autodifesa

[PRATICHE DI LOTTA] Le Arti Marziali: ed in Oriente?

Secondo la leggenda fu Bodhidarma, nel 520 d.C. a portare in Cina una serie di esercizi che fondevano aspetti di pratiche per la salute a movimenti di lotta

Secondo la leggenda fu i monaco indiano Bodhidarma, nel 520 d.C., a portare in Cina presso il tempio dei Monaci Shaolin ad Honan una serie di esercizi (18 per la precisione) che fondevano aspetti di pratiche arcaiche per la salute ed il vigore fisico a movimenti di lotta e pugilato.

Questi primi 18 esercizi vennero in seguito sviluppati in vari altri movimenti e forme dando origine a diversi metodi di lotta disarmata, con strumenti e armi bianche.

L’ipotesi ulteriore è che dalle feconde terre del Nilo si siano formate due grandi e forse collegate linee di pratica marziale:

  • La prima in Occidente, che ebbe come madri la cultura greca, i popoli indo europei (Celti in testa) ed i romani;
  • La seconda ad Oriente, che ebbe come padri i persiani, gli indiani e la culla nella vastità delle terre cinesi.

Tutto ciò che venne dopo mantenne senza dubbio il patrimonio genetico iniziale, ma modellò necessariamente al proprio ambiente e condizioni, le pratiche guerriere scoperte e tramandate, che si diffusero così nel corso dei secoli divenendo espressione compiuta delle diverse realtà geografiche.

Pratiche di lotta, ed altrove?

Ad Oriente l’India, la Cina con centinaia di scuole e stili di Kung Fu, il Giappone con altrettanti stili discendenti dall’antico Bujiutsu, la Corea con l’antica arte dei guerrieri Hwarang e persino la piccola isola di Okinawa con il Te-Kobudo una pratica armata e disarmata dalla quale alcuni studiosi vogliono derivi il Karate.

Nel sud est asiatico le arti guerriere trovarono forte sviluppo in diversi paesi tra loro vicini come la Thailandia (Muay Thay), il Vietnam (Vo- Viet –Vo – Dao), la Birmania con il Bando e all’estremo sud l’insieme di isole e arcipelaghi costituiti da Filippine Indonesia e Malesia (Bersilat- Silat, Kali) sinteticamente questa è la mappa marziale ad Oriente.

Sono nate altre discipline, anche su studi recenti legati agli aspetti difensivi, come il Krav Maga israeliano.

Conclusioni

Finisco questa breve carrellata dicendo che c’è stata una forte e straordinaria forza evolutiva nelle arti marziali, anche se in alcuni casi non si può più definire un’arte marziale, ma una lotta senza alcuna regola ed all’ultimo sangue!

Note


La nuova era del Ju Jitsu

Agli albori del Ju Jitsu lo Shogun, riscontrando nel periodo antecedente alla restaurazione dell’era Meiji (1868) la presenza di circa 1000 Ryu differenti, alcuni con migliaia, altri con poche decine di Ryusha, per conferire loro ordine e ufficialità impartì nel 1843 l’ordine di redigere il Bu Jutsu Ryu soroku (il trattato sulle scuole dell’arte del combattere) in cui si evidenziavano i 159 Ryu più importanti dell’epoca.

Ancora oggi le autorità giapponesi preposte scelgono ogni anno 46 Ryu per rappresentare i vari Ryugi nel Taikai (manifestazione sulle arti marziali tradizionali) che si svolge nel Budokan (il luogo dove si studiano e si praticano le arti marziali) di Tokyo.

I Ryu di Ju Jitsu sono in continua evoluzione tecnica e lo studio e il perfezionamento degli stili non deriva solo da uno spirito di miglioramento, ma anche dall’esigenza, come nel passato, di chi deve usufruire di quest’arte per compiti specifici, come nel caso della polizia o dei corpi speciali.

Negli ultimi anni il Ju Jitsu si è infatti affermato come valido supporto tecnico a chi vuole affrontare lo studio della difesa personale

A questo proposito è interessante sapere che già nel 1947 gli esperti della polizia giapponese avevano creato il Taiho Jutsu (un metodo per l’attacco e la difesa), un insieme di tecniche desunte dal Ju Jitsu e da diverse discipline marziali appropriate pe l’uso degli interventi di ordine pubblico e in azioni contro la criminalità.

Esso comprende inoltre tecniche di Taihen Jutsu (l’arte di muoversi silenziosamente), di Keibo Soho (le tecniche di bastone corto attinenti alla difesa), di Tokushu Keybo (il bastone telescopico) e molte altre ancora che vengono continuamente aggiornate e perfezionate.


IL JU JITSU IN ITALIA

Il Ju Jitsu, o “lotta giapponese“ come allora era denominato, fece la sua prima apparizione in Italia nel 1908 nel corso di una dimostrazione, a cui presenziò la famiglia Reale.

Fu tenuta da due sottufficiali della regia marina, il cannoniere Raffaele Pizzola e il timoniere Luigi Moscardelli, che lo avevano appreso durante il loro servizio in Estremo Oriente.

Questa esibizione suscitò grande interesse, ma rimase fine a se stessa, come una semplice curiosità orientale

Quello che non riuscì ai due pionieri, riuscì ad un altro sottufficiale cannoniere, Carlo Oletti, che frequentò gli stessi corsi dei due colleghi già rimpatriati.

Egli praticò il ju jitsu sotto la guida del Maestro Matsuma, campione della marina militare nipponica, approfondendolo nei Ryu di Nagasaki, Miatsu, Hokodate e Tauruga.

In Italia si riparlò di Ju Jitsu nel 1921, quando si istituí alla Farnesina la Scuola centrale di educazione fisica per l’esercito

Il colonnello comandante inserì tra gli sport anche il Ju Jitsu, chiamando a dirigere i corsi proprio il sottufficiale Carlo Oletti che tenne l’incarico fino al 1930.

In questi dieci anni si qualificarono 150 ufficiali esperti e 1500 sottufficiali istruttori.

La “lotta giapponese“ comparve per la prima volta in un circolo sportivo civile nel 1923, presso la palestra Cristoforo Colombo di Roma.

Nel 1925, gli esperti cultori di Ju Jitsu, che sino ad allora avevano praticato presso enti militari e in circoli sportivi civili, si riunirono con quelli del Judo e fondarono la Federazione Italiana JU Jitsu e Judo.

Poco più tardi assunse il nome di Federazione Italiana Lotta Giapponese, il primo presidente fu Giacinto Pugliese.

Dopo la seconda guerra mondiale numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Itali

Dopo la seconda guerra mondiale e la forzata interruzione delle attività federali dovuta alle traversie degli avvenimenti politici e bellici dell’epoca, numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Italia, sostenuti da molti appassionati di questa disciplina.

Nel 1947, il Judo si staccò dalla federazione perché integrato dal CONI come disciplina sportiva della FIAP (Federazione Italiana Atletica Pesante).

Il Ju Jitsu manteneva invece i presupposti prettamente legati allo spirito originale della disciplina: la difesa personale e il combattimento.

Tra le scuole italiane si distinse quella del Maestro Gino Bianchi

Esperto e studioso di quest’arte, codificò un programma tecnico ad uso dei praticanti:il cosiddetto “metodo Bianchi“.

Nel corso dei decenni in Italia, il Ju Jitsu ha subito diverse vicissitudini politico-sportive che lo hanno portato solo nel 1985 a far parte di nuovo di una federazione olimpica:la FILPJK (Federazione Italiana Lotta Pesi Judo Karate.

Negli ultimi anni si sono affiliate alla federazione nazionale più di 200 società con un significativo incremento del numero dei praticanti tesserati, anche grazie al lavoro della Commissione Tecnica Nazionale Ju Jitsu FIJLKAM (Sigla aggiornata nel 2000, Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali), che ha riorganizzato e sviluppato il programma tecnico basato sul menzionato “metodo Bianchi“ e inserito lo stile della scuola tradizionale HONTAI YOSHIN RYU.

Allo studio e approfondimento della disciplina, deciso dal Consiglio Federale per non alterare lo spirito del Ju Jitsu, negli ultimi anni si è venuto ad affiancare lo sviluppo della forma agonistica che, seguendo le regolamentazioni internazionali JJIF (Ju Jitsu International Federation), prevede un sistema di combattimento sportivo denominato “Fighting System“ e un sistema dimostrativo denominato “Duo System“

Attualmente in Italia la diffusione del Ju Jitsu, oltre che dalla principale FIJLKAM-CONI , è portata avanti anche da organizzazioni di tipo privatistico che, oltre all’attività agonistica, studiano metodologie tradizionali o moderne derivate da scuole in auge in altre nazioni.

Note


Morio Higahonna, il Gran maestro ed eterno allievo

Il 5 settembre 2007, il Maestro Anichi Miyagi concesse a Morio Higaonna il 10° dan di Karate, con il beneplacito di Shuichi Arakaki.

Morio nacque a Naha il giorno 25 Dicembre del 1938

Cominciò a praticare il Karate a 13 anni con suo padre, un poliziotto okinawense praticante di Shoin Ryu,.

Un paio di anni più tardi si allena sotto la guida di un allievo del Maestro Chojun Miyagi, il quale però lo incoraggia a praticare il Goju Ryu ed entra così nel Dojo del Maestro Anichi Miyagi, dove in realtà ad impartire le lezioni era proprio il Maestro Chojun.

Nonostante non fosse conosciuto come Maestro, la tecnica di Anichi era molto pura rispetto a quella di Chojun Miyagi.

Kina Sensei normalmente diceva che i movimenti di mano di Anichi erano molto simili a quelli di Chojun Miyagi e che le sue espressioni e il suo modo di parlare erano esattamente uguali,

Lui era molto preciso nei suoi movimenti, per questo motivo il suo Karate era molto puro in relazione a quello che aveva imparato da Chojun.

Li Morio Higaonna perfezionò la sua tecnica e strinse il legame ancor di più con Anichi Miyagi.


Racconta Morio:

Arrivavo al Dojo verso le 07:00 ed entravo come tutti dal retro.

Normalmente arrivavo per primo e dopo aver salutato la moglie di Chojun Miyagi, mi mettevo a lavorare  mi cambiavo i vestiti e mi mettevo a pulire il Dojo.

Scopavo e lo inumidivo leggermente, per evitare scivoloni durante l’allenamento, quindi tiravo fuori gli attrezzi per l’allenamento che conservavamo dentro riempivo le anfore d’acqua.

Nel giardino del dojo di Chojun, la moglie si incaricava di riscuotere le quote, ma non passò molto tempo che la quota di Morio venne eliminata, come premio dei suoi sforzi, della sua costanza e dei suoi progressi.

Mia madre pagava la mia quota mensile nel Dojo, ma dopo alcuni mesi Myazato Sensei, vedendomi allenare con serietà e duramente, non volle che pagassi più.

Quando portai il denaro a mia madre, lei mi rimandò di nuovo a pagare, ma Myazato non accettò, decisi allora di partecipare di più all’attività del Dojo, insegnando ai nuovi, pulendo ecc…

A volte, Anichi Sensei veniva a casa mia di domenica, affinché se potevo, andassi con lui a casa di Chojun Miyagi, per riparare il makiwara, pulire o qualunque altra cosa fosse necessaria.

Anichi dedicava tutto il tempo libero al dojo del Sensei Chojun Sensei.

“Quando finivamo, la moglie di Chojun normalmente ci dava una tazza di tee e qualche pasticcino, e quando ce ne andavamo ci dava delle borse di arance affinché le portassimo a casa nostra“


Chojun Miyagi muore nel 1953. Sono anni molto difficili per Higaonna Sensei

Chojun Miyagi muore nel 1953, sono anni molto difficili per Higaonna Sensei, perchè deve lavorare su vari fronti, senza trascurare la sua pratica personale.

Nel 1959 Anichi ha bisogno di denaro per mantenere la sua famiglia e si arruola nella marina mercantile.

Assunto da una compagnia petrolifera, Morio perde per il momento il suo quotidiano insegnamento e ad esempio,egli stesso racconta:

Quando Anichi entrò nella Marina Mercantile, logicamente lasciai il Dojo, non mi sentivo più a mio agio, inoltre me ne andai a Tokyo per studiare all’università ed insegnare il Karate, poiché lì c’era uno dei miei compagni, che sostituii nelle lezioni quando lui se ne andò via. Fu un periodo in cui mi allenavo ed insegnavo tutto il giorno, fu un bel periodo!

L’arrivo a Tokyo

Nel 1960 Morio si trasferisce a Tokyo per entrare all’università, recandosi ad Okinawa un paio di volte all’anno come minimo, il che gli permise di non staccarsi dal Karate della piccola isola.

Molto presto inizia ad impartire lezioni di Karate a Takushoku che era un’università con un importante club di Karate Shotokan.

In effetti, a causa di un tremendo scontro in cui uno dei suoi membri si era visto coinvolto, l’università aveva proibito il Karate.

Ciò diede l’opportunità a Morio di iniziare nuove lezioni di Karate, questa volta di Goju Ryu

Poco dopo essersi stabilito nella sua nuova dimora, ed ebbe un gran successo.

Il 30 dicembre 1960 si fecero i primi esami multi-stile di passaggio di Dan ad Okinawa.

I principali istruttori furono promossi 5° Dan, ma M° Morio era contrario ai gradi, pensava che non portassero altro che problemi.

Dopo la laurea in economia Morio inizia ad impartire lezioni di Karate in altre università della capitale del Giappone, e la sua fama crebbe ancor di più.

Questa sua fama gli creò non pochi nemici nell’ambito del Karate

Uno con cui ebbe a che fare per diversi anni fu Eichi Miyazat.

Morio gli chiese anche la collaborazione per mettere fine alle diatribe, ma Eichi rifiutò accusando Morio di tentare di cambiare la storia del Goju Ryu attraverso un suo libro.

La partenza da Tokyo negli Stati Uniti per motivi economici

Giudicando impossibile vivere di solo Karate, Morio si trasferì negli Stati Uniti. Non ci resistette per molto, e tornò ad Okinawa per poter continuare ad apprendere il Karate.

