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[AUTODIFESA & SPORT] Punti di pressione: la spazzata

Nello studio dei punti di pressione, il praticante impara subito che attaccando qualsiasi punto può prodursi una perdita di controllo corporale, che porta al suolo l’avversario.

Questo succede non solo con i punti della testa, come è logico aspettarsi, bensì anche con quelli di qualsiasi parte del corpo.

Dunque, perché abbiamo bisogno di un livello di allenamento completo per insegnare specifiche spazzate?

La risposta è semplice, alcune persone per la loro professione, non sono solite utilizzare gli attacchi a molti di questi punti per far cadere l’avversario, professioni come agenti delle forze dell’ordine, tecnici del pronto soccorso medico e personale di sicurezza esigono metodi di controllo di basso livello che non si vedono di buon occhio in questa società.

Tuttavia, controllare ed annullare una persona pericolosa riduce il rischio di subire ferite, sia per noi che per le persone che ci stanno attorno, la chiave sta nel comprendere alcuni obiettivi accessibili da qualsiasi angolo e nell’allenarsi fino a trasformarli in un movimento naturale, è anche importante conoscere ciò che succede esattamente utilizzando uno di questi obiettivi, il che rappresenta contemporaneamente un vantaggio strategico per la persona che li utilizza.

Quando sappiamo come il corpo reagisce o si muove le possibilità che abbiamo e come intensificare l’attacco in caso di necessità, riduciamo gli scenari imprevisti e con questo lo stress e il panico, dopo aver acquisito dimestichezza con l’allenamento dovremo aumentare lo stress, la velocità e l’intensità dello stesso, per abituarci all’aumento di adrenalina ed ai suoi effetti, imparando a lavorare sugli stessi.

Oltre questo allenamento dovremo possedere altre due abilità: quella della neutralizzazione (in situazioni gravi d’emergenza) e quella del controllo continuo

I punti di pressione che si utilizzano sono la chiave ed il metodo più semplice per accedere al sistema nervoso del corpo.

Focalizzatevi, per esempio, sull’obiettivo del nervo mentoniano Miscellaneo della testa e del collo, il quale prevede tre modi per essere attivato, tre angolazioni principali d’accesso e tre di controllo, questo non offre solo una notevole versatilità,  ma anche delle ottime opzioni di controllo per chi le utilizza.

Premendo questo nervo verso il basso e verso il centro del collo, debiliteremo i muscoli del collo e potremo girare la testa dell’avversario e manovrarla in diverse direzioni, in avanti, all’indietro, ai lati e, specialmente, verso il basso, sfregando questo punto rapidamente si produce immediatamente la disfunzione delle gambe e del controllo corporale, neutralizzando così la minaccia con la stessa rapidità. In casi di vera necessità, colpendo questo punto possono anche provocarsi vari livelli di perdita di conoscenza, questi risultati possono essere ottenuti da davanti, di lato e perfino da dietro, il che aumenta considerevolmente la valenza di questo bersaglio, grazie a questo e a molti altri obiettivi sarà molto più facile manovrare, ridurre e persino immobilizzare un aggressore.

Benché questo punto sia molto accessibile, dovremo disporre di una gran varietà di obiettivi per ogni circostanza o necessità

Un altro obiettivo ugualmente efficace e versatile è quello che si trova dietro la mandibola e sotto il lobo dell’orecchio: il triplo riscaldatore, gli agenti delle forze dell’ordine, il personale di sicurezza militare e gli artisti marziali conoscono questo punto da molto tempo, ma quello che normalmente non si conosce è la sua fruibilità e il suo livello di disfunzione.

Per esempio, possiamo dominare l’avversario premendo alternativamente su entrambi i lati, alzando o abbassando e persino mettendo KO con un minimo sforzo, l’angolo più idoneo per colpire questo punto è verso la punta del naso, con delle leggere variazioni, sia nell’angolo che nel metodo di applicazione, per ottenere risultati differenti.

Un altro obiettivo da evidenziare si trova davanti al muscolo sternocleidomastoideo

Allo stesso livello del pomo d’Adamo, il nervo è una ramificazione del nervo iperglosale e si collega con il nervo vago, questo punto, inoltre, condivide la fruibilità del triplo riscaldatore e si può usare anche per causare asfissia.

Come si sa esistono due principali metodi per asfissiare un individuo o finalizzarlo o per fargli perdere conoscenza: tagliando la somministrazione d’aria è un metodo lungo e pericoloso, perché il praticante può essere ferito durante i minuti di lotta per la sopravvivenza, Tuttavia, per tagliare la somministrazione di sangue abbiamo bisogno solo di pochi secondi, benché continui ad esistere il suddetto pericolo, poiché l’avversario cercherà di difendersi per eliminare la minaccia, se utilizziamo correttamente il punto dello Stomaco 9, porremo fine immediatamente alla sua resistenza.

Sfregando verso il basso e verso l’interno il punto dello stomaco 9, si produce la disfunzione delle braccia (facendole cadere senza che pregiudichino il viso o la testa del praticante) e la debilitazione di tutta la funzione corporale, di modo che la sua applicazione risulta più sicura nei secondi precedenti agli effetti dell’asfissia per blocco sanguigno.

Quando le braccia dell’avversario si trovano sulle nostre in una situazione di grappling, sarà difficile raggiungere ed accedere a tutti i precedenti punti, nonostante ciò, esistono molti obiettivi accessibili che ci daranno il controllo dell’avversario, abbattendolo rapidamente e provocando la disfunzione temporanea del corpo.

Colpendo il punto dello stomaco 11, impediremo agli impulsi nervosi di arrivare ai muscoli sotto il punto nel lato del corpo dove lo applichiamo, accediamo a questo punto dalla parte esterna, ma di lato e dietro il vertice della clavicola, il nervo deve essere premuto contro la parte di dietro della clavicola e verso il basso per ottenere la disfunzione, ed il metodo migliore per attivarlo è raggiungerlo direttamente con la mano.

Sotto la presa dell’avversario contiamo anche su un paio di obiettivi facili per abbattere o provocare la disfunzione temporanea dell’aggressore, sopra la struttura pelvica

Il punto della cistifellea 26 è situato sopra l’osso dell’anca (cresta iliaca), ed è una ramificazione del nervo ileoipogastrico del polmone 1.

Premendo e colpendo questo nervo contro l’osso provocheremo un dolore acuto, la paralisi e la disfunzione dell’arto inferiore, questo farà cadere l’avversario verso il lato attaccato, permettendo al praticante di contenerlo o di scappare, in alcune persone può provocare persino nausea.

L’altro è il punto della cistifellea 23, situato due dita di lato della vertebra, appena sotto la 12à costola si trova un’altra ramificazione del nervo sub-costale, colpendo o premendo verso il basso ad un angolo di 45 gradi verso i genitali provocheremo un dolore acuto, la perdita di controllo muscolare e nausea.

Una delle caratteristiche di questo punto è che può contenere una spazzata di spalla o di anca.

Quando il judoka o un altro esperto in spazzate ruota la schiena e l’anca verso di noi per fare leva, semplicemente sfregando l’accesso a questo nervo verso il basso e l’interno, gli faremo cedere le gambe,debilitando la sua base, è necessario essere cauti durante l’allenamento, poiché la perdita della base può provocare lesioni nella parte bassa della schiena, dato che sarà li dove si applicherà ora tutta la pressione.

Un altro vantaggio di questo metodo per evitare la spazzata è che, cadendo, l’avversario rimarrà in una posizione perfetta per praticare l’asfissia per blocco sanguigno

Come abbiamo detto prima, un attacco dalla schiena o una montada, inoltre, per gli agenti delle forze dell’ordine, questo metodo è eccellente per abbattere da dietro l’avversario, per controllarlo o per guadagnare un vantaggio nel momento di introdurre il delinquente in un veicolo o in una cella.

La conoscenza dei punti di pressione servono anche per migliorare le spazzate nelle arti marziali,  se si imparano i punti di pressione è anche per provocare la disfunzione corporale al fine di inabilitare e far cadere un avversario, si praticano anche molte delle spazzate che vengono usate nelle arti marziali, queste comprendono dagli spostamenti di gambe alle chiavi articolari  e perfino movimenti di sacrificio.

I punti di pressione possono migliorare qualsiasi metodo utilizzato per far cadere o abbattere un avversario, dall’Aikido allo Shotokan.

Cominciando da una spazzata di piede tradizionale, usando un punto chiamato milza 6, all’interno dello stinco ad un palmo di distanza dall’osso della caviglia, potremo ottenere due spazzate differenti, colpendo questo punto verso l’alto, facciamo saltare la gamba verso l’alto e all’indietro, e non sarà necessario aumentare la forza o il tempo della spazzata convenzionale.

Se affrontiamo un avversario molto più grande di noi, è possibile lesionarsi la gamba o qualche articolazione sopportando il suo peso e la sua forza

Ma se utilizziamo correttamente i punti di pressione e calciamo questo punto verso l’alto con un angolo di 45 gradi, si produce il cosiddetto riflesso flessore o di ritirata, dove il suo stesso sistema nervoso farà alzare la gamba all’indietro squilibrando l’avversario.

Se attacchiamo lo stesso punto verso il basso con un angolo di 45 gradi, debiliteremo la caviglia e la parte inferiore della gamba, utilizzando il riflesso di paralisi naturale.

Qui è dove si perde il controllo di tutti i muscoli periferici che sostengono il peso, facendo collassate l’individuo, questo implica un potenziale e grave danno alla caviglia e alle articolazioni del ginocchio, durante la paralisi dei muscoli e la ricaduta del corpo in zone carenti d’appoggio, il peso viene disperso lateralmente e dato che le articolazioni non sono progettate per questo, si produce la lesione dei legamenti interni e del tessuto connettore. Persino i tendini che circondano la zona della caviglia, ad eccezione dell’osso frontale dello stinco, contengono quello che viene chiamato l’apparato di Golgi.

L’apparato di Golgi è un meccano recettore, esistono due recettori muscolari: il fuso neuromuscolare e l’apparato di Golgi, presenti ambedue in tutti i muscoli, hanno la funzione di evitare il danno muscolare

Il fuso neuromuscolare si trova all’interno del muscolo ed è sensibile allo stiramento muscolare, controlla la lunghezza del muscolo, se il muscolo si distende troppo ,il fuso neuromuscolare invia un messaggio al midollo spinale ed immediatamente si produce la contrazione del muscolo per evitare la lesione da stiramento eccessivo.

L’apparato di Golgi si trova nel tendine e misura la tensione di tale muscolo, benché possa sembrare simile al fuso neuromuscolare, non lo è, l’apparato di Golgi invia informazioni al cervello su piccole porzioni del muscolo, affinché il cervello sappia non solo quello che sta facendo il muscolo nella sua totalità, ma anche quello che sta facendo ognuna delle parti che compone quel muscolo.

Quando l’organo tendineo di Golgi capta un’eccessiva tensione sul muscolo (come stiramento prodotto dal nostro attacco sotto forma di sfregamento), invia un segnale al midollo spinale il quale, a sua volta, provoca il rilassamento del muscolo per ridurre la tensione.

La differenza principale tra l’apparato di Golgi ed il fuso neuromuscolare è che il fuso neuromuscolare obbliga il muscolo a contrarsi per evitare uno stiramento eccessivo, mentre l’apparato di Golgi obbliga il  muscolo a rilassarsi per ridurre la tensione

Dato che ambedue i recettori sono presenti in tutti i tendini, attaccando il braccio abbiamo visto come uno sfregamento (stiramento), il muscolo si rilassa e la gamba collassa.Possiamo usare i punti di pressione per attaccare la gamba, lavorando sulla stessa spazzata con due risultati completamente diversi, possiamo calciare con il tallone nel punto situato alla base del muscolo del polpaccio, dove si collega con il tendine d’Achille, calciando questo punto verso l’alto e ad un angolo di 45 gradi, faremo in modo che il riflesso di ritirata del sistema nervoso alzi la gamba (anche questo stesso punto e metodo possono essere usati per manovre per noi vantaggiose).

Si può calciare anche direttamente per abbattere direttamente un avversario da dietro, poiché la gamba salta in avanti priva di controllo così rapidamente che risulta quasi impossibile mantenere l’equilibrio ed evitare la caduta,l’altro modo per utilizzare queste due manovre è mirare verso il basso sul punto situato giusto sopra il muscolo del polpaccio sotto la parte posteriore del ginocchio.

