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[CULTURA ORIENTALE] La filosofia del Ki (氣)

Comincia così l’autentico cammino verso la trasformazione: l’osservazione senza giudizio delle azioni o dei pensieri positivi o negativi.

Qui si trova la chiave per la quale il desiderio non si trasforma in sofferenza, ed è la ragione più nobile per praticare le arti marziali o qualunque altra attività.

Nel cammino cosciente non dare importanza a ciò che ti succede (bene,male,positivo o negativo), limitati ad osservare il pensiero o l’avvenimento che sta succedendo e a sentire l’emozione che produce nel tuo corpo.

Un’emozione che è la reazione del corpo ad un pensiero ed una finestra per sentire il KI.

Affacciati, senza giudicare. Osserva semplicemente ed in quello stesso istante avrai iniziato il processo di trasformazione verso una nuova coscienza spirituale, in quel “qui ed adesso”.

Questo significa essere presente.

La ripetizione della cosiddetta “osservazione senza giudizio” col tempo finisce per trasformare una persona, permettendole di entrare tranquillamente in un mondo in armonia nel quale può portare a termine qualunque attività fisica o mentale, anche di grande intensità, ma sempre in armonia col presente, il qui e adesso che è l’unica cosa che merita importanza.

Questo è il cuore delle arti marziali o di qualunque altra attività: la capacità di trasformare l’essere umano rendendolo cosciente che il passato, il futuro ed il pensiero parassita sono le pesanti remore che ci impediscono di vivere nel presente, che è l’unica cosa che realmente viviamo.

Per fare un esempio è nel presente che deve manifestarsi l’amore, non nel passato o nel futuro che sono solo illusioni. Questo significa vivere in armonia.

Tutti conosciamo quegli anziani Maestri che c’impressionano per il KI che irradiano, al solo parlar con loro o stare alla loro presenza senza parlare, si avverte un alone di calore che ristora lo spirito, si “sente” ma non si sa cosa sia, né si è in grado di misurarlo, il che rende questa esperienza qualcosa di inquietante.

Sentono, non cercano, semplicemente ci sono

È ammirabile e desideriamo raggiungere quel grado di essere, ma l’obiettivo ci sembra impossibile da raggiungere e sfortunatamente i mezzi che usiamo finiscono per sembrare ginnastica aerobica o procedimenti di autosuggestione.

La motivazione e la ricerca sono due forme di KI allo stato primordiale, che possono interagire senza creare ego.

Il cammino è lungo, ma solo attraverso la conoscenza di noi stessi possiamo finalmente trovarlo, il KI!

Come può essere allenato il KI? È una domanda alquanto delicata. Quando qualcuno me lo ha chiesto, la mia risposta è stata “non si allena, lo si trova”. Approfondiamo l’argomento dell’articolo precedente.

Sembra però che durante il cammino molti si perdano e non trovino il modo di giungere a sentirlo, tanto meno a materializzarlo.

Non si possono fornire ricette per trovarlo o che garantiscano un sicuro successo, non si può giungere alla coscienza del KI neppure attraverso un cammino di forza o un allenamento estenuante, per questa via si arriva all’arroganza e alla fantasia dell’Ego.

Entrare attraverso la porta delle emozioni, che sono il riflesso fisico dei pensieri e non per intricati ed impervi luoghi della tecnica, è il modo migliore.

Osservare ogni azione realizzata e soprattutto non giudicare se stessi, né gli altri, è una buona via per cominciare a sentire la sottile energia che attraversa il corpo, il KI.

Questo è un cammino di sensibilità che ci arricchisce come persone e pertanto ha un gran potere di trasformazione.

La ricerca del KI avviene nel momento in cui siamo chiaramente coscienti di voler cercare qualcosa di non visibile che ci interessa e che racchiude un mistero, tutto ciò fa sì che questa esplorazione sia molto attraente.

Desideriamo trovare qualcosa che è nascosto dentro di noi, ciò che ci ha animati per tutta la vita e che alla fine essa continuerà fino all’infinito, ed è proprio qui che iniziano i problemi, perché il KI è un concetto astratto che non può essere misurato. È un’impressione, è sottile.