Considerandosi non un Maestro, ma un allievo pronto ad imparare tutto ciò che altri Maestri potessero insegnarli, ancora insegna ed impara.

Il suo Kata preferito è Seishan, continua ad insegnare in un Dojo tipico Okinawense, piccolo, di legno, con un’entrata diretta dalla strada, senza ornamenti, ma solo ricordi.

Note


[SALUTE & BENESSERE] I punti vitali nel primo soccorso

L’equilibrio spinale e il rilassamento dei muscoli

Le capacità progressive di colpire, dare calci e comprimere i nervi, sono diventate più sofisticate da quando iniziarono ad ideare tecniche di primo soccorso, l’aumento delle capacità garantisce adesso un cambio da una manipolazione più diretta dei nervi centrali, ad un uso integrale di vari nervi periferici in combinazioni più complesse.

Il modo più logico di avanzare è usando tecniche che sono conosciute come manipolazione delle articolazioni, tuttavia usando questi complicati movimenti di torsione, li adoperavamo usando i nervi vicini al posto di comprimere la stessa articolazione.

Non solo scoprivamo un modo più efficace per applicare queste azioni complesse di torsione provocando una maggiore disfunzione, ma anche gli effetti sulla persona e la sua funzionalità crebbero.

Ci siamo anche resi conto che cresceva l’efficacia e l’effetto provocava reazioni molto pronunciate nella spina dorsale o nel busto del ricevente, perché stavano ricevendo una sovraccarica multipla sui nervi e una contorsione che provocava lo stress o la compressione dei nervi interni

Il motivo di tutto questo è che i nervi non solo trasferiscono messaggi neurologici alle funzioni motorie o somatiche dei nervi, ma anche alle funzioni automatiche (mantenimento automatico della vita), in termini medici tutto ciò si definisce con il termine Neuropatia e può essere periferica (la Neuropatia periferica è un problema dei nervi che portano informazioni sia dal cervello sia dal midollo spinale al resto del corpo, questo può creare dolore, perdita di sensibilità e incapacità nel controllare i muscoli) o autonomica (la Neuropatia autonomica è un gruppo di sintomi che si avvertono quando esiste uno stress o un danno dei nervi che controllano le funzioni quotidiane del corpo, come la pressione sanguigna, il ritmo cardiaco, lo svuotamento intestinale, la vescica e la digestione).

I sintomi osservati variavano dipendendo dal tipo di nervo interessato così come allo stesso modo variavano le tecniche.

VARIAZIONI DELLA SENSIBILITÀ

  • Sensazione di riscaldamento;
  • Cambi di sensazioni;
  • Incapacità di assunzione di certe posizioni dell’articolazione;
  • Dolore del nervo;
  • Intorpidimento o formicolio.

DIFFICOLTÀ NEL MOVIMENTO

  • Difficoltà per respirare o per deglutire;
  • Difficoltà o incapacità nel muovere una parte del corpo (paralisi);
  • Cadute (a causa delle gambe);
  • Mancanza di destrezza;
  • Mancanza del controllo muscolare;
  • Stiramento o crampi muscolari.

SINTOMI AUTONOMICI

I nervi autonomici regolano le funzioni volontarie o semi volontarie come controllare gli organi interni o la pressione sanguigna. I danni ai nervi autonomici possono causare:

  • Gonfiore addominale;
  • Visione offuscata;
  • Stipsi;
  • Diminuzione della sudorazione;
  • Diarrea vertigini in piedi o sdraiati a causa della pressione del sangue;
  • Intolleranza al calore prodotto per lo sforzo;
  • Svuotamento incompleto della vescica;
  • Impotenza maschile;
  • Nausea o vomito specialmente dopo i pasti;
  • Incontinenza urinaria.

Quindi era necessario ovviamente trovare soluzioni per tutti questi problemi di salute causati tanto ai nostri compagni di allenamento, quanto a noi stessi.

Ma questo livello era più alto rispetto a quello su cui avevamo lavorato o alle cose per cui avevamo trovato una soluzione, quindi si è investigato e sperimentato usando modelli che avevamo usato per precedenti soluzioni, ma con risultati poco duraturi.

Dopo aver lavorato con i nervi scelti e cercato di scoprire con cosa erano relazionati, continuammo ad avere difficoltà per terminare il recupero

Quello che si è fatto a continuazione fu guardare in profondità ogni colpo e il modo in cui ogni struttura fisica reagiva ad ognuno di essi, quindi abbiamo visto l’azione e la contorsione della spina dorsale, in ognuno di essi era estrema, con questo si potevano vedere da semplici strappi al collo fino a multiple reazioni in tutta la spina dorsale.

Questo stava causando compressioni severe sia nei muscoli che nei nervi, in alcuni casi causavano noduli muscolari vicino alla spina dorsale.

Il seguente processo consisteva nel rilassare questi noduli muscolari vicini alla spina dorsale

Il che sembrava risolvesse certi problemi come è stato fatto con il trattamento dell’asma, tuttavia rimaneva ancora qualche problema (a seconda di come si contraeva la spina dorsale o da quali erano i muscoli colpiti).

Questi problemi erano anche simili o identici ad altri causati dalle tecniche, anche se erano portate in modo non troppo invasivo, questo indicava che c’erano più muscoli o nervi danneggiati in quelle zone dove si localizzavano i noduli muscolari.

Questo ci fece usare un metodo di massaggio per aprire e rilassare tutta la spina dorsale, ponendo particolare attenzione alla zona annodata dopo la tecnica curativa generale, l’idea era rilassare prima i nervi con leggere vibrazioni localizzate tra ogni vertebra, iniziando dal collo abbiamo collocato i nostri pollici o le nostre dita nello spazio tra ogni vertebra, premendo leggermente la zona per alcuni secondi prima di passare al successivo spazio.

Una volta che abbiamo fatto questo verso il basso sulla spina dorsale, abbiamo iniziato ad applicare una pressione più forte per muovere la spina dorsale all’indietro e verso l’alto, e questo si poteva ottenere non con la nocca, bensì utilizzando la parte più morbida del pollice.

Eliminando questo possibile dolore che potrebbe aver provocato nel recettore una tensione dei muscoli e un’altra volta una compressione dei nervi, questi rimanevano nelle stesse condizioni in cui erano prima di aver subito una tecnica di compressione.

Quando usammo questo procedimento ci rendemmo conto che qualche volta nella spina dorsale si sentiva come una spaccatura, come se si utilizzasse un metodo chiropratico o come se si schioccassero le nocche

Ma questo non era quello che stavamo cercando di fare, non volevamo usare questa scienza, l’abbiamo usata solo come termine di paragone, per essere più chiari nell’esposizione, tuttavia, questo ha fatto si che la spalla del recettore si rilassasse di più.

Dopo questo, se la spalla si aggiustava, si usava questa idea per esercitare una leggera pressione per allungare la spalla ogni volta che serviva.

Questo metodo fa si che i muscoli e la spina dorsale del recettore si allentino… E aiutino la persona anche a stare più eretta, questo ha posto la questione cosi, si correggeva la dislocazione, per questo si sviluppò una tecnica rudimentale per poter visualizzare anche l’allineamento laterale della spina dorsale.

Con la persona a pancia in giù, con le braccia ai lati, mettiamo dolcemente le punta delle nostre dita sopra una zona del midollo spinale, sopra la prima vertebra toracica, muovendo le dita superficialmente sulla zona, possiamo vedere quando le nostre dita si muovono da un lato o si muovono in linea retta, come dovrebbe essere.

Oltretutto abbiamo osservato che stranamente se c’era una tensione nei muscoli o anche un nodo, il dito si muoveva in quella direzione (indicando la zona del muscolo teso)

Ma succedeva anche qualcosa di più, ossia dopo le vibrazioni e seguendo il metodo della pressione per stendere i muscoli, il tracciato della spina dorsale rimaneva più retto e per di più si correggevano le deviazioni più profonde.

Non si tenta esattamente l’allineamento della spina dorsale, anche se molte volte si può sentire un istruttore o Maestro dire così, a causa della somiglianza dei suoni che si producono quando si usa, si tratta di una tecnica per comprimere i nervi a stimolarli, con l’obiettivo di calmarli e rilassarli.

Come nota a parte, si possono vedere molti curatori colpire la parte bassa della parte posteriore dei recettori, la maggior parte di loro imita qualcosa che precedentemente hanno visto fare da un curatore professionista, ma se gli si chiede il perché lo facciano, raramente lo sanno.

Tuttavia, devo dire devo dire che quando si vede un curatore esperto usare questa tecnica, lo fa per necessità, poiché sono danneggiati i sistemi anatomici del recettore.

Primo soccorso per il mal di schiena

Ad ogni livello che avanziamo utilizzando i punti di pressione, troviamo un nuovo problema o malessere fisico che necessita di un rimedio, questo ci da una motivazione che va oltre il semplice miglioramento delle abilità marziali, perché ci offre nuove e differenti sfide.

Tutto ciò ci fa capire in maniera incredibile la dualità delle arti marziali (o quella che era), perché stiamo imparando il modo di alleviare i problemi di salute, mentre impariamo a creare disfunzioni fisiche, incapacità, incoscienza, così come a controllare molte funzioni fisiche, sia esterne che interne.

Stiamo approfondendo i nostri studi, poiché dagli antichi miti e leggende sulle Arti antiche, celebri Maestri sono diventati realtà, avevamo in mano il loro segreto e abbiamo svelato il mistero che li aveva avvolti per tutti questi anni.

I miti non erano tali, erano realtà e mediante i punti vitali cominciavano ad avere senso, tuttavia, avevamo un profondo rispetto per quelle conoscenze, poiché ci rendemmo subito conto che il metodo conteneva il controllo sulla vita e sulla morte.

Avevamo già oltrepassato la soglia del combattimento corpo a corpo, eravamo pronti ad applicare il metodo dei punti di pressione per combattere contro le armi, lo usammo contro ogni tipo di armi, da armi classiche di Kobudo fino ad armi da fuoco, passando per le armi bianche, cominciammo ad integrare i punti di pressione in altri stili precedenti come il ju jitsu, il Kempo, il Karate ed altri ancora, scoprendo grandi possibilità e controllo.

Imparammo come dovevamo fare una serie di attacchi a quegli specifici nervi della testa e del collo, cosa che provocava uno stress fisico eccessivo sui nostri compagni di allenamento

Ma ci rendemmo anche conto che stavamo facendo centinaia di tecniche differenti per ogni arma e per ogni possibile scenario, troppo complicato e quasi irrealizzabile, perché se una persona cambiava l’angolo o variava in qualche modo l’attacco, obbligava il praticante ad acquisire abilità per eseguire una tecnica determinata contro un’arma determinata.

Sapevamo che dovevamo sviluppare un metodo di difesa più semplice, per rendere possibile una  reazione sotto stress e l’imprevedibile azione di un attacco premeditato da parte di un aggressore reale, bisognava analizzare l’origine di ogni possibile movimento, il che studiando i punti di pressione significava puntare sempre sul cervello.

Pertanto, i nostri sforzi si concentrarono sull’evitare che il cervello dirigesse le azioni di attacco dell’individuo, e il metodo migliore e più rapido era attaccarlo al collo e alla testa, quando attacchi i nervi del collo e della testa, tutto il corpo e la mente immediatamente ne subiscono le conseguenze, fino al punto in cui le azioni del corpo non possono più essere portate a termine.

Imparammo come dovevamo fare una serie di attacchi a quegli specifici nervi della testa e del collo, cosa che provocava uno stress fisico eccessivo sui nostri compagni di allenamento, caricando in avanti rapidamente e attaccando i punti di pressione della testa e del collo, invariabilmente l’avversario barcollava fino a che non cadeva incosciente o con un’evidente disfunzione fisica.

Questo faceva si che subissero una notevole pressione sulla schiena, dovuto alle pessime posizioni assunte,

Esisteva anche una tendenza a causare crampi e pressione sui nervi attorno, il che ancora una volta risultava essere un problema fisico più grave, ma prima di tutto si manifestava mediante la tensione e il mal di schiena.

Queste problematiche consistevano in difficoltà respiratorie, difficoltà motorie, nausea e simili, tutto ciò fece si che avessimo bisogno di un altro rimedio di primo soccorso per eliminare questi sintomi, fino ad ora si può capire come siamo giunti fino a questo punto da altre tecniche di primo soccorso che scoprimmo strada facendo, ma la differenza maggiore qui è che non si trattava di un problema leggero, bensì poteva trattarsi di una o più problematiche serie.

Pertanto, la sfida che stavamo affrontando era molto dura, avremmo avuto bisogno di sforzo, determinazione e di una ricetta speciale per risolvere questo tipo di problemi.

Prima applicammo i rimedi di primo soccorso per parti (per esempio, se una persona aveva difficoltà a respiratorie, gli applicavamo i rimedi di primo soccorso per una disfunzione dei bronchi o del diaframma), questo era efficace in parte, ma non era né completo né efficace al punto che volevamo fosse.

Se un individuo manifestava due o tre sintomi come problemi respiratori, nausea e mal di testa, il processo separatamente tardava molto ad essere efficace

Benché aiutasse, avevamo bisogno di un rimedio più rapido per affrontare questa nuova difficoltà, il passo successivo fu usare il metodo di sollievo spinale del livello anteriore, che risolveva tutte le difficoltà eccetto il mal di schiena.

Questi dolori si manifestavano in primo luogo in tre posti, la zona bassa, media e alta della schiena – zona delle spalle (bisogna ricordare che molti mal di testa derivano da tensione nelle spalle, perciò vedemmo chiaramente le associazioni simbiotiche che ci potevano essere), il primo della lista era il dolore della parte bassa della schiena, poiché è la zona colpita più frequentemente, ma la domanda era perché.