Questo provocherà il collasso della gamba, che in certi casi può essere più sicuro dell’elevazione della stessa, poiché in quel momento l’equilibrio del praticante potrebbe essere in pericolo, più siamo vecchi, più sarà importante questo metodo per ottenere la spazzata perché i muscoli, le articolazioni e l’equilibrio si debilitano.

Conoscendo gli obiettivi dei punti di pressione, aumentiamo la versatilità e l’efficacia delle abilità che migliorano con l’età

Tenete presente che qualsiasi di questi  o di altri punti possono essere usati come metodo per realizzare una proiezione, un posizionamento, una spazzata o altri cambi di posizione possibili, e che non possono essere spiegati in un solo articolo,seguendo una progressione logica, dopo aver imparato i punti semplici di pressione , arriviamo al seguente livello di spazzate e di controllo, il praticante avrà bisogno solo di una minima forza per ottenere cadute, spazzate, controlli o riduzioni.

Alcuni degli obiettivi e dei metodi descritti in questo articolo, avranno necessità di allenamento costante e serio che ci permetta di dominare il controllo che ci fornisce la preparazione.

Allenatevi bene!

Note


Krav Maga: Discutiamone assieme

Durante il processo di creazione del Krav Maga, il fondatore Imi Lichtenfeld diceva sempre: “la parte della difesa personale del Krav Maga è adatta a tutti, ma per arrivare a essere un artista del Krav Maga è necessario qualcosa in più“.

Tra le altre cose abbiamo bisogno di provare noi stessi se siamo realmente capaci di fare tecniche diverse

Dobbiamo essere capaci di mettere il nostro avversario fuori combattimento nel modo più rapido ed efficace possibile e per questo abbiamo bisogno soprattutto di determinazione.

Quando il nemico porta qualsiasi tipo di arma, la nostra integrità fisica e la nostra vita saranno in pericolo finché il nostro avversario è in piedi o è capace di realizzare qualsiasi tipo di attacco,un solo movimento, un semplice calcio o pugno.

L’allenamento essenziale consiste nel rafforzare le diverse parti del corpo al massimo, cosa che è già molto,

Gli abitanti dell’isola di Okinawa, per esempio, hanno sviluppato la tecnica di pugno che Imi ha incluso nel programma di Krav Maga, consentitemi di fare un piccolo riepilogo di storia.

Quando i Giapponesi conquistarono l’isola di Okinawa, alcuni secoli fa, i soldati invasori indossavano armature di legno, composte da canne di bambù intrecciate tra loro, questa era la miglior difesa che la tecnologia di quell’epoca poteva offrire, in risposta a questo gli abitanti dell’isola si allenavano in segreto colpendo pietre e pezzi di legno per rafforzare le nocche dei pugni il più possibile.

Volevano essere in grado di penetrare l’armatura rompendola con un solo colpo e, normalmente, uccidevano il soldato con un solo pugno, quando Imi decise che fosse arrivato il momento di insegnare la tecnica, ha fatto le lezioni  appendendosi un pettorale di legno (all’altezza del petto), composto di tavole forti e dure, diceva di mettersi di fronte a lui ed iniziare a colpirlo ripetutamente con i pugni, così disse

“Rafforzerete le nocche dei pugni finché non sarete in grado di mettere KO il vostro avversario con un solo colpo. La vostra capacità di colpo crescerà lezione dopo lezione, sentirete che la vostra capacità di rompere cose, migliorerà e comprenderete il vero potenziale dei vostri colpi, saprete esattamente  quello di cui sarete capaci di fare e, sia voi sia i vostri futuri allievi raggiungerete un altissimo grado di fiducia in voi stessi “.

In una lotta reale, abbiamo solo un’opportunità di colpire ed è meglio essere capaci di mettere KO l’avversario con un unico colpo

Questa è una delle cose più importanti, in fin dei conti quasi tutti acquistiamo più autostima e, in una lotta reale, abbiamo solo un’opportunità di colpire ed è meglio essere capaci di mettere KO l’avversario con un unico colpo, ”e soprattutto ripeteva centinaia di volte, non dimenticate che il maestro deve dare e deve essere un esempio in tutto“

È molto facile colpire mattoni e pietre perché non restituiscono mai il colpo “, diceva sempre Imi, con un sorriso, “ma, se non lo facciamo non ci rafforzeremo, dobbiamo fare tutto con determinazione per superare i nostri avversari“.

“Quando impariamo a colpire una superficie dura con i nostri pugni , non solo li rendiamo più forti, spiegava Imi, ma creiamo un condizionamento nella nostra mente“.

Questo significava che, dopo alcune migliaia di colpi con le nocche a una tavola o a una superficie dura, questa azione si sarebbe trasformata in parte integrante dei nostri pensieri e che avremmo colpito sempre l’obiettivo istintivamente con le due ossa corrette,queste due nocche con le quali diamo i colpi di pugno, sono l’unico punto della mano che possiamo rafforzare, così come lavoriamo con i grandi muscoli della parte esterna della mano, con i quali facciamo il colpo di pugno a martello.

Imi ha insegnato come, usando i movimenti bio-meccanici appropriati e la posizione corretta, possiamo incrementare la potenza ed eliminare un nemico con un solo colpo

Anche se questi colpi non hanno la stessa forza dei pugni, Imi ha insegnato e spiegato come, usando i movimenti bio-meccanici appropriati e la posizione corretta, possiamo incrementare la potenza ed eliminare un nemico con un solo colpo, i nostri muscoli possono funzionare nella loro regolare intensità quotidiana, tuttavia, in un momento di pericolo, come allievi o artisti di Krav Maga dobbiamo sapere come farli funzionare in accordo con quei principi biomeccanici che ci permettono di raggiungere il nostro massimo potenziale.

Tuttavia se, al momento di colpire, le parti del nostro corpo non fossero pronte, potremmo provocare un danno a noi stessi anziché al nostro avversario (o avversari), per questo è così importante preparare e rafforzare le parti del nostro corpo, Quando si arriva ad un certo livello si impara a difendersi dai coltelli, pistola, bastone e fucile, è allora che il rafforzamento corporale si testa.

Imi diceva sempre che il Krav Maga come arte marziale include conoscenze sia teoriche che pratiche

Ognuno può allenarsi e insegnare il Krav Maga come meglio crede, ma solo se si insegnano tutti i segreti e i piccoli dettagli di questa arte in modo pieno e completo si fornirà al praticante la forza reale e il potenziale che sono nascosti nella creazione originale da Imi.

Il rafforzamento del nostro corpo non termina con il rafforzamento aggressivo delle nostre ossa colpendo pietre e pezzi di legno e altri allenamenti eccezionali, dobbiamo preparare ogni muscolo del nostro corpo, alcune ossa forti devono fare affidamento su muscoli forti, per esempio, facendo flessioni sulla punta delle dita, rafforzeremo il palmo della mano e lo trasformeremo in un’arma mortale e non sarebbe un’esagerazione confrontare il colpo di una persona ben allenata con il colpo di un’ascia.

Sensei Rotem fa flessioni sulle punte delle dita, rafforzando le sue dita fino al punto di essere capace di penetrare nello stomaco di qualsiasi avversario con un semplice ma deciso colpo, neutralizzandolo immediatamente, il colpo con le dita diventa anche più letale quando va indirizzato al collo, un movimento che probabilmente finirà l’avversario.

Imi spiegava sempre “il Krav Maga è un’arte marziale senza nessun tipo di violenza, noi ci difendiamo solo, ma chi tenta di attaccarci ne pagherà le conseguenze”

Questo è lo spirito del Krav Maga, che lo ha trasformato nella più letale e popolare delle arti marziali, chi voglia familiarizzare con il cammino originale di Imi e comprendere l’eccezionale spirito di lotta e sopravvivenza del popolo israeliano, deve seguire il percorso completo del Krav Maga, Imi ha costruito il suo Krav Maga come se fosse una cipolla, uno strato sopra l’altro e dobbiamo togliere ogni strato, uno dopo l’altro fino a trovare il nucleo.

Saltare una fase non ci porterà da nessuna parte, perderci una tecnica ci renderà incapaci ad imparare tecniche più difficili in futuro, per questo si da molta importanza a continuare a insegnare le tecniche di rafforzamento, per essere capaci di colpire l’avversario e finirlo, questa è la nostra autostima, questa è la nostra capacità di sopravvivenza per strada, non c’è altro modo.

Oggi si parla di “punti mortali, punti vitali“, questo significa che ci sono punti nel corpo che, quando sono colpiti, provocano la morte di chi riceve il colpo, Imi non ha mai parlato di questo per quanto riguarda il Krav Maga ma, quando qualcuno glielo chiese, la sua reazione fu di guardare con compassione la persona che gli aveva fatto la domanda, probabilmente ancora non c’era la conoscenza che c’è oggi sui predetti punti, i tempi erano diversi come sono oggi diverse le modalità per rafforzare le parti del corpo che colpiscono, ma la sua concezione era quella quindi proseguo dicendo che Imi diceva che ci si deve allenare sempre fino ad arrivare al punto di essere capaci di neutralizzare il nostro avversario in modo immediato in una lotta per strada e per questo probabilmente pensava che fosse essenziale allenarsi colpendo pietre e legno.

Per la strada non troveremo un avversario stupido

Non ci aiuterà a cercare i punti che vogliamo colpire, anche il nostro nemico sa come lottare, per questo dobbiamo essere capaci per essere sicuri di poter battere l’avversario colpendolo in qualsiasi parte del corpo, Imi spiegava: il nostro avversario è migliore di noi , solo quando lo avremo sconfitto saremo migliore di lui Il principio di difesa personale che Imi ha incluso nel Krav Maga, si applica perfettamente nella serie di difese, qui impariamo a difenderci da complesse tecniche di attacco dei nostri avversari, che  combinano pugni e calci simultanei.

Possiamo usare anche la tecnica segreta che Imi ha chiamato “Lehikanes“, la determinazione di andare all’interno. Questa tecnica nasconde tutti i segreti e la forza del popolo israeliano e del Krav Maga.

Note


Le Arti Marziali: Un breve cenno introduttivo

Ogni strada è soltanto una tra un milione di strade possibili, perciò dovete sempre tenere presente che una via è soltanto una via.

Se sentite di non doverla percorrere, non siete obbligati a farlo in nessun caso.

Arte Marziale è un termine normalmente utilizzato nella lingua Italiana per definire un insieme variegato di discipline legate all’utilizzo del corpo e di armi per difendersi e combattere.

L’accostamento dei due termini sembra indirizzare chi cerca a percepire in questa forma dell’agire l’umano, una natura simbiotica che è atto filosofico e pura e semplice gestualità insieme, se per la parola Arte possiamo percorrere un percorso descrittivo “largo” e polivalente.

Arte è infatti quella gamma di attività umane regolate da accorgimenti tecnici e fondata nelle sue diverse espressioni o applicazioni dallo studio dell’esperienza vera o idealizzata che si ha degli eventi.

Per l’aggettivo marziale definirne un preciso riferimento etimologico nei termini Mars Martis, quindi a Marte il dio della guerra non è sufficiente a chiarirne i contorni.

Anzi per contrasto arte marziale trova nel dizionario la seguente definizione “insieme di varie tecniche di difesa personale, d’antica origine orientale volte a neutralizzare l’aggressore mediante particolari colpi o movimenti, senza ricorrere all’uso delle armi da punta  da taglio e da fuoco“

Questa descrizione non corrisponde però a quello che le Arti Marziali oggettivamente sono, anche se limitassimo il nostro orizzonte al solo Oriente, che ne sarebbe ad esempio dello Iaido, del Krabi Krabong, dell’Arnis e di tutte le altre arti che utilizzano le armi manesche siano esse solo di bastoni o lame affilate?

Superiamo quindi questa definizione e cerchiamone una più allargata evitando anche la generalizzazione che identifica e collega solo all’Oriente le Arti Marziali

Se vogliamo dare a questo termine un valore universale, la definizione potrebbe suonare all’incirca come

Insieme di pratiche, di diversa collocazione geografica, originate da primordiali espressioni di sopravvivenza ed evolutesi in forme arcaiche e condivise di autodifesa e di difesa della famiglia, clan o gruppo di appartenenza e solo successivamente attraverso lo sviluppo di conoscenze di tecniche a mani nude e con l’ausilio di strumenti e/o armi e da botta sviluppate e codificate in metodi, sistemi di combattimento tramandati in forma orale, scritta o dovuta alla pratica tramandata non senza  tantissime variazioni e segretezza”

Questa condizione finale, filosofico/ pratica, ci offre quella visione “sublime”, che assegna all’Arte Marziale un ruolo ben superiore al normale agire, trasfigurandone gli atti e gli effetti.

