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Capire la rabbia: Consigli utili per ogni evenienza!

Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile, ma arrabbiarsi con la persona giusta, nella misura giusta, al momento giusto e nel modo giusto, questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile

Aristotele

La rabbia è una emozione tipica, considerata fondamentale da tutte le teorie psicologiche poiché per essa è possibile identificare una specifica origine funzionale, degli antecedenti caratteristici, delle manifestazioni espressive e delle modificazioni fisiologiche costanti, delle prevedibili tendenze all’azione.

Essendo un’emozione primitiva, insieme alla gioia e al dolore, essa può essere osservata sia nei bambini molto piccoli che in specie animali diverse.

Essa è inoltre l’emozione la cui manifestazione viene maggiormente inibita dalla cultura, dalle società attuali

La rabbia fa parte della triade delle ostilità insieme al disgusto ed al disprezzo e ne rappresenta il fulcro e l’emozione di base.

Tali sentimenti si presentano spesso in combinazione e pur avendo origini, vissuti e conseguenze diverse, risulta difficile identificare l’emozione che predomina sulle altre.

Moltissimi risultano essere i termini linguistici che si riferiscono a questa reazione emotiva, collera, esasperazione, furore ed ira, e rappresentano tutti lo stato emotivo intenso della rabbia, altri invece esprimono lo stesso sentimento ma di intensità minore, come irritazione, fastidio, impazienza.

Per la maggior parte delle teorie la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione sia fisica che psicologica

Pur rappresentandone i denominatori comuni, la costrizione e la frustrazione da sole non costituiscono le condizioni sufficienti e neppure necessarie perché si origini il sentimento della rabbia.

La relazione casuale che lega la frustrazione alla rabbia non è affatto semplice.

Altri fattori sembrano implicati affinché si origini l’emozione della rabbia, quali la responsabilità e la consapevolezza che si attribuisce alla persona/cosa che induce frustrazione o costrizione sembrano altri fattori importanti.

Ancor più delle circostanze concrete del danno, quello che più pesa nell’attivare una emozione di rabbia sembra cioè essere la volontà che si attribuisce all’altro di ferire e l’eventuale possibilità di evitare l’evento o situazione frustrante.

Insomma ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno, soprattutto quando viene percepita l’intenzionalità di ostacolare l’appagamento.

L’emozione della rabbia può essere quindi definita come la reazione che consegue ad una precisa sequenza di eventi:

  • Stato di bisogno;
  • Oggetto (vivente o non vivente) che si oppone alla realizzazione di tale bisogno;
  • Attribuzione a tale oggetto dell’intenzionalità di opporsi;
  • Assenza di paura verso l’oggetto frustrante;
  • Forte intenzione di attaccare, aggredire l’oggetto frustrante;
  • Azione di aggressione che si realizza mediante l’attacco.

Questo avviene in natura, anche se l’evoluzione sembra aver plasmato forti segnali che inducono la paura e di conseguenza la fuga, impedendo così l’aggressione dell’avversario.

Nella specie umana si assiste non solo ad una inibizione della tendenza all’azione di aggressione attacco, ma addirittura al mascheramento dei segnali della rabbia verso l’oggetto frustrante

Nella specie umana inoltre la cultura e le regole sociali a volte impediscono di dirigere la manifestazione dell’azione direttamente verso l’agente che scatena la rabbia.

Tre possono quindi essere i fondamentali destinatari finali della nostra rabbia:

  • Oggetto che provoca la frustrazione;
  • Un oggetto diverso rispetto a quello che provoca la frustrazione (spostamento dell’obiettivo originale);
  • Autolesionismo ed auto aggressione (la rabbia quindi può infine essere diretta verso sé stessi).