Quello che scoprimmo dopo un po’ di tempo e vari tentativi fu che in ogni caso in cui si girava la testa o si piegava rapidamente la schiena all’indietro, si causava in primo luogo un dolore alla parte bassa della schiena e poi un collasso un blocco nelle gambe, questo ci diceva che forse il problema sorgeva dalle gambe o dalle caviglie, allora cominciammo a lavorare sui punti delle gambe e delle caviglie separatamente e in combinazione, per la verità senza grossi risultati.

Usammo anche differenti tipi e metodi e direzioni di pressione per vedere se funzionava e se così era, sapere il perché, ma nuovamente senza risultati fino a che trovammo il punto.

Si trattava del punto che si trova tra la caviglia e la base del tendine di Achille ed attraversa l’osso del tallone, aveva senso poiché questo nervo nella zona bassa della spina dorsale e, per nostra sorpresa, nel lato che doveva essere il più sensibile al tocco o alla pressione, era lo stesso lato della schiena che stava soffrendo il dolore più acuto.

La seguente zona dove si localizzava il dolore era la parte media della schiena, il punto B1-0 non alleviava completamente la zona, benché aiutasse molto

Ma ovviamente non era sufficiente, poiché non alleviava completamente il mal di schiena, benché la parte alta della schiena si sentisse molto meglio, per questo motivo continuammo con la ricerca, ma scoprimmo che le nostre prove sui punti delle gambe non erano efficaci, allora usammo lo stesso metodo nei punti della schiena, trovammo molto rapidamente il punto migliore, nella maggior parte dei casi nell’area in cui avevamo cominciato la ricerca.

Tuttavia, dovevamo continuare per assicurarci che il punto che avevamo scoperto alleviasse completamente il dolore, questo punto che scoprimmo all’inizio del processo, risultò essere veramente il miglior punto per alcuni primi soccorsi, è il punto BL-16 situato vicino alla spina dorsale nella parte media della schiena, questo punto rilassa i punti della parte media della schiena ed esercita pressione sul resto della schiena.

Pertanto avevamo già un sollievo per la parte media della schiena, ma non alleviava la parte alta né la zona delle spalle, allora ricominciammo a cercare e trovammo il punto TW-15 che alleviava la schiena ed il punto GB-21 che alleviava le spalle.

Avevamo già i rimedi per il primo soccorso, ma volevamo assicurarci di aver risolto del tutto il problema

Scoprimmo anche che se colpivamo la parte bassa della schiena e lasciavamo la zona in pace, il dolore e la rigidità di spostavano con il tempo nella zona media e alta della schiena o nelle spalle, perciò invece di concentrarci su un punto specifico, lavorammo su un’area completa, BL-60,BL-16,TW-15 e GB-21, per qualunque tipo di mal di schiena.

Questo metodo faceva bene il suo dovere e col tempo il dolore e la rigidità non si diffondevano in altre zone, per cui risultò essere un metodo di sollievo completo, ora, pensa che potresti usare questo metodo per qualcuno che soffre di mal di schiena, non è necessario che tu prima abbia studiato i punti di pressione, tutti i metodi dei punti di pressione per primo soccorso che sto descrivendo servono a favorire una salute e benessere integrali sotto molti aspetti, attraverso un programma di benessere

Note


COPERTINA proiezioni e manipolazioni delle articoli articolazioni

PROIEZIONI e manipolazioni delle ARTICOLAZIONI

È più facile per qualcuno premere il grilletto di un’arma da fuoco, ma avanzare e avvicinarsi a breve distanza per pugnalare qualcuno, secondo le circostanze, è un compito molto difficile ed è un atto molto complesso.

Ci sono diversi angoli di attacco e le loro applicazioni nella difesa sono varie, dalle più semplici alle più complesse.

Ci si allena non solo per tutte le sfaccettature della lotta a mani nude, ma anche alla lotta con le armi per sforzarci ad acquisire l’equilibrio in tutti gli aspetti dell’allenamento così come nella nostra vita di tutti i giorni.

Generalmente i sistemi di combattimento si dividono in tre livelli:

  • Livello uno: Scambio di colpi a media distanza
  • Livello due: Lotta a breve distanza, dove si possono usare gomitate, ginocchiate, punti di pressione, lussazioni, prese ed atterramenti.
  • Livello tre: Lotta a terra, dove si usano chiavi e immobilizzazioni per controllare e finire il nostro avversario.

Tuttavia esiste un quarto livello ed è quello che si chiama Quik Lock (immobilizzazione veloce), posizione di ginocchio a terra, ci siamo resi conto del fatto che finire a terra.

Che sia per difendersi o per combattere, non è la posizione migliore, ma può, avere per chi è allenato a quel tipo di combattimento, grandi possibilità di vittoria che probabilmente in piedi non avrebbe avuto.

Per la difesa personale l’obiettivo è creare un’opportunità per scappare e sopravvivere a una situazione di violenza.

  • Le forze di sicurezza hanno l’obiettivo è controllare chi assale usando la minore forza possibile e causando il minor danno possibile all’arrestato;
  • Per un militare l’obiettivo è uccidere l’avversario e mettere fine rapidamente alla situazione.

L’immobilizzazione veloce nella posizione in ginocchio è una valida alternativa al lottare sdraiati per terra

In tutti gli scenari precedenti, l’immobilizzazione veloce nella posizione in ginocchio è una valida alternativa al lottare sdraiati per terra, dove il lottatore è vulnerabile agli attacchi, oltre a perdere la possibilità di lottare con una parte del corpo.

Ma sicuramente utilizzando la tecnica e non la forza, possiamo avere ragione dell’avversario anche in poco tempo e con poca fatica.

In questo articolo vorrei parlare di come immobilizzare e sottomettere l’avversario velocemente.

Possiamo imparare come avvicinarsi dal livello uno, distanza media di combattimento, alla posizione del livello due, distanza breve, e come da questa posizione possiamo atterrare efficacemente l’avversario per poterlo controllare, sottometterlo e finirlo a terra (livello tre combattimento a terra).

Lottare con qualcuno a terra e mantenere il vantaggio non è un compito facile, la manipolazione delle articolazioni, di solito, non si vede assieme ad una tecnica di atterramento, ma usando i punti di pressione.

Mantenendo l’angolo corretto e facendo la pressione giusta nel punto giusto, ci consente di gestire l’avversario molto facilmente, mantenendo una posizione di vantaggio.

Le prime tecniche di manipolazione di articolazioni che vediamo sono quelle chiamate “tecniche in cerchio da sotto“.

La tecnica parte dalla posizione iniziale di combattimento e contempla molte situazioni possibili, (prese, attacchi, contrattacchi ecc…)

Innanzitutto bisogna conoscere alcuni concetti basilari dell’anatomia umana

Alcune articolazioni, come i gomiti e le ginocchia, sono incernierate e funzionano come il meccanismo di apertura e chiusura di una porta.

Altre articolazioni come le spalle o le anche, sono articolazioni sferiche, che permettono una maggiore gamma di movimenti ma che si danneggiano con una frequenza maggiore.

Tutte le articolazioni sono unite a tendini, legamenti e muscoli, i tendini collegano i muscoli e le ossa, i legamenti collegano le ossa con altre ossa.

La manipolazione delle articolazioni implica collocare l’articolazione dell’avversario in un angolo adeguato, applicando la pressione sufficiente a causargli un dolore intenso, slogare o rompere l’arto.

Ci sono quattro modi di manipolare le articolazioni per massimizzare la pressione quando si fa leva per sottomettere gli avversari.

Vediamo ora le varie possibilità di attuazione diviso in varie fasi:

Contro l’articolazione:

Questa è la più efficace nelle articolazioni che funzionano come una cerniera, come il ginocchio o il gomito che non girano ma si muovono in una sola direzione.

Si preme direttamente sull’articolazione e l’altra mano resta ferma o si muove nella direzione opposta, l’articolazione può essere facilmente slogata o iper- estesa lasciando l’arto inutilizzabile.

Leva angolata:

L’applicazione della leva angolata è la più efficace quando si realizza su un’articolazione sferica, queste articolazioni permettono di realizzare movimenti rotatori, si tratta di polsi, spalle, caviglie e anche.

Quando si colloca l’articolazione in un determinato angolo, i legamenti e i tendini che contengono l’articolazione al suo posto si allungano perdendo la capacità di preservare l’integrità sull’articolazione.

A questo punto, si può applicare una pressione che provocherà la slogatura dell’articolazione.

Giro o rotazione:

Queste tecniche di giro o rotazione possono essere applicate a entrambi i tipi di rotazione.

Tuttavia richiedono una forte presa su entrambi i lati dell’articolazione, è più efficace se si applica su articolazioni più piccole, come le dita, il polso e, a volte, il gomito.

Probabilmente questa tecnica non si usa come definitiva (finalizzazione) al momento di slogare un’articolazione, ma può servire come transizione ad una presa più forte.

Compressione:

La tecnica di compressione si basa sugli stessi principi di uno schiaccianoci.

Si colloca qualcosa sopra l’articolazione, poi si fa pressione verso dentro dai due lati e l’articolazione si separa,spesso questa tecnica è chiamata “separazione dell’articolazione“.

È più efficace sopra l’articolazione o sul ginocchio.

Le tecniche di cerchio da sotto sono quelle nelle quali si deve girare sotto l’avversario per riuscire a collocare il polso e il gomito di questi nell’angolo adeguato.

Facendo un giro di 360 gradi, si possono manipolare il braccio e il polso dell’avversario per collocare il suo polso e il suo gomito in un angolo di 90 gradi, realizzando una presa di polso.

Ci sono due modi per girare sotto il suo braccio:

  • Il primo è la presa del polso da sotto interno: si fa il giro sotto il braccio dall’esterno verso l’interno;
  • Il secondo è la presa del polso esterno: in questo caso si fa il giro sotto il braccio verso l’esterno.

Per girare sotto il suo braccio dobbiamo abbassare la nostra posizione ed entrare velocemente.

Esistono un paio di ragioni per le quali dobbiamo assumere la posizione bassa.

La prima, se non siamo veloci, l’avversario ha la possibilità di contrarrestare il suo movimento ed il giro e sembrerà che stiamo ballando la salsa.

L’altra è evitare di essere colpito dall’altro braccio dell’avversario.

Se si esegue bene, l’avversario non riuscirà a scappare perché il suo polso potrebbe rompersi.

Ci sono tantissime tecniche di difesa personale che utilizzano il polso e molte di esse sono tecniche di manipolazione stando in piedi, un’altra componente per slogare un’articolazione è applicare una vibrazione anziché una pressione costante.

Per slogare un’articolazione in modo efficace dobbiamo applicare una vibrazione,(un movimento veloce da sopra a sotto), ma per immobilizzare o sottomettere l’avversario, così come nel grappling, è necessario fare una pressione costante.

Per concludere

È di fondamentale importanza avere delle basi di anatomia per poter applicare efficacemente le leve, ma bisogna avere anche una buona se non ottima manualità per poterle effettuare, tenendo conto che le situazioni che si possono creare sono molteplici e dobbiamo essere in grado di poter cambiare tecnica velocemente a seconda della situazione.

Per ottenere ciò la parola d’ordine è allenarsi, allenarsi, ed ancora allenarsi!

Note


Perché pratichiamo le arti marziali?

  • Che cosa facciamo, è il metodo base di praticare arti marziali: produrre energia;
  • Come lo facciamo: sono le sensazioni che si producono mentre generiamo quell’energia e questo è il metodo per trasformare le cose mediocri in eccellenti.

Nel primo caso si mobilitano solo le endorfine cerebrali (sensazioni di piacere ed ormoni rigenerati), che di per se è una gran cosa nel mondo fisico, nel secondo appare una consapevolezza nuova, che trae origine dalle sensazioni prodotte dal movimento che stiamo realizzando e che ci collega al momento.

Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te

Questo è ciò che ha voluto esprimere Sensei Funakoshi quando in uno dei suoi venti precetti afferma “ devi essere serio negli allenamenti”, in parole povere, ciò che sta dicendo è “Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te”.

Che cosa ti importa di più, i movimenti, (la forma) che perderai nel corso della vita, o ciò che scopri del tuo essere che è nascosto dall’ego dell’azione fisica? l’età porta una saggezza in grado di chiarire la domanda precedente, quante tecniche di kata o movimenti complessi ho imparato che oggi, trent’anni dopo, sono passati nel dimenticatoio? Migliaia. Quante emozioni ho provato durante la realizzazione di quei kata o di quei movimenti che tuttora sono presenti? Tutte.

L’emozione non solo perdura, ma aumenta col passare del tempo, nella memoria qualsiasi tecnica imparata durante la gioventù scompare ed il suo frutto è la frustrazione o la vanagloria: Ego

Le emozioni sono semi, la memoria è polvere che svanisce col vento del tempo, ricordo di un allievo che venticinque anni fa riuscì ad imparare ventuno kata shotokan e altri quindici di scuole diverse, un portento ! ed era cintura marrone.

L’ho incontrato qualche mese fa, pesava 110 chili e non ricordava neppure il nome di un solo kata, ma ciò che ricordava, mentre ostentava un dolce e malinconico sorriso, era quanto aveva sudato e quanto buona fosse l’energia del dojo: “la migliore epoca della mia vita” ha affermato.

Ricordi le parole di qualche canzone che ti ha emozionato da giovane? … forse ricordi addirittura di aver pianto dall’emozione, il Ki è immateriale, non si perde, né si rompe, perché non è diretto dalle leggi dell’evoluzione.

Quando perdiamo la capacità di contemplare i nostri pensieri, osservare le emozioni e provare le reazioni fisiche, viviamo si, ma in uno stato latente, viviamo da morti viventi, significa camminare nella vita senza viverla, questo è il grande segreto, quando si blocca il tempo, la persona allenata nell’osservazione della coscienza percepisce la vita con una maggiore intensità.

Come si ferma il tempo? Non pensando. E come si fa a non pensare? Contemplando il pensatore.

Il pensatore che abbiamo nel cervello è quell’entità che pensa costantemente, quella che crea il tempo psicologico, questo tempo psicologico crea ego e questo ricrea tempo psicologico, in questo ciclo senza fine viviamo una vita piena di ansietà.