Essa non è più l’essenziale e cruda pratica guerriera di chi ci precedette, anche se questo è sempre stata per dato di fatto e per necessità oggettive, ma è o diviene “Arte” attraverso la trasfigurazione della pura violenza in ricerca della purezza del gesto.

Un mondo questo, difficile da collocare (sport, cultura, tempo libero, hobbie,forma fisica, difesa personale, combattimento, cosa fa il praticante di arti marziali di tutto questo)? 

Se non dalle definizioni correnti perché non aderenti al ruolo assunto dall’Arte Marziale per eredità storica e filosofica.

L’uomo è l’unico essere vivente che per la sua stessa natura non è solo il prodotto di un’evoluzione naturale.

La sua parabola dopo i primi incerti instanti dalla sua comparsa è diventata quella di soggetto attivo, creativo ed interattivo.

Nel suo rapporto con il mondo circostante egli infatti ha operato, e continua a farlo, utilizzando idee e strumenti in maniera del tutto propositiva.

Al naturalmente acquisito l’uomo aggiunge l’invenzione, il progetto, la creazione, la procedura, l’analisi e l’esecuzione più consona.

Tutte abilità che non sono naturalmente date e che rappresentano la sacrale elevazione della condizione umana. 

Le Arti Marziali sono una parte di tutto ciò

Come ogni attività umana si fondano sulla capacità umana di pensare e di trovare soluzioni sempre più aderenti alle esigenze.

Come tali nascono insieme all’uomo.

Inizialmente queste prime espressioni di forza focalizzata erano necessità vitale tesa a soddisfare il bisogno naturale di nutrirsi.

Servirono quindi per condizionare e intensificare gli atti legati alla caccia in risposta a capacità naturali ben inferiori a quelle animali.

Soddisfatta la necessità “vitale” di superare l’animale gli ingegni di forza vennero diretti contro altri uomini

In un secondo momento, soddisfatta la necessità “vitale” di superare l’animale, gli ingegni di forza vennero diretti contro altri uomini quale forma di tutela individuale o legata al gruppo di appartenenza.

Lo sviluppo di abilità combattive per successive necessità vitali portò progressivamente verso una “standardizzazione” delle competenze e con l’avvento delle prime grandi civiltà iniziò anche una vera e propria codifica delle tecniche e dei principi che governano le abilità nel combattimento.

I primi documenti ad oggi scoperti che possiamo definire relativi ad Arti Marziali ci portano davvero lontano alla Bibbia (XIX – XVII sec. a.C) dove si trova la descrizione di una tecnica all’interno di una lotta tra Giacobbe ed un angelo:

(…) ed ecco , un uomo lottò con lui fino allo spuntar dell’aurora, questi vedendo che non lo poteva superare, lo colpì nell’articolazione del femore slogandolo (genesi 32,25)

È alla civiltà Egizia che dobbiamo i primi scritti sulle Arti Marziali

Ma è alla civiltà Egizia che dobbiamo i primi documenti scritti, o meglio dipinti, veri e propri manuali tecnici sulle Arti Marziali.

I maggiori reperti sono quelli della tomba di Beni Hassan le oltre 400 figure dipinte da un ignoto artista.

In rosso chiaro e tinta bruna su muro per evidenziare attaccante e difensore, rappresentano scene di lotta con innumerevoli prese e azioni di lotta.

Altre sessanta immagini di lotta sono state ritrovate sulle pareti della tomba di Amenapt monarca di Menat-Khuffa e altre 220 azioni di combattimento tra lottatori egizi e stranieri sono quelle dipinte nella tomba di Baktas, monarca dell’ Opice Bianco.

Altri documenti Marziali sono quelli a Saqqara nella tomba di Ti

Altri importanti documenti Marziali sono quelli scolpiti sulle pareti di roccia a Saqqara nella tomba di Ti, un alto funzionario della V dinastia.

Gli egizi furono anche i precursori dei giochi a carattere agonistico sacrale che troveremo poi nella Grecia e a Creta.

Erodoto infatti, quando visitò l’Egitto, lasciò descrizioni di questi grandiosi tornei (vere e proprie feste popolari) nei quali si poteva assistere a confronti di lotta, corsa, regate ed anche combattimenti con bastoni.

Erodoto definì questi eventi con il nome greco Panegirie

È interessante osservare, per avere un riscontro sull’importanza di questi, che i geroglifici dell’obelisco che si trova a Roma attribuiscono al Faraone Ramsete il titolo si signore delle Panegirie.

Mille anni dopo ritroviamo immagini di lotta e combattimento nelle pitture minoiche della civiltà Cretese.

Con la bellissima scena di pugilato dipinta sul muro della casa di Thera (1550 a. C.) anche se dobbiamo aspettare l’illiade di Omero per avere la prima relazione su un incontro di lotta Marziale tra Ulisse ed Aiace Telamonio

(…) Pensò inganno Odiesseo (Ulisse) e al polpaccio riuscì a colpirlo da dietro, gli sciolse le gambe, cadde all’indietro Aiace e anche Odesso sul petto gli cadde, la gente guardava e rimaneva stupita (Illiade XXIII 725)

Note


La DISCIPLINA marziale di BRUCE LEE basata sull’ATTACCO

Bruce Lee descrisse il JKD come un sistema di difesa offensiva

A differenza di molte arti marziali, il jeet kun do è centrato più sull’attacco che sulla difesa.

Mentre molte arti marziali si concentrano sul difendere un attacco con qualche tipo di blocco seguito da un colpo particolare, Bruce Lee credeva che, se ci si concentrava sul blocco, il colpo del difensore era troppo passivo e, per quanto rapido fosse, lo spazio di tempo tra il blocco e il colpo lasciava tempo all’attaccante per fare un’opposizione alla difesa dell’avversario.

Chiamò questo metodo “difesa passiva“, come vedremo poi, una delle cinque forme di attacco del JKD, l’attacco progressivo indiretto utilizza la difesa passiva dell’avversario, investigando su diverse arti marziali Bruce Lee incappò in alcuni principi della scherma occidentale.

Nella scherma occidentale, il metodo di difesa più efficace era il colpo fermato

Il praticante cerca l’attacco del suo avversario e lo intercetta con il suo stesso attacco, perché funzioni, dobbiamo controllare la distanza, in modo che l’avversario debba fare un passo in avanti per raggiungerci con la spada.

Questo offre il tempo al difensore per contrattaccare con il suo colpo, prima che l’attaccante trovi il momento per colpire, il passo avanti si chiama preparazione, lo “stop hit“ può essere eseguito quando l’attaccante sta facendo il passo avanti e si chiama “attacco in preparazione“ o quando sta eseguendo la stoccata con la sua spada, gesto che si chiama “attacco in slancio“ .

Bruce Lee si rese conto che se avesse messo la sua mano forte davanti e l’avesse utilizzata come uno schermitore usa la  spada, avrebbe ottenuto il metodo di difesa più efficace, come in uno “stop hit“ si intercetta l’attacco, Bruce Lee chiamò questa nuova arte “Jeet Kun Do“, che significa “la via del pugno intercettatore“.

Questa nuova arte si formò principalmente a partire dalla scherma occidentale, del pugilato occidentale e del Wing Chung Kung Fu, oltre allo stop hit, Bruce Lee aggiunse anche uno “stop Kick“ alla difesa basilare del JKD, che utilizza l’arma più lunga per il bersaglio più vicino, come metodo basilare d’attacco,l’arma più lunga è il calcio laterale e il bersaglio più vicino è il mento dell’avversario, mentre fa il passo avanti per attaccare, Bruce Lee scoprì che quando un avversario attacca, lascia un vuoto nel quale possiamo approfittare.

Utilizzando ancora una volta la teoria della scherma, trovò le cinque forme basilari per realizzare un attacco, non tutte le forme funzionano con tutti gli avversari e l’allievo deve imparare quali funzionano con ogni tipo di avversario.

La prima forma è l’attacco semplice diretto SDA (Single Direct Attack),

L’ SDA è esattamente ciò che suggerisce il suo nome, è un attacco semplice, con un’arma che arriva al bersaglio in linea retta, il pericolo di questo attacco sta nel fatto che, affinché funzioni, è necessario essere molto più rapidi dell’avversario o sorprenderlo in un momento di squilibrio.

Bisogna ricordare che se facciamo un passo avanti per dare un pugno, l’avversario potrà contrattaccare facilmente con un stop kick sulla nostra gamba avanti, un’altra versione dell’SDA è l’attacco semplice angolare SAA (Single Angular Attack), la differenza sta nel fatto che, anziché essere diritto, si tratta di un angolo, la cosa che può rendere il nostro attacco più facile da intercettare, entrambi gli attacchi possono essere utilizzati come contrattacco.

La seconda delle cinque forme è l’attacco in combinazione ABC (Attack By Combination)

In questo attacco si combinano vari strumenti, per esempio, si può colpire con un pugno diretto e poi continuare con un altro pugno o calcio, di solito l’ABC inizia con un SDA e si applica la combinazione solo se è necessaria per finire l’avversario.

Si intercetta il ginocchio dell’avversario con un calcio laterale e si continua con un jab di dita agli occhi, di solito un ABC è la continuazione di un SDA che è stato schivato o a una tattica per continuare a colpire l’avversario fino a quando non cede.

L’ABC può essere fatto ad un ritmo regolare o interrotto, fermandosi tra i colpi (colpo-pausa-colpo-pausa), si può anche utilizzare un ritmo interrotto iniziando a colpire lentamente e poi velocemente, il ritmo interrotto è difficile da descrivere a parole e con fotografie statiche, permette all’attaccante di approfittare della tendenza naturale a difendersi da un attacco ad un ritmo stabile, colpendo tra le finte o i blocchi difensivi dell’avversario.

Il terzo metodo di attacco si chiama attacco progressivo indiretto, PIA (Progressive Indirect Attack)

Un attacco indiretto nella terminologia del JKD è quello in cui si minaccia di attaccare in una linea, ma si cambia in un’altra, la minaccia può essere fatta con un piccolo movimento di un’estremità del corpo.

Per esempio, si può abbassare il corpo e fare un piccolo movimento con il braccio frontale, come se si stesse facendo un Jab basso, ma poi colpire con un pugno posteriore alto da sopra la testa, si può anche ingannare con gli occhi, guardando in basso per poi colpire in alto.

La differenza tra una minaccia ed una finta è che per la finta si utilizza un’estremità che si muove verso il bersaglio, facendolo apparire come un bersaglio reale, il suo obiettivo è aprire una linea d’offesa, per esempio, si può iniziare con un calcio all’inguine con la gamba avanti e cambiare improvvisamente in un calcio alto circolare in testa dell’avversario.

Si chiama progressivo perché la finta non si ritira, ma prosegue con un’azione diversa e non attesa, un altro esempio, si finge un pugno diretto basso con la mano anteriore e il difensore abbassa il suo braccio per bloccare, si può cambiare in un pugno alto o in un gancio alto, senza portare il braccio in caricamento.

Il colpo “progredisce“ verso il bersaglio in un movimento continuo

Questo tipo di attacco funziona bene contro chi ha una difesa forte e può bloccare con uno SDA, non funzionerà con chi sa intercettare bene, perché finirà con il colpire qualcuno che fa una finta o una minaccia, è meglio contro chi è abituato a bloccare o è esperto con i calci.

Il quarto metodo di attacco è l’immobilizzazione delle mani HIA (Hand Immobilization Attack), questa immobilizzazione può essere utilizzata per eliminare la barriera di un attacco, per esempio, se qualcuno sta bloccando un attacco di pugno, si può immobilizzare quel braccio ed eliminare la barriera, lasciando libera la linea per poter colpire.

Si può anche evitare un contrattacco

Altro esempio, se si entra e si pesta un piede all’avversario, questi non potrà darci un calcio, la maggior parte della gente tenta di immobilizzare quando sta ricevendo un pugno, lui blocca, noi immobilizziamo quel braccio e colpiamo, lui blocca, noi immobilizziamo il braccio che blocca e, quando abbiamo afferrato le braccia di chi si difende, abbiamo la via libera per colpire. Crediamo che il modo migliore per immobilizzare sia bloccare il pugno di un attaccante quando lo sta portando al bersaglo, o quando lo sta ritirando.

