Quando la sonda Lro (Lunar Reconnaissance Orbiter) lanciata dalla Nasa comincerà ad osservare il suolo lunare, potrà vedere ciò che è rimasto delle missioni Apollo che 40 anni fa hanno portato per la prima volta l’uomo sulla Luna.
Potrà vedere, per esempio, il modulo di atterraggio Eagle con cui il 20 luglio 1969 il comandante della missione Apollo 11, Neil Armstrong, e Buzz Aldrin toccarono il suolo lunare, e potrà vedere anche i moduli delle altre cinque missioni del programma Apollo che hanno portato uomini sulla Luna.
LO SBARCO SULLA LUNA
Gli sforzi compiuti per anni da 400.000 persone culminarono nella missione Apollo 11, che il 16 luglio 1969 partì dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral (Florida) e il 19 raggiunse l’orbita lunare.
Alle 22,17 (ora italiana) del 20 luglio Neil Armstrong e Buzz Aldrin toccavano il suolo lunare a bordo del modulo Eagle, mentre il loro compagno Michael Collins controllava il modulo di comando Columbia.
Intanto, dalla Terra, oltre 500 milioni di persone seguivano le immagini dello sbarco trasmesse in diretta dalle TV di tutto il mondo.
CORSA ALLA LUNA
A più di 50 anni dallo sbarco, le 170 tonnellate di oggetti lasciati dall’uomo sul suolo lunare raccontano la storia di una corsa allo sbarco molto diversa da quella attuale.
Toccare il suolo lunare era l’obiettivo della sfida tra Stati Uniti e Unione Sovietica nata in piena Guerra Fredda e nella quale l’Urss aveva affermato il 4 ottobre 1957 il suo primato agli occhi del mondo lanciando con successo il primo satellite artificiale, lo Sputnik.
Le testimonianze sono ancora sparse sul suolo lunare, tra Mare delle Nuvole e Mare della Tranquillità, dove sono cadute le sonde sovietiche lanciate alla fine degli anni ’50.
Nel Mare della Serenità c’è il simbolo di un altro primato sovietico, la sonda Luna 2, primo oggetto costruito dall’uomo ad avere mai toccato il suolo lunare.
Ma nel Cratere Copernico e nell’Oceano delle Tempeste si trovano i simboli della riscossa americana, con le sonde Surveyor lanciate fra il 1966 e il 1977.
Il Lago dell’Eccellenza racconta invece una storia molto più vicina e molto diversa, nella quale alla corsa alla Luna si affacciano nuovi protagonisti, come l’Europa: È qui che nel 2006 si è ”tuffata” la sonda Smart 1, dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).
UN LUNGO SILENZIO
L’ultimo uomo a camminarci sopra è stato, nel dicembre 1972, Eugene Cernan, membro della missione Apollo 17.
Poi la corsa si è fermata per un lunghissimo periodo. Un silenzio che, secondo gli esperti, si potrebbe spiegare con l’immensa mole di dati e materiali (382 chilogrammi di rocce lunari) portati a Terra dalle missioni Apollo e Luna.
Ma nel frattempo l’arrivo dello Shuttle e la nascita della Stazione Spaziale Internazionale (Iss) avevano concentrato tutta l’attenzione, mentre le missioni scientifiche si sono concentrate sugli altri pianeti del Sistema Solare, allora sostanzialmente sconosciuti.
NUOVI PROTAGONISTI
Dall’epoca dello sbarco sulla Luna le cose sono molto cambiate; non c’è’ più la contrapposizione fra due blocchi, ma una gara fra nazioni che vogliono affermare la loro importanza a livello tecnologico, come Cina e India, e nazioni, come gli Stati Uniti, che vogliono mantenere la leadership conquistata 40 anni fa
Enrico Flamini, Responsabile dell’Unità per l’osservazione dell’universo dell’Agenzia Spaziale Italiana (2009)
Osserva il responsabile dell’Unità per l’osservazione dell’universo dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Enrico Flamini.
E stanno nascendo nuove alleanze, come quella fra Russia e India, che punta a portare un veicolo Rover sulla Luna.
L’onestà è nel cervello e chi ne è dotato non ha bisogno di trattenersi dall’imbrogliare ma si comporta in modo naturalmente onesto, senza sforzi.
Lo dimostra uno studio di Joshua Greene e Joseph Paxton della Harvard University di Boston, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
Grazie a questo studio, quindi, gli esperti hanno messo a punto un ‘test dell’onesta”, per capire chi è onesto di indole e chi, invece, se ha l’occasione tende ad imbrogliare.