Per quanto siano estremamente forti le pressioni contro la manifestazione della rabbia, essa possiede una tipica espressione, ben riconoscibile in tutte le culture studiate:

  • Aggrottaménto violento della fronte e delle sopracciglia;
  • Scoprire e digrignare i denti;
  • Tutta la muscolatura del corpo può estendersi fino all’immobilità;
  • La paura di perdere il controllo;
  • L’irrigidimento della muscolatura;
  • La voce si fa più intensa, il tono sibilante, stridulo e minaccioso;
  • L’organismo si prepara all’azione, all’attacco e all’aggressione attraverso una forte attivazione del SNA Simpatico, ossia accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa e dell’irrorazione dei vasi sanguigni periferici, aumento della tensione muscolare e della sudorazione.

Le modificazioni psicofisiche che si manifestano attraverso la potente impulsività e la forte propensione all’agire con modalità aggressive sono funzionali alla rimozione dell’oggetto frustrante

La rabbia è sicuramente uno stato emotivo che aumenta nell’organismo il propellente energetico utilizzabile per passare alle vie di fatto, siano queste azioni oppure solo espressioni verbali.

La rimozione dell’ostacolo che si oppone alla realizzazione del bisogno può avvenire sia attraverso l’induzione della paura e la conseguente fuga, sia mediante un violento attacco.

Le numerose ricerche compiute sui comportamenti di specie diverse dall’uomo hanno dimostrato che l’ira e le conseguenti manifestazioni aggressive sono determinate da motivi direttamente o indirettamente legati alla sopravvivenza dell’individuo e delle specie.

Gli animali spesso attaccano perché qualcosa li spaventa oppure perché vengono aggrediti da predatori, per avere la meglio sul rivale sessuale, per cacciare un intruso dal territorio o per difendere la propria prole.

Negli uomini invece, i motivi alla base di un attacco di rabbia riguardano maggiormente la frustrazione di attività che erano connesse con l’immagine e la realizzazione di sé. Lo scopo in questo caso sembra più rivolto a modificare un comportamento che non si ritiene adeguato.

Riconoscere la rabbia

Il punto importante da comprendere a proposito della rabbia è che, nonostante venga spesso etichettata come emozione negativa e da evitare in noi come negli altri.

Di fatto diventa negativa e soprattutto distruttiva quando non viene riconosciuta e usata al momento in cui emerge, ma viene repressa con conseguenze dannose non solo per se stessi ma anche per gli altri.

Il problema è che fin dalla tenera età ci viene insegnato che è cattivo e sbagliato esprimere la collera, ancora oggi questa emozione viene considerata inopportuna, irragionevole, associata all’aggressività ed al capriccio.

La gente è spesso spaventata dalla propria rabbia, teme che la spinga a compiere qualche azione dannosa e, di conseguenza, ci si rifiuta di prestare attenzione alla collera degli altri e si esita ad esprimere la propria.

È importante quindi considerare che se non ci siamo mai concessi di esprimere la rabbia probabilmente ne abbiamo accumulato una montagna dentro di noi.

Reprimendola, è più probabile che la rabbia esploda in momenti inopportuni e soprattutto verso persone o situazioni che hanno poco a che fare con la causa originale della rabbia che ci ribolle dentro, ed è anche più probabile che ce la prendiamo con chi crediamo sia più debole di noi, non fosse altro che per avere un minimo di senso di potere.

Un atteggiamento questo, tipico delle bestie. Temere il più forte e sopraffare il più debole, quando invece l’essere umano, a differenza degli animali, può dominare i suoi istinti.

La rabbia repressa si ritorce contro noi stessi con attacchi depressivi e alimenta uno stato di inferiorità

Inoltre quando la mente non riesce più a gestire i conflitti, il corpo ne soffre, numerose affezioni psicosomatiche come mal di schiena, ulcere, psoriasi, possono essere legate al soffocamento della rabbia.

È fondamentale dunque per la nostra salute psicofisica imparare ad esprimere la collera in maniera costruttiva ed appropriata. Sono numerosi gli episodi, per esempio, negli sport da combattimento.

Le provocazioni dell’avversario anche in maniera pesante affinché la rabbia venga fuori e si perda l’autocontrollo necessario per poter gestire il combattimento.

Senza la rabbia si è privi di protezione

Senza la rabbia siamo alla mercé delle imprevedibili reazioni altrui. Per noi e per gli altri, la rabbia usata costruttivamente aiuta a sviluppare fiducia in se stessi in quanto non è necessario che monti fino ad esplodere per esprimerla.