Il quinto ed ultimo metodo di attacco del JKD è l’attacco da induzione ABD (Attack By Drawing), l’offesa da induzione è quello nel quale il difensore finge di lasciare spazio in modo che l’attaccante si avvicini, deve essere fatto in modo sottile e per niente ovvio, per esempio, il difensore lascia il suo braccio arretrato più in basso di quanto dovrebbe essere, l’attaccante può approfittare della linea che è rimasta aperta e tentare di colpire con un gancio alto.

Il difensore può allora contrattaccare con un pugno diretto, l’ABD può essere utilizzato per indurre un attacco preciso o una linea d’attacco, si può così lasciare spazio per un attacco di pugno o di calcio ed approfittare dello spazio che si crea in quell’attacco.

Quando cerchiamo di utilizzare uno qualsiasi dei cinque attacchi con un avversario, dobbiamo ricordare che sono completamente diversi e che potrebbero non funzionare con tutti gli avversari, quello che funziona bene con uno che blocca, o che è un esperto il calci, può non funzionare con uno che ferma i pugni e i calci.

Il miglior attacco in ogni momento dipenderà dalla propria esperienza e dalla capacità di “interpretare“ l’avversario

Bisogna ricordare che, quando attacchiamo, dobbiamo sempre lasciare uno spazio in modo che l’avversario ne approfitti e contrattacchi, ricordiamo inoltre che, quando si va a caccia di un orso, a volte siamo noi a cacciarlo e altre volte è l’orso a cacciare noi.

Note


[AUTODIFESA & SPORT] Punti di pressione: ultime considerazioni

Ultime considerazioni sui punti di pressione.

Introduciamo il discorso parlando delle gambe e delle potenzialità ad esse collegate.

Le gambe, oltre ad essere il nostro punto d’appoggio e di sostegno, sono un’arma letale specialmente in alcune arti marziali

Neutralizzarle quindi, è un obiettivo prioritario per qualsiasi sistema di difesa, sia realizzando schivate, che blocchi, un attacco di gambe può colpire punti particolarmente vulnerabili dell’anatomia.

In questa occasione e su questo aspetto, per neutralizzare l’azione offensiva di un attaccante che ci sferra un calcio, sia frontale che laterale, posteriore, a giro ecc…, è necessario applicare dei blocchi o i movimenti di spazzata, (sia con le braccia che con le gambe), su aree specifiche dell’arto in questione, perché non attaccare i punti vitali di questa zona?

Analizziamo gli effetti che tali azioni possono produrre e gli angoli di attacco per agire correttamente e più efficacemente sui punti sensibili

Le gambe però si possono trasformare in bersagli di attacchi specifici, anche quando vogliamo inabilitare il nostro avversario, ovvero privarlo della sua capacità di proseguire l’attacco.

Esse sono parti molto resistenti del nostro corpo, basti pensare come atleti ben preparati resistano ai tremendi low kicks degli avversari.

Tuttavia quando si riesce ad accedere ai punti vitali delle gambe, lo shock o il crampo risultanti sono estremamente dolorosi.

Può darsi che molti di voi abbiano sperimentato casualmente il contatto con uno di questi punti, non necessariamente in combattimento, ma per esempio semplicemente urtando il bordo del letto, di un tavolo o di qualunque altro oggetto, se questo è il caso, sapete a cosa mi riferisco!

Con i punti di pressione si prova ad investigare scientificamente le ragioni che concorrono in queste occasioni e a trarne da esse vantaggi nella pratica delle arti marziali.

LE GAMBE

Questi arti ed i nervi periferici, sono i più lenti a rispondere o a reagire agli stimoli, sono anche più difficili da controllare, rendendo gli attacchi con queste “armi” una sfida maggiore, ma queste stesse qualità li trasformano in un bersaglio eccellente nell’allenamento del combattimento e della difesa.

Trovandosi lontani dalla fonte degli impulsi nervosi, impiegano più tempo ad arrivare alla stessa ed anche a ritornare all’arto, la loro risposta è più lenta, tuttavia non vuol dire che la reazione dell’avversario ad un attacco sia lenta, nonostante non risulti evidente a prima vista, le reazioni saranno differenti a quelle delle altri parti del corpo.

Come basi portanti dell’individuo nella posizione in piedi, ed a volte anche prono, sono responsabili della gran parte della forza sinergica necessaria in un attacco o in una difesa convenzionali, se la base si debilita o si distrugge, lo stesso destino toccherà anche alla piattaforma da dove sferrare l’attacco o le misure difensive richieste.

Allo stesso modo, sopportando il peso del corpo devono essere prese in considerazione determinate precauzioni e valutazioni nell’utilizzo di questi attacchi

Come le braccia sono bilaterali e speculari l’una all’altra, la differenza con le gambe è che queste influenzano molto di più il corpo rispetto alle braccia, poiché il messaggio neurologico viene inviato al cervello attraverso il sistema nervoso centrale, che devia nel suo percorso ad altre parti del corpo ,debilitando quindi tutta la struttura e la capacità di eseguire un attacco o una difesa forti, tutti i punti all’interno delle gambe le porteranno a torcersi verso l’esterno, spostando il peso della persona nella zona laterale, contro il tessuto connettivo delle articolazioni, questo può produrre un danno permanente, per cui si raccomanda di nuovo una certa precauzione.

I nervi periferici delle gambe, come tutti i nervi periferici del corpo, sono compresi in due sistemi principali: il somatico e l’autonomico, il sistema nervoso somatico è composto dai nervi motori, responsabili di controllare la struttura muscolare ed ossea per il movimento e la stabilità del corpo, anche il cervello partecipa a questo processo di posizionamento dei muscoli e delle ossa.

Con questa informazione possiamo comprendere facilmente che attaccando un nervo per mezzo di un punto di pressione (ricordando che un punto di pressione è una parte del corpo attraverso cui possiamo accedere al nervo senza l’ostacolo dei muscoli, dei tendini e delle ossa circostanti), possiamo debilitare o variare la posizione di altre parti del corpo, causando contemporaneamente la disfunzione dell’arto attaccato.

Può creare anche confusione, mentre il cervello cerca di mantenere il controllo sull’arto attaccato o su altre strutture del corpo

Se il cervello è occupato ma mantenere il controllo sull’equilibrio, sulla struttura e sul muscolo, l’avversario non combatterà più contro di noi, bensì contro se stesso, a sua volta questo ci offre il vantaggio ed il controllo della situazione, per renderla più intensa o per evitarla.

Se per esempio, il nostro obiettivo fosse l’interno della coscia di una persona su un punto che influisce sul fegato, l’impatto sul nervo debiliterebbe automaticamente la gamba portandola verso l’esterno, questo debiliterebbe contemporaneamente anche altre parti e funzioni del corpo, collocando l’avversario in posizioni da dove non potrebbe lottare né avere la capacità per controllarsi e sferrare un attacco.

Tutto questo risulta facile da capire, ma approfondendo questo concetto scopriremo nuove ed incredibili possibilità

Come ho già detto, i nervi periferici colpiscono anche il sistema nervoso autonomico, responsabile delle funzioni corporali involontarie, come la respirazione, la digestione, la circolazione ed altri processi primari vitali.

Dato che tutti gli organi interni sono influenzati dai nervi del sistema autonomico, interferendo sul nervo della gamba, possiamo debilitare gli organi interni e provocare danni o aumentare la vulnerabilità, è evidente che i medici e gli artisti marziali sapevano questo, vista e considerata la scoperta e la documentazione delle linee immaginarie che uniscono i punti di pressione interrelati.

All’interno della coscia si trovano le linee o i meridiani del fegato, della milza e del rene, non sono linee indipendenti, ma relazionate, prendiamo per esempio il meridiano del fegato, tutti i punti sulla linea del fegato si trovano in progressione dal secondo dito del piede fino all’interno della coscia, ed influenzano specialmente il fegato, attaccando questi punti origineremo a sua volta ciò che si conosce come  “riflesso di ritirata”, ossia il tentativo del corpo di creare distanza a partire dal fuoco del dolore, non solo con la gamba, ma anche con la parte del corpo che ospita il fegato.

Si tratta di una risposta automatica, fuori dal controllo dell’individuo, la stessa cosa succede con tutti i punti su meridiani specifici corrispondenti ad un organo

Un’altra risposta sarà il cosiddetto “riflesso estensore incrociato”, quando comincia il riflesso di ritirata su un punto, viene estesa anche la parte opposta del corpo per aiutare la ritirata  ed evitare ancora di più la ritirata ed evitare ancora di più il dolore, perciò causando dolore in un punto su una gamba, faremo si che il braccio dello stesso lato si estenda involontariamente per aiutare ad alleviare il dolore, allontanandosi contemporaneamente dal fuoco del dolore.

Di conseguenza gli arti opposti agiranno esattamente al contrario, così ora sappiamo cosa succede e come approfittare della funzione involontaria, un altro riflesso sarà la paralisi del muscolo o dei muscoli nella zona del nervo ed a partire da quel punto verso il basso.

Questo accade se riusciamo a fermare il messaggio neurologico prima della contrazione del muscolo, quest’azione paralizzerà il muscolo dal fuoco, perciò colpendo il punto del fegato blocchiamo efficacemente l’impulso nervoso ai muscoli della parte inferiore della gamba, non solo paralizzandoli ma anche debilitando la loro capacità di contrarsi e di tendersi per sostenere il peso del corpo o per portare a termine un’altra azione.

Un’analisi più profonda dimostra che il sistema autonomico può suddividersi a sua volta in due parti: il sistema parasimpatico ed il sistema simpatico

Stimolando o attaccando il sistema parasimpatico diminuiremo efficacemente la pressione sanguigna ed il ritmo cardiaco e respiratorio, con la riduzione di queste funzioni corporali vitali si diminuisce anche la quantità di ossigeno che arriva ai muscoli, diventando un’altra causa di debolezza  e di disfunzione.

Il flusso sanguigno diminuisce quando il corpo lo conduce al sistema digestivo come un processo naturale, questo abbassamento della pressione sanguigna e le funzioni corporali che l’accompagnano, si possono illustrare meglio come il tipo di svenimento da KO, quando l’avversario perde lentamente il controllo e la coscienza, questo normalmente succede quando colpiamo questi punti nella parte interna della coscia, come abbiamo detto prima, poiché il flusso sanguigno è condotto al processo digestivo, il che normalmente produce anche nausea ed affaticamento.

Attivando o attaccando l’avversario in modo tale da influenzare il sistema simpatico, l’effetto sarà il contrario, si produrrà l’aumento rapido del ritmo respiratorio, del ritmo cardiaco, della pressione sanguigna e la stimolazione di tutto il sistema nervoso centrale, è come un sovraccarico del corpo e si produrranno spasmi come quelli prodotti colpendo i punti Yang.

Verificandosi uno stato di sovraccarico e di tensione del ritmo normale delle funzioni di questi sistemi vitali, il cervello rapidamente si svincola, mentre il corpo adotta la posizione supina e si blocca per evitare maggiore tensione, e ulteriori danni all’organismo

Questo può essere illustrato attraverso il cosiddetto KO YANG, quando il corpo si agita fino a perdere conoscenza, i sintomi che normalmente si producono in questo caso sono: mal di testa, irritabilità e crampi corporali o muscolari.

Questo metodo di attacco produce anche molto dolore o riflessi incoscienti del corpo e facilita l’accesso al resto dei nervi periferici del corpo, dato che il suo messaggio converge verso il midollo spinale ed il cervello, vediamo chiaramente che attaccando i punti delle gambe (ed anche tutti gli altri punti) colpiamo molti sistemi e funzioni del corpo, attraverso l’osservazione e la sperimentazione, le culture antiche scoprirono ed identificarono i punti specifici, nonché le influenze e gli effetti  corrispondenti.

Questi sono stati descritti in molti modi nel corso della storia, assieme a molti metodi per utilizzarli, usando la nomenclatura di fegato, milza, rene ecc…, possiamo comprendere all’istante che quel punto preciso corrisponde ad un organo interno e che attaccando quel punto in particolare, in qualche modo colpiamo anche quell’organo vitale.

Che relazione c’è tra questo e le combinazioni d’attacco?

Accedendo ai nervi delle gambe abbiamo visto che non interrompiamo solo la funzione del sistema nervoso, ma anche i muscoli, gli organi e le funzioni vitali, attaccando questo punto del fegato nella gamba.