Riportato sul magazine scientifico New Scientist, lo studio potrebbe avere risvolti pratici discutibili: una volta validato, un test simile potrebbe essere usato, per esempio, per ‘controllare’ gli impiegati e la loro onestà sul luogo di lavoro.
Il test dell’onestà si basa su un gioco semplice, il lancio di una moneta
I partecipanti devono scommettere sull’esito (testa o croce) del lancio; nella prima parte del test, prima del lancio, i volontari devono scrivere su un foglio cosa prevedono esca.
Nella seconda parte, invece, devono dire, a lancio avvenuto, se avevano previsto giusto (e quindi sta a loro dire se hanno vinto o meno la scommessa).
È ovvio che questa dichiarazione sta alla loro onestà personale, perché potrebbero imbrogliare e dire di aver ‘azzeccato’ l’esito del lancio e quindi vinto la scommessa.
Eppure, in molti casi i volontari sembrano rispondere con onestà senza approfittare dell’opportunità di imbroglio; mentre altri tra loro (lo si capisce con la statistica di successo della previsione) imbrogliano di certo, dicendo di aver previsto bene l’esito del lancio.
Durante queste dichiarazioni i neurologi hanno monitorato aree del loro cervello, come la corteccia prefrontale, legate alle decisioni e al controllo dei comportamenti, usando la risonanza magnetica funzionale.
Così hanno visto che nel cervello degli onesti non si accendono queste aree prima di dichiarare che hanno vinto o perso la scommessa; viceversa esse si accendono nel cervello degli imbroglioni.
Secondo i neurologi, ciò significa che l’onestà è un comportamento di default che non richiede autocontrollo da parte del cervello, come a dire che per gli onesti non vale il detto “l’occasione fa l’uomo ladro”. I disonesti, invece, devono pensare al fatto se sfruttare o meno l’occasione di imbrogliare.
Con questa ricerca tratteremo il modo in cui la cultura alimentare sarda si è legata col tempo all’antichissimo al folklore locale. Andremo a vedere come con certi rituali, spesso legati a suggestioni e credenze locali, le persone tentavano semplicemente di alleviare la vita di ogni giorno.
Non solo Pane: Folklore nella cultura alimentare sarda
Da sempre l’umanità ha individuato negli alimenti, o nei derivati animali e vegetali, tanto gli elementi utili a garantire la sopravvivenza in senso stretto, quanto gli aspetti delle valenze magico/rituali in funzione terapeutica o scaramantica.
Queste ultime a volte sconfinano in quella che è comunemente definita superstizione, a volte invece, alla luce delle nuove scoperte scientifiche, si dimostrano realmente in grado di sconfiggere determinate malattie o di prevenirne l’insorgere.
Numerosi ricercatori hanno affrontato questo argomento con taglio diverso secondo la loro specializzazione.
Così abbiamo avuto, di volta in volta, spiegazioni di tipo sociologico, antropologico, psichiatrico e religioso ecc…
Non è mia intenzione tentare ulteriori analisi particolareggiate, per le quali rimando agli autori dei testi specifici della bibliografia essenziale citata
Semplicemente vorrei mostrare alcuni di questi aspetti legati agli alimenti, e rilevare come, nonostante la pressione delle culture egemoniche, che da sempre hanno tentato di sopprimerle, siano arrivate pressoché intatte fino ai giorni nostri e che solo oggi, stiano realmente svanendo nell’oblio a causa della massificazione dei costumi e della scomparsa della cultura orale tradizionale, che in alcuni casi era la sola deputata a tramandarle.
Storie di tradizione orale
Alcuni di questi riti magico/terapeutici sono già stati registrati, altri sono a tuttora assenti nei vari testi di d’etnologia.
Si riesce a venire a conoscenza solo dopo ore, o addirittura giorni, di paziente conversazione con le persone anziane.
Queste, infatti, tendono a riportare fatti per lo più già noti, o comunque che si sono conservati anche nella memoria più recente, chiudendo così il discorso con l’interlocutore.
Ma se si presenta loro la dovuta attenzione, anche quando si parla magari d’altro, improvvisamente salta fuori qualcosa di nuovo.
Qualcosa che magari era stato rimosso da una sorta di censura etica, o forse solo dimenticato.
Del resto, tutte le occasioni importanti, nell’arco dell’anno o della vita umana, sono sancite da tradizioni particolari, volte, come ho già detto, a tutelare un’esistenza che si prospetta precaria e in balia di eventi sconosciuti e ingovernabili.
Rituali esoterici per alleviare la vita
Ecco allora le storie di spiriti, di anime in pena che causano sofferenze, se non si rabboniscono in qualche modo.