È importante riconoscerla nel momento in cui emerge per quello che è: un meccanismo di protezione che ci segnala che c’è qualcosa che non va, una reazione di insoddisfazione intensa, suscitata generalmente da una frustrazione che ci riguarda e che giudichiamo inaccettabile.

Dunque la rabbia, comunque venga espressa in modo esplosivo o in forma repressa, agisce come un segnale d’allarme; la nostra rabbia ci mette a conoscenza del fatto che in quel momento ci stanno facendo del male, che i nostri diritti vengono violati, che i nostri bisogni e i nostri desideri non sono soddisfatti.

Imparare a manifestare la propria rabbia significa conoscere i propri reali bisogni e intrattenere relazioni più autentiche con le persone che ci circondano.

Come esprimere la rabbia

Riabilitare la rabbia non significa tuttavia lasciarsi andare in comportamenti irosi. Non c’è bisogno di urlare o di arrivare alle mani per esprimere la propria irritazione, l’arma migliore è la parola, è bene però utilizzarla consapevolmente per esprimere i veri motivi delle nostre insoddisfazioni.

Dietro la collera si nasconde sempre una sofferenza, sempre più ci si ritrova ad affrontare situazioni molto pesanti (licenziamenti, costo della vita, paura di non farcela, divergenze con il proprio coniuge, vessazioni etc…), per cui basta un piccolo e futile pretesto per far scatenare la rabbia che ci portiamo dentro.

Adirarsi ad ogni costo e contro chiunque è un modo per sottrarre energia alla disperazione e non guardare in faccia il dolore, perché il proprio malcontento sia preso seriamente in considerazione è bene esprimerlo con la massima calma. Per fare in modo che questa emozione diventi costruttiva:

Placare la rabbia parlandone con un amico

Per rendere possibile un approccio disteso alla discussione con la persona che ci ha fatto arrabbiare può essere utile scaricare preventivamente le proprie tensioni parlando ad esempio con un amico per raccontargli l’accaduto.

Questo serve a far passare il primo moto di rabbia, quello più aggressivo, senza contare che una terza persona potrebbe suggerirci un modo diverso di guardare le cose.

Chiarirsi le idee

Avere un’idea precisa di cosa si sente dentro e di cosa ci si aspetta possa accadere dopo una discussione ci aiuta a mettere a fuoco le cose da dire, gli argomenti da mettere in campo e ci da una mano a controllare le cose in modo che l’emozione non prenda il sopravvento facendoci sfuggire il controllo della situazione. Per acquisire chiarezza, può essere utile porsi delle domande:

  • Che cosa ha scatenato la nostra rabbia?
  • Il nostro interlocutore ci ha nuociuto intenzionalmente?
  • Siamo sicuri di non esserci sbagliati sulle sue intenzioni?
  • Non abbiamo mostrato eccessiva suscettibilità?
  • La situazione merita che scateni la mia rabbia?
  • Abbiamo cercato di sdrammatizzare?
  • Abbiamo capito bene?
  • Dopo aver scatenato la nostra rabbia che risultato ci aspettiamo?

Esprimere le proprie opinioni

è necessario farlo dopo aver placato la propria rabbia.

L’atteggiamento da adottare è di tipo assertivo, evitando dunque di scadere in eccessi di alcun tipo, quali accuse o ingiurie.

Lo scopo è infatti quello di ristabilire un equilibrio e non di schiacciare l’interlocutore, lo psicoterapeuta americano Thomas Gordon ha elaborato il sistema dei cosiddetti “messaggi-io“ , che si basa sul principio di parlare di se in questo modo: definendo con precisione ciò che ci ha disturbato (quando tu …), raccontando le nostre emozioni (mi sento…), condividendo le nostre aspettative (perché io …), esprimendo i nostri bisogni attuali e le motivazioni (e io ti chiedo di…in modo da…). il beneficio di esprimere la rabbia va oltre il sollievo di togliersi un peso, significa ridefinire le relazioni con se stessi e con gli altri.

