Arti marziali

[MAESTRI DELLA STORIA] Yamaguchi Gogen “Il gatto”

Yamaguchi Gogen nacque il 20 gennaio del 1909 nell’isola di Kyusho (Isola del sole) a pochi mesi dalla sua nascita, i suoi genitori decisero di trasferirsi nell’isola di Kagoshima.

Lo chiamavano il gatto perché possedeva abilità sorprendenti, il suo sguardo insieme alla sua fama, senza dubbio, gli bastavano per pietrificare o immobilizzare qualsiasi avversario, come il gatto paralizza i topi.

Il motivo di questo spostamento di domicilio era dovuto ad un vulcano

Tutt’oggi attivo, si trovava molto vicino all’isola dove risiedevano, precisamente in quella di Sakarima.

Per questo motivo la prima tappa della sua vita si svolse a Kagoshima, nel seno di una modesta famiglia di commercianti.

Suo padre Yamaguchi Tokutaro, anche se era un piccolo commerciante, discendeva da una famiglia di Samurai, tuttavia i suoi mezzi erano scarsi e non bastavano a mantenere tutta la sua prole, (aveva 10 figli).

Gogen dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali

Gogen era il terzo e come tutti i suoi fratelli, dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali.

I suoi primi contatti con esse furono attraverso il Kendo, poi praticò anche il Judo.

Il suo maestro di Kendo fu Toshiakai Kirino, un grande esperto di quest’arte il quale era famoso in tutto il Giappone per le sue prodezze con la sciabola.

Tale era la sua destrezza con questa arma che era capace di tagliare nell’aria una goccia d’acqua e rinfoderare la sua Katana prima che questa cadesse al suolo.

Tutto faceva prevedere che il Bushido sarebbe stata la sua strada

Rapidamente iniziò ad emergere nel paese per il grande entusiasmo e la dedizione che dimostrava per il Kendo. Tanti furono gli elogi che gli fecero.

Ad Okinawa si accorse di lui il Sensei Maruta

Quest’ultimo era un carpentiere di Okinawa, una persona umile ed apparentemente introversa.

A causa del suo comportamento nessuno sapeva, e nemmeno sarebbe arrivato a sospettare, che sotto quella apparenza di uomo fragile e tranquillo si nascondesse un  grande maestro di Karate.

Un giorno fece partecipe Gogen del suo grande segreto, facendogli una dimostrazione pratica delle sue conoscenze.

Dopo quella dimostrazione, Gogen lo pregò di insegnargli quegli strani movimenti, però il Maestro rifiutò, argomentando che non era ancora preparato per ricevere i suoi insegnamenti (a quell‘epoca il Karate era una disciplina segreta nell’isola e normalmente non si insegnava a chiunque, ogni famiglia aveva il suo stile che, per regola generale, veniva trasmesso solo dai padri ai figli).

Gogen però era un giovane che spiccava per la sua ostinazione e dopo aver superato una dura prova che il Maestro Maruta gli fece fare solamente allora lo considerò degno di insegnargli la sua arte.

il Karate divenne tutta la sua esistenza

In pochi mesi il Karate cambiò la vita del giovane adolescente, a tal punto che divenne tutta la sua esistenza.

Durante il giorno praticava il Kendo nella scuola Jigen, famosa per l’estrema durezza dei suoi allenamenti, la notte si allenava al Karate nella sua casa.

Tale era la sua passione per questa disciplina che più di un giorno allungava i suoi allenamenti fino all’alba.

Nel suo allenamento era inevitabile che causasse rumore, così che presto risvegliò la curiosità della sua famiglia e dei vicini, i quali vedevano sorpresi come quel ragazzo passasse ore a colpire uno strano aggeggio, simile ad un Makiwara, che però ruotava.

Doveva avere molti riflessi pronti, a parte la potenza, per fermare o addirittura bloccare l’altra estremità, Gogen passava ore colpendolo.

Scoprì il piacere di superare se stessi

Presto scoprì quello che significava allenarsi fino a svenire esausti con tutto il corpo dolorante, però scoprì anche il piacere di superare se stessi e di superare tutte queste prove.

Alcuni dei suoi vicini, inclusa la sua stessa famiglia iniziarono a preoccuparsi dello stato mentale di questo giovane che passava il giorno colpendo i muri, gli alberi ecc… fino a finire con le nocche lacerate e ricoperte di sangue, inoltre fu sorpreso in diverse occasioni a realizzare movimenti strani.

Quando questo succedeva, Gogen cercava di dissimulare, facendo qualsiasi altra cosa, per cui tutti iniziarono a temere il peggio.

Suo padre, preoccupato per le sue eccentricità, decise di parlare con lui, al giovane non rimase altro rimedio che confessargli il suo grande segreto.

Durante la sua adolescenza, la sua famiglia lo mandò a studiare alla Università di Kansai

Però gli studi non erano qualcosa che catturava la sua attenzione.

Continuò ad allenarsi con la stessa intensità di sempre, per cui mancava alla maggior parte delle lezioni, per questo motivo fu espulso dal centro.

Suo padre per questo lo rimproverò in maniera dura, Gogen gli promise di cambiare la propria condotta, pregandolo di iscriverlo all’Università di Rytsumeikan per studiare diritto.

Anche se ad essere sinceri, il suo unico interesse ad essere ammesso a quell’Università era il fatto che era famosa in tutto il Giappone per il suo Dojo di Arti Marziali, nel quale era incluso il Karate (bisogna considerare che in quel periodo era praticamente sconosciuto ed inoltre non era considerato come un’arte autoctona giapponese, visto che tutti sapevano che le sue tecniche provenivano dal Kempo cinese, più conosciuto da alcuni come Kung Fu).

Nel 1931 si trasferì a Tokio, per mantenersi in forma entrò in un club di Sumo, dove scoprì che lo spirito e l’Arte in sé non erano compatibili con il Karate, il quel periodo tutto il paese si preparava per la guerra, il partito ultra-nazionalista già controllava il Governo da 11 anni, era l’esercito che dettava le leggi e le decisioni del paese.

Si propagò dal potere una propaganda aggressiva che esaltava la lealtà, il patriottismo e il codice del Bushido (codice del guerriero), il Giappone entrò in guerra con i suoi vicini asiatici, prima di dichiarare guerra agli Stati Uniti.

Note


Miyamoto Musashi, il migliore spadaccino giapponese della storia

La vita di Musashi viene spesso confusa con le leggende che sono nate su di lui nei secoli dopo la sua morte. Questo perché i documenti relativi alla sua biografia sono frammentati e molti sono andati perduti.

In Giappone, fra gli storici che hanno cercato di far luce sulle vicende che lo riguardano, ci sono grandi estimatori e molti detrattori.

Comunque non è un personaggio che lascia indifferenti per i suoi biografi è “relativamente“ semplice ripercorrere la sua vita fino al duello con Kojiro.

Mentre è più difficile trovare fonti certe su quel che fece dopo.

Si trovano invece sufficienti notizie sulla sua vecchiaia

Di certo si sa che era un pittore, e qualche sua opera è rimasta.

Ha lasciato tre opere scritte, anche se tutti parlano solo del libro dei cinque anelli, che di sicuro è il più famoso ed è arrivato a noi grazie ai suoi allievi.

Si pensa erroneamente che non avesse studenti.

Invece proprio il libro dei cinque anelli è dedicato ad un suo allievo.

Inoltre alla sua morte aveva almeno tremila studenti che studiavano se non sotto di lui, sotto la guida dei suoi allievi diretti. Ancora oggi in Giappone ci sono molte scuole che derivano dalla sua.

Altra leggenda afferma che sia stato educato dal monaco Takuan ma non è stato così, anzi i due non sono mai entrati in contatto.

Sul duello più famoso che vinse contro Kojiro, risono gli scontri più feroci tra gli storici, qualcuno insinua che a vincere sia stato Kojiro, detto Ganriu.

Infatti l’isola dove venne tenuto il duello oggi si chiama Ganriujima, ma in molti trovano strano che venga dato il nome del perdente al luogo dell’incontro.

Per altri questo particolare è insignificante, visto che ci sono altre tracce che danno Musashi vincitore. Qualcun altro invece afferma che la vittoria di Musashi è certa, ma non fu onorevole e per questo l’isola ricorda il perdente.

Questo perché c’è un testo scritto da un testimone dell’incontro, dove si racconta che Kojiro non morì ma rimase svenuto.

Quando si riprese venne ucciso da alcuni allievi di Musashi, o da alcuni uomini appartenenti alla famiglia rivale di quella che “sponsorizzava” Koijro.

Infatti questo duello era stato organizzato da due famiglie che si contendevano il potere nella zona

Musashi era il campione di una e Kojiro dell’altra, comunque Musashi dopo questo duello si ritirerà dalla vita di Ronin in cerca di sfide e non cercherà più scontri singoli, se li farà saranno altri a sfidarlo.

Probabilmente il duello rappresentò comunque una svolta nella sua vita, volente o meno.

Se come sembra, ci furono fini politici dietro lo scontro, Musashi forse capì che il singolo non può nulla nelle trame ordite dai potenti nella società.

Forse questo gli fece diminuire l’interesse per lo scontro singolo ed aumentare quello per lo scontro di massa e lo studio della strategia applicata alle battaglie tra eserciti.

Le più forti critiche verso di lui nacquero perché uccise un esponente della scuola Yoshioka in un duello e questi era solo un adolescente di tredici anni.

Va però detto che l’esponente della Yoshioka in quell’occasione non era solo, ma scortato da molte decine di samurai, e ricordato anche Musashi stesso vinse un duello a tredici anni.

Comunque Musashi aveva già ucciso, in due precedenti duelli, i due fratelli maggiori del piccolo Yoshioka.

Il terzo scontro fu deciso dagli allievi della Yoshioka che cercavano per fini personali di salvare l’onore della scuola.

Certamente a contribuire a notizie fuorvianti su Musashi è stato il romanzo di Eiji Yoshikawa.

Bellissimo ritratto di un’epoca e anche del personaggio di Musashi, anche se con chiare invenzioni biografiche, dettate probabilmente da esigenze di narrativa.

Si sa che non si sposò, ma adottò tre figli.

Uno si suicidò alla morte del suo signore, secondo le regole del tempo.

Il terzo lo adottò in tarda età, Musashi non riuscì a diventare maestro di spada per lo shogun.

Venne scelto un altro samurai al suo posto, trovò comunque un signore a cui dare i propri servigi.

In vecchiaia diede diverse dimostrazioni della sua abilità

Non uccideva più gli avversari, li fronteggiava sempre con un Boken.

Solo in una occasione uccise un uomo, ma questo morì sbattendo la testa dopo che Musashi lo spinse con il corpo contro un muro dopo aver evitato un fendente.

Si dice che fosse mancino e abile nel lancio dei coltelli.

In età matura partecipò per il suo signore a delle battaglie, che lo videro vincitore, per lui la strategia che si mette in pratica per un singolo individuo si può utilizzare anche per molti.

Del libro dei cinque anelli l’originale fu perduto, Musashi stesso chiese a due allievi di bruciarlo.Uno lo trascrisse e l’altro lo im

Fu istruito all’uso delle armi dal padre Munisai Musashi

Nato nel villaggio Miyamoto nella provincia di Harima, fu istruito all’uso delle armi dal padre Munisai, che era uno spadaccino riconosciuto dallo shogun.

Mentre al suo sviluppo spirituale contribuì anche il monaco Zen Takuan Soho, a 13 anni ebbe il suo primo duello mortale.

A 16 anni partecipò e si batté nella Battaglia di Sekigahara (1600) per la fazione sconfitta, la Coalizione Toyotomi.

Sopravvissuto al massacro, Musashi cominciò un vagabondaggio per il Giappone alla ricerca di avventure e di affermazione personale.

Vagò fino ai 29 anni battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria.

Tutto questo anche quando si trovò a combattere contro più avversari contemporaneamente o contro maestri di arti marziali, come i Samurai della famiglia Yoshioka, famosi per la loro scuola di spada a Kyoto, li batté tutti indistintamente.


L’epico duello contro Ganryū

Forse il suo duello più celebre fu quello combattuto contro Kojiro Sasaki, detto Ganryū.

Avvenne nel 1612 sull’isola di Funa-jima, il duello ebbe così tanta rinomanza che ora quest’isola porta il nome di Ganryu-jima.

Alcune voci dicono che Kojiro fosse sordo e che Musashi approfittò di questo per colpirlo mortalmente con un bokken ricavato dal remo di una barca che l’aveva portato a Funa-jima, quindi molto più lungo del consueto.

Un’altra versione di questo duello è che Kojiro usava come arma una canna di bambu.

Musashi di conseguenza affilò il remo della barca usata per raggiungere l’isola e appena Kojiro mise mano alla sua canna Musashi gli spaccò la testa con il remo, con un unico micidiale colpo, questo viene riportato sul “il libro dei cinque anelli“.


Si ritiene vero che Musashi non abbia perso mai un incontro

I dati biografici sono incerti, ma tradizionalmente si ritiene vero che Musashi non abbia perso mai un incontro, nonostante contrapponesse spesso un bokken alla Satana dell’avversario (si tenga sempre in mente che il bushido, codice d’onore dei Samurai, imponeva allo sconfitto in un duello di suicidarsi).

Pare inoltre che fosse di modi molto scortesi

Egli non era mai puntuale agli appuntamenti ed aveva scarsissima igiene personale, si dice infatti che fosse impossibile lavarlo finché portava la spada al fianco, cosa che faceva persino nel sonno.

Il ritiro e la morte

A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline risultando un maestro in molte di esse. Si cimentò con maestria nella pittura e nella calligrafia.

Nella forgiatura delle Tsuba, le guardie delle spade che risultavano opere d’arte in sé, diede il proprio nome a un modello divenuto poi tradizionale.