Non si tratta di veri e propri riti di tipo apotropaico, bensì di azioni volte a migliorare le condizioni dei vivi, e con loro anche dei defunti, che spesso si aggirano ancora nel mondo nell’attesa della pace eterna, e che potrebbero essere addirittura parenti delle persone che “vanno a visitare”.
Queste si preoccupano quindi di rendere più lieve la loro attesa, con preghiere o azioni materiali volte a soddisfare le supposte necessarie.
A questo punto, anche il pianto, apparentemente senza motivo, di un bambino piccolo, che tra le braccia dei genitori non trova conforto, e nel lettino ancora meno, può essere causato da qualcosa di soprannaturale.
Ai genitori, ormai stremati, era consigliato, solitamente da un’anziana della famiglia, di mettere un pezzo di pane sotto il cuscino del piccolo, questi sotto la spinta della disperazione eseguivano, il bambino, dopo un po’, tornava tranquillo (non è dato sapere dopo quanto tempo) e con lui anche i genitori.
Le anime che lo infastidivano, trovato il pane, si erano messe a mangiare lasciandolo finalmente tranquillo.
Che le anime se ne andassero in giro giorno e notte cercando di mangiare non è una novità (basti pensare all’antico Egitto), ma in Gallura, ancora ai primi del novecento (e in alcune zone, anche oggi) la Notte dei Santi, si allestiva un vero e proprio banchetto ad uso e consumo delle stesse.
Una tovaglia bianca, apparecchiatura festiva, pane, vino e cibo, erano poggiati sul tavolo della cucina, la porta che si affacciava verso l’esterno era lasciata aperta e la famiglia andava a letto.
Le anime avrebbero avuto di che soddisfare la fame. Al mattino il tavolo era ripulito.
Nessuno aveva visto niente, solo a qualcuno era parso di sentire dei rumori provenienti dal locale in cui era esposto il cibo, ma del resto, chi mai si sarebbe sognato di andare a controllare?
Ovviamente poi, il fatto che il cibo fosse scomparso, dava ragione a chi quest’usanza continuava a perpetuarla
Solo qualcuno iniziava ad insinuare che forse non di anime si trattasse, ma di mendicanti o bontemponi…Inutile dire che la teoria era destinata a cadere inascoltata, o addirittura tacciata di eresia (ovviamente al contrario).
Anche la notte del 1° agosto si procedeva in modo simile
In quest’occasione si preparava un cunchinu di chjusoni (un bel piatto di gnocchi) conditi con formaggio e pomodoro fresco e, questa volta, si metteva sul davanzale.
Anche in questo caso, alle prime ore del giorno, il piatto era ripulito e le anime imbonite, con gran soddisfazione degli abitanti della casa che da questo fatto traevano auspici favorevoli per tutta la famiglia.
Di questa consuetudine rimane traccia nell’abitudine, ancora viva in alcune zone della Gallura, di preparare il 1° agosto, questa pietanza. Non sappiamo però se solo per i vivi, oppure anche per i trapassati.
Tradizioni al giorno d’oggi ormai perse
Un giustificato pudore impedisce di ammettere, oggi, una tale abitudine, anche per non essere esposti al ludibrio dei più “colti”.
Un’altra forma scaramantica, questa volta un po’ più complessa, anche perché gli informatori non sanno dare spiegazioni in merito, è quella di lu casju parafocu (il formaggio che ferma il fuoco).
In questo caso, il Giorno dell’Ascensione, l’allevatore/agricoltore prelevava una forma di cacio dalla scorta annuale, e, dopo averci inciso sopra, con un coltello, una croce, la conservava in un angolo della casa fino al termine della stagione estiva.
Questa forma possedeva la virtù di proteggere tutto il territorio, di proprietà dell’esecutore, dai temutissimi fuochi estivi.
Anche se, come già detto gli informatori non sanno spiegare questa usanza, da quanto dicono, pur non dichiarandolo apertamente, si può desumere che rappresentasse una sorta di tutela contro il male estremo per antonomasia.
Oltre a queste forme scaramantiche, altri espedienti costituiscono una via di mezzo tra queste e la medicina popolare.
Vi è, infatti, una fusione tra elementi magico – rituali ed altri che potrebbero avere, se opportunamente studiati, un riscontro spiegabile scientificamente.
Prendiamo ad esempio l’Ociu Casgju, preparato il giorno dell’Ascensione
Prendiamo ad esempio l’Ociu Casgju (olio del formaggio) che era preparato il Giorno dell’Ascensione.