È tempo speso male. Vediamo ora un metodo che può essere utilizzato in qualunque momento della vita o nel corso degli allenamenti specifici, è basato sul concetto ken zen it chi / il karate e lo zen sono un tutt’uno.

Il modo migliore per iniziare è osservare e sentire la respirazione: osserva e senti come l’aria entra fresca per le narici ed esce tiepida senza che la mente produca nessun altro pensiero, se la respirazione viene eseguita con coscienza, è impossibile che mentre poni l’attenzione su questo gesto tu possa pensare a qualsiasi altra cosa.

Fai questa prova: cerca qualcosa che abbia un buon profumo, annusala… appena finito devi renderti conto che mentre la annusavi non sei stato in grado di pensare a nulla, solo al profumo

Se la tua mente ha prodotto qualche pensiero, è perché non hai annusato appieno l’aroma, non sei stato nel qui e adesso, ti sei perso nel pensiero di qualcosa che non era li.

Hai usato la mente e questa ha giudicato qualcosa, l’osservazione e la coscienza si sono perdute nella nebulosa dei pensieri.

Una volta finito di annusare, la mente cercherà un nome o un ricordo per quel profumo, l’attività mentale si riannoda, ma se sei cosciente del fatto che durante l’atto di annusare non hai pensato a nulla, allora avrai raggiunto un momento unico, avrai vissuto pienamente quel qui e adesso!

Questo atto apparentemente semplice, ma di enorme valore spirituale, è una fugace manifestazione del “satori“, che è uno stato transitorio di vivere con pienezza il “qui e adesso“ per brevi periodi di tempo, il “satori” è un istante di illuminazione.

Nel nostro caso, in quanto artisti marziali, osserva senza pensare qualunque movimento che realizzi nel Dojo

Se hai la mano nel punto A e devi arrivare al B, senti, sii cosciente del movimento durante tutto il  percorso ed eseguirai un movimento di qualità spirituale, un movimento di “satori”, ma se quando ti trovi in A stai già pensando a B, la tua mente allora è già proiettata nel futuro e non nel presente, e così perderai la possibilità di osservare e cogliere il movimento, che è proprio ciò che arricchisce la tua coscienza.

Potrai eseguire un movimento ricco nell’azione (forma), ma vuoto nel contenuto spirituale, questa è la chiave ed il fondamento di ogni creazione artistica fatta con entusiasmo, non devi mai dimenticare che noi pratichiamo un’ Arte Marziale, la parola “entusiasmo“ significa: “essere posseduto dagli Dei “.

La mente è il grande nemico che ci impedisce di percepire il Ki in qualsiasi momento, se pensiamo all’ordine dei movimenti, se ci sbilanciamo, se pensiamo a che cosa penserà un osservatore dei nostri errori, se siamo preoccupati per l’ora o ci appigliamo a qualunque altro cavillo, allora il momento sarà di bassa qualità, benché abbia comportato una grande spesa energetica aerobica o sia stato realizzato con precisione.

Questo racconto lo descrive in maniera molto dettagliata

Il rospo superbo gracchia su un’umida roccia, mentre vede amaramente passare la vita davanti a lui, non fa niente.

Gli passa davanti un affannato millepiedi che sembra essere oltremodo felice e lui non può permetterselo, perciò decide di fargli delle domande che lo confondano e possa così perdere la sua pace. – “millepiedi dove vai?” domanda il rospo, – “Semplicemente vado” risponde il tranquillo ed affannoso millepiedi, senza alterare la sua decisa marcia. – “Cavoli”, pensa il rospo costernato “non ha perso la calma“ .

Gli domanda nuovamente –“senti millepiedi, a che cosa pensi mentre cammini? “ “non penso, cammino e basta” Risponde nuovamente con tranquillità.

Il rospo non può sopportare che vi sia qualcuno più sicuro di sé di lui, decide così di porgli una domanda più maliziosa che si possa immaginare.-“Millepiedi, in che ordine muovi le zampe ?” Il millepiedi si ferma pensa per un istante e risponde, “ per prima cosa muovo la prima zampa e dopo la seconda.

No” rettifica – “ prima la seconda e poi la quarta, no,no, mi sono confuso, prima muovo la quinta e dopo l’ottava, no,no,no! Prima la… e poi la… No,no,no! Da allora il millepiedi non è più riuscito a camminare e a ritrovare il suo cammino , la sua mente si era attivata e questa è stata la sua perdizione.

Quale è il cammino che ci condurrà verso quel misero che abbiamo denominato Ki, e che non è solo il cuore di tutte le arti marziali, ma di qualunque attività che si realizzi? Il cammino cosciente nel quale si avverte il momento presente senza l’interferenza della mente, questo è il motivo per cui pratichiamo le arti marziali e pochi ne sono coscienti.

In Giappone lo chiamano: Do

Significa essere presenti in tutto ciò che si compie, nell’azione o nella passività, nella contemplazione di qualcosa o mentre si pensa ad essa, essere coscienti persino di un errore che si è commesso, o di un successo, essere presenti significa essere coscienti di ciò che sta succedendo in ogni qui e adesso.

Ma attenzione al tempo, che agisce sulla coscienza e questa comincia a pensare (intelligenza), ed è proprio allora che cominciano a manifestare i desideri , che non sono altro che una forma di ego, di credere che per essere qualcuno abbiamo bisogno sempre di più, L’ego ha sempre fame, fame di pensieri, di giudizi, di cose, di potere, di tutto ciò che il mondo produce e soprattutto di tempo. “ non ho tempo”, “mi manca il tempo” , “ se avessi più tempo “, sono frasi comuni che ripetiamo con assiduità.

L’ego si identificherà con qualcosa e da lì ne uscirà solamente altro ego in forma di ansietà, perché non si sarà mai soddisfatti o se lo si sarà, sarà solo per poco tempo

Ora possiamo comprendere le prodezze che compiono alcuni Maestri, con la forza o con il peso si possono ottenere abilità nella forma, anche se puerili nella coscienza, ma quando scopri un Maestro autentico, in grado di compiere vere imprese, allora hai a che fare con un personaggio umile che irradia un alone di distacco che giunge al tuo anteriore come un’abile freccia.

Non ha ego.

I grandi Maestri sembrano essere vuoti, creano una sensazione che ti assorbe, danno pace ed il tempo si ferma alla loro presenza, ma la cosa più grande è che ridono molto.

Non sono nel tempo, non vivono nella vanità delle cose, vivono il “qui e adesso” di ciò che stanno facendo, ma se si fermassero davanti al televisore a guardare una partita di calcio, quella sarebbe l’unica cosa che farebbero in quel “qui  e adesso“ e l’atto di vedere la televisione rappresenterebbe un’autentica prodezza spirituale….. con il KI.         

Note


[AUTODIFESA] Un’arma estensibile: Il bastone telescopico

Nella rubrica “Armi bianche” della rivista ARMI E TIRO (settembre 2002) il collezionista Roberto Gobetti, grande esperto e studioso di armi storiche, sviluppa un tema davvero interessante.

Egli propone che l’esame delle armi manesche più o meno antiche, evolva dalla catalogazione certosina dei componenti, verso lo studio valutativo funzionale degli stessi, aprendo così la strada alla ricerca dei perché costruttivi dei diversi elementi di un’arma.

Scrive infatti:

Non dobbiamo dimenticare che un’arma è nata per essere usata

Per questo si devono indagare le sue funzioni costruttive in modo che studiando con attenzione tutti i particolari, si può arrivare a conoscere queste esigenze e soprattutto il loro mutare nel tempo.

Gobetti suggerisce di sviluppare un lavoro intelligente sull’oggetto evidenziando la natura globale dell’arma, che diventa così mappa descrittiva non solo delle tecniche possibili con la stessa, ma anche “indicatore sociale” degli usi e costumi di un’epoca.

Un altro percorso che si può indicare e connesso a quello suggerito da Gobetti, è quello riguardante la “trasmutazione” (trasformazione + mutazione) di alcune armi antiche in armi o strumenti moderni legati alla Difesa Personale e a contesti di Forza Pubblica.

Tra questi trova senz’altro posto l’antico “buttafuori” ed il suo epilogo moderno “il bastone telescopico o espandibile”

Nei secoli che vennero dopo l’anno Mille, in Italia e in buona parte dell’Europa, l’uso delle armi manesche, sole come accompagnate, era necessario quanto il saper camminare, nella nostra penisola la particolare situazione politica e socio-culturale, favorì la diffusione non solo delle armi, ma anche del loro utilizzo scientifico in combattimento singolare o nelle scaramucce di gruppo.

Un po’ come avviene oggi in Israele, la pressione costante ai confini e le continue dispute sul territorio fecero si che la popolazione di sesso maschile delle città fosse formata all’arte del combattimento, così da poter difendere come milizia cittadina (societates armorum) i propri possedimenti entro e fuori le mura comunali.

La situazione assai articolata e variegata, vedeva soldati di ventura, mercenari, uomini d’arme, cittadini e nobili cavalieri convivere.

La quantità di personaggi inclini a metter mano ai ferri causò un certo problema, ma favorì contemporaneamente lo sviluppo di strumenti ed armi sempre più funzionali e parallelamente l’evoluzione dei combattimenti all’arma bianca.

In un certo periodo tra il XlV e fino al XVll secolo, venne in uso, tra le altre, un tipo di arma particolare per forma e funzione, all’apparenza si trattava di un bastone ricoperto da una lamina di metallo, ma si trattava per l’appunto solo d’apparenza, in quanto il bastone teneva occultata al suo interno una lama lunga e robusta come quella di una spada, in grado di uccidere.

Questa fuoriusciva all’esterno dalla parte superiore grazie ad un movimento brusco, per forza d’inerzia, e bloccata in quella posizione da un meccanismo che ne impediva il rientro, l’esimio studioso del secolo scorso Il Comm. Jacopo Gelli nella sua opera GUIDA DEL RACCOGLITORE … (1900) definisce l’arma come “brandistocco” ed, in effetti, si ritrova tale nome anche nelle catalogazioni armi dell’archivio di Stato Firenze ed Urbino (1633).

Il nome “buttafuori” è invece stato utilizzato per designare lo stesso strumento da altri due grandi studiosi di armi bianche come Boccia e Coelho nella loro opera ARMI BIANCHE ITALIANE (1975)

Il nome “buttafuori” è considerato più rispondente alla natura tecnica dell’arma anche da un altro esimio esperto, quel Francesco Rossi, che curò la catalogazione tra gli altri della collezione d’armi antiche del Museo di Castelvecchio a Verona.

Il “buttafuori” da un punto di vista tecnico è un tubo cilindrico al cui interno si trova una lama a sezione losangata o quadrangolare fornita in alcuni casi anche di lame laterali che si aprono a fine corsa, originando una vera e propria guardia a croce appuntita, utile per parare i colpi degli avversari ed utilizzabile nel combattimento a distanza ravvicinata, con evidenti risultati pratici.

A riposo il “buttafuori” sembra un bel bastone adornato alla sommità da una corona in metallo talvolta lavorata a sbalzo o forgiata a rappresentare animali e l’estremità opposta chiusa da un puntale in ferro, ma basta afferrare saldamente il bastone e compiere un movimento brusco del polso per far aprire il coperchietto con portellino e vedere fuoriuscire la lama che saetta in avanti come la lingua di un serpente.

Non si tratta della lamette di coltello, ma di un ferro che può superare gli 80 cm, il “buttafuori” divenne servo silenzioso per viandanti, per le scorte

Lo usavano ad esempio le Corporazioni e le Confraternite dei Bombardieri veneti, per gli emissari e per i riscossori di tributi, ma divenne anche arma da “masnadieri” che appoggiavano le loro richieste “presentando il ferro”.

Buttafuori bellissimi si possono ammirare al Museo Luigi Marzoli di Brescia, al Museo di Castelvecchio a Verona ne è conservato un esemplare lungo 132 centimetri a cui si aggiungono altri 82 centimetri di lama a sezione di losanga occultata all’interno.

È lecito pensare che le armi antiche e strumenti di questo genere abbiano fatto la loro storia e che oggi il loro posto sia riposare nei Musei ed essere ammirati come oggetti nobili di un tempo che fu, ma per chi studia e ricerca in ambito marziale con uno sguardo al passato e un occhio alla realtà presente della protezione (personale e pubblica), queste armi sono fonte di continui suggerimenti e rappresentano un terreno fertile d’indagine e analisi.

Cosa rappresenta dunque questo bastone con una saettante anima d’acciaio?

Il “buttafuori” esprime un concetto strategico e una tecnologia: il concetto strategico-tattico ha come valore di riferimento la sorpresa

Il sorprendere, mentre il contenuto tecnologico ha come formula applicativa l’estensibilità, con il buttafuori si puntava principalmente a sorprendere l’avversario, un aggressore più che un rivale in duello per il quale esistevano convenzioni cavalleresche, utilizzando il solo bastone se il pericolo era minore e l’arma estesa (un buttafuori aperto arriva a misurare anche due metri), brandendolo in caso di necessità con entrambe le mani tirando botte con il manico e micidiali stoccate con la lama.

Bastone strumento / bastone arma

Il buttafuori esprime un concetto che resterà caro nella terra delle lame, il binomio sempre accarezzato e perseguito di sorprendere chi vuol sorprendere, ribaltando così con un’azione a sorpresa tanto inaspettata quanto micidiale, la sorte avversa.

Questa concezione d’uso cardine e fondamento delle strategie di combattimento e affronto del bastone buttafuori  è un principio che ritorna nel nostro tempo e che troviamo espressa nel bastone estensibile (B.E.), strumento operativo d’intervento facente parte da tempo dell’arsenale armi non letali della polizia americana, (C.A.S Counter-Assalt-System), ed entrato da qualche tempo in dotazione anche tra le polizie di mezza Europa, probabilmente entro l’anno faranno parte anche della dotazione della Guardia Costiera Italiana.