Non esiste nessuna macchina che possa dire “lei ha 15 unità di KI”, forse potrebbe manifestarsi attraverso qualche tipo di forza esteriore, ma questa non sarebbe altro che un semplice aneddoto, sarebbe come paragonare un riflesso di luce con l’energia emanata dal sole.

Il Desiderio, affermava Buddha, è la fonte di ogni sofferenza

Questa è una grande verità, tutto ciò che l’essere umano ha generato fin dagli albori, è stato spinto da una forma di energia chiamata “Desiderio”. Se non si riesce ad ottenere quanto desiderato, compare la frustrazione. Da questo stato mentale si passa poi ai pensieri errati che fanno perdere l’orizzonte di ciò che stavamo cercando all’inizio.

Ci perdiamo quindi in un mare di frustrazione che, sfortunatamente, finisce col trasformarsi in una molteplicità di nuove forme di pensiero che si alimentano da sole senza tregua ed indefinitamente. Il desiderio ed il maggior desiderio conducono alla distruzione di ciò che si stava cercando inizialmente. Questa avidità finisce facilmente col trasformarsi in violenza, le notizie d’attualità lo confermano quotidianamente.

Quindi, come trovare quel “qualcosa” che nelle arti marziali si chiama KI, senza che intervenga il desiderio, la frustrazione e perfino la violenza? La risposta si trova nella frase “Io sono quando io comprendo”.

Qui si esprime il profondo senso dell’Essere e del Stare. Quando io “Io Sono”, penetrò nell’oceano dell’Essere e “quando comprendo” mi trovo nel qui e adesso, che è l’unica cosa che esiste e che pertanto ci permette di relazionarci con il mondo fisico.

Nella frase “Io Sono quando io comprendo”, che non ha una forma, il desiderio non si attiva e senza una forma fisica o mentale non può esserci desiderio, se durante pratica delle arti marziali ci alleniamo senza desiderio e siamo mossi solo dal “desiderio” di comprendere, allora le vere pietre d’inciampo del cammino che si manifestano sotto, forma di arroganza, gelosia, violenza, vanità ecc… vengono usati come oggetti di meditazione.

Note


COPERTINA allunaggio

[LUNA 1969] 54 anni fa l’Allunaggio

Quando la sonda Lro (Lunar Reconnaissance Orbiter) lanciata dalla Nasa comincerà ad osservare il suolo lunare, potrà vedere ciò che è rimasto delle missioni Apollo che 40 anni fa hanno portato per la prima volta l’uomo sulla Luna.

Potrà vedere, per esempio, il modulo di atterraggio Eagle con cui il 20 luglio 1969 il comandante della missione Apollo 11, Neil Armstrong, e Buzz Aldrin toccarono il suolo lunare, e potrà vedere anche i moduli delle altre cinque missioni del programma Apollo che hanno portato uomini sulla Luna.

LO SBARCO SULLA LUNA

Gli sforzi compiuti per anni da 400.000 persone culminarono nella missione Apollo 11, che il 16 luglio 1969 partì dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral (Florida) e il 19 raggiunse l’orbita lunare.

Alle 22,17 (ora italiana) del 20 luglio Neil Armstrong e Buzz Aldrin toccavano il suolo lunare a bordo del modulo Eagle, mentre il loro compagno Michael Collins controllava il modulo di comando Columbia.

Intanto, dalla Terra, oltre 500 milioni di persone seguivano le immagini dello sbarco trasmesse in diretta dalle TV di tutto il mondo.

Neil Armstrong, Apollo 11 Lunar Lander (1969)

CORSA ALLA LUNA

A più di 50 anni dallo sbarco, le 170 tonnellate di oggetti lasciati dall’uomo sul suolo lunare raccontano la storia di una corsa allo sbarco molto diversa da quella attuale.

Toccare il suolo lunare era l’obiettivo della sfida tra Stati Uniti e Unione Sovietica nata in piena Guerra Fredda e nella quale l’Urss aveva affermato il 4 ottobre 1957 il suo primato agli occhi del mondo lanciando con successo il primo satellite artificiale, lo Sputnik.

Le testimonianze sono ancora sparse sul suolo lunare, tra Mare delle Nuvole e Mare della Tranquillità, dove sono cadute le sonde sovietiche lanciate alla fine degli anni ’50.