La leggenda vuole che al suo funerale un fortissimo tuono scosse tutti i presenti. Il commento dei più fu “È lo spirito di Musashi che lascia il corpo“.

Note

Bibliografia


Kenei e Kenzo Mabuni: I fratelli del Shito Ryu

Senza dubbio Kenwa Mabuni fu ai suoi tempi uno dei principali Maestri di Karate, forse il migliore, tanto per la sua tecnica quanto per le sue conoscenze in questa Arte Marziale. I suoi due figli Kenei e Kenzo, al posto di sviluppare lo Shito Ryu del padre, hanno messo in scena uno dei più grandi equivoci della storia.

Chi era Kenwa Mabuni, il fondatore del Shito Ryu

Se pensiamo agli storici maestri del passato del Karate, senza dubbio bisogna considerare Kenwa Mabuni come uno dei principali, se non il più grande, il quanto Gran Maestro dei Grandi Maestri.

Anche se formato ad Okinawa dalla mano di Anko Itosu e Kanryo Higaonna, nel 1929 il Maestro Kenwa Mabuni si trasferisce con la sua famiglia ad Osaka, dove sviluppò il suo stile che si chiama prima semplicemente Mabuni Ryu, poi Hanko Ryu e più tardi e definitivamente Shito Ryu.

Nel 1939 Mabuni crea anche quella che cambia in principio Dai Nihon Karate do Kai e che dopo cambierà in Nippon Karatedo Kai, organizzazione che suo figlio minore Kenzo guiderà fino alla sua morte, al giorno d’oggi Tsukasa, la figlia di Kenzo mantiene il dojo che fu di suo padre e prima ancora di suo nonno Kenwa.

Invece la casa adiacente che apparteneva ai suoi antenati, adesso non appartiene più alla famiglia, lei vive nella vicina Sakai, fuori Osaka.

Dopo la morte del fondatore

Dopo la morte di Kenwa Mabuni, nel 1952, lo Shito Ryu non solo subì la divisioni che possiamo considerare anche logiche, da quello che si può vedere in tutte le scuole, ma avrebbe anche sofferto del confronto fra i due figli del fondatore, Kenei e Kenzo.

Infatti, a partire da allora iniziarono gradualmente a formarsi nuovi gruppi con a capo discepoli di Kenwa, nel 1955 si assistette all’allontanamento dei più importanti maestri, ma nel seno familiare iniziò la lotta di potere per la direzione della scuola.

La storia cominciò quando dopo la morte di Kenwa, la vedova Kame palesa la necessità di un successore familiare per lo Shito Ryu.

La Vedova Mabuni e la scelta di un erede

La moglie di Kenwa ebbe un notevole peso su suo marito, che sempre appoggiò e accompagnò.

Mabuni era solito colpire ripetutamente il makiwara del giardino tutte le mattine e se qualche giorno spuntava la pioggia, si allenava ugualmente, mentre la sua sposa lo copriva con un ombrello.

Lo Shito Ryu ha un grande patrimonio tecnico grazie a Mabuni, che Kame vuole preservare, lo stile dispone di più di 60 kata e molti sono stati creati da Mabuni, come nel caso di Yuroku, Shiho Kosokun ecc… compreso Myojo che fu il suo Kata privato e anche se significa “la stella del mattino”, “brillante” o anche “stella luminosa dell’alba”.

Sta di fatto che Mabuni gli mise questo nome in memoria dell’istituto dove insegnò difesa personale: Il Kata include le difese che insegnò in quell’istituto, si dice che negli ultimi anni di vita Mabuni aveva ultimato altri 4 Kata, presumibilmente chiamati Kenosha, Kuench, Kenki e Kenshu, ma senza aggiungerli ufficialmente allo stile.

La sua morte evitò definitivamente questa possibilità, quindi i suddetti Kata sono detti dal maestro Minubu Miki (allievo di Kenzo, con il quale il sottoscritto si è allenato per alcuni anni), come i Kata fantasma.

Un aiutante fece una domanda su questo tema ai Sensei di Kenzo, ma non sapevano nulla, il che lascia un po’ sconcertati, bisognava preservare i Kata di Bo JUtsu e di sai che i maestri Arakaki e Soeshi nel primo caso e Tawada nel secondo avevano trasmesso.

Kenei: la prima ipotesi di successore

In cerca di questo successore idoneo, Kame lo chiese prima a Kenei, come figlio maggiore.

Il padre aveva previsto il figlio Kenei come successore da prima della morte, ma al momento della verità non accetta al principio, forse per il fatto di non sentirsi all’altezza.

Oltre a ciò egli aveva smesso di allenarsi già da tanti anni, ed allora la madre fa la stessa offerta all’altro figlio che aveva iniziato i suoi allenamenti a 13 anni Kenzo. Quest’ultimo rispose che doveva pensarci.

Il fratello Kenzo e la scissione col fratello

Si dice che Kenzo mentre pensava all’offerta della madre, continuò la pratica del Karate temporaneamente con Ryusho, infine si ritirò a pensare all’offerta della madre e decise di accettarla.

Poco dopo capitò che anche suo fratello maggiore Kenei accettò tardivamente l’offerta della madre ed ecco che nacque un bel pasticcio!

Kenzo che si era già abituato all’idea, non vuole rinunciare al suo nuovo status

Sua madre Kame preferisce che sia il suo figlio maggiore Kenei il successore ufficiale e dato che Kenzo non vuole fare un passo indietro, da quel momento le loro vite si dividono creando entrambi differenti correnti.

Keni e Kenzo, due grandi maestri, tutti e due di massimo livello nello Shito Ryu, sono fratelli di sangue e tutti e due hanno vissuto la vita nella città di Osaka.

Tuttavia i loro modi differenti di elaborare gli insegnamenti trasmessi dal padre li hanno portati ad elaborare differenti tecniche ed opposte filosofie.

La morte di Kenzo

Kenzo morì nel 2005. I seguaci di Kenzo hanno sempre sostenuto che fosse lui il vero erede e successore del Karate tradizionale di suo padre.

Va considerato inoltre che suo fratello maggiore Kenei si era progressivamente allontanato dall’originale Shito Ryu, influenzato da un carattere più sportivo e più politico.

Che sia o meno così e dato che non si hanno abbastanza dati per prendere o meno la difesa di tale idea, la cosa certa è che dopo la morte di Kenzo nel 2005 importanti seguaci di questa linea si sono allontanati da essa senza rispettare la nuova direzione delle persone che vennero dopo.

È il caso ad esempio di Minobu Miki, stabilitosi a San Diego (Stati Uniti). L’organizzazione di Kenzo è conosciuta come Nippon Karate Do Kai.

Il confronto fra i due eredi

Sebbene negli Stati Uniti abbia tenuto abbastanza corsi, Kenzo non ha avuto nel resto del mondo una trascendenza così grande come il fratello, né esistono molti documenti storici su di lui.

Al contrario Kenei senza dubbio ha un passato ed un presente conosciuto più vincolato al Karate.

In ogni caso il principale obiettivo a Osaka è Kenei Mabuni, tenendo conto anche che è il figlio maggiore di Kenwa, che ha un maggior peso specifico nella storia recente dello Shito Ryu e che ormai suo fratello Kenzo è morto.

Note


[SALUTE & BENESSERE] I punti vitali nel primo soccorso

L’equilibrio spinale e il rilassamento dei muscoli

Le capacità progressive di colpire, dare calci e comprimere i nervi, sono diventate più sofisticate da quando iniziarono ad ideare tecniche di primo soccorso, l’aumento delle capacità garantisce adesso un cambio da una manipolazione più diretta dei nervi centrali, ad un uso integrale di vari nervi periferici in combinazioni più complesse.

Il modo più logico di avanzare è usando tecniche che sono conosciute come manipolazione delle articolazioni, tuttavia usando questi complicati movimenti di torsione, li adoperavamo usando i nervi vicini al posto di comprimere la stessa articolazione.

Non solo scoprivamo un modo più efficace per applicare queste azioni complesse di torsione provocando una maggiore disfunzione, ma anche gli effetti sulla persona e la sua funzionalità crebbero.

Ci siamo anche resi conto che cresceva l’efficacia e l’effetto provocava reazioni molto pronunciate nella spina dorsale o nel busto del ricevente, perché stavano ricevendo una sovraccarica multipla sui nervi e una contorsione che provocava lo stress o la compressione dei nervi interni

Il motivo di tutto questo è che i nervi non solo trasferiscono messaggi neurologici alle funzioni motorie o somatiche dei nervi, ma anche alle funzioni automatiche (mantenimento automatico della vita), in termini medici tutto ciò si definisce con il termine Neuropatia e può essere periferica (la Neuropatia periferica è un problema dei nervi che portano informazioni sia dal cervello sia dal midollo spinale al resto del corpo, questo può creare dolore, perdita di sensibilità e incapacità nel controllare i muscoli) o autonomica (la Neuropatia autonomica è un gruppo di sintomi che si avvertono quando esiste uno stress o un danno dei nervi che controllano le funzioni quotidiane del corpo, come la pressione sanguigna, il ritmo cardiaco, lo svuotamento intestinale, la vescica e la digestione).

I sintomi osservati variavano dipendendo dal tipo di nervo interessato così come allo stesso modo variavano le tecniche.

VARIAZIONI DELLA SENSIBILITÀ

  • Sensazione di riscaldamento;
  • Cambi di sensazioni;
  • Incapacità di assunzione di certe posizioni dell’articolazione;
  • Dolore del nervo;
  • Intorpidimento o formicolio.

DIFFICOLTÀ NEL MOVIMENTO

  • Difficoltà per respirare o per deglutire;
  • Difficoltà o incapacità nel muovere una parte del corpo (paralisi);
  • Cadute (a causa delle gambe);
  • Mancanza di destrezza;
  • Mancanza del controllo muscolare;
  • Stiramento o crampi muscolari.

SINTOMI AUTONOMICI

I nervi autonomici regolano le funzioni volontarie o semi volontarie come controllare gli organi interni o la pressione sanguigna. I danni ai nervi autonomici possono causare:

  • Gonfiore addominale;
  • Visione offuscata;
  • Stipsi;
  • Diminuzione della sudorazione;
  • Diarrea vertigini in piedi o sdraiati a causa della pressione del sangue;
  • Intolleranza al calore prodotto per lo sforzo;
  • Svuotamento incompleto della vescica;
  • Impotenza maschile;
  • Nausea o vomito specialmente dopo i pasti;
  • Incontinenza urinaria.

Quindi era necessario ovviamente trovare soluzioni per tutti questi problemi di salute causati tanto ai nostri compagni di allenamento, quanto a noi stessi.

Ma questo livello era più alto rispetto a quello su cui avevamo lavorato o alle cose per cui avevamo trovato una soluzione, quindi si è investigato e sperimentato usando modelli che avevamo usato per precedenti soluzioni, ma con risultati poco duraturi.

Dopo aver lavorato con i nervi scelti e cercato di scoprire con cosa erano relazionati, continuammo ad avere difficoltà per terminare il recupero

Quello che si è fatto a continuazione fu guardare in profondità ogni colpo e il modo in cui ogni struttura fisica reagiva ad ognuno di essi, quindi abbiamo visto l’azione e la contorsione della spina dorsale, in ognuno di essi era estrema, con questo si potevano vedere da semplici strappi al collo fino a multiple reazioni in tutta la spina dorsale.

Questo stava causando compressioni severe sia nei muscoli che nei nervi, in alcuni casi causavano noduli muscolari vicino alla spina dorsale.

Il seguente processo consisteva nel rilassare questi noduli muscolari vicini alla spina dorsale

Il che sembrava risolvesse certi problemi come è stato fatto con il trattamento dell’asma, tuttavia rimaneva ancora qualche problema (a seconda di come si contraeva la spina dorsale o da quali erano i muscoli colpiti).

Questi problemi erano anche simili o identici ad altri causati dalle tecniche, anche se erano portate in modo non troppo invasivo, questo indicava che c’erano più muscoli o nervi danneggiati in quelle zone dove si localizzavano i noduli muscolari.

Questo ci fece usare un metodo di massaggio per aprire e rilassare tutta la spina dorsale, ponendo particolare attenzione alla zona annodata dopo la tecnica curativa generale, l’idea era rilassare prima i nervi con leggere vibrazioni localizzate tra ogni vertebra, iniziando dal collo abbiamo collocato i nostri pollici o le nostre dita nello spazio tra ogni vertebra, premendo leggermente la zona per alcuni secondi prima di passare al successivo spazio.

Una volta che abbiamo fatto questo verso il basso sulla spina dorsale, abbiamo iniziato ad applicare una pressione più forte per muovere la spina dorsale all’indietro e verso l’alto, e questo si poteva ottenere non con la nocca, bensì utilizzando la parte più morbida del pollice.

Eliminando questo possibile dolore che potrebbe aver provocato nel recettore una tensione dei muscoli e un’altra volta una compressione dei nervi, questi rimanevano nelle stesse condizioni in cui erano prima di aver subito una tecnica di compressione.

Quando usammo questo procedimento ci rendemmo conto che qualche volta nella spina dorsale si sentiva come una spaccatura, come se si utilizzasse un metodo chiropratico o come se si schioccassero le nocche

Ma questo non era quello che stavamo cercando di fare, non volevamo usare questa scienza, l’abbiamo usata solo come termine di paragone, per essere più chiari nell’esposizione, tuttavia, questo ha fatto si che la spalla del recettore si rilassasse di più.

Dopo questo, se la spalla si aggiustava, si usava questa idea per esercitare una leggera pressione per allungare la spalla ogni volta che serviva.

Questo metodo fa si che i muscoli e la spina dorsale del recettore si allentino… E aiutino la persona anche a stare più eretta, questo ha posto la questione cosi, si correggeva la dislocazione, per questo si sviluppò una tecnica rudimentale per poter visualizzare anche l’allineamento laterale della spina dorsale.