Le ragioni che stanno decretando il crescente successo del B.E. tra gli addetti ai lavori di diversi paesi del mondo, sono le stesse che fecero la fortuna del suo progenitore antico,a queste se ne aggiungono altre dettate dall’evoluzione e conformazione del mezzo, di indubbio interesse.

Innanzitutto il porto del B.E. è facilitato dalle ridotte dimensioni quando chiuso e dal peso leggero (può variare dai 350 ai 700 grammi), caratteristiche che ne limitano l’ingombro e ne consentono una eccellente portabilità anche in situazioni ove sia richiesta discrezione e basso profilo.

Un altro fattore è la fruibilità del mezzo, cioè dalla facilità di utilizzo operativo del B.E. che, una volta aperto, può misurare 40-51-66-78 cm

Secondo i diversi modelli oggi disponibili, il dimensionamento offre i vantaggi comparabili ad un comune sfollagente, ma le caratteristiche d’uso premiano sicuramente l’espandibile, basta, infatti, un secco movimento del polso per aprirlo e con soli due movimenti del polso (il primo secco in avanti, il secondo rotatorio corto a tramazoncello secondo la scuola antica italiana) si apre e si colpisce o si apre e si para, l’attacco di un malvivente armato di coltello.

Ancora i. B.E permette di svolgere un’azione di controllo evento e di prevenzione (nel caso ad esempio di addetti alla sicurezza di aree private), mantenendo un basso profilo, allo stesso tempo è assai difficile subirne il disarmo quando chiuso ed impugnato, mentre si può aprirlo anche se sottoposti ad una presa, persino sul braccio che lo porta.

Per ultime, ma non meno importanti, anzi fondamentali nell’etica della Forza Pubblica e della sicurezza, la bassa lesività modulata che è possibile porre in essere con un utilizzo mirato e scientifico del B.E., situazioni di rischio possibile (sorveglianza aeroportuale, perquisizioni, sorveglianza di soggetto da tutelare, o di più soggetti in luogo pubblico) può essere gestita anche grazie al B.E. che permette di agire contro aggressori armati con oggetti contundenti, spranghe, mazze, catene, bottiglie, coltelli, riducendo al minimo il rischio di un ingaggio corpo a corpo o del ricorso ad armi da fuoco.


LA TECNICA

La particolare costruzione del B.E con una testa sferica all’apice permette un utilizzo incisivi/selettivo dei colpi, che sono indubbiamente rafforzati dal buon grip offerto dal manico in materiale plastico in alcuni modelli anatomico e confortevole, da un punto di vista tecnico-gestuale la natura contundente dei colpi permette azioni mirate rese possibili dalla mappatura dei punti da toccare che definiamo come bersagli focali.

Questo evita di usare il B.E. in modo brutale e soprattutto inadeguato alla circostanza e consente di rendere efficiente e rapida l’azione di contenimento del pericolo, i bersagli focali sono dunque punti del corpo che, per la loro posizione e conformazione, possono essere:

  • Facilmente colpiti perché esposti;
  • Una volta toccati possono limitare le capacità offensive e dinamiche dell’aggressore;
  • Non comportano lesioni gravi o mortali.

I principali bersagli focali che mappano l’utilizzo operativo del B.E. sono dislocati:

  • Sugli avambracci e sulle mani, (zona radiale-carpale e metacarpale);
  • Sugli arti inferiori (zona tibiale rotulea e malleoli).

Se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo l’utilizzo del bastone estensibile si rivela ancora un valido elemento di controllo

Il soggetto pericoloso che aggredisce armato, escluse armi da fuoco, può quindi essere centrato da uno o più colpi con il B.E. ai bersagli focali così da inibirne la capacità offensiva, se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo, oppure se la situazione si sviluppa a corta distanza, l’utilizzo del B.E. si rivela ancora un valido elemento di controllo.

È possibile infatti sfruttarne la conformazione per eseguire anche a corta distanza:

  • Azioni di blocco degli arti e chiavi articolari;
  • Azioni di opposizione stabile a colpi;
  • Azioni di pressione su sedi localizzazioni nervose;
  • Azioni di controllo/conduzione.

il B.E. naturalmente non può sostituire i campi di applicazione estremi dell’arma da fuoco, ma può trovare il giusto spazio come strumento di controllo non letale nella gestione di eventi a rischio, presupposto indispensabile per un utilizzo razionale e mirato del B.E. è senz’altro l’adozione di programmi d’addestramento professionali adeguati che consentano in tempi brevi di formare gli addetti ai lavori e di garantirne la massima efficienza operativa nel tempo, con il minimo turn-over d’allenamento.

Ricordo infine che il bastone estensibile è considerato arma propria e come tale rientra nelle normative collegate all’articolo 4 della legge 110/75 e che la detenzione ed il porto di tali strumenti è regolato dai collegati  art. 42 del Tulps e art. 38 della stessa legge.

Note

Bibliografia

  • Lionello G.Boccia, Eduardo T. Coelho, Armi bianche italiane (1975 Bramante Editrice)
  • Jacopo Gelli, Guida Del Raccoglitore E Dell’Amatore Di Armi Antiche (1900)

COPERTINA parliamo di armi

[AUTODIFESA] Parliamo di armi!

In questo articolo analizzeremo i pro e i contro di utilizzare un’arma per difendersi da un’aggressione.

In tutti i seminari di tiro con la pistola, la prima domanda che gli allievi si sentono porre è se qualcuno ha mai sparato in vita sua con una qualsiasi arma.

La percentuale di chi ha sparato è sempre molto bassa e quando la gente risponde di sì si tratta sempre di molto tempo addietro.

Per questo motivo il problema non è saper togliere l’arma all’aggressore, ma sapere cosa fare una volta impugnata l’arma.

Sapresti come agire se la pistola si inceppasse o se il caricatore è vuoto?

Questo ci porta ad analizzare l’estrema importanza dell’uso dell’arma.

Se sei un praticante di Arti marziali che prende sul serio l’allenamento e lo pratica regolarmente, comprenderai la necessità di imparare ad utilizzare correttamente una pistola con un istruttore qualificato.

Ovviamente questo è un ragionamento necessario e applicabile a chiunque

le statistiche del Federal Bureau of Investigation indicano che tra i crimini violenti commessi negli Stati Uniti, nel 65% dei casi era stata usata una pistola.

Qualunque arma da fuoco è pericolosa se detenuta da qualcuno che non conosce le sue possibilità e i suoi limiti.

L’unico modo per imparare questi due fattori è praticare

In primo luogo occorre analizzare questi due fattori.

  • Se vivi in un’area rurale: Cerca un luogo sicuro all’aperto ben isolato e recintato;
  • Se vivi in una  città o in una zona molto popolata: Cerca un poligono qualificato.

La migliore opzione in ogni caso è quella di iscriversi ad un corso riconosciuto di utilizzo della pistola.

Una volta fatto si può praticare da solo (chiaramente bisogna essere in possesso del porto d’armi) e scoprire cosa può fare un’arma da fuoco.

La pistola è l’arma più difficile per imparare a sparare con precisione

Imparare a maneggiare correttamente una pistola richiede molta pratica. La maggior parte delle persone che la utilizza in una situazione normale arriva a consumare almeno 500 caricatori prima di ottenere la destrezza necessaria per centrare il bersaglio, figuriamoci in una situazione ad alta tensione.

Una volta ottenuta la destrezza per mantenerla si avrà bisogno di almeno 50 caricatori al mese.

È sorprendente vedere come molta gente si compri una pistola e 50 caricatori di munizioni, si rechi in un’area di tiro vicina e cominci a sparare i 50 caricatori a una sagoma situata a 8 metri di distanza e sbagliando anche diversi colpi. In una situazione critica tu non puoi permetterti di essere uno di loro.

Dimentichiamoci di ciò che in televisione fanno vedere

Non si spara mai con una mano sola o perlomeno non si dovrebbe fare. Se ciò che vuoi è colpire un qualsiasi bersaglio, quando si effettua uno sparo difensivo si devono utilizzare entrambe le mani per tenere la pistola.

Con la pistola dovrai mettere le dita della mano libera sopra le dita che stanno afferrando l’arma

Metti il pollice della mano libera sopra il pollice della mano che spara. Puoi farlo incrociando la parte posteriore del polso.

Puoi utilizzare la stessa impugnatura con un’arma semiautomatica o cambiarla leggermente, posizionando l’indice della mano di appoggio attorno alla parte frontale della sicura.

Afferrando l’arma in questo modo con entrambe le mai, risulterà più facile tenere l’arma mentre si sta prendendo la mira.

Eviterai così che l’arma rinculi dopo lo sparo, permettendoci di tornare a mirare il bersaglio dopo ogni sparo.

Il modo in cui sei posizionato influenzerà la precisione degli spari

Il piede opposto (il sinistro per i tiratori destrimani e viceversa) dovrebbe trovarsi circa 30 cm davanti all’altro piede ed entrambi i piedi dovrebbero essere allargati al livello delle spalle.

Questa posizione (chiamata Posizione di Weaver) permette al corpo di assorbire parte dell’impulso del rinculo, aiutandoci a mantenere l’equilibrio ed è a mio parere la posizione in piedi più stabile per sparare.

È estremamente efficace se utilizzata correttamente ed è ciò che conta, nessun altro all’infuori del tuo avversario si meraviglierà della tua tecnica, perciò non preoccuparti dell’immagine sgraziata che potresti dare.

Puoi provare anche una seconda posizione che è abbastanza efficace

Posizionati di fronte al bersaglio con le gambe leggermente separate e il peso del corpo distribuito equamente su entrambe le piante dei piedi.

Dopo di ciò piega leggermente le ginocchia e abbassa un po’ il corpo, come se dovessi sederti.

Questa semplice posizione ti permetterà di mirare con la pistola al centro, o verso uno dei lati, in maniera spontanea, perché le braccia e le spalle sono bloccate e funzionano come una torretta, facendo perno da un lato all’altro.

Le due cose più importanti che devi imparare sono il controllo del grilletto e la mira

Una volta adottata la posizione e l’impugnatura adeguate, le due cose più importanti che devi imparare sono il controllo del grilletto e la mira. Quando sarai in grado di dominare entrambe, vorrà dire che ti troverai nel giusto cammino per diventare un tiratore esperto, in grado di proteggere te stesso e la tua famiglia.

Il controllo del grilletto si mantiene con un movimento di pressione, non con un tiro o con un colpo secco

Questi movimenti tendono spostare la bocca della pistola e allontanarla dal bersaglio quando si spara, facendoti fallire il bersaglio.

Il dito sul grilletto deve agire in maniera indipendente dalle altre dita e dal pollice.

Le tre dita e il pollice dovrebbero assicurare un’impugnatura forte del calcio della pistola, mentre il dito posizionato sul grilletto non dovrebbe toccare nient’altro che il grilletto.

Se il dito del grilletto tocca il corpo dell’arma, tirando il grilletto la bocca dell’arma si muoverà.

Questo leggero movimento eseguito ad una distanza di 6 metri dal bersaglio, sarà sufficiente a fartelo mancare, se fai pratica per imparare a premere il grilletto in maniera corrette, ti risulterà più facile sparare sul bersaglio che realmente vuoi colpire.

Dopo aver sparato non devi lasciare andare il grilletto, il movimento del grilletto in avanti dopo uno sparo dovrebbe essere controllato nello stesso modo in cui si preme per sparare.

C’è un fenomeno strettamente relazionato al gesto di premere il grilletto, chiamato “scossa”

Quando premi, non riesci ad evitare di attendere di percepire il rumore della pistola che spara, all’ultimo, si tende ad anticipare e muovere la pistola nel momento in cui il grilletto sta completando il suo percorso e la carica viene sparata.

La scossa è una reazione normale nell’uso di qualunque arma da fuoco, ma è anche un’abitudine che devi superare se vuoi usare l’arma in maniera efficace.

Se stai praticando in una zona in cui vi sono più persone che sparano, potrebbe accadere che la scossa complichi le cose, perché è probabile che non avvenga solo col tuo colpo, ma anche con quello degli altri, in questo caso la cosa migliore da fare è cercare di tirare nelle pause degli altri.

Puoi utilizzare il suono dello sparo delle loro armi come segno per completare l’azione di premere il grilletto ed eseguire il tuo tiro, una volta che hai imparato a completare la sequenza, vedrai che avrai meno problemi con la scossa degli altri.

Il mirino è egualmente importante per poter sparare con precisione

La maggior parte della gente con un’esperienza ridotta nell’uso della pistola incontra delle difficoltà nel focalizzare il mirino, poiché il mirino anteriore e quello posteriore sono molto vicini e, al contempo molto lontani dal bersaglio, il tiratore noterà che i suoi occhi non riusciranno a mettere a fuoco contemporaneamente il mirino posteriore, quello anteriore e il bersaglio.

Non ti disturbare a provare a farlo, non si può.

Punta l’occhio sul mirino anteriore, potresti pensare che non sia giusto, ma finirai per renderti conto che è l’unico modo per sparare con precisione.

Il mirino posteriore e il bersaglio risulteranno sfocati, ma ad una distanza superiore a 50 metri è abbastanza facile mantenersi focalizzati sul bersaglio con il mirino anteriore.

I mirini delle rivoltelle sono stati progettati in modo tale che un po’ di luce brilli tra i laterali degli incastri del mirino posteriore e il filo del mirino anteriore.

Con la pratica, le mani finiranno per mantenere automaticamente la quantità di luce in entrambi i lati del mirino frontale in maniera regolare.

Se la pistola ha mirini regolabili, la parte superiore del filo del mirino anteriore dovrebbe essere simile alla parte superiore del mirino posteriore. Questa linea regolare con la luce, brillando nel mezzo ti fornirà il migliore angolo di mira per uno sparo difensivo.

Non preoccuparti se non sei in grado di mantenere la pistola completamente ferma, in realtà nessuno è in grado di farlo

La pratica farà sì che il movimento diventi più lento, perché i muscoli del braccio e del polso usati per sparare diventeranno più forti.