Causeremo in questo modo un effetto nell’organo interno corrispondente (il fegato), il quale può essere attaccato con altri colpi in altre aree del corpo che influenzino questo stesso organo, in questo caso, però, l’organo sarà più indebolito e suscettibile all’influenza esterna e all’attacco.

Dato che gli effetti si amplificano, avremo bisogno di minor forza per ottenere maggiori risultati, con l’attuazione dei punti di pressione pregiudichiamo non solo la struttura fisica, ma tutta la fisiologia dell’avversario, usando meno forza lasceremo meno anche segni esterni di attacco o di danno …osservabile (accade lo stesso anche nel caso dei punti delle braccia, della testa, del collo e del corpo).

Le gambe, che sono le più difficili da proteggere, rappresentano un’entrata stupenda che offre un vantaggio al praticante dei punti di pressione

Le gambe, che sono le più difficili da proteggere e nella maggior parte dei casi sono meno allenate nella difesa, rappresentano un’entrata stupenda che immediatamente offre un vantaggio al praticante i punti di pressione, gli stessi metodi di attacco che usa  ed allena, servono ad istruire anche la sua mente ed il suo corpo affinché siano vigili ed efficaci al momento di evitare, bloccare o restituire gli attacchi alle proprie gambe.

Questo conduce a un’impostazione globale e all’allenamento di tutte le parti del corpo, particolarmente utile in questo aspetto della preparazione dell’artista marziale spesso sottovalutato.

Un altro vantaggio da imparare sui punti di pressione delle gambe riguarda la loro efficacia nel caso di lotta al suolo, le gambe hanno un ruolo molto più importante nella lotta al suolo che nella lotta in piedi

Questo perché condividono il cinquanta per cento delle tattiche usate nello stile difensivo ed offensivo, usando questi punti possiamo controllare meglio o eludere l’uso che l’avversario fa di questo strumento, eludere la guardia, migliorare le chiavi alle gambe e alle caviglie, perfino manovrare le sue gambe per ottenere una posizione migliore risulta molto più facile.

Prendiamo per esempio il punto di prima del fegato, in posizione di guardia, accedendo a questo punto la gamba dell’avversario si debiliterà e perderà il controllo, poiché il dolore attiva il riflesso di ritirata ed il riflesso di estensione incrociato,questo ci permetterà di passare più facilmente la guardia o di situarci sopra l’avversario.

Non provocherà una debilitazione e dei sintomi interni eccessivi, poiché l’attacco è in un certo senso ammortizzato se paragonato ad un attacco con arma da fuoco, tuttavia, debiliterà tutte le strutture corporali corrispondenti, rendendole più sensibili e vulnerabili, all’artista marziale normalmente viene insegnato a bloccare o a parare i calci dell’avversario, ma tutto questo non considera una cosa importante,l’attacco ai calci dell’avversario.

Armato di questi preziosi bersagli, quando ad un praticante dei punti di pressione viene sferrato un calcio, gli si presenta una buona occasione per usare il suo metodo, colpendo un punto sulla gamba che ci sferra il calcio.

Facendo ciò causeremo nell’avversario dolore, disfunzione ed una delle tre risposte riflesse menzionate precedentemente, debiliteremo anche tutto il processo e la struttura anatomica, evitando l’applicazione di altre tecniche o metodi contro di noi.

Se, per esempio ci sferrano un calcio alto e colpiamo i punti interni della gamba (fegato per esempio), il riflesso di ritirata neutralizzerà rapidamente ed automaticamente l’attacco, farà in modo che l’altra gamba si distenda per il riflesso di estensione incrociato.

Questa operazione lascerà l’arto vulnerabile all’attacco, allo stesso modo paralizzerà i muscoli della gamba attaccante e l’aggressore non potrà utilizzarla né servirsene come appoggio.

Praticando i bersagli più bassi delle gambe nelle tattiche d’attacco, guadagneremo maestria ed impareremo altre manovre difensive, un altro esempio potrebbe essere un calcio con lo stinco contro la coscia.

Quest’ultimo è un attacco molto diffuso in molte arti del combattimento, che può essere bloccato facilmente utilizzando un ginocchio sullo stesso punto di fegato

Sulla parte interna della coscia della gamba attaccante, la paralisi dell’arto a partire dal bersaglio verso il basso avrà diversi effetti nelle differenti fasi del calcio.

Se attacchiamo in questo modo il calcio, prima che raggiunga la metà della sua estensione, il riflesso di ritirata lo farà retrocedere estendendo contemporaneamente l’altra gamba, evitando o immobilizzando successivi attacchi dell’avversario.

Se il calcio ha superato il 50 percento della sua estensione, il riflesso di paralisi, con disfunzione e perdita di controllo, farà in modo che la gamba si sovra-estenda nel ginocchio e non sarà necessario dire altro.

Dobbiamo tenere in considerazione alcuni dei punti o dei nervi delle gambe sono vicini alle principali arterie, influenzando così direttamente ed anche indirettamente (attraverso i sistemi simpatici e parasimpatici) il flusso sanguigno che aiuta la contrazione dei muscoli. e di conseguenza la loro funzione.

Vediamo che attaccando i punti di pressione possiamo influire direttamente ed indirettamente su molte funzioni vitali del corpo

Altre osservazioni realizzate per mezzo della sperimentazione con il passare degli anni hanno fornito informazioni interessanti sui punti della gamba di cui stiamo parlando, se una persona possiede una struttura che protegge in modo naturale i punti della parte superiore del corpo, del braccio, della testa o del collo, le gambe non saranno protette allo stesso modo.

Per esempio alcune persone (una piccola percentuale di circa il 5%), non presentano un accesso facile ai nervi delle braccia o della parte superiore del corpo e della testa.

Questo non significa che i punti di pressione non funzionino con questi individui, poiché sentono e possiedono il senso del tatto, i nervi lavorano per trasmettere i segnali neurologici, ma accedervi risulta più difficile, tuttavia, si è osservato che gli individui di questo gruppo sono estremamente vulnerabili sui punti delle gambe.

Questi punti così preziosi ci forniranno maggiori conoscenze e comprensione, e porteranno la nostra capacità e la nostra abilità a livelli più alti, sapere esattamente come reagirà il corpo e le funzioni fisiche ed anatomiche che rimarranno danneggiate, paralizzate o comunque influenzate, sarà un ottimo contributo al vostro arsenale, aumenterà la vostra abilità e la vostra capacità in molti aspetti, e migliorerà i vostri metodi di lotta qualsiasi sia lo stile praticato, poiché sono universali.

Conclusioni

Per concludere vorrei dire che i nervi se si colpiscono adeguatamente, causano sempre dolore, ma per un attacco con maggiori potenzialità colpiremo contemporaneamente verso il basso aumentandone straordinariamente gli effetti.

La pratica in palestra con Maestri o Istruttori esperti faranno si che gli allievi imparino perfettamente l’applicazione di queste tecniche per far si che la conclusione di un attacco di calcio venga neutralizzato immediatamente senza errori si sorta, ma è la palestra il posto in cui lavorare ed imparare, individuatele e buon lavoro!

Note


[ARTI MARZIALI] Il JU JITSU nella DIFESA PERSONALE

Il significativo incremento di praticanti del ju jitsu deriva anche da un aumento di richiesta di corsi di difesa personale: quale risposta tecnica migliore del ju jitsu si può offrire a questa necessità?

Il programma da svolgere è interessante e colpisce per la sua efficacia pratica, prevede ogni tipo di gesto tecnico, comprendendo proiezioni, percosse, leve articolari e tutto quello che serve nel corpo a corpo o nel combattimento a corta distanza, difendendosi per lo più a mani nude anche da attacchi armati.

Le tecniche di ju jitsu, insegnate correttamente ee apprese, costituiscono un valido ed efficace sistema di autodifesa, anche per la loro intrinseca natura di tecniche difensive e quindi di risposta a un’aggressione.

Certo, il maestro deve trasmettere al principiante i principi fondamentali della pratica e dello studio marziale

Si devono evidenziare dunque durante l’insegnamento non solo la tecnica, ma anche le peculiarità etiche ed educative della “Tradizione degli antichi Ryu“ e così infondere uno spirito di reciproca collaborazione tra gli allievi per progredire insieme.

L’apprendimento delle tecniche di ju jitsu come metodo di autodifesa comporta però un’analisi delle linee di comportamento e di approccio al sistema per certi versi radicalmente differente rispetto alle norme che hanno sempre regolato e regolano tuttora la pratica di un’arte marziale tradizionale all’interno di un Dojo o, nella nostra cultura occidentale, di una palestra.

Le nuove prospettive offerte dalla richiesta di corsi specificamente destinati alla difesa personale, solo apparentemente in contrasto con lo spirito del ju jitsu, impongono quindi l’esame di aspetti spesso tralasciati

Ma non totalmente estranei alla pratica delle discipline marziali orientali come studio di elementi di psicologia e la conoscenza della regolamentazione giuridica dell’utilizzo del ju jitsu ai fini di autodifesa

L’utilizzo di tecniche di autodifesa è ammesso dal nostro sistema giuridico nei limiti di cui si dirà tra poco, la legge penale italiana, similmente alle altre, prevede che io cittadino che commetta un fatto normalmente considerato come antigiuridico (quindi reato), per esempio percosse, lesioni, omicidio, non sia punito per la sua azione quando questa sia stata commessa nell’esercizio di un proprio diritto.

Le circostanze che giustificano un uso di tecniche di difesa (normalmente vietate in considerazione del loro carattere potenzialmente lesivo) sono analiticamente illustrate nell’art. 52 del codice penale che disciplina la legittima difesa, “non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalle necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa“.

I giudici della cassazione hanno chiarito negli anni i confini di questa norma, i presupposti essenziali della legittima difesa (giustificazione ammessa nei confronti di tutti i diritti, personali e patrimoniali) sono costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima.

L’offesa deve, quindi e prima di tutto, essere ingiusta o ingiustificata, prodotta cioè al di fuori di qualsiasi norma che la imponga o autorizzi, e che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocerebbe nella lesione di un diritto tutelato dalla legge es. vita, incolumità, proprietà, riservatezza

Il pericolo (la probabilità del danno) deve essere attuale cosicché non può in alcun modo giustificarsi la reazione ad un’offesa ormai passata, per esempio un aggressore che ormai si è dato alla fuga, in quanto rappresenterebbe una vendetta o rappresaglia, né tanto meno è legittima una reazione ad un pericolo immaginario o futuro, perché in tal caso potrebbe essere richiesto l’intervento delle forze dell’ordine.

Il pericolo non dovrà in ogni caso essere causato volontariamente da chi si difende e pertanto non potrà essere invocata la legittima difesa in caso di rissa, di atteggiamenti di sfida e dove lo scopo concreto è quello di offendere l’aggressore provocando così la sua reazione.

La reazione deve essere inoltre, necessaria ed inevitabile, nel senso che chi si difende non ha la possibilità di evitare l’offesa in nessun’altra maniera

Infine l’ultimo, ma indispensabile requisito per il carattere legittimo della difesa reattiva è costituito dalla proporzione tra l’azione offensiva e la difensiva, la reazione difensiva deve cioè essere adeguata facendo riferimento al modo in cui si manifesta l’aggressione, il genere di bene attaccato, l’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio –temporale e personale e, non ultimo, l’abilità dell’aggressore (ma anche dell’aggredito che si difende) di utilizzare tali messi.

Nel caso in cui un soggetto si introduca fraudolentemente in un’abitazione o in un esercizio commerciale altrui, è consentito a chi si difende, utilizzare un’arma (legittimamente detenuta) o qualsiasi altro mezzo di difesa, sempre che, naturalmente, l’aggressore non interrompa la propria azione allontanandosi.

Se utilizzando le tecniche di autodifesa si oltrepassano i limiti precedentemente descritti, chi si difende sarà tenuto a risponderne penalmente a titolo di colpa (art. 55 del codice penale quando nel commettere alcuno dei fatti prevenuti dall’art. 51 (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere, difesa legittima,53, uso legittimo delle armi, 54 stato di necessità), si eccedono colposamente, normalmente per un errore di valutazione, i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’autorità, ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo, o addirittura di dolo, quando l’eccesso è previsto e volontario.

Note


La nuova era del Ju Jitsu

Agli albori del Ju Jitsu lo Shogun, riscontrando nel periodo antecedente alla restaurazione dell’era Meiji (1868) la presenza di circa 1000 Ryu differenti, alcuni con migliaia, altri con poche decine di Ryusha, per conferire loro ordine e ufficialità impartì nel 1843 l’ordine di redigere il Bu Jutsu Ryu soroku (il trattato sulle scuole dell’arte del combattere) in cui si evidenziavano i 159 Ryu più importanti dell’epoca.