Con la persona a pancia in giù, con le braccia ai lati, mettiamo dolcemente le punta delle nostre dita sopra una zona del midollo spinale, sopra la prima vertebra toracica, muovendo le dita superficialmente sulla zona, possiamo vedere quando le nostre dita si muovono da un lato o si muovono in linea retta, come dovrebbe essere.

Oltretutto abbiamo osservato che stranamente se c’era una tensione nei muscoli o anche un nodo, il dito si muoveva in quella direzione (indicando la zona del muscolo teso)

Ma succedeva anche qualcosa di più, ossia dopo le vibrazioni e seguendo il metodo della pressione per stendere i muscoli, il tracciato della spina dorsale rimaneva più retto e per di più si correggevano le deviazioni più profonde.

Non si tenta esattamente l’allineamento della spina dorsale, anche se molte volte si può sentire un istruttore o Maestro dire così, a causa della somiglianza dei suoni che si producono quando si usa, si tratta di una tecnica per comprimere i nervi a stimolarli, con l’obiettivo di calmarli e rilassarli.

Come nota a parte, si possono vedere molti curatori colpire la parte bassa della parte posteriore dei recettori, la maggior parte di loro imita qualcosa che precedentemente hanno visto fare da un curatore professionista, ma se gli si chiede il perché lo facciano, raramente lo sanno.

Tuttavia, devo dire devo dire che quando si vede un curatore esperto usare questa tecnica, lo fa per necessità, poiché sono danneggiati i sistemi anatomici del recettore.

Primo soccorso per il mal di schiena

Ad ogni livello che avanziamo utilizzando i punti di pressione, troviamo un nuovo problema o malessere fisico che necessita di un rimedio, questo ci da una motivazione che va oltre il semplice miglioramento delle abilità marziali, perché ci offre nuove e differenti sfide.

Tutto ciò ci fa capire in maniera incredibile la dualità delle arti marziali (o quella che era), perché stiamo imparando il modo di alleviare i problemi di salute, mentre impariamo a creare disfunzioni fisiche, incapacità, incoscienza, così come a controllare molte funzioni fisiche, sia esterne che interne.

Stiamo approfondendo i nostri studi, poiché dagli antichi miti e leggende sulle Arti antiche, celebri Maestri sono diventati realtà, avevamo in mano il loro segreto e abbiamo svelato il mistero che li aveva avvolti per tutti questi anni.

I miti non erano tali, erano realtà e mediante i punti vitali cominciavano ad avere senso, tuttavia, avevamo un profondo rispetto per quelle conoscenze, poiché ci rendemmo subito conto che il metodo conteneva il controllo sulla vita e sulla morte.

Avevamo già oltrepassato la soglia del combattimento corpo a corpo, eravamo pronti ad applicare il metodo dei punti di pressione per combattere contro le armi, lo usammo contro ogni tipo di armi, da armi classiche di Kobudo fino ad armi da fuoco, passando per le armi bianche, cominciammo ad integrare i punti di pressione in altri stili precedenti come il ju jitsu, il Kempo, il Karate ed altri ancora, scoprendo grandi possibilità e controllo.

Imparammo come dovevamo fare una serie di attacchi a quegli specifici nervi della testa e del collo, cosa che provocava uno stress fisico eccessivo sui nostri compagni di allenamento

Ma ci rendemmo anche conto che stavamo facendo centinaia di tecniche differenti per ogni arma e per ogni possibile scenario, troppo complicato e quasi irrealizzabile, perché se una persona cambiava l’angolo o variava in qualche modo l’attacco, obbligava il praticante ad acquisire abilità per eseguire una tecnica determinata contro un’arma determinata.

Sapevamo che dovevamo sviluppare un metodo di difesa più semplice, per rendere possibile una  reazione sotto stress e l’imprevedibile azione di un attacco premeditato da parte di un aggressore reale, bisognava analizzare l’origine di ogni possibile movimento, il che studiando i punti di pressione significava puntare sempre sul cervello.

Pertanto, i nostri sforzi si concentrarono sull’evitare che il cervello dirigesse le azioni di attacco dell’individuo, e il metodo migliore e più rapido era attaccarlo al collo e alla testa, quando attacchi i nervi del collo e della testa, tutto il corpo e la mente immediatamente ne subiscono le conseguenze, fino al punto in cui le azioni del corpo non possono più essere portate a termine.

Imparammo come dovevamo fare una serie di attacchi a quegli specifici nervi della testa e del collo, cosa che provocava uno stress fisico eccessivo sui nostri compagni di allenamento, caricando in avanti rapidamente e attaccando i punti di pressione della testa e del collo, invariabilmente l’avversario barcollava fino a che non cadeva incosciente o con un’evidente disfunzione fisica.

Questo faceva si che subissero una notevole pressione sulla schiena, dovuto alle pessime posizioni assunte,

Esisteva anche una tendenza a causare crampi e pressione sui nervi attorno, il che ancora una volta risultava essere un problema fisico più grave, ma prima di tutto si manifestava mediante la tensione e il mal di schiena.

Queste problematiche consistevano in difficoltà respiratorie, difficoltà motorie, nausea e simili, tutto ciò fece si che avessimo bisogno di un altro rimedio di primo soccorso per eliminare questi sintomi, fino ad ora si può capire come siamo giunti fino a questo punto da altre tecniche di primo soccorso che scoprimmo strada facendo, ma la differenza maggiore qui è che non si trattava di un problema leggero, bensì poteva trattarsi di una o più problematiche serie.

Pertanto, la sfida che stavamo affrontando era molto dura, avremmo avuto bisogno di sforzo, determinazione e di una ricetta speciale per risolvere questo tipo di problemi.

Prima applicammo i rimedi di primo soccorso per parti (per esempio, se una persona aveva difficoltà a respiratorie, gli applicavamo i rimedi di primo soccorso per una disfunzione dei bronchi o del diaframma), questo era efficace in parte, ma non era né completo né efficace al punto che volevamo fosse.

Se un individuo manifestava due o tre sintomi come problemi respiratori, nausea e mal di testa, il processo separatamente tardava molto ad essere efficace

Benché aiutasse, avevamo bisogno di un rimedio più rapido per affrontare questa nuova difficoltà, il passo successivo fu usare il metodo di sollievo spinale del livello anteriore, che risolveva tutte le difficoltà eccetto il mal di schiena.

Questi dolori si manifestavano in primo luogo in tre posti, la zona bassa, media e alta della schiena – zona delle spalle (bisogna ricordare che molti mal di testa derivano da tensione nelle spalle, perciò vedemmo chiaramente le associazioni simbiotiche che ci potevano essere), il primo della lista era il dolore della parte bassa della schiena, poiché è la zona colpita più frequentemente, ma la domanda era perché.

Quello che scoprimmo dopo un po’ di tempo e vari tentativi fu che in ogni caso in cui si girava la testa o si piegava rapidamente la schiena all’indietro, si causava in primo luogo un dolore alla parte bassa della schiena e poi un collasso un blocco nelle gambe, questo ci diceva che forse il problema sorgeva dalle gambe o dalle caviglie, allora cominciammo a lavorare sui punti delle gambe e delle caviglie separatamente e in combinazione, per la verità senza grossi risultati.

Usammo anche differenti tipi e metodi e direzioni di pressione per vedere se funzionava e se così era, sapere il perché, ma nuovamente senza risultati fino a che trovammo il punto.

Si trattava del punto che si trova tra la caviglia e la base del tendine di Achille ed attraversa l’osso del tallone, aveva senso poiché questo nervo nella zona bassa della spina dorsale e, per nostra sorpresa, nel lato che doveva essere il più sensibile al tocco o alla pressione, era lo stesso lato della schiena che stava soffrendo il dolore più acuto.

La seguente zona dove si localizzava il dolore era la parte media della schiena, il punto B1-0 non alleviava completamente la zona, benché aiutasse molto

Ma ovviamente non era sufficiente, poiché non alleviava completamente il mal di schiena, benché la parte alta della schiena si sentisse molto meglio, per questo motivo continuammo con la ricerca, ma scoprimmo che le nostre prove sui punti delle gambe non erano efficaci, allora usammo lo stesso metodo nei punti della schiena, trovammo molto rapidamente il punto migliore, nella maggior parte dei casi nell’area in cui avevamo cominciato la ricerca.

Tuttavia, dovevamo continuare per assicurarci che il punto che avevamo scoperto alleviasse completamente il dolore, questo punto che scoprimmo all’inizio del processo, risultò essere veramente il miglior punto per alcuni primi soccorsi, è il punto BL-16 situato vicino alla spina dorsale nella parte media della schiena, questo punto rilassa i punti della parte media della schiena ed esercita pressione sul resto della schiena.

Pertanto avevamo già un sollievo per la parte media della schiena, ma non alleviava la parte alta né la zona delle spalle, allora ricominciammo a cercare e trovammo il punto TW-15 che alleviava la schiena ed il punto GB-21 che alleviava le spalle.

Avevamo già i rimedi per il primo soccorso, ma volevamo assicurarci di aver risolto del tutto il problema

Scoprimmo anche che se colpivamo la parte bassa della schiena e lasciavamo la zona in pace, il dolore e la rigidità di spostavano con il tempo nella zona media e alta della schiena o nelle spalle, perciò invece di concentrarci su un punto specifico, lavorammo su un’area completa, BL-60,BL-16,TW-15 e GB-21, per qualunque tipo di mal di schiena.

Questo metodo faceva bene il suo dovere e col tempo il dolore e la rigidità non si diffondevano in altre zone, per cui risultò essere un metodo di sollievo completo, ora, pensa che potresti usare questo metodo per qualcuno che soffre di mal di schiena, non è necessario che tu prima abbia studiato i punti di pressione, tutti i metodi dei punti di pressione per primo soccorso che sto descrivendo servono a favorire una salute e benessere integrali sotto molti aspetti, attraverso un programma di benessere

Note


[TECNICA & ARTI MARZIALI] Karate: Il Kata

Superare le soglie di perdita di concentrazione quando compare la stanchezza è una delle esperienze più ricorrenti nel Karate.

Lo scopo della stessa è familiarizzare con la possibilità di superare queste soglie molto al di là di quello che tutti noi crediamo e quella di riuscire a mantenere la calma interiore nel mezzo di una tempesta.

Questo ci prepara alla vita e alle circostanze inaspettate nelle quali tutti noi possiamo trovarci

Rafforza il carattere degli allievi e li dota di una serenità che li distingue, il Kata offre l’opportunità di allenare questo aspetto dell’autocontrollo, poiché nelle sue sequenze ci sono momenti di grande intensità ed esplosione, di forza ed emozione, seguiti da momenti che richiedono una grande concentrazione, serenità ed equilibrio.

Le sequenze energetiche nei Kata possiedono punti chiave, spesso questi punti sono segnati da un’esplosione di forza che comprende il grido chiamato Kiai, il Kiai è un’espressione della qualità della forza interiore di chi lo esegue, si tratta di un’emissione esplosiva di forza interiore.

Se il nostro spirito non  è liberato, il Kiai non ha potere, non si tratta di gridare di più, ma di gridare sempre dall’addome con una contrazione dello  stesso nel momento finale di esecuzione di una serie concatenata di movimenti.

Questo ci porta ad un altro punto essenziale nella pratica del Kata e del Karate in generale, tutti i movimenti nel Karate nascono dal basso addome, la zona conosciuta come Tandem o Hara, proprio sotto l’ombelico.

Si tratta del centro di equilibrio e percussione del corpo, ma anche di un centro energetico essenziale, dato che ogni spirale si controlla dal suo centro, tutti i movimenti che nascono da quest’area potranno essere compensati ed equilibrati, mentre se partono da qualsiasi altra parte del corpo tenderanno a funzionare come un’onda di scompensi che si concluderà con la perdita di controllo.

I Kata sono un magnifico modo di allenare l’attenzione da questo centro

Si può eseguire un Kata, una volta memorizzato, osservando sempre le sensazioni che hanno luogo in quest’area.

L’interiorizzazione delle stesse è come un riassunto di tutto ciò che serve nel Kata, l’Hara comanda nei movimenti, per questo l’altezza dello stesso rispetto al suolo è una delle basi di una corretta esecuzione, quando le gambe si stancano, spesso si alza il livello dell’Hara per alleviare la tensione tra movimento e movimento, questo non solo indebolisce le tecniche e sbilancia il praticante, ma sottrae alle tecniche stesse fluidità.

Quando avanziamo, in ogni movimento dobbiamo sentire come una corda che tira il nostro Hara o Tandem, alcuni Maestri mostravano questa sensazione tirando l’allievo per la cintura, quando l’Hara avanza, non solo si muove nello stesso piano nel caso delle linee d’attacco di una stessa posizione, ma lo fa in linea retta in avanti.

Queste linee d’attacco si ripetono con frequenza ne Kata Pinan, così come in altri Kata superiori, l’inclusione delle stesse mostra l’importanza dell’allenamento,in questo modo di avanzare con l’Hara nello tesso piano e dritto fino alla fine della sequenza o della linea.

La fluidità

Ecco un altro punto essenziale nella pratica del Kata, le tecniche, i movimenti devono essere fluidi, le tecniche non devono essere segnate tra di loro come passi di un meccano, ma a una deve seguire la successiva, passando immediatamente dalla tensione al rilassamento.

Se stiamo molto rigidi nell’esecuzione del Kata, sprecheremo molta energia, perderemo fluidità e la nostra forma sarà spasmodica.

Molta gente, specialmente all’inizio, tende ad essere tesa, bisogna fare uno sforzo per rilassarsi, un buon trucco è la realizzazione al rallentatore del Kata diverse volte, un altro molto curioso è concentrarsi sul rilassare i muscoli che circondano l’ano, quando non sappiamo come rilassare il corpo.

La fluidità dipende dal fatto che non ci sia un eccessivo consumo di energia, ma anche da una mente calma e serena.