La precisione millimetrica non è necessaria nel tiro difensivo, pratica guardando attraverso i mirini al bersaglio, utilizzandoli soprattutto per confermare che la bocca dell’arma sia situata sopra il bersaglio.

È più importante sapere sempre dove si trova l’avversario e che cosa sta facendo, piuttosto che concentrarsi sul mirino

Qualunque cosa faccia, non perdere di vista un aspetto fondamentale del tiro difensivo, devi essere in grado di piazzare uno o più colpi al bersaglio a breve distanza, nel minor tempo possibile.

Un allenamento centrato sull’obiettivo è fondamentale per imparare correttamente l’uso, la sicurezza e la precisione con la pistola, ma può essere anche fine a se stesso.

Dato che il tiro difensivo è un tiro a breve distanza, una volta imparate le basi, la pratica del tiro al bersaglio a lunghe distanze non avrà senso.

In realtà, l’eccesso di pratica può impedirti di riconoscere un tiro rapido in una situazione di tensione, è meglio la rapidità di reazione, che la precisione millimetrica, purché tu sappia ciò che stai facendo.

Con un’adeguata pratica, dovresti poterti difendere da solo e difendere la tua famiglia con una certa sicurezza.

Il possesso legale di una pistola per la difesa personale non è facile da ottenere nell’attuale società, né è una decisione che si possa prendere alla leggera

Benché tu abbia i requisiti necessari e possa entrare in possesso di un’arma in maniera legale, le circostanze nelle quali puoi usarla per proteggerti e difendere la tua famiglia sono ancora più confuse.

Nelle ultime decadi i tribunali hanno progressivamente adottato posizioni che situano il proprietario di un’arma in una situazione di considerevole svantaggio legale.

Questa linea di ragionamento sposta il peso della colpa del trasgressore della legge al cittadino che segue la legge e che reagisce di fronte ad un’intrusione.

Esiste qualcuno tra noi in possesso di una saggezza tale che possa determinare con esattezza, in un millesimo di secondo, i vantaggi relativi di una pallottola su una gamba di fronte alla pena legale che un giudice imporrebbe?

Tuttavia, per quanto assurdo possa sembrare, l’unica maniera di essere sicuri è consultare un avvocato prima di premere il grilletto.

Dato che un furto implica una pena abbastanza lieve, non sarai in un terreno sicuro se cerchi di fermare un ladro con un’arma, la maggior parte dei giudici ti considereranno colpevole di aver utilizzato una forza non ragionevole se spari ad un ladro che ha le tasche piene di cose tue.

Questo deriva dal concetto che afferma che non devi utilizzare un’arma per proteggere la tua proprietà.

Se lo fai, deve essere in risposta a una situazione nella quale la tua vita (non la tua proprietà) è minacciata, nonostante ciò, in quel caso dovrai essere in grado di dimostrare che la tua vita era minacciata e che in nessun altro modo saresti potuto sopravvivere alla situazione.

Se utilizzi una pistola per fermare un ladro che sta scappando con i tuoi beni, peggiorerai considerevolmente  la situazione a tuo svantaggio

Nel caso tu lo dovessi inseguire e gli spari quando sta uscendo da casa tua, le conseguenze saranno anche peggiori. Tenendo conto di questo, esiste un procedimento stabilito che bisogna seguire nel caso in cui ti trovi un intruso dentro casa tua.

  • Il primo passo è verificare se è armato o meno, e se pertanto è potenzialmente pericoloso;
  • Il secondo passo è sfidarlo verbalmente: Se lo sorprendi con un affronto verbale, potrebbe impaurirsi e correre via o perfino arrendersi. Ovviamente, corri il rischio che ti uccida mentre tu segui il procedimento di “identificazione e sfida”.

Ora supponiamo che non sia armato, ma che sia tre volte più grande di te e il doppio più pericoloso di te

Non gli è affatto piaciuto che tu abbia interrotto il suo lavoro e quindi, senza pensarci due volte, decide di attaccarti con una bastonata per il semplice fatto di averlo disturbato, secondo te dovresti sparargli?

Se lo fai, ti troverai nelle sabbie mobili

Nella maggior parte dei casi, il giudice ti considererebbe colpevole di un atto criminale se si giungesse alla conclusione che non eri in pericolo di morte o di lesione grave come risultato di un attacco dell’aggressore con le mani. La stessa figura legale considererà l’uso delle mani di un pugile, di un lottatore o di un esperto in Arti marziali equivalente ad un’arma letale.

La maggior parte delle situazioni in cui è necessaria un’arma per la difesa personale accadono di sera, a corta distanza e così rapidamente che non vi è il tempo di tener conto delle considerazioni legali.

Tuttavia, devi essere in grado di convincere le autorità di aver fatto ricorso all’uso dell’arma solo perché la tua vita era in pericolo.

In generale si accetta l’idea che si dovrebbe utilizzare solo la forza sufficiente a resistere ad un’aggressione

Non appena il pericolo è passato, dovrai fermarti e desistere immediatamente.

I criminali tuttavia, non si vedono limitati dagli stessi obblighi legali. in alcuni stati d’America ad esempio questo concetto è stato modificato in maniera graduale, fino al punto in cui l’unica opzione legale che rimane in una situazione che minaccia la tua vita è scappare, invece di rimanere e mettere fine alla vita del tuo aggressore.

I punti che ho analizzato fanno una bella figura nella sala di un tribunale, ma la realtà della vita di solito è molto differente.

La tua reazione davanti ad un furto o un’aggressione notturna di un intruso si deve produrre in un millesimo di secondo

È raro che tu abbia il tempo sufficiente per sparare con precisione una pallottola all’aggressore per inabilitarlo o per fermare l’attacco.

Spesso non si ha nemmeno il tempo per mirare e colpire il bersaglio, l’unica cosa che avrai il tempo di fare è mirare, bene o male che sia, e sparare.

In queste circostanze vi è la possibilità che la tua reazione provochi la sua morte

È stato eccessivo l’uso della forza?

Un giudice potrebbe pensarlo se spari un secondo colpo e colpisci l’aggressore alle spalle mentre scappa, in questo caso esiste la possibilità che considerino te l’aggressore.

Se utilizzi una pistola per difenderti o se in grado di disarmare un aggressore, sarai giudicato con il criterio che il giudice considererà ragionevole in quella situazione e questo potrebbe essere terribile per te.

Se ci sono testimoni o se l’aggressore sopravvive, tutte le parole che vi sarete detti saranno analizzate nel dettaglio

Il luogo in cui si sarà prodotto l’incidente e la parte del corpo in cui l’aggressore avrà le ferite, influiranno sulle decisioni del giudice.

Si analizzeranno le sue intenzioni e il giudice deciderà quali erano le tue, con tutto questo a tuo sfavore, la prospettiva di utilizzare un’arma per difendersi diventa opprimente.

Supponiamo che per te sia necessario sparare ad un aggressore o ad un intruso

Benché tu consideri le tue azioni totalmente giustificate, dovresti pensare al fatto che le implicazioni legali possono durare mesi o anni.

Ci sono casi nei quali tutto è semplice e chiaro per tutti, meno che per te. Tuttavia, la maggior parte della gente non è in grado di togliere la vita a qualcuno in maniera così semplice ed è probabile che conseguenze psicologiche ti condizionino per il resto della vita.

Che cosa fare dunque per essere pronti alle conseguenze di un incidente simile?

Benché sia difficile da considerare qualsiasi possibilità, dobbiamo assumere che eri e sei convinto di sopravvivere all’attacco.

Se l’aggressore è armato di pistola, continua a sparare fino a che non è a terra.

Una volta al suolo, retrocedi e copriti fino a quando non riuscirai a valutare bene la situazione, se spari e lui scappa, lascialo andare, è troppo rischioso seguirlo.

Quando sei convinto che tutto è finito e che l’aggressore non può più farti del male, verifica di non essere ferito

Se si è trattato di un’aggressione in casa, assicurati che il resto della tua famiglia sia sano e salvo.

Ci sono stati casi in cui un membro della famiglia è stato colpito durante la sparatoria ed è rimasto a terra ferito per ore, fino a che qualcuno non è andato a vedere se stesse bene.

Assicurati di star bene anche tu, è possibile che una pallottola ti abbia colpito o ti abbia sfiorato senza che te ne renda conto.

Avvisa i parenti o qualunque vicino che entri a vedere che cosa è successo, di non toccare niente, tutto va lasciato così com’è fino all’arrivo della polizia, così potranno ricostruire i fatti.

Se le cose vengono mosse o se sembra che sia stata modificata qualche prova, ti sarai cacciato in un grosso guaio.

Se l’aggressore aveva un’arma, assicurati che le autorità ti confermino per iscritto con tanto di data il fatto, non vanno perse prove per nessun motivo.

Chiama il tuo avvocato, spiegagli brevemente quello che è successo.

Non appena hai visto che tutti stanno bene, chiama il tuo avvocato, spiegagli brevemente quello che è successo e chiedigli di venire da te quanto prima.

È estremamente importante che sia presente sin dall’inizio, probabilmente non ti dirà niente fino a che non arriverà sul posto.

Se possibile dovrebbe trovarsi nel luogo dell’aggressione quando arriva la polizia, dato che la maggior parte delle linee telefoniche di emergenza della polizia hanno dei registratori automatici, qualunque cosa succeda da quando chiami a quando non arrivano, rimarrà registrata e può esserti utile in un secondo momento.

Lascia la tua arma e aspetta che arrivino, questa è una misura di sicurezza importante

Se i poliziotti arrivano alla porta e ti trovano con l’arma in mano, potrebbero spararti. Tutto quello che sanno è che c’è stata una sparatoria, dato che non conoscono i dettagli, è normale che si aspettino un conflitto.

Se ti vedono alla porta con una pistola in mano, non ti daranno l’opportunità di spiegare, perciò è meglio che ti assicuri di metterla giù.

Uuna volta arrivato il tuo avvocato, appartati con lui e spiegagli la situazione nel dettaglio, non nascondere niente, qualunque cosa tu riesca a dirgli è un’informazione che non può essere usata contro di te.

Se pensa che il tuo stato emotivo sia troppo alterato per far fronte alla situazione, ti potrebbe consigliare di andare via, fa quello che ti dice senza discutere, l’avvocato sa che cosa deve dirti e può occuparsi della polizia fino a che non sarà sicuro che tu sei nelle condizioni di affrontare la situazione.

Nel caso tu non abbia un avvocato o non riesci a trovarlo in quel momento, stai molto attento a quello che dici alla polizia

Se non hai un avvocato o non riesci a trovarlo in quel momento, stai molto attento a quello che dici alla polizia, perché qualunque cosa dirai in quella situazione potrà essere usata come prova.

Non chiedere perdono, non piangere e non firmare niente, mostrati il più rilassato possibile, soprattutto se qualcuno comincia a farti delle pressioni.

Osserva quello che fanno e cerca di ricordare tutto quello che succede sin da quando arrivano

L’unica cosa che dovresti dire in quel momento è che vuoi parlare con il tuo avvocato, collabora con loro, ma non perdere di vista quello che fanno.

È probabile che delimitino la zona nella quale ha avuto luogo la sparatoria per raccogliere le prove, osserva quello che fanno e cerca di ricordare tutto quello che succede sin da quando arrivano, la tua arma verrà requisita come prova, ma non devi rivelare se hai altre armi a casa né dove stanno.

Non sei obbligato a rispondere a domande che abbiano a che vedere con la tua casa o con la tua vita privata e che non siano in relazione con quello che è successo.

A seconda delle circostanze della sparatoria, delle prove fisiche, delle dichiarazioni fatte da te o dagli altri e del carattere degli investigatori, potresti essere arrestato e accusato di omicidio!

Questo può succedere benché sia un chiarissimo caso di autodifesa.

Non farti sorprendere dagli avvenimenti e sii pronto al peggio

Ora forse ti rendi conto di quanto sia importante avere al tuo fianco sin dall’inizio un avvocato.

È possibile che i parenti dell’aggressore decidano di perseguirti legalmente, benché le autorità non ti incolpino di nulla, queste cause possono essere interminabili e potresti spendere una fortuna in processi.

Inoltre i suoi parenti potrebbero molestarti in altri modi, minacciandoti per telefono o con messaggi anonimi.

Cerca di non parlare dell’accaduto con nessuno, a meno che non sia il tuo avvocato

Perfino i commenti informali a membri della tua famiglia possono diventare un problema per te col tempo.

Le conseguenze derivanti dallo sparare ad un’altra persona per autodifesa non sono sempre giuste, soprattutto perché non succederebbe la stessa cosa se accadesse il contrario, se il tuo aggressore sopravvivesse e tu no.

Disgraziatamente è così che funziona oggigiorno la società e devi sapere ciò che ti aspetta se sei spalle al muro e devi difenderti usando la forza letale.

La parte spiacevole dell’incidente sarà difficile da dimenticare e potresti aver bisogno di un aiuto professionale e di un supporto psicologico

Nonostante i numerosi studi che dimostrano che l’incidenza di aggressioni, furti e violenze diminuiscono nelle zone in cui i cittadini vanno in giro armati e i criminali lo sanno, i governatori e i tribunali continuano a rendere la vita estremamente difficile ai cittadini che seguono la legge.

Il continuo aumento del crimine e l’incapacità della polizia di contenere le ondate di violenza è terrificante, soprattutto quando ti rendi conto che tutto è contro di te se decidi di difenderti.

Arrivati a questo punto, dovresti essere cosciente delle conseguenze derivanti dall’uso della pistola per difesa personale.

Posso dirti un’altra cosa, cioè cerca di evitare gli scontri il più possibile, se non puoi evitarlo, affrontali con l’idea di vincere nonostante le conseguenze.

Questo mi porta al concetto finale nell’uso di una qualsiasi arma, che sia una pistola o anche un coltello

Come hai potuto leggere, qualunque decisione tu prenda, il risultato sarà straziante, ma se alla fine non hai altre possibilità e la tua vita o quella di un tuo caro è minacciata, dovrai fare ciò che è necessario per sopravvivere, questo ci porta alla decisione dove dovrai “Lottare per la vita”.