Esprimere apertamente la rabbia

è importante permettere a se stessi di avvertire completamente la rabbia, creando un posto sicuro per poterla esprimere, da soli, o con un amico fidato o con un esperto, se siamo soli in un posto sicuro, permettiamoci di parlare ad alta voce, di vaneggiare, di dare calci o urlare, di lanciare qualcosa.

Dopo aver fatto ciò in un ambiente sicuro, (per un periodo potremmo aver bisogno di farlo regolarmente) non avremo più paura di compiere un atto distruttivo e saremo capaci di affrontare in modo più efficace le situazioni che ci si presenteranno davanti.

Esistono delle tecniche per il controllo della rabbia, in America i manuali si sprecano, Robert Puff ad esempio è uno psicologo che ha lavorato diversi anni sulla gestione della rabbia ed ha elencato diverse tecniche di controllo della stessa, ma personalmente penso che il controllo della collera è soggettivo, c’ è un aspetto che secondo me è molto importante, le conseguenze di un’eventuale reazione rabbiosa ad una provocazione, non bisogna mai dimenticare ciò che la legge ci impone, onde non incorrere in guai che potrebbero toglierci il sonno e non solo.

Note


[PAURA & AUTODIFESA] Psicologia di un conflitto inaspettato

La paura, una volta manifestata in sintomi, non è altro che una sindrome che si concretizza in un quadro ben definito di alterazioni psicosomatiche. Vediamo assieme alcuni esempi di questa condizione


Alcuni esempi reali

Primo scenario

NEW YORK, giovedì 3 giugno 2005. I giornali della città riportavano la notizia di una sparatoria nella quale ferirono un poliziotto: si era salvato miracolosamente grazie al suo corpetto antiproiettile.

In quella stessa notizia veniva sottolineato il fatto che, mentre l’ufficiale risultato ferito aveva affrontato il delinquente, il suo collega era fuggito spaventato dalla scena.

Tutti i giornali erano d’accordo nel dare risalto al fatto in particolar modo per l’impressionante atto di vigliaccheria del collega.

Secondo scenario

Tempo fa fece scalpore la notizia che Alex Gong, direttore del Fairtex Gym in California, era stato vittima di alcuni colpi di pistola ed era morto in una delle strade più frequentate di San Francisco.

Gli avvenimenti erano stati i seguenti: un conducente, che viaggiava in una jeep, era andato a sbattere contro la sua auto che era parcheggiata, immediatamente si era dato alla fuga.

Alex lo aveva seguito a piedi fino ad acciuffarlo più avanti, il conducente si era fermato ad un semaforo rosso, nel momento in cui Alex lo aveva raggiunto, l’individuo in questione aveva estratto un’arma ed aperto il fuoco contro di lui, perdendosi poco dopo in mezzo al traffico.

Alex era stato colpito appena sopra il cuore, una ferita mortale. Più tardi ritrovarono il Cherokee abbandonato in un altro luogo.

Per chi non conosce Alex Gong, va detto che era campione del mondo di Muay Thai, il suo nome aveva brillato di luce propria a Las Vegas, in altre parole un artista marziale molto ben preparato.

Terzo scenario

Giovedì 12 settembre 1991, l’ufficiale di polizia Hèctor Antonio Fontanez Diaz morì a causa dei colpi di pistola ricevuti inseguendo in un vicolo cieco un criminale armato.

Gli ufficiali avvistarono Il criminale nella zona su una bicicletta ed in possesso di un’arma da fuoco.

L’ufficiale Fontanez fu in grado di rispondere al fuoco facendo centro almeno cinque volte, ed il criminale fu arrestato alla fine da altri ufficiali.

A suo tempo, questi fatti hanno occupato le prime pagine dei mezzi di comunicazione giungendo a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica in generale.


Analizziamo assieme i dati

La ragione per la quale ne parlo è che nei tre eventi si è prodotta una violenza non prevedibile.

Essi rappresentano perfettamente la reazione umana che essa scatena.