Il nemico principale della fluidità è la meccanizzazione dei movimenti, quando la mente si estranea dall’allenamento, il corpo ripete senza intenzione, questa è la meccanizzazione.

Un movimento senza spirito né presenza dell’anima è inutile per l’allenamento marziale, la nostra Società più alle forme che ai contenuti, favorisce questo atteggiamento, l’allievo deve imparare a rendersi conto che questo atteggiamento è contrario al senso della pratica del Kata.

Per quanto esatta e precisa tenti di essere una tecnica, senza la presenza dello spirito e dell’intenzione, colui che la esegue non vale niente!

I KATA sono la base dell’arte marziale e naturalmente del KARATE

KATA significa forma, si tratta di una serie di movimenti concatenati in una sequenza energetica precisa che disegnano una lotta immaginaria con uno o più avversari.

L’idea dei Kata era quella di permettere l’allenamento in solitario dell’allievo, la perpetuazione della tecnica  e dell’autocontrollo.

Il Kata apre molte possibilità all’allievo di Karate, perché gli permette di correggere ed assimilare i movimenti basilari che compongono il suo studio, all’interno di sequenze logiche di combinazioni che poco a poco andrà interiorizzando fino a farle proprie.

I Kata sono, inoltre, una danza bella e potente, la loro corretta esecuzione meraviglia qualsiasi persona, che ne sappia o meno di Karate, poiché da essa deriva sempre la maggiore delle grazie, oltre che un’eleganza, una potenza ed un autocontrollo magnifici.

I Kata Pinan furono creati da Itosu intorno all’anno 1907 probabilmente basandosi sui Kata Passai, Chinto ( Gankaku ), Kushanku e Jon. Questi Kata furono anche la base degli Heian che Funakoshi Guichin creò anni dopo.

L’idea di queste forme basilari e intermedie è quella di rafforzare e insegnare all’allievo le linee guida dell’arte del Karate, cominciando con combinazioni più semplici che, poco a poco, diventano sempre più complesse, sia per le tecniche realizzate sia per la combinazione delle stesse, stimolando equilibrio concentrazione ed autocontrollo in una sequenza crescente.

La pratica delle forme essenziali del Karate, al contrario di quella che pensano molti allievi, non è qualcosa di superato, bensì contengono in sé l’essenza dell’arte, non ha importanza il grado, la loro esecuzione deve far parte della pratica di ogni Karateka nel corso della sua vita.

Le chiavi per lo studio dei Kata ogni Maestro dovrebbe conoscerle affinché vi sia una comprensione ed una attivazione dei meccanismi che un buon Karateka deve avere.

MEMORIZZAZIONE

Quando l’allievo è in grado di memorizzare bene un Kata non deve aver bisogno di pensare prima di ogni movimento, quando dico memorizzare non è solo ricordare con la mente, ma deve essere il corpo stesso a ricordare le sequenze.

Questo si ottiene, è chiaro, con una ripetizione, ma ci sono dei trucchi affinché questo processo riesca con successo. Il primo di questi è, senza dubbio, quello di allenarsi sui Kata con gli occhi chiusi, una volta appresa la sequenza.

L’attenzione si concentrerà quindi sulle sensazioni corporee, che sono la base della memorizzazione corporale dei movimenti.

Quando si inizia ogni linea, conviene controllare e correggere le direzioni

Si potrà verificare quanto possa essere difficile mantenere il corretto equilibrio e l’adeguata direzione delle linee, quando si scoprono gli errori, si dovranno memorizzare i punti attraverso le sensazioni corporee, dove una punta di piede appoggiata male o una rotazione eccessiva dell’anca fanno perdere l’orientamento.

Molte volte la vista ci permette di correggere errori tecnici attraverso piccoli trucchetti, questo allenamento ad occhi chiusi scopre quelle lacune nella nostra esecuzione, ma ci aiuterà anche a memorizzare profondamente, a livello di  memoria muscolare, le tecniche che ci sono all’interno di ogni Kata, liberando la nostra attenzione per il vero oggetto della pratica, la mobilizzazione di tutto il nostro potenziale energetico, nella cornice della maggiore serenità.

Per entrare in sintonia con questo particolare esistono alcuni piccoli trucchi o punti che vorrei segnalare come guida.

Il primo di tutti questi è sempre stato ripetuto dai Maestri, si tratta dell’uso dello sguardo, sono gli occhi a dirigere la nostra forza in un Kata e devono essere i primi a concentrarsi nel passo successivo tra movimento e movimento.

La testa deve sempre ruotare per prima, prima di realizzare un giro, se gli occhi non si fissano prima sull’obiettivo, non c’è forza nel Kata, diventa solo una danza senza intenzionalità, ripetuta senza verità.

Un aspetto essenziale per l’uso della forza nel Kata è raggiungere il controllo della respirazione, all’inizio e alla fine del Kata, la respirazione deve raggiungere lo stesso stato.

È chiaro che la pratica di un Kata provoca un’accelerazione del ritmo cardiaco, ma il Karateka deve sovrapporsi a questa domanda del suo corpo attraverso la respirazione, la respirazione è la chiave del nostro stato mentale, la regola fondamentale che si riferisce ad essa è di mantenersi sulla soglia di massima efficacia con il minimo sforzo.

Per allenarsi su questo aspetto è un buon trucco praticare lo stesso Kata varie volte a velocità rapida e, subito dopo, lentamente.

La pratica meccanica dei Kata non permetterà il loro apprendimento, per quanto in una prima fase, quella della memorizzazione, questo non sia un problema, l’allievo deve essere molto serio e impegnato con se stesso su questo punto.

La tecnica deve avere spirito, intenzione e focus

In questo modo, in questo modo uno potrà commettere errori tecnici, ma la sua esecuzione sarà corretta per il suo livello, questa, nel mio personale modo di vedere questo argomento, è la cosa più importante.

Alla fine commetteremo sempre imperfezioni formali, la perfezione non esiste nella forma ma in come si vive l’esecuzione, ridurre i Kata a conquiste formali è stupido e non serve a niente e a nessuno, è meglio iscriversi a far danza classica, si otterrebbero risultati migliori!

Con il Karate non si gioca,con il Kata non si dubita, non può esserci indifferenza, pigrizia né meccanizzazione, Kata è soprattutto un esercizio dello spirito.

Un altro aspetto importante nell’apprendimento di un Kata è la capacità di visualizzare l’avversario o gli avversari, ma questo deve avere luogo in una seconda fase dello studio.

I Bunkai (l’applicazione del kata con avversari reali) spiegano la ragione e il modo in cui si sviluppa il combattimento con uno o più avversari, l’allievo non deve innamorarsi di una spiegazione, poiché spesso è possibile incontrarne di diverse.

Gli antichi Maestri fecero così perché l’essenza del Kata è in se stesso e non nel combattimento

Esistono, di fatto, serie di movimenti nei Kata basilari che risultano assurdi da una prospettiva pratica.

Non sono stati pochi i Maestri che hanno propiziato il loro studio inverso, ovvero retrocedendo nelle tecniche di difesa ma avanzando in quelle di attacco.

Questo modo di allenarsi, sebbene irregolare, può risultare molto curioso e utile agli allievi più avanzati, secondo me, la cosa più importante nel momento di immaginare gli avversari sta nella mobilitazione emotiva che provoca.

I Kata devono essere vissuti, sperimentati in modo reale, come se si trattasse di un combattimento in cui fosse in gioco la nostra vita, impregnare di realismo i nostri movimenti visualizzando gli avversari non deve farci perdere il centro e la calma, ma darà potenza e veridicità alla nostra performance del Kata.

Prima di eseguire un Kata c’è un momento di silenzio, il praticante deve chiudere gli occhi in Mokuso (meditazione) liberando la sua mente da qualsiasi pensiero, per farlo bisogna respirare con l’Hara e si concentra su di sé espirando lentamente diverse volte, in seguito, e solo quando è in pace, tende leggermente l’Hara prima della prima azione gridando il nome del Kata con fermezza.

Nel suo allenamento, il praticante si isolerà dall’ambiente con sempre maggiore facilità, è chiaro che, nel corso di dimostrazione o esami, è facile sentirsi inquieti, intimoriti od osservati, ma un praticante deve imparare ad entrare nella sua interiorità, in quello spazio di pace del suo Hara, evitando ogni pregiudizio mentale attraverso la respirazione e la concentrazione.

La pratica continua darà quindi i suoi risultati inibendoci dall’ambiente e da qualsiasi influenza concentrati sul “qui e adesso“.

Questo ci porta al punto successivo, l’esperienza dell’istante, la presenza della mente quieta nel qui e adesso continuo è uno dei risultati dell’allenamento del Kata.

Per quanto cambi la tensione delle sequenze, si deve fluire nell’esecuzione delle stesse senza essere in anticipo né essere in ritardo né di rimanere bloccati (si può essere troppo dipendenti dall’esteriorità), solo quando viviamo ogni tecnica e movimento con la mente tranquilla e perfettamente concentrata sull’esecuzione potremo raggiungere l’adeguata fluidità.

Uno degli insegnamenti dei Kata sta nella loro corretta posizione, gli aspetti tecnici del Kata devono essere allenati con persistenza e si deve essere molto esigenti con ogni movimento e con il modo in cui questo si allaccia al seguente.

La colonna deve essere diritta, se c’è troppa tensione creeremo iper-lordosi accentuando la curva lombare, da questa posizione non può fluire l’energia dall’Hara e, di conseguenza, i nostri movimenti ci stancheranno eccessivamente, poiché a quel punto tutto dipenderà da un lavoro muscolare.

Bisogna insistere ancora una volta sul concentrarsi sulle sensazioni dell’Hara, deve essere in stato d’allerta rilassato o teso, ma non sempre teso

Per mantenere la corretta posizione della colonna ci sono due riferimenti basilari, l’Hara deve poter muovere il bacino da qualsiasi posizione in qualsiasi direzione.

La testa deve essere perfettamente allineata con la colonna, la posizione del mento è un riferimento importante, se sporge troppo, la nostra fronte avanzerà e la nostra posizione sarà sbilanciata in avanti, se troppo all’interno probabilmente stiamo facendo una iper-lordosi e c’è un eccesso di tensione generale.

Quando la fronte sporge troppo in avanti significa che l’esecutore è troppo accelerato e che colpisce con la testa anziché con l’Hara

Deve imparare a essere meno mentale per placare la sua angoscia per il futuro, vive più nella tecnica successiva che in quella che sta realizzando.

Se la sua posizione è quella opposta, dimostra di essere intimorito, l’ambiente lo blocca (lo stanno guardando e si sente giudicato), questa posizione significa anche un’alterazione in eccesso di un’aggressività contenuta.

Lo spirito di abbandono. Il Kata realizzato correttamente emana un’aura di pace, questo accade con l’adeguato atteggiamento spirituale, un Kata è, alla fine,una lotta con noi stessi, ogni vera lotta è a morte, questo significa che, prima di eseguire un Kata, il praticante deve visualizzare che non c’è niente di più importante e, contemporaneamente, che niente di quello che capita lì sarà importante eccetto la sua impeccabilità.

L’abbandono di ogni speranza rendeva invincibili i guerrieri Samurai, quando la mente si focalizza sull’obiettivo, appare la paura del fallimento e, con essa,l’energia non fluisce, la mente, invece di concentrarsi sul positivo, su ciò che sa, su ciò per il quale è stata allenata e in cui confida, si concentra sul negativo, attraendo il fallimento.

La funzione ultima dello studio del Kata è la formazione dello spirito degli allievi, per portarli fino a quella comprensione nella quale lo spirito si libera e trascende il dolore e la paura.

Note


COPERTINA proiezioni e manipolazioni delle articoli articolazioni

PROIEZIONI e manipolazioni delle ARTICOLAZIONI

È più facile per qualcuno premere il grilletto di un’arma da fuoco, ma avanzare e avvicinarsi a breve distanza per pugnalare qualcuno, secondo le circostanze, è un compito molto difficile ed è un atto molto complesso.

Ci sono diversi angoli di attacco e le loro applicazioni nella difesa sono varie, dalle più semplici alle più complesse.

Ci si allena non solo per tutte le sfaccettature della lotta a mani nude, ma anche alla lotta con le armi per sforzarci ad acquisire l’equilibrio in tutti gli aspetti dell’allenamento così come nella nostra vita di tutti i giorni.

Generalmente i sistemi di combattimento si dividono in tre livelli:

  • Livello uno: Scambio di colpi a media distanza
  • Livello due: Lotta a breve distanza, dove si possono usare gomitate, ginocchiate, punti di pressione, lussazioni, prese ed atterramenti.
  • Livello tre: Lotta a terra, dove si usano chiavi e immobilizzazioni per controllare e finire il nostro avversario.

Tuttavia esiste un quarto livello ed è quello che si chiama Quik Lock (immobilizzazione veloce), posizione di ginocchio a terra, ci siamo resi conto del fatto che finire a terra.

Che sia per difendersi o per combattere, non è la posizione migliore, ma può, avere per chi è allenato a quel tipo di combattimento, grandi possibilità di vittoria che probabilmente in piedi non avrebbe avuto.

Per la difesa personale l’obiettivo è creare un’opportunità per scappare e sopravvivere a una situazione di violenza.

  • Le forze di sicurezza hanno l’obiettivo è controllare chi assale usando la minore forza possibile e causando il minor danno possibile all’arrestato;
  • Per un militare l’obiettivo è uccidere l’avversario e mettere fine rapidamente alla situazione.

L’immobilizzazione veloce nella posizione in ginocchio è una valida alternativa al lottare sdraiati per terra

In tutti gli scenari precedenti, l’immobilizzazione veloce nella posizione in ginocchio è una valida alternativa al lottare sdraiati per terra, dove il lottatore è vulnerabile agli attacchi, oltre a perdere la possibilità di lottare con una parte del corpo.

Ma sicuramente utilizzando la tecnica e non la forza, possiamo avere ragione dell’avversario anche in poco tempo e con poca fatica.