Ancora oggi le autorità giapponesi preposte scelgono ogni anno 46 Ryu per rappresentare i vari Ryugi nel Taikai (manifestazione sulle arti marziali tradizionali) che si svolge nel Budokan (il luogo dove si studiano e si praticano le arti marziali) di Tokyo.

I Ryu di Ju Jitsu sono in continua evoluzione tecnica e lo studio e il perfezionamento degli stili non deriva solo da uno spirito di miglioramento, ma anche dall’esigenza, come nel passato, di chi deve usufruire di quest’arte per compiti specifici, come nel caso della polizia o dei corpi speciali.

Negli ultimi anni il Ju Jitsu si è infatti affermato come valido supporto tecnico a chi vuole affrontare lo studio della difesa personale

A questo proposito è interessante sapere che già nel 1947 gli esperti della polizia giapponese avevano creato il Taiho Jutsu (un metodo per l’attacco e la difesa), un insieme di tecniche desunte dal Ju Jitsu e da diverse discipline marziali appropriate pe l’uso degli interventi di ordine pubblico e in azioni contro la criminalità.

Esso comprende inoltre tecniche di Taihen Jutsu (l’arte di muoversi silenziosamente), di Keibo Soho (le tecniche di bastone corto attinenti alla difesa), di Tokushu Keybo (il bastone telescopico) e molte altre ancora che vengono continuamente aggiornate e perfezionate.


IL JU JITSU IN ITALIA

Il Ju Jitsu, o “lotta giapponese“ come allora era denominato, fece la sua prima apparizione in Italia nel 1908 nel corso di una dimostrazione, a cui presenziò la famiglia Reale.

Fu tenuta da due sottufficiali della regia marina, il cannoniere Raffaele Pizzola e il timoniere Luigi Moscardelli, che lo avevano appreso durante il loro servizio in Estremo Oriente.

Questa esibizione suscitò grande interesse, ma rimase fine a se stessa, come una semplice curiosità orientale

Quello che non riuscì ai due pionieri, riuscì ad un altro sottufficiale cannoniere, Carlo Oletti, che frequentò gli stessi corsi dei due colleghi già rimpatriati.

Egli praticò il ju jitsu sotto la guida del Maestro Matsuma, campione della marina militare nipponica, approfondendolo nei Ryu di Nagasaki, Miatsu, Hokodate e Tauruga.

In Italia si riparlò di Ju Jitsu nel 1921, quando si istituí alla Farnesina la Scuola centrale di educazione fisica per l’esercito

Il colonnello comandante inserì tra gli sport anche il Ju Jitsu, chiamando a dirigere i corsi proprio il sottufficiale Carlo Oletti che tenne l’incarico fino al 1930.

In questi dieci anni si qualificarono 150 ufficiali esperti e 1500 sottufficiali istruttori.

La “lotta giapponese“ comparve per la prima volta in un circolo sportivo civile nel 1923, presso la palestra Cristoforo Colombo di Roma.

Nel 1925, gli esperti cultori di Ju Jitsu, che sino ad allora avevano praticato presso enti militari e in circoli sportivi civili, si riunirono con quelli del Judo e fondarono la Federazione Italiana JU Jitsu e Judo.

Poco più tardi assunse il nome di Federazione Italiana Lotta Giapponese, il primo presidente fu Giacinto Pugliese.

Dopo la seconda guerra mondiale numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Itali

Dopo la seconda guerra mondiale e la forzata interruzione delle attività federali dovuta alle traversie degli avvenimenti politici e bellici dell’epoca, numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Italia, sostenuti da molti appassionati di questa disciplina.

Nel 1947, il Judo si staccò dalla federazione perché integrato dal CONI come disciplina sportiva della FIAP (Federazione Italiana Atletica Pesante).

Il Ju Jitsu manteneva invece i presupposti prettamente legati allo spirito originale della disciplina: la difesa personale e il combattimento.

Tra le scuole italiane si distinse quella del Maestro Gino Bianchi

Esperto e studioso di quest’arte, codificò un programma tecnico ad uso dei praticanti:il cosiddetto “metodo Bianchi“.

Nel corso dei decenni in Italia, il Ju Jitsu ha subito diverse vicissitudini politico-sportive che lo hanno portato solo nel 1985 a far parte di nuovo di una federazione olimpica:la FILPJK (Federazione Italiana Lotta Pesi Judo Karate.

Negli ultimi anni si sono affiliate alla federazione nazionale più di 200 società con un significativo incremento del numero dei praticanti tesserati, anche grazie al lavoro della Commissione Tecnica Nazionale Ju Jitsu FIJLKAM (Sigla aggiornata nel 2000, Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali), che ha riorganizzato e sviluppato il programma tecnico basato sul menzionato “metodo Bianchi“ e inserito lo stile della scuola tradizionale HONTAI YOSHIN RYU.

Allo studio e approfondimento della disciplina, deciso dal Consiglio Federale per non alterare lo spirito del Ju Jitsu, negli ultimi anni si è venuto ad affiancare lo sviluppo della forma agonistica che, seguendo le regolamentazioni internazionali JJIF (Ju Jitsu International Federation), prevede un sistema di combattimento sportivo denominato “Fighting System“ e un sistema dimostrativo denominato “Duo System“

Attualmente in Italia la diffusione del Ju Jitsu, oltre che dalla principale FIJLKAM-CONI , è portata avanti anche da organizzazioni di tipo privatistico che, oltre all’attività agonistica, studiano metodologie tradizionali o moderne derivate da scuole in auge in altre nazioni.

Note


Le tecniche della Muay Boran: dalla tradizione ai giorni nostri

Ai giorni nostri la Muay Thai tradizionale si è sviluppata fino a diventare un popolare sport da ring, diffuso in tutto il mondo. Nonostante il nome quest’ultimo differisce molto dalla Muay Boran; che andremo oggi proprio ad analizzare.

Questo grande sviluppo ha fatto si che si creasse confusione tra il Muay ancestrale e lo sport della Thai,non tutti ricordano che la Box Thailandese, professionale o dilettantistica, deriva dalla applicazione di regole e limiti tecnici imposti alle forme di combattimento studiate in passato in Thailandia come Arti di guerra.

Un chiaro esempio delle azioni pericolose bandite dal contesto sportivo sono tutte le tecniche in stile marziale impiegate nella Muay Boran, come ad esempio i calci nelle parti basse, i pugni a martello, i pugni con le nocche e il dorso della mano, le pressioni sulle parti molli (occhi- gola-genitali), i colpi di gomito alle vertebre o alla nuca, gli attacchi frustati a mano aperta, i colpi di palmo, le testate, molte prese di lotta come quelle alle gambe, numerosi tipi di proiezioni, le leve agli arti, al collo e gli attacchi alla spina dorsale, i soffocamenti ecc …

In un remoto passato, i Maestri di Muay dell’antico Regno del Siam misero a punto un sistema di lotta adattato alle diverse esigenze locali

Nel combattimento sportivo pur estremamente duro e impietoso, per fini di salvaguardia dei contendenti, “solo” i colpi di pugno portati con il guantone da pugilato, i calci, le gomitate e le ginocchiate ed un numero limitato di prese e proiezioni sono attualmente ammesse come azioni offensive, ritenendo molte tecniche praticate nella Muay tradizionale troppo pericolose e potenzialmente letali.

In un remoto passato, i Maestri di Muay dell’antico Regno del Siam, pur se sparsi in regioni del Regno lontane tra loro, grazie alle occasioni di incontro pubbliche, misero a punto un sistema di lotta basato sui principi comuni, adattato alle diverse esigenze locali con il risultato di ottenere uno stile di combattimento molto variegato e sofisticato.

Gli stessi nomi dati alle tecniche di combattimento potevano differire perché assegnati ad un dato movimento da Maestri provenienti da diverse regioni, ma in realtà si riferivano a principi ed azioni analoghe

I pilastri su cui si fondava ogni corrente stilistica e conseguentemente l’intero “corpus” della disciplina erano e sono tuttora rappresentati dalle forme base dette Mae Mai Muay e le forme accessorie dette Look Mai Muay.

Tutto il bagaglio fondamentale di principi, strategie, tattiche ed azioni offensive e difensive del Muay è contenuto nelle forme suddette codificate nel corso dei secoli nel numero standard di 15 Mae Mai e 15 Look Mai, le forme base ed accessorie vengono sempre studiate con un gran numero di varianti estremamente importanti, portando il numero totale a 108 tecniche.

Oltre alle fondamenta  del sistema, ogni Maestro del passato remoto più recente ha nel tempo affinato, testato ed in seguito codificato un numero variabile di tecniche indispensabili per apprendere l’uso delle armi naturale del corpo, dette Chern Muayed

Un numero in continua evoluzione di difesa e contrattacco avanzate, dette Kol May Muaythai, il livello più alto da raggiungere per ogni praticante di Muay Boran è rappresentato dallo studio e dall’applicazione delle Kon Mai Muay, attraverso le quali è possibile raggiungere le radici di ogni corrente stilistica, sia sotto l’aspetto teorico che sotto quello dell’aspetto pratico.

I colpi particolari portati con varie parti della mano, chiusa o aperta, gli attacchi portati con le anche,le spalle, gli avambracci ,così come le torsioni o le rotture  articolari o i colpi multipli (due o tre attacchi contemporanei) eseguiti direttamente o con salti, sono solo una parte dell’enorme bagaglio tecnico offerto dalle Kon Mai, anni di studio e di pratica appassionata sono necessari per tali movimenti complessi parte integrante degli automatismi del vero combattente di Muay.

Oltre alle difficoltà intrinseche di tali tecniche avanzate, come le forme base ed accessorie, anche per le Kon Mai la nomenclatura può rappresentare in prima battuta un notevole ostacolo all’apprendimento, i nomi complessi utilizzati traggono origine dal poema epico Ramakien (versione Thai del Ramayana indiano) o in altri casi dalle azioni tipiche degli animali reali o mitologici, o semplicemente da atti di tutti i giorni, facili da ricordare.

Certamente non per un thailandese, ma per un appassionato straniero la confusione creata da tali nomi non è da sottovalutare

Inoltre, come avviene per le Mae Mai, anche nel caso delle Kon Mai ad uno stesso nome non necessariamente corrisponde la stessa tecnica, nella interpretazione di due diverse scuole , un esempio per tutte è la Kon Mai detta Narai Ban Sian che, per alcuni Maestri rappresenta un colpo di pugno alla tempia, mentre per altri indica un calcio circolare al collo.

E come detto questo non è un caso unico, da tutto ciò, quindi, deriva la necessità imprescindibile di studiare queste tecniche avanzate sotto la continua guida di un Kru Muay esperto, con il rischio in caso contrario di essere indotti continuamente in errore acquisendo difetti gravi difficili da correggere.

Ai fini di una reale completezza l’lMBA ha da sempre voluto inserire nei propri programmi tutte le impostazioni stilistiche provenienti dalle varie regioni del Siam, al fine di fornire ai praticanti di Muay Boran un panorama completo delle possibilità tecniche offerte dal Muay tradizionale, e le tecniche Kon Mai Muay non fanno eccezione a questa regola.

Come si usa dire in Thailandia, il combattimento interpretato nel Muay è come una cascata di gocce d’acqua che cade sulle foglie di loto, le gocce d’acqua seguiranno il contorno delle foglie in maniera armonica e fluida, giungendo inesorabilmente al loro obiettivo da tutte le direzioni.

È questo che deve fare il combattente di Muay, adottando tutti i micidiali mezzi tecnici di cui dispone per aggredire e sconfiggere l’avversario.

Note


Il KAMAE (構え): la corretta POSIZIONE di un ARTISTA MARZIALE

Questa parola di origine Giapponese che significa posizione è senza dubbio l’inizio e la fine di ogni tecnica che viene eseguita nelle arti marziali classiche

Kamae: La forma corretta

Questa parola di origine Giapponese che significa “Postura” è senza dubbio l’inizio e la fine di ogni tecnica che viene eseguita nelle arti marziali classiche, nel momento in cui respiriamo ed esaliamo anidride carbonica all’esterno del nostro organismo, la postura sarà senza dubbio il tramite di una traiettoria di successo o sconfitta.