Vale a dire le condotte che palesiamo di fronte ad un conflitto inaspettato, quando una persona affronta una situazione di stress come quelle a cui furono esposte le persone di questi esempi.

La reazione “normale, umana” è istintiva di sopravvivenza, e può essere di due tipi, paura (fuga) o rabbia (aggressione).

La fuga

Nel primo caso, cioè in quello del poliziotto in fuga, è facile giungere alla conclusione che la paura si sia impadronita di lui e sia riuscita a dominarlo.

La paura è un’emozione umana naturale, che ci aiuta a focalizzare le situazioni di stress.

Tuttavia essa è generalmente presentata come una debolezza del carattere, la paura può essere provocata da una minaccia reale o percepita come tale, la nostra reazione istintiva sarà quella di intervenire o, al contrario, quella di fuggire.

La condizione di paura una volta manifestata in sintomi non è altro che una sindrome

La paura, una volta manifestata in sintomi, non è altro che una sindrome che si concretizza in un quadro ben definito di alterazioni psicosomatiche quali:

  • Tachicardie o bradicardie;
  • Diminuzione o l’aumento di determinate attività ghiandolari;
  • Cambiamenti della temperatura del corpo;
  • ecc…

A sua volta tutto ciò produce negli individui trasformazioni in determinate parti del corpo, che li spingono ad agire in una direzione o in un’altra.

Nel caso di Alex Gong e del poliziotto Fontanez, furono la rabbia e il coraggio a determinare la loro reazione.

Le tre reazioni umane primarie sono il coraggio o rabbia, la paura e l’amore

Le prime tre esplodono come risultato di una reazione immediata ad uno stimolo esterno, o come risultato di un processo soggettivo indiretto, derivante dalla memoria, dall’associazione o dall’introspezione.

La cosa curiosa di tutto ciò è che le strutture anatomiche dove risiedono i controlli di queste reazioni, si trovano tutte nella stessa porzione del nostro cervello centrale, l’ipotalamo.

L’ipotalamo controlla un’ampia gamma di funzioni vitali del nostro organismo.

Dirige anche la risposta tipica del “correre o lottare” del sistema nervoso autonomo, l’eccitazione o la paura costringono i segnali a viaggiare verso l’ipotalamo, il quale produce a sua volta tachicardia o accelerazione del polso e della respirazione, pupille dilatate ed aumento del flusso sanguigno.

Quando le persone si arrabbiano o hanno paura cominciano a pensare dal cervello centrale invece che dal cervello anteriore

Quando le persone si arrabbiano o si spaventano, cominciano a pensare e, quindi, ad agire dal cervello centrale invece che dal cervello anteriore, che è dove risiede la “mente umana” o il cervello più avanzato.

So che non suona molto attraente, ma nonostante la nostra evoluzione apparente, l’unico modo di avere influenza su questa zona del cervello è usare lo stesso metodo che funziona con i cani: il condizionamento psicologico.

Vale a dire ripetere esattamente lo stimolo che si potrebbe affrontare nella realtà e perfezionare la risposta desiderata una volta dopo l’altra, in modo che nel bel mezzo di un’eventuale crisi il cervello abbia una più alta probabilità di reagire nel modo desiderato, benché ci si trovi in una situazione di stress estremo.

In definitiva, questo è ciò che facciamo quando ci alleniamo ,imparare a condizionare o a controllare queste emozioni primarie, sia se si tratta di allenamenti polizieschi, che di arti marziali.

CONDIZIONAMENTO PSICOLOGICO

Come sappiamo la maggior parte dei dipartimenti di polizia e delle agenzie di sicurezza cerca di educare i loro membri con qualche tipo di allenamento, che li aiuti a fare meglio il loro lavoro, tuttavia le limitate possibilità in termini economici, la perenne mancanza di personale, oltre alla minaccia costante delle procedure giudiziarie, fanno si che, sia i dipartimenti di polizia che le agenzie di sicurezza, limitino in un certo senso le possibilità di allenare il loro personale in modo più realistico.