In questo articolo vorrei parlare di come immobilizzare e sottomettere l’avversario velocemente.

Possiamo imparare come avvicinarsi dal livello uno, distanza media di combattimento, alla posizione del livello due, distanza breve, e come da questa posizione possiamo atterrare efficacemente l’avversario per poterlo controllare, sottometterlo e finirlo a terra (livello tre combattimento a terra).

Lottare con qualcuno a terra e mantenere il vantaggio non è un compito facile, la manipolazione delle articolazioni, di solito, non si vede assieme ad una tecnica di atterramento, ma usando i punti di pressione.

Mantenendo l’angolo corretto e facendo la pressione giusta nel punto giusto, ci consente di gestire l’avversario molto facilmente, mantenendo una posizione di vantaggio.

Le prime tecniche di manipolazione di articolazioni che vediamo sono quelle chiamate “tecniche in cerchio da sotto“.

La tecnica parte dalla posizione iniziale di combattimento e contempla molte situazioni possibili, (prese, attacchi, contrattacchi ecc…)

Innanzitutto bisogna conoscere alcuni concetti basilari dell’anatomia umana

Alcune articolazioni, come i gomiti e le ginocchia, sono incernierate e funzionano come il meccanismo di apertura e chiusura di una porta.

Altre articolazioni come le spalle o le anche, sono articolazioni sferiche, che permettono una maggiore gamma di movimenti ma che si danneggiano con una frequenza maggiore.

Tutte le articolazioni sono unite a tendini, legamenti e muscoli, i tendini collegano i muscoli e le ossa, i legamenti collegano le ossa con altre ossa.

La manipolazione delle articolazioni implica collocare l’articolazione dell’avversario in un angolo adeguato, applicando la pressione sufficiente a causargli un dolore intenso, slogare o rompere l’arto.

Ci sono quattro modi di manipolare le articolazioni per massimizzare la pressione quando si fa leva per sottomettere gli avversari.

Vediamo ora le varie possibilità di attuazione diviso in varie fasi:

Contro l’articolazione:

Questa è la più efficace nelle articolazioni che funzionano come una cerniera, come il ginocchio o il gomito che non girano ma si muovono in una sola direzione.

Si preme direttamente sull’articolazione e l’altra mano resta ferma o si muove nella direzione opposta, l’articolazione può essere facilmente slogata o iper- estesa lasciando l’arto inutilizzabile.

Leva angolata:

L’applicazione della leva angolata è la più efficace quando si realizza su un’articolazione sferica, queste articolazioni permettono di realizzare movimenti rotatori, si tratta di polsi, spalle, caviglie e anche.

Quando si colloca l’articolazione in un determinato angolo, i legamenti e i tendini che contengono l’articolazione al suo posto si allungano perdendo la capacità di preservare l’integrità sull’articolazione.

A questo punto, si può applicare una pressione che provocherà la slogatura dell’articolazione.

Giro o rotazione:

Queste tecniche di giro o rotazione possono essere applicate a entrambi i tipi di rotazione.

Tuttavia richiedono una forte presa su entrambi i lati dell’articolazione, è più efficace se si applica su articolazioni più piccole, come le dita, il polso e, a volte, il gomito.

Probabilmente questa tecnica non si usa come definitiva (finalizzazione) al momento di slogare un’articolazione, ma può servire come transizione ad una presa più forte.

Compressione:

La tecnica di compressione si basa sugli stessi principi di uno schiaccianoci.

Si colloca qualcosa sopra l’articolazione, poi si fa pressione verso dentro dai due lati e l’articolazione si separa,spesso questa tecnica è chiamata “separazione dell’articolazione“.

È più efficace sopra l’articolazione o sul ginocchio.

Le tecniche di cerchio da sotto sono quelle nelle quali si deve girare sotto l’avversario per riuscire a collocare il polso e il gomito di questi nell’angolo adeguato.

Facendo un giro di 360 gradi, si possono manipolare il braccio e il polso dell’avversario per collocare il suo polso e il suo gomito in un angolo di 90 gradi, realizzando una presa di polso.

Ci sono due modi per girare sotto il suo braccio:

  • Il primo è la presa del polso da sotto interno: si fa il giro sotto il braccio dall’esterno verso l’interno;
  • Il secondo è la presa del polso esterno: in questo caso si fa il giro sotto il braccio verso l’esterno.

Per girare sotto il suo braccio dobbiamo abbassare la nostra posizione ed entrare velocemente.

Esistono un paio di ragioni per le quali dobbiamo assumere la posizione bassa.

La prima, se non siamo veloci, l’avversario ha la possibilità di contrarrestare il suo movimento ed il giro e sembrerà che stiamo ballando la salsa.

L’altra è evitare di essere colpito dall’altro braccio dell’avversario.

Se si esegue bene, l’avversario non riuscirà a scappare perché il suo polso potrebbe rompersi.

Ci sono tantissime tecniche di difesa personale che utilizzano il polso e molte di esse sono tecniche di manipolazione stando in piedi, un’altra componente per slogare un’articolazione è applicare una vibrazione anziché una pressione costante.

Per slogare un’articolazione in modo efficace dobbiamo applicare una vibrazione,(un movimento veloce da sopra a sotto), ma per immobilizzare o sottomettere l’avversario, così come nel grappling, è necessario fare una pressione costante.

Per concludere

È di fondamentale importanza avere delle basi di anatomia per poter applicare efficacemente le leve, ma bisogna avere anche una buona se non ottima manualità per poterle effettuare, tenendo conto che le situazioni che si possono creare sono molteplici e dobbiamo essere in grado di poter cambiare tecnica velocemente a seconda della situazione.

Per ottenere ciò la parola d’ordine è allenarsi, allenarsi, ed ancora allenarsi!

Note


Le 7 REGOLE del BUSHIDO (武士道) – VIRTÙ DEI SAMURAI

Pensare che tutto il mondo può essere l’avversario quando esci da casa, immaginare che molti avversari ti stanno aspettando, oggi è un atteggiamento ossessivo e preoccupante, ma ai tempi dei Samurai era più facile trovare i nemici a ogni piè sospinto.

Oggi non significa uscire di casa negativamente pensando ossessivamente che tutti sono nemici, la realtà di oggi è sicuramente peggiorata e i giornali e vari episodi ti fanno pensare che non posso andare in giro completamente spensierato o con la testa tra le nuvole.

L’agguato potrebbe essere, come si dice sempre, dietro l’angolo

Alcuni Samurai erano così attenti e vigili che si accorgevano della presenza di una persona che si nascondeva per attaccarli, alcuni percepivano l’energia negativa di colui che voleva ucciderlo, con questo intuito anticipavano l’avversario e salvavano la vita.

Oggigiorno non c’è questa preparazione e, anche se leggiamo tanti soprusi, non è così allarmante girare per le strade, ovviamente dipende dall’ora e dalle zone delle grandi città soprattutto.

Un allenamento comunque che ci permetta di essere qui e ora e concentrati su cosa succede intorno a noi, non è da sottovalutare.

Quando un uomo varca la porta di casa, si può trovare di fronte a un milione di nemici, potrebbe diventare noioso ripetere sempre lo stesso concetto, ma non dimentichiamo che i nemici non sempre sono visibili, tangibili, prevedibili, ci sono nemici interiori che sono subdoli, macchinosi, pazienti e silenziosi.

Per affrontarli bisogna essere pronti, allenati, concentrati, un allenamento costante, anche per chi pratica discipline da difesa è importante per sconfiggere il nemico più oscuro: LA PAURA.

Se non ci si abitua a essere attaccati, a sentire la spinta,lo strattone, le urla o quant’altro possa succedere durante un alterco, quando succederà rimarrà impietrito dalla paura, che blocca ogni movimento e che blocca anche l’adrenalina necessaria per superare l’aggressione.

Questo principio è riportato anche in un antico proverbio: ”Quando un uomo oltrepassa la soglia della propria abitazione ha di fronte sette nemici“ (dal punto di vista cristiano potrebbero essere: orgoglio, invidia, avidità, rabbia, pigrizia, ingordigia e lussuria).

I nemici non sono visibili, tangibili e facili da attaccare e distruggere, molti sono invisibili, nascosti e indifferenti alla nostra attenzione. Il 7 è un numero sacro.


LE 7 REGOLE DEL BUSHIDO – VIRTÙ DEI SAMURAI:

Gi -onestà e giustizia – una sola via:

Onestà nei rapporti con gli altri,credere nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da se stessi, il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia, vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Yu -eroico coraggio:

Elevarsi al di sopra delle masse che hanno paura di agire,nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere, un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ma significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso, l’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

Jin- compassione:

l’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte, è diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune.

Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.

Rei- gentile cortesia-comportamento etico morale:

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza, un samurai è gentile anche con i nemici senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale.

Il samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia, ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

Makoto o shin:

Completa sincerità: quando un samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’azione espressa.

Egli non ha bisogno né di “dare la parola“ né di promettere, parlare e agire sono la stessa cosa.

Meyo – onore:

Vi è solo un giudice dell’onore del samurai: lui stesso.

Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà, non puoi nasconderti da te stesso.

Chugi-dovere e lealtà:

Per il samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario, egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue.

Il samurai è immensamente leale verso coloro di cui è responsabile.


Il 7 ricorre nella nostra vita

  • 7 sono le note,
  • 7 sono i mari secondo l’antica suddivisione dei greci (Mar Egeo, Mar Nero, Mar di Marmara, Mar Ionio, Mar Rosso, Mar Tirreno, Mar Mediterraneo Orientale)
  •  7 le costellazioni (Alfa, Beta, Gamma, delta, Ipsilon, Zeta, Età)
  •  7 sono le virtù (3 teologali: fede, speranza, carità; e 4 cardinali: giustizia, temperanza, prudenza e fortezza)
  • 7 sono i peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia)
  • 7 sono i colori dell’arcobaleno (rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto)
  • 7  sono i colli di Roma (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale, Vicinale).
  • 7 è il numero del perdono (dovrai perdonare settanta volte sette)
  • 7 sono i cieli dell’antichità, ciascuno corrispondente ad un pianeta (Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno)
  • 7 sono i doni dello Spirito Santo nel cristianesimo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio)
  • 7 sono i sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di 7 trombe suonate da 7 angeli, quindi dai 7 portenti e infine dal versamento delle 7 coppe dell’ira di Dio (da Giovanni, Apocalisse).
  • 7 sono i chakra (Muladhara, Svadisthana, Manipura, Anatha, Vishudda, Anja Sahasrara).

Note


Perché pratichiamo le arti marziali?

  • Che cosa facciamo, è il metodo base di praticare arti marziali: produrre energia;
  • Come lo facciamo: sono le sensazioni che si producono mentre generiamo quell’energia e questo è il metodo per trasformare le cose mediocri in eccellenti.

Nel primo caso si mobilitano solo le endorfine cerebrali (sensazioni di piacere ed ormoni rigenerati), che di per se è una gran cosa nel mondo fisico, nel secondo appare una consapevolezza nuova, che trae origine dalle sensazioni prodotte dal movimento che stiamo realizzando e che ci collega al momento.

Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te

Questo è ciò che ha voluto esprimere Sensei Funakoshi quando in uno dei suoi venti precetti afferma “ devi essere serio negli allenamenti”, in parole povere, ciò che sta dicendo è “Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te”.

Che cosa ti importa di più, i movimenti, (la forma) che perderai nel corso della vita, o ciò che scopri del tuo essere che è nascosto dall’ego dell’azione fisica? l’età porta una saggezza in grado di chiarire la domanda precedente, quante tecniche di kata o movimenti complessi ho imparato che oggi, trent’anni dopo, sono passati nel dimenticatoio? Migliaia. Quante emozioni ho provato durante la realizzazione di quei kata o di quei movimenti che tuttora sono presenti? Tutte.

L’emozione non solo perdura, ma aumenta col passare del tempo, nella memoria qualsiasi tecnica imparata durante la gioventù scompare ed il suo frutto è la frustrazione o la vanagloria: Ego

Le emozioni sono semi, la memoria è polvere che svanisce col vento del tempo, ricordo di un allievo che venticinque anni fa riuscì ad imparare ventuno kata shotokan e altri quindici di scuole diverse, un portento ! ed era cintura marrone.

L’ho incontrato qualche mese fa, pesava 110 chili e non ricordava neppure il nome di un solo kata, ma ciò che ricordava, mentre ostentava un dolce e malinconico sorriso, era quanto aveva sudato e quanto buona fosse l’energia del dojo: “la migliore epoca della mia vita” ha affermato.

Ricordi le parole di qualche canzone che ti ha emozionato da giovane? … forse ricordi addirittura di aver pianto dall’emozione, il Ki è immateriale, non si perde, né si rompe, perché non è diretto dalle leggi dell’evoluzione.

Quando perdiamo la capacità di contemplare i nostri pensieri, osservare le emozioni e provare le reazioni fisiche, viviamo si, ma in uno stato latente, viviamo da morti viventi, significa camminare nella vita senza viverla, questo è il grande segreto, quando si blocca il tempo, la persona allenata nell’osservazione della coscienza percepisce la vita con una maggiore intensità.

Come si ferma il tempo? Non pensando. E come si fa a non pensare? Contemplando il pensatore.

Il pensatore che abbiamo nel cervello è quell’entità che pensa costantemente, quella che crea il tempo psicologico, questo tempo psicologico crea ego e questo ricrea tempo psicologico, in questo ciclo senza fine viviamo una vita piena di ansietà.

È tempo speso male. Vediamo ora un metodo che può essere utilizzato in qualunque momento della vita o nel corso degli allenamenti specifici, è basato sul concetto ken zen it chi / il karate e lo zen sono un tutt’uno.