In quella data si “segnavano” capretti e agnelli e si marchiavano i manzi. Mentre gli uomini attendevano a queste incombenze le donne preparavano il pranzo.
In questa occasione era d’uopo cucinare la mazza frissa, una salsa di condimento per gli gnocchi ottenuta con la panna di latte.
Durante la cottura, la panna rilasciava l’olio in essa contenuto, questo era raccolto in un vasetto e conservato per tutto l’anno come unguento medicinale, specificamente per lu mali di la ula e lu custuppatu (mal di gola e bronchi impegnati).
Spalmato sul torace e poi ricoperto cu la calta biaitta di la pasta (la carta straccia azzurra della pasta sfusa) o cu la bambacia (ovatta) era considerato infallibile.
In altre zone quest’olio veniva preparato il 3 febbraio.
In questo caso ci troviamo di fronte ad una corrispondenza perfetta tra il rito popolare e quello religioso,
Perché in questa data la Chiesa Cattolica celebra S.Biagio vescovo e martire (III-IV sec.)
A lui sono riconosciute qualità di taumaturgo, protettore degli animali, Santo dei fidanzati e… guaritore del mal di gola.
Questo perché avrebbe guarito un bambino che stava per morire soffocato da una spina di pesce;
Ma mentre la chiesa festeggia in quel giorno “la candelora”e nella cerimonia sacra sul collo dei fedeli il celebrante poggia una candela benedetta che poi, portata a casa, verrà utilizzata tutto l’anno con questa funzione.
Il popolo utilizza le sostanze che ha a disposizione, e che, se vogliamo, sono anche affini (cera – grasso) con le stesse finalità.
C’è da sottolineare che il fatto di sottolineare che il fatto di strofinare il torace con un unguento, causando il riscaldamento della zona interessata, potrebbe, in effetti, portare ad un miglioramento delle condizioni dell’ammalato.
Se poi questo unguento è stato preparato il giorno dell’Ascensione, e quindi nel periodo in cui le piante sono quasi al culmine delle loro proprietà curative, si può ipotizzare che parte delle loro sostanze attive si siano trasferite nel latte e quindi nel nostro olio.
È chiaro che sono solo ipotesi senza fondamento certo, ma quanta di questa saggezza popolare non è stata prima irrisa e poi accolta?
Si pensi semplicemente all’uso delle erbe, da sempre patrimonio della tradizione popolare ed ora accettata e ricercata da tutti.
Diverso il discorso dell’Uovo del giorno del 25 marzo
Qui, o ci si crede, o non ci si crede. Gli “antichi” ci credevano! L’uovo deposto dalla gallina il 25 Marzo, vale a dire nove mesi prima della nascita di Gesù, quindi nel giorno ipotetico del Suo concepimento, veniva raccolto e conservato in un luogo inaccessibile fino a Natale.
Non si doveva toccarlo per nessun motivo, pena la riuscita del “prodigio”, se ci si atteneva a queste regole, il giorno di Natale l’uovo sarebbe stato ormai di cera
A questo punto diventava anch’esso medicinale e, passato sulla gola malata, la guariva, poggiato su un arto dolorante ne leniva il dolore ecc…Questi sono solo alcuni esempi della miriade di riti che l’uomo ha ricercato o creato per risolvere i problemi di ogni giorno.
Oggi ci fanno sorridere, e forse ci meravigliamo dell’ingenuità dei nostri nonni, disposti a credere a simili panzane, ma…Stiamo bene attenti, perché, come si dice: “Quel che buttiamo via dalla finestra, rientra dalla porta”.
Quanti di noi, infatti, non si sono mai sentiti dire da qualcuno, non necessariamente più anziano: “Bevi il caffè stando seduto, altrimenti non diventerai mai ricco!”
E soprattutto, chi non si è seduto immediatamente, dopo una simile minaccia?
Quanti di noi, ancora, non si sono accodati alle schiere degli adepti della Notte di Halloween, muniti di zucca e sonagli, pronti ad andare in giro, all’insegna della nuova cultura egemone, per chiedere “dolcetto o scherzetto”? invece di: “Li molti e molti”, senza pensare che la festa di Halloween non è nient’altro che un rito simile a quelli che volutamente abbiamo seppellito, bollandoli come dabbenaggini da ignoranti.
Infine, visto che il filo conduttore del nostro discorso è la tradizione alimentare.
Come facciamo a sorridere dei nostri vecchi, che traevano auspicio da un piatto di gnocchi lasciato sul davanzale o dalle foglie d’olivo nummati (cui era dato il nome di un uomo e quello di una donna), gettate sul piano incandescente dei focolare se poi, puntualmente andiamo a guardare l’oroscopo del giorno.