Un altro esempio pratico: l’addestramento al poligono

Per esempio nella maggior parte dei poligoni di tiro polizieschi si seguono protocolli di sicurezza che vanno a scapito dell’introduzione della pressione psicologica nell’esercizio, cosa che apporterebbe agli esercizi stessi molto più realismo ed efficacia.

  • Si spara dopo aver sentito un suono preciso emesso dagli istruttori;
  • Si usano cuffie per diminuire il rumore degli spari (per prevenire il danno acustico);
  • Si spara da una linea predeterminata, la quantità di pallottole che stabilisce la torre di controllo;
  • Si spara ad un’ora e in un luogo predeterminato, ad oggetti generalmente immobili, che naturalmente non rispondono al fuoco.

In realtà, l’allenamento offerto è generalmente accettabile quanto alla formazione fisica e tecnica dell’allievo, sarà l’atteggiamento del partecipante di fronte all’allenamento che alla fine deciderà la portata e l’autenticità dello stesso.

È l’allievo che deve trovare un modo di integrare la parte psicologica e tattica al suo allenamento, ed adattare i livelli della sua preparazione personale alla realtà.


Ci sono quattro livelli di condizionamento mentale

Tutti rispondiamo agli stimoli in funzione dello stato mentale in cui ci troviamo in quel momento, per questo motivo, per essere capaci di rispondere ad un possibile attacco inaspettato, dobbiamo coltivare l’allerta rispetto a tutto quello che sta succedendo intorno a noi.

Sebbene sia vero che non è pratico né appropriato vivere “col dito sul grilletto”, non lo è nemmeno voler vivere la propria vita in un limbo di spalle al mondo che ci circonda, trasformandosi così in un bersaglio ambulante.

In alcuni corpi militari come nei servizi di pronto soccorso, i differenti livelli di allerta sono insegnati attraverso un sistema che usa un codice di colori, che rappresenta i differenti tipi di coscienza dell’esperienza di un essere umano.

CONDIZIONE BIANCA

È lo stato mentale in cui la maggior parte delle persone vive la sua vita.

Nella condizione “bianca” non ci si aspetta nessun tipo di problemi, né si cercano problemi, in questa condizione ci sentiamo ed agiamo perfettamente fiduciosi e sicuri.

È come se il mondo che ci circonda fosse la nostra stanza, e noi avessimo il controllo di tutto quello che succede attorno a noi.

Pensiamo che niente di male ci può succedere, è la condizione idonea per diventare delle vittime.

CONDIZIONE GIALLA

Questa è la condizione nella quale si dovrebbe stare quando ci si trova in pubblico, cioè in un ambiente che non è intimo o familiare.

Corrisponde all’equivalente mentale del semaforo, cioè, questo stato ci suggerisce di procedere con precauzione, si deve essere coscienti di ciò che accade attorno a noi.

Per esempio chi vi sta dietro, va mantenuta sempre la distanza perlomeno di un braccio dagli estranei.

È conveniente, inoltre, abituarsi a giocare un gioco mentale, analizzando le persone che ci circondano: che tipo di persone possono essere… che situazioni potrebbero prodursi inaspettatamente ecc…

In questa condizione si devono ascoltare i propri istinti, attenti a qualunque eventuale pericolo.

CONDIZIONE ARANCIONE

A questo livello si deve capire che sicuramente… qualcosa non va per il verso giusto.

Si deve ammettere che esiste un pericolo, questo è uno stato d’allarme, essenzialmente la decisione è di allontanarsi o di prepararsi ad agire.

CONDIZIONE ROSSA

In questa condizione l’azione è imminente.

Non appena la minaccia si manifesta, si deve agire, qualunque risposta o colpo che si stia preparando, deve essere portato a compimento immediatamente, con tutta la velocità e l’aggressività possibili.

In questo momento si deve esercitare un controllo sulle proprie emozioni, non sopprimerle.


IN CONCLUSIONE

Allenarsi per partecipare ad un torneo, per migliorare la propria immagine fisica, persino per mantenere la salute sono ragioni adeguate, ma naturalmente non ci si prepara ad affrontare situazioni spontanee di vita o di morte.