Il modo migliore per iniziare è osservare e sentire la respirazione: osserva e senti come l’aria entra fresca per le narici ed esce tiepida senza che la mente produca nessun altro pensiero, se la respirazione viene eseguita con coscienza, è impossibile che mentre poni l’attenzione su questo gesto tu possa pensare a qualsiasi altra cosa.

Fai questa prova: cerca qualcosa che abbia un buon profumo, annusala… appena finito devi renderti conto che mentre la annusavi non sei stato in grado di pensare a nulla, solo al profumo

Se la tua mente ha prodotto qualche pensiero, è perché non hai annusato appieno l’aroma, non sei stato nel qui e adesso, ti sei perso nel pensiero di qualcosa che non era li.

Hai usato la mente e questa ha giudicato qualcosa, l’osservazione e la coscienza si sono perdute nella nebulosa dei pensieri.

Una volta finito di annusare, la mente cercherà un nome o un ricordo per quel profumo, l’attività mentale si riannoda, ma se sei cosciente del fatto che durante l’atto di annusare non hai pensato a nulla, allora avrai raggiunto un momento unico, avrai vissuto pienamente quel qui e adesso!

Questo atto apparentemente semplice, ma di enorme valore spirituale, è una fugace manifestazione del “satori“, che è uno stato transitorio di vivere con pienezza il “qui e adesso“ per brevi periodi di tempo, il “satori” è un istante di illuminazione.

Nel nostro caso, in quanto artisti marziali, osserva senza pensare qualunque movimento che realizzi nel Dojo

Se hai la mano nel punto A e devi arrivare al B, senti, sii cosciente del movimento durante tutto il  percorso ed eseguirai un movimento di qualità spirituale, un movimento di “satori”, ma se quando ti trovi in A stai già pensando a B, la tua mente allora è già proiettata nel futuro e non nel presente, e così perderai la possibilità di osservare e cogliere il movimento, che è proprio ciò che arricchisce la tua coscienza.

Potrai eseguire un movimento ricco nell’azione (forma), ma vuoto nel contenuto spirituale, questa è la chiave ed il fondamento di ogni creazione artistica fatta con entusiasmo, non devi mai dimenticare che noi pratichiamo un’ Arte Marziale, la parola “entusiasmo“ significa: “essere posseduto dagli Dei “.

La mente è il grande nemico che ci impedisce di percepire il Ki in qualsiasi momento, se pensiamo all’ordine dei movimenti, se ci sbilanciamo, se pensiamo a che cosa penserà un osservatore dei nostri errori, se siamo preoccupati per l’ora o ci appigliamo a qualunque altro cavillo, allora il momento sarà di bassa qualità, benché abbia comportato una grande spesa energetica aerobica o sia stato realizzato con precisione.

Questo racconto lo descrive in maniera molto dettagliata

Il rospo superbo gracchia su un’umida roccia, mentre vede amaramente passare la vita davanti a lui, non fa niente.

Gli passa davanti un affannato millepiedi che sembra essere oltremodo felice e lui non può permetterselo, perciò decide di fargli delle domande che lo confondano e possa così perdere la sua pace. – “millepiedi dove vai?” domanda il rospo, – “Semplicemente vado” risponde il tranquillo ed affannoso millepiedi, senza alterare la sua decisa marcia. – “Cavoli”, pensa il rospo costernato “non ha perso la calma“ .

Gli domanda nuovamente –“senti millepiedi, a che cosa pensi mentre cammini? “ “non penso, cammino e basta” Risponde nuovamente con tranquillità.

Il rospo non può sopportare che vi sia qualcuno più sicuro di sé di lui, decide così di porgli una domanda più maliziosa che si possa immaginare.-“Millepiedi, in che ordine muovi le zampe ?” Il millepiedi si ferma pensa per un istante e risponde, “ per prima cosa muovo la prima zampa e dopo la seconda.

No” rettifica – “ prima la seconda e poi la quarta, no,no, mi sono confuso, prima muovo la quinta e dopo l’ottava, no,no,no! Prima la… e poi la… No,no,no! Da allora il millepiedi non è più riuscito a camminare e a ritrovare il suo cammino , la sua mente si era attivata e questa è stata la sua perdizione.

Quale è il cammino che ci condurrà verso quel misero che abbiamo denominato Ki, e che non è solo il cuore di tutte le arti marziali, ma di qualunque attività che si realizzi? Il cammino cosciente nel quale si avverte il momento presente senza l’interferenza della mente, questo è il motivo per cui pratichiamo le arti marziali e pochi ne sono coscienti.

In Giappone lo chiamano: Do

Significa essere presenti in tutto ciò che si compie, nell’azione o nella passività, nella contemplazione di qualcosa o mentre si pensa ad essa, essere coscienti persino di un errore che si è commesso, o di un successo, essere presenti significa essere coscienti di ciò che sta succedendo in ogni qui e adesso.

Ma attenzione al tempo, che agisce sulla coscienza e questa comincia a pensare (intelligenza), ed è proprio allora che cominciano a manifestare i desideri , che non sono altro che una forma di ego, di credere che per essere qualcuno abbiamo bisogno sempre di più, L’ego ha sempre fame, fame di pensieri, di giudizi, di cose, di potere, di tutto ciò che il mondo produce e soprattutto di tempo. “ non ho tempo”, “mi manca il tempo” , “ se avessi più tempo “, sono frasi comuni che ripetiamo con assiduità.

L’ego si identificherà con qualcosa e da lì ne uscirà solamente altro ego in forma di ansietà, perché non si sarà mai soddisfatti o se lo si sarà, sarà solo per poco tempo

Ora possiamo comprendere le prodezze che compiono alcuni Maestri, con la forza o con il peso si possono ottenere abilità nella forma, anche se puerili nella coscienza, ma quando scopri un Maestro autentico, in grado di compiere vere imprese, allora hai a che fare con un personaggio umile che irradia un alone di distacco che giunge al tuo anteriore come un’abile freccia.

Non ha ego.

I grandi Maestri sembrano essere vuoti, creano una sensazione che ti assorbe, danno pace ed il tempo si ferma alla loro presenza, ma la cosa più grande è che ridono molto.

Non sono nel tempo, non vivono nella vanità delle cose, vivono il “qui e adesso” di ciò che stanno facendo, ma se si fermassero davanti al televisore a guardare una partita di calcio, quella sarebbe l’unica cosa che farebbero in quel “qui  e adesso“ e l’atto di vedere la televisione rappresenterebbe un’autentica prodezza spirituale….. con il KI.         

Note


[AUTODIFESA] Un’arma estensibile: Il bastone telescopico

Nella rubrica “Armi bianche” della rivista ARMI E TIRO (settembre 2002) il collezionista Roberto Gobetti, grande esperto e studioso di armi storiche, sviluppa un tema davvero interessante.

Egli propone che l’esame delle armi manesche più o meno antiche, evolva dalla catalogazione certosina dei componenti, verso lo studio valutativo funzionale degli stessi, aprendo così la strada alla ricerca dei perché costruttivi dei diversi elementi di un’arma.

Scrive infatti:

Non dobbiamo dimenticare che un’arma è nata per essere usata

Per questo si devono indagare le sue funzioni costruttive in modo che studiando con attenzione tutti i particolari, si può arrivare a conoscere queste esigenze e soprattutto il loro mutare nel tempo.

Gobetti suggerisce di sviluppare un lavoro intelligente sull’oggetto evidenziando la natura globale dell’arma, che diventa così mappa descrittiva non solo delle tecniche possibili con la stessa, ma anche “indicatore sociale” degli usi e costumi di un’epoca.

Un altro percorso che si può indicare e connesso a quello suggerito da Gobetti, è quello riguardante la “trasmutazione” (trasformazione + mutazione) di alcune armi antiche in armi o strumenti moderni legati alla Difesa Personale e a contesti di Forza Pubblica.

Tra questi trova senz’altro posto l’antico “buttafuori” ed il suo epilogo moderno “il bastone telescopico o espandibile”

Nei secoli che vennero dopo l’anno Mille, in Italia e in buona parte dell’Europa, l’uso delle armi manesche, sole come accompagnate, era necessario quanto il saper camminare, nella nostra penisola la particolare situazione politica e socio-culturale, favorì la diffusione non solo delle armi, ma anche del loro utilizzo scientifico in combattimento singolare o nelle scaramucce di gruppo.

Un po’ come avviene oggi in Israele, la pressione costante ai confini e le continue dispute sul territorio fecero si che la popolazione di sesso maschile delle città fosse formata all’arte del combattimento, così da poter difendere come milizia cittadina (societates armorum) i propri possedimenti entro e fuori le mura comunali.

La situazione assai articolata e variegata, vedeva soldati di ventura, mercenari, uomini d’arme, cittadini e nobili cavalieri convivere.

La quantità di personaggi inclini a metter mano ai ferri causò un certo problema, ma favorì contemporaneamente lo sviluppo di strumenti ed armi sempre più funzionali e parallelamente l’evoluzione dei combattimenti all’arma bianca.

In un certo periodo tra il XlV e fino al XVll secolo, venne in uso, tra le altre, un tipo di arma particolare per forma e funzione, all’apparenza si trattava di un bastone ricoperto da una lamina di metallo, ma si trattava per l’appunto solo d’apparenza, in quanto il bastone teneva occultata al suo interno una lama lunga e robusta come quella di una spada, in grado di uccidere.

Questa fuoriusciva all’esterno dalla parte superiore grazie ad un movimento brusco, per forza d’inerzia, e bloccata in quella posizione da un meccanismo che ne impediva il rientro, l’esimio studioso del secolo scorso Il Comm. Jacopo Gelli nella sua opera GUIDA DEL RACCOGLITORE … (1900) definisce l’arma come “brandistocco” ed, in effetti, si ritrova tale nome anche nelle catalogazioni armi dell’archivio di Stato Firenze ed Urbino (1633).

Il nome “buttafuori” è invece stato utilizzato per designare lo stesso strumento da altri due grandi studiosi di armi bianche come Boccia e Coelho nella loro opera ARMI BIANCHE ITALIANE (1975)

Il nome “buttafuori” è considerato più rispondente alla natura tecnica dell’arma anche da un altro esimio esperto, quel Francesco Rossi, che curò la catalogazione tra gli altri della collezione d’armi antiche del Museo di Castelvecchio a Verona.

Il “buttafuori” da un punto di vista tecnico è un tubo cilindrico al cui interno si trova una lama a sezione losangata o quadrangolare fornita in alcuni casi anche di lame laterali che si aprono a fine corsa, originando una vera e propria guardia a croce appuntita, utile per parare i colpi degli avversari ed utilizzabile nel combattimento a distanza ravvicinata, con evidenti risultati pratici.

A riposo il “buttafuori” sembra un bel bastone adornato alla sommità da una corona in metallo talvolta lavorata a sbalzo o forgiata a rappresentare animali e l’estremità opposta chiusa da un puntale in ferro, ma basta afferrare saldamente il bastone e compiere un movimento brusco del polso per far aprire il coperchietto con portellino e vedere fuoriuscire la lama che saetta in avanti come la lingua di un serpente.

Non si tratta della lamette di coltello, ma di un ferro che può superare gli 80 cm, il “buttafuori” divenne servo silenzioso per viandanti, per le scorte

Lo usavano ad esempio le Corporazioni e le Confraternite dei Bombardieri veneti, per gli emissari e per i riscossori di tributi, ma divenne anche arma da “masnadieri” che appoggiavano le loro richieste “presentando il ferro”.

Buttafuori bellissimi si possono ammirare al Museo Luigi Marzoli di Brescia, al Museo di Castelvecchio a Verona ne è conservato un esemplare lungo 132 centimetri a cui si aggiungono altri 82 centimetri di lama a sezione di losanga occultata all’interno.

È lecito pensare che le armi antiche e strumenti di questo genere abbiano fatto la loro storia e che oggi il loro posto sia riposare nei Musei ed essere ammirati come oggetti nobili di un tempo che fu, ma per chi studia e ricerca in ambito marziale con uno sguardo al passato e un occhio alla realtà presente della protezione (personale e pubblica), queste armi sono fonte di continui suggerimenti e rappresentano un terreno fertile d’indagine e analisi.

Cosa rappresenta dunque questo bastone con una saettante anima d’acciaio?

Il “buttafuori” esprime un concetto strategico e una tecnologia: il concetto strategico-tattico ha come valore di riferimento la sorpresa

Il sorprendere, mentre il contenuto tecnologico ha come formula applicativa l’estensibilità, con il buttafuori si puntava principalmente a sorprendere l’avversario, un aggressore più che un rivale in duello per il quale esistevano convenzioni cavalleresche, utilizzando il solo bastone se il pericolo era minore e l’arma estesa (un buttafuori aperto arriva a misurare anche due metri), brandendolo in caso di necessità con entrambe le mani tirando botte con il manico e micidiali stoccate con la lama.

Bastone strumento / bastone arma

Il buttafuori esprime un concetto che resterà caro nella terra delle lame, il binomio sempre accarezzato e perseguito di sorprendere chi vuol sorprendere, ribaltando così con un’azione a sorpresa tanto inaspettata quanto micidiale, la sorte avversa.

Questa concezione d’uso cardine e fondamento delle strategie di combattimento e affronto del bastone buttafuori  è un principio che ritorna nel nostro tempo e che troviamo espressa nel bastone estensibile (B.E.), strumento operativo d’intervento facente parte da tempo dell’arsenale armi non letali della polizia americana, (C.A.S Counter-Assalt-System), ed entrato da qualche tempo in dotazione anche tra le polizie di mezza Europa, probabilmente entro l’anno faranno parte anche della dotazione della Guardia Costiera Italiana.

Le ragioni che stanno decretando il crescente successo del B.E. tra gli addetti ai lavori di diversi paesi del mondo, sono le stesse che fecero la fortuna del suo progenitore antico,a queste se ne aggiungono altre dettate dall’evoluzione e conformazione del mezzo, di indubbio interesse.