Note


[Mente & Corpo] Si vis pacem, Para bellum

In questo articolo tratteremo come allenare il corpo e la mente a prepararsi ad ogni evenienza pericolosa al fine di non permettere che niente precluda la nostra serenità.

Si vis pacem, Para bellum

Publio Flavio Vegezio Renato

È un celebre motto latino che ricalca perfettamente la filosofia di chi studia la difesa personale vitale, se vuoi non dover combattere,meglio e conoscere il combattimento e secondo la scuola italiana, meglio conoscere quanti inganni, frodi e provocazioni di cui può servirsi un nemico per poterlo meglio contrastare o anticipare.


Se vuoi la pace devi essere pronto a:

  • Riconoscere i segnali di allarme (red flags);
  • Fuggire quando è possibile;
  • Utilizzare l’ambiente circostante a tuo favore;
  • Servirsi di oggetti disponibili come strumenti da difesa;
  • Muovere il tuo corpo e la tua mente per contrastare l’attacco.

Vediamo insieme le strategie possibili sulle quali è possibile lavorare.

FASE UNO: ACQUISIRE INFORMAZIONI

Acquisire informazioni è necessario, qualunque sia l’ambiente nel quale ci troviamo, lo facciamo costantemente a nostra insaputa costantemente e si può imparare a farlo in maniera selettiva quando ci troviamo in contesti o situazioni che “a naso ci puzzano”.

Allora in questo caso i migliori sono gli addetti alla sicurezza professionisti e i reparti speciali operativi di polizia e militari che operano in contesti red zone, da questo si possono ricavare alcuni utili consigli e suggerimenti che possiamo comunque adattare alla nostra vita, per cominciare impariamo a guardare le cose e gli oggetti in maniera definita ed esercitiamo il nostro sistema sensoriale per percepire, vedere, sentire in maniera selettiva.

Il trucco è quello di fare le cose come un gioco, si evita così il pericolo di diventare paranoici e ritrovarsi a strisciare con il passo del leopardo verso casa.

ANALISI EVENTO-CONTESTO-CIRCOSTANZE

ogni situazione che da origine ad un evento, si realizza in un contesto e attraverso diverse circostanze, la valutazione che possiamo dare di questi tre fattori influisce notevolmente sulle risposte che a nostra volta forniremo e nel modo in cui ci relazioneremo con l’evento.

Una situazione potenzialmente pericolosa che si svolge di giorno in mezzo alla gente presenta più opportunità difensive da una che si realizza in un luogo poco illuminato e lontano dal via vai di persone?

A prima vista sembra scontata la risposta e banale il quesito, ma pensateci bene e vedrete che in entrambe troverete i punti di forza e debolezze alle quali potresti ricorrere per sopravvivere, tutto, ritorno a dire è legato ai tre fattori precedenti e al modo nel quale percepiamo e riusciamo a ricavare informazioni da questi fattori.

ARMI-ARMATO-REAZIONI

Devi sapere in anticipo quali sono le reazioni del tuo corpo, non voglio tediare nessuno con la descrizione delle diverse sostanze chimiche prodotte dal corpo in questi frangenti, è il loro risultato o meglio quello che senti che può essere utile conoscere, aumento del battito cardiaco, restrizione del campo visivo, parziale sordità, frammentazione del movimento avverso (si vede come al rallentatore), accaloramento (vampate di calore al viso) o sudorazione fredda, salivazione bloccata, tremolio nella voce, tremito alle gambe (ginocchia), alle mani ecc…

Con questa situazione in atto è ben difficile orchestrare una difesa, verrebbe da pensare “eliminiamo la paura e quindi le reazioni di cui prima”, questo è l’errore più grave e più pericoloso in assoluto, quello che veramente può farci perdere la vita, perché non è possibile bloccare il lavoro del guardiano arcaico.

Questo vorrebbe dire forse che qualunque cosa uno indipendentemente dalla sua preparazione fisica, dallo stile di vita, da chi è il proprio maestro, nel momento del pericolo si proverà paura? Ebbene si, si proverà paura, paura, paura.

Lo dico perché essere sinceri non costa niente, e così nel frattempo lo ricordo anche a me.

Rallegriamoci, comunque, se proviamo paura vuol dire che siamo umani, perché la paura la provano tutti i sani di mente ed è l’alleato più prezioso che possiamo avere, a patto di imparare piano piano a cavalcarla, è come un’onda non puoi domarla a collaborare con lei e ad utilizzare le risorse che ti mette a disposizione,ci sono molti modi di agire e collaborare con la paura addosso, questo agire tremando lo chiamerò LA SALVAZIONE.

LA SALVAZIONE NON È UN COMBATTIMENTO

La salvazione è un corpo che vuole fortemente sopravvivere, fattore, pensandoci bene, naturale.

intrinseco nella natura di ogni essere umano, la salvazione ha lo scopo di farci uscire fuori, il più possibile simili a quando siamo entrati nel vortice di un evento pericoloso per il nostro vivere.

Corrisponde al riuscire a tornare a casa a leccarsi le ferite, lasciando se necessario qualcosa di noi indietro, portando fuori il necessario del nostro corpo per continuare a vivere, ecco in ordine d’importanza da cosa è costituita LA SALVAZIONE.

FUGGIRE

Fuggire è la mirabile capacità guerriera di lasciare l’aggressore ad urlare la frase pre-attacco o inteso a far volteggiare il coltello, mentre noi siamo lanciati in una corsa da centometristi, irraggiungibili anche per il povero Mennea dei tempi migliori, la sorpresa è l’elemento determinante, la velocità di reazione di scatto e la progressione (ali ai piedi) sono necessarie.

Prova a voltarti ed a correre con un compagno che tenta di prenderti partendo da 2,3,4,6,8, metri di distanza, se riesce a toccarti anche solo di poco alla schiena, sei fatto, prova a partire da seduto su una sedia, rialzarti da schiena a terra e scattare, ecc…, prova a correre salendo e scendendo le scale, scansando oggetti, persone, saltando ostacoli ecc.., puoi farlo diventare tra le altre cose anche un ottimo allenamento aerobico e di forza esplosiva.

FRAPPORRE OSTACOLI

A meno che non ci troviamo nel deserto del Sahara o in qualche situazione limite dovremmo poter contare su ostacoli naturali, costruiti o posati che possiamo utilizzare per proteggerci o difenderci da un attacco.

Un aggredito una volta ebbe una mirabile idea, si lanciò sotto un furgoncino parcheggiato e iniziò a urlare da sotto il mezzo facendo fuggire l’aggressore.

Anche un cassonetto rappresenta una barriera, un albero, se siete buoni arrampicatori, il carrello della spesa ecc…, provate a valutare l’ambiente come alleato, se hai un’auto vecchia o la possiede un tuo amico, prova a rotolare sul cofano a salire sul tetto, a girarci in tondo con qualcuno che cerca di prenderti o colpirti, ancora, quanto tempo ci metti ad uscire dal tavolo fisso di un locale pubblico? quanto ci metti ad uscire da una macchina ferma magari dalla parte opposta del posto dove ti trovi?

UTILIZZARE OGGETTI DEL LUOGO O OGGETTI PROPRI

Utilizzare per difenderci oggetti del luogo in cui ci troviamo e gli oggetti propri, è un insieme di strategie e tattiche per sorprendere chi ci attacca, lanci di cappello, sciarpe, frustare con la giacca, cinture, bicchieri, posate, bottiglie, tappeti, scopini del wc (oltretutto fanno schifo) , sputi, sabbia, monete, macchina fotografica, cellulare, attaccapanni, portatovaglioli ecc… Il limite è nel vedere ed individuare l’alleato nel contesto e nel saperlo utilizzare, non dobbiamo comunque diventare dei funamboli del già citato scopino, bisogna acquisire abilità sui materiali, una giacca ha il potere e strategie diverse da una cintura anche se sono entrambi flessibili e costruire la capacità di vedere gli oggetti nell’ambiente.

Qualcuno ben conosciuto e famoso nel mondo delle arti marziali, una volta si difese da un aggressore con il cappello e i guanti che portava, un modo senza dubbio elegante e raffinato per uscire fuori da una sgradevole situazione.

Prova a vedere quanto tempo ci metti a sfilarti la cintura, prova a lanciare un capello contro un bersaglio variando la distanza e muovendoti, prova a vedere quanto tempo ci vuole a sganciare il marsupio ed impugnarlo e fino a dove riesci a colpire, prova a sfilarti il giubbotto, basta una manica, la sinistra lasciala pure infilata, usalo avvolto al braccio come uno scudo, o a baffo, trattenendolo con un lembo ed usato per colpire. In entrambi i casi si può svolgere e utilizzare per legare e strappare l’arma catturata dalle mani dell’aggressore o per fare soffocamenti con portata a terra dell’aggressore, togliendogli la visuale con l’indumento e rendendogli difficile anche la respirazione.

Riesci a centrare un bersaglio con una moneta e a che distanza?

UTILIZZARE IL CORPO

Supponiamo che non si possa fuggire, anche che l’ambiente non abbia ostacoli che possiamo frapporre fra noi e chi ci vuole fare del male, supponiamo di non avere a portata di mano o nelle immediate vicinanze niente che possa assomigliare ad uno strumento di difesa, nemmeno un chiodo, supponiamo ancora di non aver con noi nessun oggetto da utilizzare per rafforzare la nostra azione difensiva, nemmeno le chiavi di casa.

Possiamo supporre di essere all’ultima spiaggia, non ci resta che utilizzare noi stessi, a questo punto purtroppo è necessario utilizzare le armi del nostro corpo per tamponare l’aggressione, l’errore imperdonabile sarebbe farlo come prima opzione, ma dobbiamo a quel punto soddisfare il bisogno principale che sentiamo impellente, riuscire a cavarsela.

L’unica cosa che può aiutarci in questo caso è l’esperienza acquisita in un allenamento specifico di autodifesa ed il controllo della paura.

Tutto è valido, dai morsi alle strizzate in punti sensibili, dai colpi bassi alle gomitate, l’istinto di sopravvivenza ci porterà a riportare a galla anche tecniche dimenticate e a valutazioni delle situazioni venutasi a creare.

NOSCE TE IPSUM – CONOSCI TE STESSO

È il motto che potrebbe accompagnare che si dedica sinceramente allo studio della difesa personale e ancor di più chi ricerca e sperimenta metodi protettivi vitali per la tutela della vita contro attacchi d’arma da botta o bianca, conoscere se stessi non è un’impresa da poco.

Un approccio potrebbe essere quello di salutare l’immagine che vedi riflessa nello specchio quando ti trucchi (se sei una donna) o quando ti fai la barba (in questo caso dovresti essere un uomo), non è una perdita di tempo ed è un inizio di presa di contatto visivo con il tuo esterno, inoltre esiste la possibilità che ti osservi con occhi nuovi e forse potresti anche piacerti.

In ogni caso quello che vedi nello specchio al mattino è la stessa cosa che porterai in giro per il resto della giornata e siccome stiamo parlando di difesa personale vitale, è proprio quella persona lì che tu desideri proteggere, sei in altre parole la guardia del corpo di un personale molto importante al quale tieni molto e a cui non fai mancare niente: tu, quindi vale la pena spendere un po’ di tempo per conoscerti meglio, propongo alcuni sentieri di autoconoscenza da percorrere.

COGITA RENS COGITA EXTENSA

Praticare con la mente praticare con il corpo significa vivere la pratica anche fuori dall’allevamento, significa mantenere l’unità tra il centro direzionale di controllo ed i distretti operatici e farlo ricavandone benessere.

Sperimentare modi nuovi di camminare e spostarsi, sai farlo in modo silenzioso, deciso, su una gamba sola ecc…, utilizzare ciò che ci circonda per calibrare le nostre capacità, osservare i movimenti e le posture delle altre persone, un gioco senza fine ti attende, un gioco nel quale puoi utilizzare mente e corpo in modo diverso dal solito.

RISORSE DEL RETTILE

Per conoscerci davvero non possiamo escludere la parte arcaica con la quale poco riusciamo a dialogare e questa parte è anche lei disposta a giocare, ma sempre occupata a tempo pieno nel difficile compito di farci sopravvivere è più difficile da interessare, si chiama paleoencefalo (cervello antico), per distinguersi dal neoencefalo (corteccia celebrale la parte del cervello più recente), e per completezza di informazione va citato anche un certo sistema limbico che è una sorta di collegamento tra i due cervelli.

Paleoencefalo, neoencefalo e sistema limbico

Ora il fatto molto interessante in tutta la vicenda, a noi interessano gli aspetti marziali, la difesa personale vitale, è che il nostro beneamato cervello pensante (neoncefalo può funzionare solo una volta che siano soddisfatti i bisogni di base del rettile (paleoencefalo+sistema limbico).

Adesso anche se non siamo scienziati ne medici proviamo ad avventurarci in una specie di spiegazione scientifica per capire meglio (speriamo) l’assunto, ora il nostro organismo è mosso da una rete composta da due sistemi nervosi: il sistema parasimpatico che governa il riposo, la digestione ed altri processi autonomi, sistema simpatico che subentra nei casi d’allarme e in corso e blocca tutti i processi in corso del parasimpatico finché il pericolo non è passato.

Quindi in caso di immediato e vero pericolo la mia prima risposta sarebbe dettata dal rettile

Quindi in caso di immediato e vero pericolo se la minaccia e l’azione fossero contemporanee (esempio girato l’angolo mi attaccano) la mia prima risposta sarebbe dettata dal rettile.

Un altro curioso aneddoto: alcuni anni fa un indiano Nativo d’America (pellerossa per quelli che guardano i film di Cowboy) condusse un seminario ai boschi degli Appennini e durante uno degli esercizi condusse i partecipanti nel fitto degli alberi e li fece urlare con quanto fiato ed energia avevano in corpo.