Osservando la posizione corporale si possono scorgere in maniera lampante alcune interpretazioni: l’individuazione di tratti della personalità, la descrizione di alcune malattie e l’identificazione di stati emozionale.

Osservando il KI come un’energia continua che interagisce con tutto questo universo interiore, non è una novità che i dolori siano i risultati di un malessere situato nel lato opposto del nostro corpo.

Per rendere l’idea, una spalla dolorante può essere il risultato di una distorsione della caviglia avvenuta anni addietro, apparentemente una cosa non ha niente a che vedere con l’altra, ma in realtà, quando qualcuno zoppica a causa di una distorsione,finisce per deviare l’anca irrigidendo la spalla.

Quando il problema scompare, è possibile che l’anca, la colonna e le spalle continuino ad avere la posizione sbagliata.

In relazione alla linea di gravità del corpo, i muscoli posturali sono quasi tutti posizionati posteriormente, in congiunzione dalla nuca discendono fino alle dita del piede, dove garantiscono il nostro equilibrio, i muscoli situati davanti alla colonna sono i più deboli.

Nell’addome si trovano gli addominali che potenziano movimenti quali: piegare, girare,ed alzare, alleviando la tensione alla base della schiena e sostenendo gli organi interni.

La posizione corporale eretta (in movimento o ferma) si ottiene mediante l’equilibrio tra le forze che agiscono nel centro di gravità

Spingendo il corpo verso terra, e la forza dei muscoli antigravitazionali che fanno lo sforzo nel senso contrario.

Se quei muscoli cedessero, il corpo si piegherebbe, per effetto della forza di gravità, il fatto che i nostri muscoli siano organizzati come una catena, ci obbliga a considerare la meccanica corporale in maniera complessiva e simultanea, coloro che tengono il petto in fuori e la spalle parallele, sono in genere persone coraggiose, decise ed energetiche, quando si presentano così stanno dicendo chiaramente “sono pronto e non ho paura”.

La posizione del collo è determinata dai piedi, dalle ginocchia, l’asse corporale e l’equilibrio del bacino con le spalle, il collo deve essere allineato con la colonna, non deve cadere in avanti e tanto meno all’indietro, ma essere perfettamente equilibrato all’interno dell’asse corporale, se il collo fosse allungato verso l’alto, anche il tratto laringeo dovrebbe esserlo, costringendoci a lavorare in condizioni precarie, se fosse schiacciato sul petto, rimarrebbe parimenti imprigionato e senza possibilità di realizzare i suoi caratteristici movimenti.

Se a livello di massimo allungamento le articolazioni sono molto tese, è molto probabile che l’allievo incontri dei problemi nell’esecuzione dei movimenti, pertanto risulta fondamentale eseguire quotidianamente il rilassamento delle articolazioni e dei muscoli.

Un tipo di esercizio che può essere eseguito, indipendentemente dall’analisi, è la liberazione delle articolazioni con movimenti rotatori lenti

Partendo dal collo, spalle, braccia, fino alla vita, ginocchia e caviglie, la respirazione è alla base di tutta la tecnica della spada e della resistenza del praticante, l’aria, entrando per il naso, subisce un processo di riscaldamento dovuto ad una grande concentrazione di vasi sanguigni ivi localizzati e che si modificano secondo la mutazione climatica esterna.

Quando la temperatura esterna è bassa, i vasi sanguigni che irrigano la regione si contraggono, assicurando la circolazione sanguigna per più tempo, dando la sensazione che il naso all’interno sia gonfio, con questo procedimento, la cavità nasale rimane molto più calda, è come una stufa che continua a permettere che l’aria passando attraverso il naso, possa ricevere il giusto riscaldamento per il buon funzionamento dell’organo.

Tuttavia, se il giorno è caldo, i vasi sanguigni permetteranno una circolazione più attiva, come se il naso fosse più ampio, tale regolazione calorica lavora molto a beneficio del cantante che deve solo permettere l’entrata buco- nasale di aria in ambienti chiusi.

Quando è all’aperto, l’entrata di aria deve essere fatta attraverso il naso, soprattutto se fa freddo, evitando il più possibile che l’aria gelata danneggi la mucosa della laringe.

Il diaframma è un grande muscolo a forma di cupola, con una concavità inferiore, che separa la cavità toracica da quella addominale, quando inspiriamo, il diaframma si colloca verso il basso, diminuendo la cavità addominale e ampliando così la cavità toracica, i muscoli intercostali invece dilatano le costole, promuovendo una compressione negativa nei confronti dell’ambiente, introducendo l’aria all’interno dei polmoni, una buona respirazione è fondamentale per l’assorbimento del KI.

Tutto il processo respiratorio influenza l’allenamento in maniera diretta, in questo caso, è importante evidenziare che la percezione è strettamente correlata alla concentrazione, noi lavoriamo con due tipi di memoria: la memoria fotografica e la memoria motoria.

La memoria fotografica registra i fatti, mentre quella motoria ripete semplicemente ciò che registriamo

Quanto più siamo concentrati su un fatto, tanto questo verrà assimilato e la memoria motoria agirà più rapidamente,per questo motivo è importante che al momento dell’utilizzo della memoria fotografica, l’oggetto di studio, sia una sequenza o una tecnica e  venga registrata senza errori.

Questo non vale solo nella percezione, ma anche nell’incorporazione della respirazione, delle articolazioni e delle tecniche di canto che devono essere studiate in brevi periodi e varie volte al giorno e sempre con regolarità e disciplina affinché producano effetto.

Secondo Souchard, una postura sbagliata porta ad un “appiattimento” dell’individuo, ossia ad una posizione comoda e confortevole, l’aumento di questa “comodità“, porta ad un aggravamento delle curve vertebrali, i nostri muscoli posteriori si accorciano, diminuisce la mobilità articolare, favorendo le fratture (artrosi, ernia discale, tendinite ecc…), compaiono mal di testa, del collo, delle spalle e accorciamento dei muscoli pettorali e vi è una perdita di altezza per l’eccessiva tensione muscolare.

Tutto ciò influenza negativamente il processo di apprendimento di qualunque arte marziale, viviamo in uno stato di continuo squilibrio fisico e la nostra postura continua ad alternarsi inconsciamente per compensare quello squilibrio.

Tesi realizzate da eminenti scienziati hanno concluso che parte della nostra posizione corporale è ereditata e una parte è copiata, ciò significa che affinché gli allievi possano mantenere una posizione perfetta e adeguata, il Maestro deve mostrarla continuamente, senza permettersi posizioni sbagliate che rischiano di essere imitate dagli allievi, anche inconsciamente.

La posizione corporale è di vitale importanza anche nella vita

Perché a partire da essa l’individuo si mette in relazione con il mondo, con la persone, così si usano diversi termini per esprimere certi atteggiamenti psicologici, tali come “tenere la testa alta“ oppure “Stare fermi “, queste espressioni a volte sono interpretazioni di linguaggio corporale.

Soprattutto dopo una pratica di anni, l’uomo è in grado di percepire la posizione e il movimento del proprio corpo e delle relative parti, la percezione della posizione e del movimento del corpo è misurato da sistemi i cui recettori sono localizzati nei labirinti ossei della testa e nelle articolazioni e tendini.

Le strutture sensoriali associate alla differenziazione della posizione e al movimento del corpo sono denominate sistemi propriocettivi e questo aspetto della percezione è chiamato propriocezione, è difficile separare i ruoli delle strutture nel labirinto uditivo e nelle articolazioni e tendini.

Quando un individuo cambia la propria posizione o si muove, questi due gruppi di strutture sono coinvolti inoltre da quelli situati nella pelle e negli organi interni, quando si adotta una posizione modificata, non si altera solo l’orientamento del corpo, ma anche gli organi interni assumono posizioni differenti, oltre a questo, la distribuzione di tensioni in varie aree della pelle varia man mano che il corpo cambia la posizione complessiva.

L’immagine corporale si definisce come un’immagine visiva e mentale del corpo dell’individuo, che include i sentimenti che riguardano il suo corpo, soprattutto in relazione alla salute e alla malattia

Lo schema corporale si riferisce ad un modello posturale del corpo, compresa la relazione delle parti corporali, una con l’altra e la relazione del corpo con l’ambiente.

Analizzandolo sotto forma di insegnamento, senza un’impronta strategica,dico che il corpo è una mappa fedele della nostra storia personale, in esso è riportato tutto ciò che viviamo, tutte le emozioni… non riconoscere ciò che i movimenti corporali rivelano è non riconoscere la memoria del nostro passato, che è parte del nostro presente.

Il corpo è uno specchio altamente rivelatore dell’inconscio, mostra flash della personalità, espone credenze, valori, preconcetti, forze e fragilità del carattere, non ci permette di mentire e rivela i segreti più intimi… In questa legge naturale, dove il più forte e/o abile trionfa, l’uomo deve acquisire per forza uno sviluppo generalizzato delle proprie strutture e funzioni e dotarsi di abilità e destrezze specifiche.

L’uomo è il cervello e muscoli in un equilibrio perfetto, i messaggi che emettiamo attraverso il nostro corpo, rappresentano ciò che abbiamo di più vero e sostanziale.

Il linguaggio corporale, se ben utilizzato, aiuta a dire le cose indicibili, a dare forma a un sentimento e a concretizzare le immagini delle emozioni più VERE!!!

Note


[TECNICA & ARTI MARZIALI] Karate: Il Kata

Superare le soglie di perdita di concentrazione quando compare la stanchezza è una delle esperienze più ricorrenti nel Karate.

Lo scopo della stessa è familiarizzare con la possibilità di superare queste soglie molto al di là di quello che tutti noi crediamo e quella di riuscire a mantenere la calma interiore nel mezzo di una tempesta.

Questo ci prepara alla vita e alle circostanze inaspettate nelle quali tutti noi possiamo trovarci

Rafforza il carattere degli allievi e li dota di una serenità che li distingue, il Kata offre l’opportunità di allenare questo aspetto dell’autocontrollo, poiché nelle sue sequenze ci sono momenti di grande intensità ed esplosione, di forza ed emozione, seguiti da momenti che richiedono una grande concentrazione, serenità ed equilibrio.

Le sequenze energetiche nei Kata possiedono punti chiave, spesso questi punti sono segnati da un’esplosione di forza che comprende il grido chiamato Kiai, il Kiai è un’espressione della qualità della forza interiore di chi lo esegue, si tratta di un’emissione esplosiva di forza interiore.

Se il nostro spirito non  è liberato, il Kiai non ha potere, non si tratta di gridare di più, ma di gridare sempre dall’addome con una contrazione dello  stesso nel momento finale di esecuzione di una serie concatenata di movimenti.

Questo ci porta ad un altro punto essenziale nella pratica del Kata e del Karate in generale, tutti i movimenti nel Karate nascono dal basso addome, la zona conosciuta come Tandem o Hara, proprio sotto l’ombelico.

Si tratta del centro di equilibrio e percussione del corpo, ma anche di un centro energetico essenziale, dato che ogni spirale si controlla dal suo centro, tutti i movimenti che nascono da quest’area potranno essere compensati ed equilibrati, mentre se partono da qualsiasi altra parte del corpo tenderanno a funzionare come un’onda di scompensi che si concluderà con la perdita di controllo.

I Kata sono un magnifico modo di allenare l’attenzione da questo centro

Si può eseguire un Kata, una volta memorizzato, osservando sempre le sensazioni che hanno luogo in quest’area.

L’interiorizzazione delle stesse è come un riassunto di tutto ciò che serve nel Kata, l’Hara comanda nei movimenti, per questo l’altezza dello stesso rispetto al suolo è una delle basi di una corretta esecuzione, quando le gambe si stancano, spesso si alza il livello dell’Hara per alleviare la tensione tra movimento e movimento, questo non solo indebolisce le tecniche e sbilancia il praticante, ma sottrae alle tecniche stesse fluidità.

Quando avanziamo, in ogni movimento dobbiamo sentire come una corda che tira il nostro Hara o Tandem, alcuni Maestri mostravano questa sensazione tirando l’allievo per la cintura, quando l’Hara avanza, non solo si muove nello stesso piano nel caso delle linee d’attacco di una stessa posizione, ma lo fa in linea retta in avanti.

Queste linee d’attacco si ripetono con frequenza ne Kata Pinan, così come in altri Kata superiori, l’inclusione delle stesse mostra l’importanza dell’allenamento,in questo modo di avanzare con l’Hara nello tesso piano e dritto fino alla fine della sequenza o della linea.