Innanzitutto il porto del B.E. è facilitato dalle ridotte dimensioni quando chiuso e dal peso leggero (può variare dai 350 ai 700 grammi), caratteristiche che ne limitano l’ingombro e ne consentono una eccellente portabilità anche in situazioni ove sia richiesta discrezione e basso profilo.

Un altro fattore è la fruibilità del mezzo, cioè dalla facilità di utilizzo operativo del B.E. che, una volta aperto, può misurare 40-51-66-78 cm

Secondo i diversi modelli oggi disponibili, il dimensionamento offre i vantaggi comparabili ad un comune sfollagente, ma le caratteristiche d’uso premiano sicuramente l’espandibile, basta, infatti, un secco movimento del polso per aprirlo e con soli due movimenti del polso (il primo secco in avanti, il secondo rotatorio corto a tramazoncello secondo la scuola antica italiana) si apre e si colpisce o si apre e si para, l’attacco di un malvivente armato di coltello.

Ancora i. B.E permette di svolgere un’azione di controllo evento e di prevenzione (nel caso ad esempio di addetti alla sicurezza di aree private), mantenendo un basso profilo, allo stesso tempo è assai difficile subirne il disarmo quando chiuso ed impugnato, mentre si può aprirlo anche se sottoposti ad una presa, persino sul braccio che lo porta.

Per ultime, ma non meno importanti, anzi fondamentali nell’etica della Forza Pubblica e della sicurezza, la bassa lesività modulata che è possibile porre in essere con un utilizzo mirato e scientifico del B.E., situazioni di rischio possibile (sorveglianza aeroportuale, perquisizioni, sorveglianza di soggetto da tutelare, o di più soggetti in luogo pubblico) può essere gestita anche grazie al B.E. che permette di agire contro aggressori armati con oggetti contundenti, spranghe, mazze, catene, bottiglie, coltelli, riducendo al minimo il rischio di un ingaggio corpo a corpo o del ricorso ad armi da fuoco.


LA TECNICA

La particolare costruzione del B.E con una testa sferica all’apice permette un utilizzo incisivi/selettivo dei colpi, che sono indubbiamente rafforzati dal buon grip offerto dal manico in materiale plastico in alcuni modelli anatomico e confortevole, da un punto di vista tecnico-gestuale la natura contundente dei colpi permette azioni mirate rese possibili dalla mappatura dei punti da toccare che definiamo come bersagli focali.

Questo evita di usare il B.E. in modo brutale e soprattutto inadeguato alla circostanza e consente di rendere efficiente e rapida l’azione di contenimento del pericolo, i bersagli focali sono dunque punti del corpo che, per la loro posizione e conformazione, possono essere:

  • Facilmente colpiti perché esposti;
  • Una volta toccati possono limitare le capacità offensive e dinamiche dell’aggressore;
  • Non comportano lesioni gravi o mortali.

I principali bersagli focali che mappano l’utilizzo operativo del B.E. sono dislocati:

  • Sugli avambracci e sulle mani, (zona radiale-carpale e metacarpale);
  • Sugli arti inferiori (zona tibiale rotulea e malleoli).

Se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo l’utilizzo del bastone estensibile si rivela ancora un valido elemento di controllo

Il soggetto pericoloso che aggredisce armato, escluse armi da fuoco, può quindi essere centrato da uno o più colpi con il B.E. ai bersagli focali così da inibirne la capacità offensiva, se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo, oppure se la situazione si sviluppa a corta distanza, l’utilizzo del B.E. si rivela ancora un valido elemento di controllo.

È possibile infatti sfruttarne la conformazione per eseguire anche a corta distanza:

  • Azioni di blocco degli arti e chiavi articolari;
  • Azioni di opposizione stabile a colpi;
  • Azioni di pressione su sedi localizzazioni nervose;
  • Azioni di controllo/conduzione.

il B.E. naturalmente non può sostituire i campi di applicazione estremi dell’arma da fuoco, ma può trovare il giusto spazio come strumento di controllo non letale nella gestione di eventi a rischio, presupposto indispensabile per un utilizzo razionale e mirato del B.E. è senz’altro l’adozione di programmi d’addestramento professionali adeguati che consentano in tempi brevi di formare gli addetti ai lavori e di garantirne la massima efficienza operativa nel tempo, con il minimo turn-over d’allenamento.

Ricordo infine che il bastone estensibile è considerato arma propria e come tale rientra nelle normative collegate all’articolo 4 della legge 110/75 e che la detenzione ed il porto di tali strumenti è regolato dai collegati  art. 42 del Tulps e art. 38 della stessa legge.

Note

Bibliografia

  • Lionello G.Boccia, Eduardo T. Coelho, Armi bianche italiane (1975 Bramante Editrice)
  • Jacopo Gelli, Guida Del Raccoglitore E Dell’Amatore Di Armi Antiche (1900)

COPERTINA parliamo di armi

[AUTODIFESA] Parliamo di armi!

In questo articolo analizzeremo i pro e i contro di utilizzare un’arma per difendersi da un’aggressione.

In tutti i seminari di tiro con la pistola, la prima domanda che gli allievi si sentono porre è se qualcuno ha mai sparato in vita sua con una qualsiasi arma.

La percentuale di chi ha sparato è sempre molto bassa e quando la gente risponde di sì si tratta sempre di molto tempo addietro.

Per questo motivo il problema non è saper togliere l’arma all’aggressore, ma sapere cosa fare una volta impugnata l’arma.

Sapresti come agire se la pistola si inceppasse o se il caricatore è vuoto?

Questo ci porta ad analizzare l’estrema importanza dell’uso dell’arma.

Se sei un praticante di Arti marziali che prende sul serio l’allenamento e lo pratica regolarmente, comprenderai la necessità di imparare ad utilizzare correttamente una pistola con un istruttore qualificato.

Ovviamente questo è un ragionamento necessario e applicabile a chiunque

le statistiche del Federal Bureau of Investigation indicano che tra i crimini violenti commessi negli Stati Uniti, nel 65% dei casi era stata usata una pistola.

Qualunque arma da fuoco è pericolosa se detenuta da qualcuno che non conosce le sue possibilità e i suoi limiti.

L’unico modo per imparare questi due fattori è praticare

In primo luogo occorre analizzare questi due fattori.

  • Se vivi in un’area rurale: Cerca un luogo sicuro all’aperto ben isolato e recintato;
  • Se vivi in una  città o in una zona molto popolata: Cerca un poligono qualificato.

La migliore opzione in ogni caso è quella di iscriversi ad un corso riconosciuto di utilizzo della pistola.

Una volta fatto si può praticare da solo (chiaramente bisogna essere in possesso del porto d’armi) e scoprire cosa può fare un’arma da fuoco.

La pistola è l’arma più difficile per imparare a sparare con precisione

Imparare a maneggiare correttamente una pistola richiede molta pratica. La maggior parte delle persone che la utilizza in una situazione normale arriva a consumare almeno 500 caricatori prima di ottenere la destrezza necessaria per centrare il bersaglio, figuriamoci in una situazione ad alta tensione.

Una volta ottenuta la destrezza per mantenerla si avrà bisogno di almeno 50 caricatori al mese.

È sorprendente vedere come molta gente si compri una pistola e 50 caricatori di munizioni, si rechi in un’area di tiro vicina e cominci a sparare i 50 caricatori a una sagoma situata a 8 metri di distanza e sbagliando anche diversi colpi. In una situazione critica tu non puoi permetterti di essere uno di loro.

Dimentichiamoci di ciò che in televisione fanno vedere

Non si spara mai con una mano sola o perlomeno non si dovrebbe fare. Se ciò che vuoi è colpire un qualsiasi bersaglio, quando si effettua uno sparo difensivo si devono utilizzare entrambe le mani per tenere la pistola.

Con la pistola dovrai mettere le dita della mano libera sopra le dita che stanno afferrando l’arma

Metti il pollice della mano libera sopra il pollice della mano che spara. Puoi farlo incrociando la parte posteriore del polso.

Puoi utilizzare la stessa impugnatura con un’arma semiautomatica o cambiarla leggermente, posizionando l’indice della mano di appoggio attorno alla parte frontale della sicura.

Afferrando l’arma in questo modo con entrambe le mai, risulterà più facile tenere l’arma mentre si sta prendendo la mira.

Eviterai così che l’arma rinculi dopo lo sparo, permettendoci di tornare a mirare il bersaglio dopo ogni sparo.

Il modo in cui sei posizionato influenzerà la precisione degli spari

Il piede opposto (il sinistro per i tiratori destrimani e viceversa) dovrebbe trovarsi circa 30 cm davanti all’altro piede ed entrambi i piedi dovrebbero essere allargati al livello delle spalle.

Questa posizione (chiamata Posizione di Weaver) permette al corpo di assorbire parte dell’impulso del rinculo, aiutandoci a mantenere l’equilibrio ed è a mio parere la posizione in piedi più stabile per sparare.

È estremamente efficace se utilizzata correttamente ed è ciò che conta, nessun altro all’infuori del tuo avversario si meraviglierà della tua tecnica, perciò non preoccuparti dell’immagine sgraziata che potresti dare.

Puoi provare anche una seconda posizione che è abbastanza efficace

Posizionati di fronte al bersaglio con le gambe leggermente separate e il peso del corpo distribuito equamente su entrambe le piante dei piedi.

Dopo di ciò piega leggermente le ginocchia e abbassa un po’ il corpo, come se dovessi sederti.

Questa semplice posizione ti permetterà di mirare con la pistola al centro, o verso uno dei lati, in maniera spontanea, perché le braccia e le spalle sono bloccate e funzionano come una torretta, facendo perno da un lato all’altro.

Le due cose più importanti che devi imparare sono il controllo del grilletto e la mira

Una volta adottata la posizione e l’impugnatura adeguate, le due cose più importanti che devi imparare sono il controllo del grilletto e la mira. Quando sarai in grado di dominare entrambe, vorrà dire che ti troverai nel giusto cammino per diventare un tiratore esperto, in grado di proteggere te stesso e la tua famiglia.

Il controllo del grilletto si mantiene con un movimento di pressione, non con un tiro o con un colpo secco

Questi movimenti tendono spostare la bocca della pistola e allontanarla dal bersaglio quando si spara, facendoti fallire il bersaglio.

Il dito sul grilletto deve agire in maniera indipendente dalle altre dita e dal pollice.

Le tre dita e il pollice dovrebbero assicurare un’impugnatura forte del calcio della pistola, mentre il dito posizionato sul grilletto non dovrebbe toccare nient’altro che il grilletto.

Se il dito del grilletto tocca il corpo dell’arma, tirando il grilletto la bocca dell’arma si muoverà.

Questo leggero movimento eseguito ad una distanza di 6 metri dal bersaglio, sarà sufficiente a fartelo mancare, se fai pratica per imparare a premere il grilletto in maniera corrette, ti risulterà più facile sparare sul bersaglio che realmente vuoi colpire.

Dopo aver sparato non devi lasciare andare il grilletto, il movimento del grilletto in avanti dopo uno sparo dovrebbe essere controllato nello stesso modo in cui si preme per sparare.

C’è un fenomeno strettamente relazionato al gesto di premere il grilletto, chiamato “scossa”

Quando premi, non riesci ad evitare di attendere di percepire il rumore della pistola che spara, all’ultimo, si tende ad anticipare e muovere la pistola nel momento in cui il grilletto sta completando il suo percorso e la carica viene sparata.

La scossa è una reazione normale nell’uso di qualunque arma da fuoco, ma è anche un’abitudine che devi superare se vuoi usare l’arma in maniera efficace.

Se stai praticando in una zona in cui vi sono più persone che sparano, potrebbe accadere che la scossa complichi le cose, perché è probabile che non avvenga solo col tuo colpo, ma anche con quello degli altri, in questo caso la cosa migliore da fare è cercare di tirare nelle pause degli altri.

Puoi utilizzare il suono dello sparo delle loro armi come segno per completare l’azione di premere il grilletto ed eseguire il tuo tiro, una volta che hai imparato a completare la sequenza, vedrai che avrai meno problemi con la scossa degli altri.

Il mirino è egualmente importante per poter sparare con precisione

La maggior parte della gente con un’esperienza ridotta nell’uso della pistola incontra delle difficoltà nel focalizzare il mirino, poiché il mirino anteriore e quello posteriore sono molto vicini e, al contempo molto lontani dal bersaglio, il tiratore noterà che i suoi occhi non riusciranno a mettere a fuoco contemporaneamente il mirino posteriore, quello anteriore e il bersaglio.

Non ti disturbare a provare a farlo, non si può.

Punta l’occhio sul mirino anteriore, potresti pensare che non sia giusto, ma finirai per renderti conto che è l’unico modo per sparare con precisione.

Il mirino posteriore e il bersaglio risulteranno sfocati, ma ad una distanza superiore a 50 metri è abbastanza facile mantenersi focalizzati sul bersaglio con il mirino anteriore.

I mirini delle rivoltelle sono stati progettati in modo tale che un po’ di luce brilli tra i laterali degli incastri del mirino posteriore e il filo del mirino anteriore.

Con la pratica, le mani finiranno per mantenere automaticamente la quantità di luce in entrambi i lati del mirino frontale in maniera regolare.

Se la pistola ha mirini regolabili, la parte superiore del filo del mirino anteriore dovrebbe essere simile alla parte superiore del mirino posteriore. Questa linea regolare con la luce, brillando nel mezzo ti fornirà il migliore angolo di mira per uno sparo difensivo.

Non preoccuparti se non sei in grado di mantenere la pistola completamente ferma, in realtà nessuno è in grado di farlo

La pratica farà sì che il movimento diventi più lento, perché i muscoli del braccio e del polso usati per sparare diventeranno più forti.

La precisione millimetrica non è necessaria nel tiro difensivo, pratica guardando attraverso i mirini al bersaglio, utilizzandoli soprattutto per confermare che la bocca dell’arma sia situata sopra il bersaglio.