Perché vedi quando urli davvero è il rettile che urla e si sente un ruggito, ma quel giorno gli urli sembravano belati o tentativi di prendere il do di petto, ci volle un po’ perché i partecipanti imparassero ad urlare di nuovo come mamma natura aveva disposto per loro.

Se vuoi scoprire il potere arcaica del tuo corpo devi aprire dei canali e concederti delle possibilità: una possibilità te la offre la deambulazione in quadrupedia con movimenti aggiuntivi come raccogliere oggetti, bastoni e colpire il suolo o lanciarli, oppure trovati un bosco, il greto di un fiume e verificare il tuo urlo vitale, se pensi di provare fallo in ambiente sicuro per non essere portato via con la camicia di forza.

STATI D’ANIMO

Altra strada da percorrere è quella degli stati d’animo, in realtà tutto quello che percepiamo dal mondo, anche quello che stai provando in questo momento mentre leggi queste righe, dipende dallo stato d’animo nel quale ti trovi, il che vuol dire da quello che i tuoi sensi ti inviano e dalle manipolazioni che tu operi sulle informazioni, i sensi sono cinque e sono le nostre guide perennemente in azione, antenne protese nell’ambiente che ci circonda per captare e decodificare  segnali, suoni, odori, consistenze e ogni altra cosa si trovi nello spazio nel quale ci muoviamo.

Quello che tocchi o che tocca il tuo corpo (cinestesi) ti invia informazioni, ma è quello che tu elabori di queste informazioni a fare la differenza

La cosa notevole, quella importante per noi è che sono questi i primi strumenti che ci mettono in relazione con l’evento, in particolare vista, tatto, udito, quello che vedi, quello che senti, quello che tocchi o che tocca il tuo corpo (cinestesi) ti invia informazioni, ma è quello che tu elabori di queste informazioni a fare la differenza.

Un tipo che parla tra sé, dallo sguardo in tralice, tatuato e sudato che incroci per strada, potrebbe farti pensare che potrebbe trattarsi di un tossico, psicopatico: hai visto che tipo è, senti che parla da solo, passando ti ha urtato e hai percepito l’odore del suo corpo e su questo hai elaborato un identikit.

Invece potrebbe essere chiunque, anche un medico dentista che fa giornalmente jogging e che ascolta la radio con l’auricolare.

La cosa ancora più importante è che sulla base di quello che noi percepiamo, bada bene non del fatto in se stante, quindi concreto, si innescheranno opportune reazioni biochimiche nel nostro corpo.

Per quanto ne sappiamo non esiste una vera realtà, o meglio esiste quello che ognuno di noi percepisce in questa realtà

Guardare e vedere sono due aspetti legati alla percezione visiva che non necessariamente convivono, avete mai cercato qualcosa che avevate sotto gli occhi magari dicendovi “proprio non riesco a vederla“, prova a guardare qualcosa che vi preoccupa sfocando l’immagine, agite sulla messa a fuoco dell’immagine, si può fare anche con i film dell’orrore sembrando assolutamente impavidi di fronte alle scene più crude.

Prova a farlo con un compagno d’allenamento che funge da aggressore, sfocate l’immagine e agite in quello stato.

Guardare senza giudicare o secondo le scuole orientali creare il vuoto nella visione è proprio questo: agire sui sensi per ottimizzare lo stato d’animo, non giudicare l’evento ma muoversi nell’evento, lasciando all’istinto marziale la capacità piena di interagire con l’avverso, riuscire a fare questo è una delle piccole conquiste sulla strada del Graal, pietra filosofale e percorso di ogni scuola marziale.

Un viaggio che punta all’unione delle tre forze attraverso un cosciente alterato addestramento dei sensi e degli stati d’animo fino a raggiungere l’unione, l’equilibrio e l’interazione tra interno ed esterno.

Omne Trinum Est Perfectum, per gli antichi ogni triade è perfetta, tre cerchi per comprendere uno in alto, uno in basso, uno al centro, non è detto che ci si arrivi, ma è certo che alcune strade si conoscono e si possono percorrere, il lavoro è possibile e gratificante.

FISIOLOGIA & ATTITUDINI RINFORZATE

Sulla fisiologia del tuo corpo puoi agire in molti modi, prova ad abbassare le spalle e assumere un’espressione avvilita, ora prova a farlo raddrizzando le spalle, sollevando gli occhi e guardandoti attorno, vedrai come cambia la prospettiva del mondo che ti circonda.

Nella situazione di pericolo lo sconforto, l’abbattimento nasce anche dalla postura che è atteggiamento fisico espressione di uno stato mentale, una strategia semplice ed economica come ho già detto è imparare a respirare, non solo è importantissimo per la difesa personale vitale, è anche un investimento in salute.

Prova in allenamento a difenderti trattenendo il fiato per alcuni secondi, difficile vero? Questa è la situazione in cui ti potresti trovare in una vera aggressione, si va in apnea e la mancanza anche parziale di ossigeno tra le altre cose taglia le gambe (movimento) ed ingessa le braccia.

Chi ha combattuto sa bene che il nemico peggiore, prima dei colpi dell’avversario è il fatto di trovarsi senza fiato.

Note


La SCIENZA del disarmo delle ARMI A CANNA LUNGA

In questo articolo spiegheremo come difenderci dalle armi da fuoco a canna lunga.

Sicuramente in tutto il mondo sono morti molti poliziotti nel tentativo di disarmare una persona da un’arma

Che fosse un’arma bianca, o una a canna corta, ma ben più difficile è il disarmo di un’arma a canna lunga, ed ancor di più se ad impugnarla è una persona imbottita di droga o riempita di alcool.

Ricordo che durante un corso di aggiornamento con gli S.W.A.T, ci fu raccontato un episodio di violenza domestica dove il marito voleva uccidere la moglie e probabilmente se stesso (ed il poliziotto che gli parlava).

Quando in un attimo di distrazione il poliziotto effettuò il disarmo dell’uomo, ubriaco, attuando la tecnica “a remo in avanti”.

La tecnica a remo in avanti era un disarmo che al poliziotto era stato insegnato dal suo sergente addetto all’istruzione, durante il periodo di addestramento per il Vietnam, quando i veterani insegnavano ogni tipo di combattimento a corta distanza, quelli da manuale e non.

È molto difficile trovare chi e dove insegnino il disarmo della carabina o del fucile

Ma grazie ad un sergente veterano della guerra in Vietnam con due ginocchia Dupon in plastica, la tecnica di disarmo venne insegnata e tutt’ora attuata.

Chiaramente la curiosità per il disarmo di quest’arma mi spinse a studiare scientificamente le tecniche, studiando anche le possibili posizioni di confronto, cercando di risolverle.

Le armi che analizzai furono la carabina, il fucile, la semi-automatica e l’automatica, questo spinse ad affrontare il problema del confronto, studiando psicologicamente i fattori scatenanti di una determinata situazione e le tattiche fisiche attuabili, arrivando alle seguenti considerazioni:

I problemi fisici

  • Valutazione del nemico;
  • Distanza;
  • Posizione.

Metodo con Valutazione del nemico

  • Bisogna valutare la qualità cui porta l’arma e la quantità del nemico;
  • Quale stazza, mentalità, stato fisico ed abilità ha la persona che impugna l’arma.

Distanza 1: Contatto

Quando il foro d’uscita della canna è a contatto con il nostro corpo, tutti quelli che impugnano un’arma, che siano allenati o meno, toccano spesso con la canna l’aggredito, può darsi che il soggetto abbia fretta e ci spinga con l’arma, potrebbe essere furioso e toccarci con la canna a mò di intimidazione.

Potrebbe essere sicuro di sé, benché sembri una strategia sbagliata, succede con una certa regolarità.

Distanza 2: Attacco

Quando il soggetto tiene l’arma ad una distanza nella quale abbiamo l’opportunità di saltargli addosso per sottrargliela.

Distanza 3: Lontananza

Quando ci puntano il fucile contro da una distanza in cui non è possibile saltare addosso all’aggressore, fino, letteralmente, ad una distanza da franco tiratore, in questa situazione l’unica cosa che possiamo fare è utilizzare la psicologia per cercare di salvarci.

Posizione

Il nemico presenterà il suo fucile in quattro posizioni basilari, con tre variazioni in ognuna di esse:

  • Posizione 1- Davanti a noi;
  • Posizione 2- Ad uno dei lati (destro o sinistro);
  • Posizione 3 – Dietro di noi;
  • Variazione A- Al di sopra di noi;
  • Variazione B- Alla nostra altezza;
  • Variazione C- Sotto di noi.

Metodo con cui porta l’arma

Come tiene l’arma, la impugna solo con le mani? O peggio, la tiene assicurata ad un cinturino? Sicuramente terrà l’arma in tre modi basilari:

  • Con le mani;
  • Con il cinturino;
  • Con un qualsiasi arnese di sicurezza.

Con le mani

I criminali normalmente usano armi “civili“ come fucili da caccia ed altre, spesso rubate, e le portano in modo da poterle estrarre rapidamente.

Il cinturino

Per anni si è studiato sulla storia militare, analizzando fotografie sia di truppe internazionali sofisticate ed altamente allenate, che di ribelli senza addestramento, dalle migliaia di fotografie di personale militare armato, esaminate le loro armi, all’incirca metà mostravano di usare il cinturino dell’arma, mentre l’altra metà non faceva caso ad esso e lo lasciava penzolante dall’arma.

Per focalizzare di più la questione, molte di queste fotografie erano di guardie di prigionieri e scorte, un’arma con il cinturino legato ad una parte del corpo evidenzia un ostacolo per il disarmo, il personale militare usa i cinturini.

L’idea basilare del cinturino è poter portare l’arma sia in posizione di riposo che di attacco, poi si scoprì che poteva servire a migliorare la mira, è legato alla canna per poter strisciare a terra in silenzio ed in modo sicuro e permette le seguenti posizioni dell’arma:

  • Di traverso sul petto;
  • Sotto l’ascella;
  • Sulla schiena;
  • Di traverso sull’ascella e sulla spalla a mò di clip.

Molte vittime sono scappate mentre venivano scortate per essere interrogate, mentre mangiavano, mentre erano in bagno o in camera da letto.

Molti hanno sorpreso una guardia stanca o poco allenata, altri hanno sperato che la guardia rimanesse sola.

Molti sapevano che sarebbero morti tramite esecuzione e hanno deciso di morire lottando, ma hanno vinto e si sono salvati, perciò dobbiamo sempre osservare dov’è in nemico, che aspetto ha, come porta l’arma ed identificare come può usarla, prima di risolvere fisicamente la peggiore di tutte le situazioni.

Soluzioni basilari per la sopravvivenza

Non importa in che posizione sia l’arma, né se la canna ci sta toccando o si trova a distanza di attacco, l’equazione per la sopravvivenza è:

  • La minaccia se la canna è a contatto;
  • Deviare la canna;
  • Controllare l’arma deviata e colpire collo o la testa per stordire l’avversario e non far più focalizzare la sua attenzione sull’arma;
  • Colpire le braccia che sorreggono l’arma;
  • Strappare l’arma continuando a colpire l’avversario.

Affrontare un’arma sciolta, senza cinturino:

Il miglior modo per ottenere questo disarmo è colpire le braccia che sorreggo l’arma per portargliela via.

Affrontare un’arma legata al cinturino

Questo esige la presa dell’arma e tirare con forza per portare al suolo il nemico, bisogna colpire più volte, quanto è necessario, per ottenere un disarmo dovete sganciare il cinturino o liberare la clip che unisce l’uomo all’arma, per sganciare il cinturino, per prima cosa dovete aver ridotto significatamene il nemico abbastanza per manovrare il suo corpo in sicurezza per procedere.

Liberare la clip di un’arma richiede una notevole riduzione della possibile reazione dell’avversario, solo allora si può accedere al sistema per liberarla, sganciandola o tagliando il cinturino, perciò si ha bisogno di un coltello o utilizzare un’eventuale pugnale dell’avversario.


È necessario ricordare che se si tira l’arma, aiuterete l’aggressore ad attivare il sistema d’ingranaggio

Molti esperti suggeriscono di spingere l’arma per ritardare tale azione, analizzando diversi assassini e sparatorie, nei quali i combattenti hanno lottato con armi a canna lunga, la causa generalmente del decesso di uno dei due era dovuto ad un colpo partito mentre si cercava di effettuare il disarmo.

Molti istruttori, non bene allenati, danno troppa enfasi a come forzare il fucile per applicare una leva, senza soffermarsi a spiegare che prima si deve colpire l’avversario, è naturale pensare che un essere umano afferri con forza la propria preziosa arma, specialmente con il gomito o l’avambraccio, a meno che non lo si colpisca, risulterà molto difficile spostargli l’arma per facilitare le chiavi al braccio o al polso.

Ho visto molti istruttori insegnare ai loro allievi a spostargli la canna con il palmo della mano verso l’alto, spingendo con il palmo della mano permettiamo al nemico di alzare la canna e mirare direttamente verso di noi, se spingiamo verso il basso, si riesce ad evitare tutto questo, altri istruttori preferiscono passare ad una serie di nodi da marinaio con il cinturino per legare l’avversario.

Per favore, quando si tratta di armi valutiamo bene ciò che facciamo e pensiamo alla sicurezza su ciò che stiamo facendo e non facciamo rischiare la pelle a chi stiamo insegnando!

Colpire il nemico con due mani con l’arma se necessario, una volta strappata l’arma, non confidate troppo sul fatto che funzioni, potrebbe essere scarica, potrebbe essere una replica, potrebbe essere rimasta danneggiata nella lotta e, con la grande varietà di armi a canna lunga che esiste, potreste non riuscire a farla funzionare.

Inoltre, il fuoco può richiamare l’attenzione su quello che stiamo facendo ed attirare l’attenzione dei suoi compagni.

Potreste essere obbligati ad improvvisare un qualche modo per legare il nemico, una volta sicuri perquisitelo alla ricerca di altre possibili armi che possa detenere addosso.

Note