La fluidità

Ecco un altro punto essenziale nella pratica del Kata, le tecniche, i movimenti devono essere fluidi, le tecniche non devono essere segnate tra di loro come passi di un meccano, ma a una deve seguire la successiva, passando immediatamente dalla tensione al rilassamento.

Se stiamo molto rigidi nell’esecuzione del Kata, sprecheremo molta energia, perderemo fluidità e la nostra forma sarà spasmodica.

Molta gente, specialmente all’inizio, tende ad essere tesa, bisogna fare uno sforzo per rilassarsi, un buon trucco è la realizzazione al rallentatore del Kata diverse volte, un altro molto curioso è concentrarsi sul rilassare i muscoli che circondano l’ano, quando non sappiamo come rilassare il corpo.

La fluidità dipende dal fatto che non ci sia un eccessivo consumo di energia, ma anche da una mente calma e serena.

Il nemico principale della fluidità è la meccanizzazione dei movimenti, quando la mente si estranea dall’allenamento, il corpo ripete senza intenzione, questa è la meccanizzazione.

Un movimento senza spirito né presenza dell’anima è inutile per l’allenamento marziale, la nostra Società più alle forme che ai contenuti, favorisce questo atteggiamento, l’allievo deve imparare a rendersi conto che questo atteggiamento è contrario al senso della pratica del Kata.

Per quanto esatta e precisa tenti di essere una tecnica, senza la presenza dello spirito e dell’intenzione, colui che la esegue non vale niente!

I KATA sono la base dell’arte marziale e naturalmente del KARATE

KATA significa forma, si tratta di una serie di movimenti concatenati in una sequenza energetica precisa che disegnano una lotta immaginaria con uno o più avversari.

L’idea dei Kata era quella di permettere l’allenamento in solitario dell’allievo, la perpetuazione della tecnica  e dell’autocontrollo.

Il Kata apre molte possibilità all’allievo di Karate, perché gli permette di correggere ed assimilare i movimenti basilari che compongono il suo studio, all’interno di sequenze logiche di combinazioni che poco a poco andrà interiorizzando fino a farle proprie.

I Kata sono, inoltre, una danza bella e potente, la loro corretta esecuzione meraviglia qualsiasi persona, che ne sappia o meno di Karate, poiché da essa deriva sempre la maggiore delle grazie, oltre che un’eleganza, una potenza ed un autocontrollo magnifici.

I Kata Pinan furono creati da Itosu intorno all’anno 1907 probabilmente basandosi sui Kata Passai, Chinto ( Gankaku ), Kushanku e Jon. Questi Kata furono anche la base degli Heian che Funakoshi Guichin creò anni dopo.

L’idea di queste forme basilari e intermedie è quella di rafforzare e insegnare all’allievo le linee guida dell’arte del Karate, cominciando con combinazioni più semplici che, poco a poco, diventano sempre più complesse, sia per le tecniche realizzate sia per la combinazione delle stesse, stimolando equilibrio concentrazione ed autocontrollo in una sequenza crescente.

La pratica delle forme essenziali del Karate, al contrario di quella che pensano molti allievi, non è qualcosa di superato, bensì contengono in sé l’essenza dell’arte, non ha importanza il grado, la loro esecuzione deve far parte della pratica di ogni Karateka nel corso della sua vita.

Le chiavi per lo studio dei Kata ogni Maestro dovrebbe conoscerle affinché vi sia una comprensione ed una attivazione dei meccanismi che un buon Karateka deve avere.

MEMORIZZAZIONE

Quando l’allievo è in grado di memorizzare bene un Kata non deve aver bisogno di pensare prima di ogni movimento, quando dico memorizzare non è solo ricordare con la mente, ma deve essere il corpo stesso a ricordare le sequenze.

Questo si ottiene, è chiaro, con una ripetizione, ma ci sono dei trucchi affinché questo processo riesca con successo. Il primo di questi è, senza dubbio, quello di allenarsi sui Kata con gli occhi chiusi, una volta appresa la sequenza.

L’attenzione si concentrerà quindi sulle sensazioni corporee, che sono la base della memorizzazione corporale dei movimenti.

Quando si inizia ogni linea, conviene controllare e correggere le direzioni

Si potrà verificare quanto possa essere difficile mantenere il corretto equilibrio e l’adeguata direzione delle linee, quando si scoprono gli errori, si dovranno memorizzare i punti attraverso le sensazioni corporee, dove una punta di piede appoggiata male o una rotazione eccessiva dell’anca fanno perdere l’orientamento.

Molte volte la vista ci permette di correggere errori tecnici attraverso piccoli trucchetti, questo allenamento ad occhi chiusi scopre quelle lacune nella nostra esecuzione, ma ci aiuterà anche a memorizzare profondamente, a livello di  memoria muscolare, le tecniche che ci sono all’interno di ogni Kata, liberando la nostra attenzione per il vero oggetto della pratica, la mobilizzazione di tutto il nostro potenziale energetico, nella cornice della maggiore serenità.

Per entrare in sintonia con questo particolare esistono alcuni piccoli trucchi o punti che vorrei segnalare come guida.

Il primo di tutti questi è sempre stato ripetuto dai Maestri, si tratta dell’uso dello sguardo, sono gli occhi a dirigere la nostra forza in un Kata e devono essere i primi a concentrarsi nel passo successivo tra movimento e movimento.

La testa deve sempre ruotare per prima, prima di realizzare un giro, se gli occhi non si fissano prima sull’obiettivo, non c’è forza nel Kata, diventa solo una danza senza intenzionalità, ripetuta senza verità.

Un aspetto essenziale per l’uso della forza nel Kata è raggiungere il controllo della respirazione, all’inizio e alla fine del Kata, la respirazione deve raggiungere lo stesso stato.

È chiaro che la pratica di un Kata provoca un’accelerazione del ritmo cardiaco, ma il Karateka deve sovrapporsi a questa domanda del suo corpo attraverso la respirazione, la respirazione è la chiave del nostro stato mentale, la regola fondamentale che si riferisce ad essa è di mantenersi sulla soglia di massima efficacia con il minimo sforzo.

Per allenarsi su questo aspetto è un buon trucco praticare lo stesso Kata varie volte a velocità rapida e, subito dopo, lentamente.

La pratica meccanica dei Kata non permetterà il loro apprendimento, per quanto in una prima fase, quella della memorizzazione, questo non sia un problema, l’allievo deve essere molto serio e impegnato con se stesso su questo punto.

La tecnica deve avere spirito, intenzione e focus

In questo modo, in questo modo uno potrà commettere errori tecnici, ma la sua esecuzione sarà corretta per il suo livello, questa, nel mio personale modo di vedere questo argomento, è la cosa più importante.

Alla fine commetteremo sempre imperfezioni formali, la perfezione non esiste nella forma ma in come si vive l’esecuzione, ridurre i Kata a conquiste formali è stupido e non serve a niente e a nessuno, è meglio iscriversi a far danza classica, si otterrebbero risultati migliori!

Con il Karate non si gioca,con il Kata non si dubita, non può esserci indifferenza, pigrizia né meccanizzazione, Kata è soprattutto un esercizio dello spirito.

Un altro aspetto importante nell’apprendimento di un Kata è la capacità di visualizzare l’avversario o gli avversari, ma questo deve avere luogo in una seconda fase dello studio.

I Bunkai (l’applicazione del kata con avversari reali) spiegano la ragione e il modo in cui si sviluppa il combattimento con uno o più avversari, l’allievo non deve innamorarsi di una spiegazione, poiché spesso è possibile incontrarne di diverse.

Gli antichi Maestri fecero così perché l’essenza del Kata è in se stesso e non nel combattimento

Esistono, di fatto, serie di movimenti nei Kata basilari che risultano assurdi da una prospettiva pratica.

Non sono stati pochi i Maestri che hanno propiziato il loro studio inverso, ovvero retrocedendo nelle tecniche di difesa ma avanzando in quelle di attacco.

Questo modo di allenarsi, sebbene irregolare, può risultare molto curioso e utile agli allievi più avanzati, secondo me, la cosa più importante nel momento di immaginare gli avversari sta nella mobilitazione emotiva che provoca.

I Kata devono essere vissuti, sperimentati in modo reale, come se si trattasse di un combattimento in cui fosse in gioco la nostra vita, impregnare di realismo i nostri movimenti visualizzando gli avversari non deve farci perdere il centro e la calma, ma darà potenza e veridicità alla nostra performance del Kata.

Prima di eseguire un Kata c’è un momento di silenzio, il praticante deve chiudere gli occhi in Mokuso (meditazione) liberando la sua mente da qualsiasi pensiero, per farlo bisogna respirare con l’Hara e si concentra su di sé espirando lentamente diverse volte, in seguito, e solo quando è in pace, tende leggermente l’Hara prima della prima azione gridando il nome del Kata con fermezza.

Nel suo allenamento, il praticante si isolerà dall’ambiente con sempre maggiore facilità, è chiaro che, nel corso di dimostrazione o esami, è facile sentirsi inquieti, intimoriti od osservati, ma un praticante deve imparare ad entrare nella sua interiorità, in quello spazio di pace del suo Hara, evitando ogni pregiudizio mentale attraverso la respirazione e la concentrazione.

La pratica continua darà quindi i suoi risultati inibendoci dall’ambiente e da qualsiasi influenza concentrati sul “qui e adesso“.

Questo ci porta al punto successivo, l’esperienza dell’istante, la presenza della mente quieta nel qui e adesso continuo è uno dei risultati dell’allenamento del Kata.

Per quanto cambi la tensione delle sequenze, si deve fluire nell’esecuzione delle stesse senza essere in anticipo né essere in ritardo né di rimanere bloccati (si può essere troppo dipendenti dall’esteriorità), solo quando viviamo ogni tecnica e movimento con la mente tranquilla e perfettamente concentrata sull’esecuzione potremo raggiungere l’adeguata fluidità.

Uno degli insegnamenti dei Kata sta nella loro corretta posizione, gli aspetti tecnici del Kata devono essere allenati con persistenza e si deve essere molto esigenti con ogni movimento e con il modo in cui questo si allaccia al seguente.

La colonna deve essere diritta, se c’è troppa tensione creeremo iper-lordosi accentuando la curva lombare, da questa posizione non può fluire l’energia dall’Hara e, di conseguenza, i nostri movimenti ci stancheranno eccessivamente, poiché a quel punto tutto dipenderà da un lavoro muscolare.

Bisogna insistere ancora una volta sul concentrarsi sulle sensazioni dell’Hara, deve essere in stato d’allerta rilassato o teso, ma non sempre teso

Per mantenere la corretta posizione della colonna ci sono due riferimenti basilari, l’Hara deve poter muovere il bacino da qualsiasi posizione in qualsiasi direzione.

La testa deve essere perfettamente allineata con la colonna, la posizione del mento è un riferimento importante, se sporge troppo, la nostra fronte avanzerà e la nostra posizione sarà sbilanciata in avanti, se troppo all’interno probabilmente stiamo facendo una iper-lordosi e c’è un eccesso di tensione generale.

Quando la fronte sporge troppo in avanti significa che l’esecutore è troppo accelerato e che colpisce con la testa anziché con l’Hara

Deve imparare a essere meno mentale per placare la sua angoscia per il futuro, vive più nella tecnica successiva che in quella che sta realizzando.

Se la sua posizione è quella opposta, dimostra di essere intimorito, l’ambiente lo blocca (lo stanno guardando e si sente giudicato), questa posizione significa anche un’alterazione in eccesso di un’aggressività contenuta.

Lo spirito di abbandono. Il Kata realizzato correttamente emana un’aura di pace, questo accade con l’adeguato atteggiamento spirituale, un Kata è, alla fine,una lotta con noi stessi, ogni vera lotta è a morte, questo significa che, prima di eseguire un Kata, il praticante deve visualizzare che non c’è niente di più importante e, contemporaneamente, che niente di quello che capita lì sarà importante eccetto la sua impeccabilità.

L’abbandono di ogni speranza rendeva invincibili i guerrieri Samurai, quando la mente si focalizza sull’obiettivo, appare la paura del fallimento e, con essa,l’energia non fluisce, la mente, invece di concentrarsi sul positivo, su ciò che sa, su ciò per il quale è stata allenata e in cui confida, si concentra sul negativo, attraendo il fallimento.

La funzione ultima dello studio del Kata è la formazione dello spirito degli allievi, per portarli fino a quella comprensione nella quale lo spirito si libera e trascende il dolore e la paura.

Note