È più importante sapere sempre dove si trova l’avversario e che cosa sta facendo, piuttosto che concentrarsi sul mirino

Qualunque cosa faccia, non perdere di vista un aspetto fondamentale del tiro difensivo, devi essere in grado di piazzare uno o più colpi al bersaglio a breve distanza, nel minor tempo possibile.

Un allenamento centrato sull’obiettivo è fondamentale per imparare correttamente l’uso, la sicurezza e la precisione con la pistola, ma può essere anche fine a se stesso.

Dato che il tiro difensivo è un tiro a breve distanza, una volta imparate le basi, la pratica del tiro al bersaglio a lunghe distanze non avrà senso.

In realtà, l’eccesso di pratica può impedirti di riconoscere un tiro rapido in una situazione di tensione, è meglio la rapidità di reazione, che la precisione millimetrica, purché tu sappia ciò che stai facendo.

Con un’adeguata pratica, dovresti poterti difendere da solo e difendere la tua famiglia con una certa sicurezza.

Il possesso legale di una pistola per la difesa personale non è facile da ottenere nell’attuale società, né è una decisione che si possa prendere alla leggera

Benché tu abbia i requisiti necessari e possa entrare in possesso di un’arma in maniera legale, le circostanze nelle quali puoi usarla per proteggerti e difendere la tua famiglia sono ancora più confuse.

Nelle ultime decadi i tribunali hanno progressivamente adottato posizioni che situano il proprietario di un’arma in una situazione di considerevole svantaggio legale.

Questa linea di ragionamento sposta il peso della colpa del trasgressore della legge al cittadino che segue la legge e che reagisce di fronte ad un’intrusione.

Esiste qualcuno tra noi in possesso di una saggezza tale che possa determinare con esattezza, in un millesimo di secondo, i vantaggi relativi di una pallottola su una gamba di fronte alla pena legale che un giudice imporrebbe?

Tuttavia, per quanto assurdo possa sembrare, l’unica maniera di essere sicuri è consultare un avvocato prima di premere il grilletto.

Dato che un furto implica una pena abbastanza lieve, non sarai in un terreno sicuro se cerchi di fermare un ladro con un’arma, la maggior parte dei giudici ti considereranno colpevole di aver utilizzato una forza non ragionevole se spari ad un ladro che ha le tasche piene di cose tue.

Questo deriva dal concetto che afferma che non devi utilizzare un’arma per proteggere la tua proprietà.

Se lo fai, deve essere in risposta a una situazione nella quale la tua vita (non la tua proprietà) è minacciata, nonostante ciò, in quel caso dovrai essere in grado di dimostrare che la tua vita era minacciata e che in nessun altro modo saresti potuto sopravvivere alla situazione.

Se utilizzi una pistola per fermare un ladro che sta scappando con i tuoi beni, peggiorerai considerevolmente  la situazione a tuo svantaggio

Nel caso tu lo dovessi inseguire e gli spari quando sta uscendo da casa tua, le conseguenze saranno anche peggiori. Tenendo conto di questo, esiste un procedimento stabilito che bisogna seguire nel caso in cui ti trovi un intruso dentro casa tua.

  • Il primo passo è verificare se è armato o meno, e se pertanto è potenzialmente pericoloso;
  • Il secondo passo è sfidarlo verbalmente: Se lo sorprendi con un affronto verbale, potrebbe impaurirsi e correre via o perfino arrendersi. Ovviamente, corri il rischio che ti uccida mentre tu segui il procedimento di “identificazione e sfida”.

Ora supponiamo che non sia armato, ma che sia tre volte più grande di te e il doppio più pericoloso di te

Non gli è affatto piaciuto che tu abbia interrotto il suo lavoro e quindi, senza pensarci due volte, decide di attaccarti con una bastonata per il semplice fatto di averlo disturbato, secondo te dovresti sparargli?

Se lo fai, ti troverai nelle sabbie mobili

Nella maggior parte dei casi, il giudice ti considererebbe colpevole di un atto criminale se si giungesse alla conclusione che non eri in pericolo di morte o di lesione grave come risultato di un attacco dell’aggressore con le mani. La stessa figura legale considererà l’uso delle mani di un pugile, di un lottatore o di un esperto in Arti marziali equivalente ad un’arma letale.

La maggior parte delle situazioni in cui è necessaria un’arma per la difesa personale accadono di sera, a corta distanza e così rapidamente che non vi è il tempo di tener conto delle considerazioni legali.

Tuttavia, devi essere in grado di convincere le autorità di aver fatto ricorso all’uso dell’arma solo perché la tua vita era in pericolo.

In generale si accetta l’idea che si dovrebbe utilizzare solo la forza sufficiente a resistere ad un’aggressione

Non appena il pericolo è passato, dovrai fermarti e desistere immediatamente.

I criminali tuttavia, non si vedono limitati dagli stessi obblighi legali. in alcuni stati d’America ad esempio questo concetto è stato modificato in maniera graduale, fino al punto in cui l’unica opzione legale che rimane in una situazione che minaccia la tua vita è scappare, invece di rimanere e mettere fine alla vita del tuo aggressore.

I punti che ho analizzato fanno una bella figura nella sala di un tribunale, ma la realtà della vita di solito è molto differente.

La tua reazione davanti ad un furto o un’aggressione notturna di un intruso si deve produrre in un millesimo di secondo

È raro che tu abbia il tempo sufficiente per sparare con precisione una pallottola all’aggressore per inabilitarlo o per fermare l’attacco.

Spesso non si ha nemmeno il tempo per mirare e colpire il bersaglio, l’unica cosa che avrai il tempo di fare è mirare, bene o male che sia, e sparare.

In queste circostanze vi è la possibilità che la tua reazione provochi la sua morte

È stato eccessivo l’uso della forza?

Un giudice potrebbe pensarlo se spari un secondo colpo e colpisci l’aggressore alle spalle mentre scappa, in questo caso esiste la possibilità che considerino te l’aggressore.

Se utilizzi una pistola per difenderti o se in grado di disarmare un aggressore, sarai giudicato con il criterio che il giudice considererà ragionevole in quella situazione e questo potrebbe essere terribile per te.

Se ci sono testimoni o se l’aggressore sopravvive, tutte le parole che vi sarete detti saranno analizzate nel dettaglio

Il luogo in cui si sarà prodotto l’incidente e la parte del corpo in cui l’aggressore avrà le ferite, influiranno sulle decisioni del giudice.

Si analizzeranno le sue intenzioni e il giudice deciderà quali erano le tue, con tutto questo a tuo sfavore, la prospettiva di utilizzare un’arma per difendersi diventa opprimente.

Supponiamo che per te sia necessario sparare ad un aggressore o ad un intruso

Benché tu consideri le tue azioni totalmente giustificate, dovresti pensare al fatto che le implicazioni legali possono durare mesi o anni.

Ci sono casi nei quali tutto è semplice e chiaro per tutti, meno che per te. Tuttavia, la maggior parte della gente non è in grado di togliere la vita a qualcuno in maniera così semplice ed è probabile che conseguenze psicologiche ti condizionino per il resto della vita.

Che cosa fare dunque per essere pronti alle conseguenze di un incidente simile?

Benché sia difficile da considerare qualsiasi possibilità, dobbiamo assumere che eri e sei convinto di sopravvivere all’attacco.

Se l’aggressore è armato di pistola, continua a sparare fino a che non è a terra.

Una volta al suolo, retrocedi e copriti fino a quando non riuscirai a valutare bene la situazione, se spari e lui scappa, lascialo andare, è troppo rischioso seguirlo.

Quando sei convinto che tutto è finito e che l’aggressore non può più farti del male, verifica di non essere ferito

Se si è trattato di un’aggressione in casa, assicurati che il resto della tua famiglia sia sano e salvo.

Ci sono stati casi in cui un membro della famiglia è stato colpito durante la sparatoria ed è rimasto a terra ferito per ore, fino a che qualcuno non è andato a vedere se stesse bene.

Assicurati di star bene anche tu, è possibile che una pallottola ti abbia colpito o ti abbia sfiorato senza che te ne renda conto.

Avvisa i parenti o qualunque vicino che entri a vedere che cosa è successo, di non toccare niente, tutto va lasciato così com’è fino all’arrivo della polizia, così potranno ricostruire i fatti.

Se le cose vengono mosse o se sembra che sia stata modificata qualche prova, ti sarai cacciato in un grosso guaio.

Se l’aggressore aveva un’arma, assicurati che le autorità ti confermino per iscritto con tanto di data il fatto, non vanno perse prove per nessun motivo.

Chiama il tuo avvocato, spiegagli brevemente quello che è successo.

Non appena hai visto che tutti stanno bene, chiama il tuo avvocato, spiegagli brevemente quello che è successo e chiedigli di venire da te quanto prima.

È estremamente importante che sia presente sin dall’inizio, probabilmente non ti dirà niente fino a che non arriverà sul posto.

Se possibile dovrebbe trovarsi nel luogo dell’aggressione quando arriva la polizia, dato che la maggior parte delle linee telefoniche di emergenza della polizia hanno dei registratori automatici, qualunque cosa succeda da quando chiami a quando non arrivano, rimarrà registrata e può esserti utile in un secondo momento.

Lascia la tua arma e aspetta che arrivino, questa è una misura di sicurezza importante

Se i poliziotti arrivano alla porta e ti trovano con l’arma in mano, potrebbero spararti. Tutto quello che sanno è che c’è stata una sparatoria, dato che non conoscono i dettagli, è normale che si aspettino un conflitto.

Se ti vedono alla porta con una pistola in mano, non ti daranno l’opportunità di spiegare, perciò è meglio che ti assicuri di metterla giù.

Uuna volta arrivato il tuo avvocato, appartati con lui e spiegagli la situazione nel dettaglio, non nascondere niente, qualunque cosa tu riesca a dirgli è un’informazione che non può essere usata contro di te.

Se pensa che il tuo stato emotivo sia troppo alterato per far fronte alla situazione, ti potrebbe consigliare di andare via, fa quello che ti dice senza discutere, l’avvocato sa che cosa deve dirti e può occuparsi della polizia fino a che non sarà sicuro che tu sei nelle condizioni di affrontare la situazione.

Nel caso tu non abbia un avvocato o non riesci a trovarlo in quel momento, stai molto attento a quello che dici alla polizia

Se non hai un avvocato o non riesci a trovarlo in quel momento, stai molto attento a quello che dici alla polizia, perché qualunque cosa dirai in quella situazione potrà essere usata come prova.

Non chiedere perdono, non piangere e non firmare niente, mostrati il più rilassato possibile, soprattutto se qualcuno comincia a farti delle pressioni.

Osserva quello che fanno e cerca di ricordare tutto quello che succede sin da quando arrivano

L’unica cosa che dovresti dire in quel momento è che vuoi parlare con il tuo avvocato, collabora con loro, ma non perdere di vista quello che fanno.

È probabile che delimitino la zona nella quale ha avuto luogo la sparatoria per raccogliere le prove, osserva quello che fanno e cerca di ricordare tutto quello che succede sin da quando arrivano, la tua arma verrà requisita come prova, ma non devi rivelare se hai altre armi a casa né dove stanno.

Non sei obbligato a rispondere a domande che abbiano a che vedere con la tua casa o con la tua vita privata e che non siano in relazione con quello che è successo.

A seconda delle circostanze della sparatoria, delle prove fisiche, delle dichiarazioni fatte da te o dagli altri e del carattere degli investigatori, potresti essere arrestato e accusato di omicidio!

Questo può succedere benché sia un chiarissimo caso di autodifesa.

Non farti sorprendere dagli avvenimenti e sii pronto al peggio

Ora forse ti rendi conto di quanto sia importante avere al tuo fianco sin dall’inizio un avvocato.

È possibile che i parenti dell’aggressore decidano di perseguirti legalmente, benché le autorità non ti incolpino di nulla, queste cause possono essere interminabili e potresti spendere una fortuna in processi.

Inoltre i suoi parenti potrebbero molestarti in altri modi, minacciandoti per telefono o con messaggi anonimi.

Cerca di non parlare dell’accaduto con nessuno, a meno che non sia il tuo avvocato

Perfino i commenti informali a membri della tua famiglia possono diventare un problema per te col tempo.

Le conseguenze derivanti dallo sparare ad un’altra persona per autodifesa non sono sempre giuste, soprattutto perché non succederebbe la stessa cosa se accadesse il contrario, se il tuo aggressore sopravvivesse e tu no.

Disgraziatamente è così che funziona oggigiorno la società e devi sapere ciò che ti aspetta se sei spalle al muro e devi difenderti usando la forza letale.

La parte spiacevole dell’incidente sarà difficile da dimenticare e potresti aver bisogno di un aiuto professionale e di un supporto psicologico

Nonostante i numerosi studi che dimostrano che l’incidenza di aggressioni, furti e violenze diminuiscono nelle zone in cui i cittadini vanno in giro armati e i criminali lo sanno, i governatori e i tribunali continuano a rendere la vita estremamente difficile ai cittadini che seguono la legge.

Il continuo aumento del crimine e l’incapacità della polizia di contenere le ondate di violenza è terrificante, soprattutto quando ti rendi conto che tutto è contro di te se decidi di difenderti.

Arrivati a questo punto, dovresti essere cosciente delle conseguenze derivanti dall’uso della pistola per difesa personale.

Posso dirti un’altra cosa, cioè cerca di evitare gli scontri il più possibile, se non puoi evitarlo, affrontali con l’idea di vincere nonostante le conseguenze.

Questo mi porta al concetto finale nell’uso di una qualsiasi arma, che sia una pistola o anche un coltello

Come hai potuto leggere, qualunque decisione tu prenda, il risultato sarà straziante, ma se alla fine non hai altre possibilità e la tua vita o quella di un tuo caro è minacciata, dovrai fare ciò che è necessario per sopravvivere, questo ci porta alla decisione dove dovrai “Lottare per la vita”.

Note