E a Capodanno, per quanto già satolli, non rinunciamo a mangiare le lenticchie che, per il nuovo anno, saranno foriere di soldi?
E pensare che il Capodanno in Sardegna, una volta era in settembre …Una volta!…
È nato nel Mediterraneo, e non in Africa, il più antico degli antenati dell’uomo: parola di Lluc, l’ominide vissuto 11,9 milioni di anni fa e scoperto in Spagna.
La rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas ha pubblicato ilsuo “ritratto”, dall’aspetto moderno rispetto a quello delle altre scimmie antropomorfe.
A studiare questo nuovo antenato dell’uomo, il cui nome scientifico è Anoiapithecus brevirostris, è il gruppo spagnolo dell’Istituto catalano di Paleontologia, in collaborazione con il gruppo italiano del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Firenze.
“Il ritrovamento fornisce elementi nuovi nella comprensione della storia delle origini della nostra famiglia, Hominidae, che oltre all’uomo include orango, scimpanzé e gorilla“, osserva Lorenzo Rook, del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Firenze, che ha partecipato alla ricerca coordinata dallo spagnolo Salvador Moyà-Solà.
La scoperta di Lluc è avvenuta in Catalogna, nella località l’Anoia (che ha ispirato il suo nome scientifico), presso Hostalets de Pierola.
È vissuto nel Miocene medio ma i suoi resti, pochi ma ben conservati, rivelano un aspetto moderno, con un prognatismo molto ridotto.
Sono arrivati fino a noi parte della faccia e della mandibola, ma per gli studiosi sono sufficienti a dimostrare che le scimmie kenyapithecine sono da considerare il “sister taxon” degli ominidi attuali, vale a dire “il gruppo arcaico più vicino agli ominidi, quello in cui gli antenati dell’uomo affondano le radici“, spiega Rook.
La scoperta, prosegue lo studioso, indica inoltre che “la regione mediterranea è stata l’area di origine della nostra famiglia“.
Dalla ricostruzione fatta sulla base dei resti, risulta che Lluc era un maschio
Il restauro e la preparazione dei resti, spiegano gli studiosi, “sono stati molto lunghi ed estremamente delicati a causa della fragilità del reperto, ma una volta che il fossile è stato pienamente disponibile per lo studio analitico, la sorpresa è stata enorme“.
Il fossile, spiegano, “ha un aspetto mai visto in nessun primate fossile miocenico” e il suo aspetto “é confrontabile tra gli ominidi solamente con il prognatismo del nostro genere, Homo“.
Tuttavia, aggiungono, la morfologia della faccia non indica che Anoiapithecus abbia relazioni di parentela diretta con Homo, ma potrebbe essere il risultato di una convergenza morfologica.
Dal latino Sardinia, terra, isola dei Sardi (Sardi-orum). Nome con cui i romani chiamavano la Sardegna e nome della provincia romana di Sardegna, costituita nel 227 a.C.
I Greci chiamavano la Sardegna Sardò
I greci chiamavano la Sardegna Sardò, connettendola a Sardo, figlio di Eracle che secondo il mito sarebbe giunto nell’isola a capo di colonizzatori libici.
La Sardegna era chiamata dai greci anche Ichnussa, dal greco ichnos (orma di piede umano), per la sua caratteristica forma (da cui anche Sandaliotis, da sandalion, sandalo).
Il radicale s(a)rd- , che identifica l’ethnos dei sardi, appartiene al sustrato linguistico mediterraneo preindeuropeo. Si ritiene che i sardi della protostoria indicassero la loro terra e se stessi con nomi derivati da questa base.
La più antica sicura attestazione scritta dell’etnico (Srdn) è contenuta nella fenicia “Stele di Nora” risalente alla fine del IX sec. a.C .
Un altro importante documento risale al VI secolo a.C.
Si tratta di un trattato di amicizia stipulato dagli abitanti della potente città magno-greca di Sibari e dal popolo dei Serdàioi, i Sardi secondo alcune accreditate ipotesi, il cui testo fu inciso su una tavola di bronzo che fu deposta nel famoso santuario panellenico di Zeus ad Olimpia.
Diversi studiosi avanzano l’ipotesi che i Sardi siano da riconoscere anche nei Serdan-, uno dei “Popoli del Mare” menzionati nei documenti egiziani tra il XVI e il XIII secolo a.C. Ciò lascerebbe immaginare una civiltà nuragica eccezionalmente avanzata ed intraprendente a livello mediterraneo, aspetti che però l’archeologia non sembra avere ancora adeguatamente documentato.
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