Malgrado la paura sia un’emozione così frequente, sono molto poche le persone che si allenano immergendosi in circostanze che evochino questa emozione.

L’obiettivo durante l’allenamento dovrebbe essere quello di considerare seriamente questo tema e lavorare di fatto sullo sviluppo dell’autocontrollo totale della paura e della rabbia, due reazioni tra le più sconvenienti in un conflitto inaspettato, che possono risultare letali.

Note


L’aggressività dal punto di vista della psicologia clinica-dinamica

Gli studi psicologici clinico-dinamici sull’aggressività trattano l’argomento attraverso un atteggiamento ermeneutico e facendo uso dell’interpretazione.

In questo caso la tradizione è più portata ad indagare le cause interne-psicologiche che spingono all’azione biliosa che prescindono dal contesto.

In psicologia gli autori che hanno affrontato in modo più o meno approfondito l’aggressività sono tanti, questo sembra sia dovuto a due aspetti della tradizione psicologica di ricerca clinico-dinamica sull’aggressività:

  • Il primo aspetto è filosofico, dal momento in cui si ritiene l’aggressività innata e naturale e poi perché si ritiene che l’aggressività denoti al male (morale);
  • Il secondo, che giustifica tanto interesse, è interno alla psicologia dinamica.

Dal momento che l’aggressività ha assunto da subito valore di istinto-pulsione ed elemento costituente la personalità, ogni autore in questo campo, trattando di personalità o di aggressività, ha dovuto fare i conti con riferimenti meta-psicologici, allargando di conseguenza le varie argomentazioni e letteratura.


Sigmund Freud fu tra i primi ad occuparsi in modo articolato di questo argomento

Da subito egli la postula come dimensione pulsionale-motivazionale inconscia, orientata alla distruzione e contrapposta alla spinta generativo-conservatrice della libido.

Questo punto di partenza freudiano pone l’aggressività come un istinto connaturato nell’uomo, presente nella sua personalità e motivante, che obbligherà gli autori che si occuperanno di temperamento irruento a dover sempre fare i conti con la questione motivazione e con un relativo modello della mente.

Freud, in modo parziale, ipotizza che l’aggressività-distruttiva sia istintuale-originaria.

Che sia ovvero un comportamento reattivo, una risposta alla frustrazione, nel senso di un’incapacità dell’Io di mediare rispetto ai bisogni intersistemici della mente.

Il parere di Alfred Adler

Contemporaneamente a Freud, sul tema si espresse Alfred Adler, attraverso i suoi studi sull’Inferiorità d’Organo.

Egli sostiene che l’aggressività viene agita per compensare un sentimento di inferiorità sentito dalla persona.

Questo presuppone che l’aggressività sia l’effetto di un brutto rapporto con l’ambiente e che l’aggressività sia una strategia estrema dell’individuo, finalizzata alla realizzazione di se stesso.

In questo pensiero adleriano è fondamentale il sentimento di odio e rancore, che abbassa il sentimento sociale e relazionale, permettendo così l’agito aggressivo di rivendicazione rispetto ad un senso di inferiorità sentito.

Il parere di Anna Freud

Sempre nello stesso periodo un altro importante contributo arriva da Anna Freud, la quale individua un meccanismo di difesa dalle esperienze violente subite, che prende il nome di “l’Identificazione con l’Aggressore” è presente in modo evidente nel bambino che ha subito l’aggressività.

Ma è possibile anche nell’adulto ed individuabile nei comportamenti sociali (si pensi alla dinamica del capro espiatorio), attraverso l’identificazione con l’aggressore (difesa impregnata di paranoia) il soggetto si difende da un atto violento riproducendolo in forma simbolica (esempio, con il gioco nel caso del bambino), o attraverso l’agito, permettendo così una reiterazione del trauma subito, capace nel tempo di renderlo accettabile alla coscienza.

La figlia di Freud non introduce variazioni rispetto alle teorizzazioni paterne sull’aggressività, ma scopre un comportamento di difesa contro forme di aggressività vissute come esperienze traumatiche.

Note