le società cooperative che sono società che esercitano attività d’impresa perseguendo uno scopo mutualistico.
Tale scopo si traduce, in concreto, nel fornire beni e servizi o occasioni di lavoro direttamente ai soci a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato.
Questo tipo di società infine richiede un numero minimo di soci pari a 9 (ad eccezione della piccola società cooperativa il cui numero di soci può variare da un minimo di 3 ad un massimo di 8).
Utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Lo facciamo per migliorare l'esperienza di navigazione e per mostrare annunci personalizzati. Il consenso a queste tecnologie ci consentirà di elaborare dati quali il comportamento di navigazione o gli ID univoci su questo sito. Il mancato consenso o la revoca del consenso possono influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.