Nel Mare della Serenità c’è il simbolo di un altro primato sovietico, la sonda Luna 2, primo oggetto costruito dall’uomo ad avere mai toccato il suolo lunare.

Ma nel Cratere Copernico e nell’Oceano delle Tempeste si trovano i simboli della riscossa americana, con le sonde Surveyor lanciate fra il 1966 e il 1977.

Il Lago dell’Eccellenza racconta invece una storia molto più vicina e molto diversa, nella quale alla corsa alla Luna si affacciano nuovi protagonisti, come l’Europa: È qui che nel 2006 si è ”tuffata” la sonda Smart 1, dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).

UN LUNGO SILENZIO

L’ultimo uomo a camminarci sopra è stato, nel dicembre 1972, Eugene Cernan, membro della missione Apollo 17.

Poi la corsa si è fermata per un lunghissimo periodo. Un silenzio che, secondo gli esperti, si potrebbe spiegare con l’immensa mole di dati e materiali (382 chilogrammi di rocce lunari) portati a Terra dalle missioni Apollo e Luna.

Ma nel frattempo l’arrivo dello Shuttle e la nascita della Stazione Spaziale Internazionale (Iss) avevano concentrato tutta l’attenzione, mentre le missioni scientifiche si sono concentrate sugli altri pianeti del Sistema Solare, allora sostanzialmente sconosciuti.

NUOVI PROTAGONISTI

Dall’epoca dello sbarco sulla Luna le cose sono molto cambiate; non c’è’ più la contrapposizione fra due blocchi, ma una gara fra nazioni che vogliono affermare la loro importanza a livello tecnologico, come Cina e India, e nazioni, come gli Stati Uniti, che vogliono mantenere la leadership conquistata 40 anni fa

Enrico Flamini, Responsabile dell’Unità per l’osservazione dell’universo dell’Agenzia Spaziale Italiana (2009)

Osserva il responsabile dell’Unità per l’osservazione dell’universo dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Enrico Flamini.

E stanno nascendo nuove alleanze, come quella fra Russia e India, che punta a portare un veicolo Rover sulla Luna.

Note

  • Foto di copertina File (Wikimedia Commons)
  • Grafica copertina ©RIPRODUZIONE RISERVATA
  • Fonte: Articolo Ansa di Enrica Battifoglia
  • Articolo pubblicato originariamente nel 2009

CERVELLO: In molti l’ONESTÀ è innata

L’onestà è nel cervello e chi ne è dotato non ha bisogno di trattenersi dall’imbrogliare ma si comporta in modo naturalmente onesto, senza sforzi.

Lo dimostra uno studio di Joshua Greene e Joseph Paxton della Harvard University di Boston, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

Grazie a questo studio, quindi, gli esperti hanno messo a punto un ‘test dell’onesta”, per capire chi è onesto di indole e chi, invece, se ha l’occasione tende ad imbrogliare.

Riportato sul magazine scientifico New Scientist, lo studio potrebbe avere risvolti pratici discutibili: una volta validato, un test simile potrebbe essere usato, per esempio, per ‘controllare’ gli impiegati e la loro onestà sul luogo di lavoro.

Il test dell’onestà si basa su un gioco semplice, il lancio di una moneta

I partecipanti devono scommettere sull’esito (testa o croce) del lancio; nella prima parte del test, prima del lancio, i volontari devono scrivere su un foglio cosa prevedono esca.

Nella seconda parte, invece, devono dire, a lancio avvenuto, se avevano previsto giusto (e quindi sta a loro dire se hanno vinto o meno la scommessa).

È ovvio che questa dichiarazione sta alla loro onestà personale, perché potrebbero imbrogliare e dire di aver ‘azzeccato’ l’esito del lancio e quindi vinto la scommessa.

Eppure, in molti casi i volontari sembrano rispondere con onestà senza approfittare dell’opportunità di imbroglio; mentre altri tra loro (lo si capisce con la statistica di successo della previsione) imbrogliano di certo, dicendo di aver previsto bene l’esito del lancio.

Durante queste dichiarazioni i neurologi hanno monitorato aree del loro cervello, come la corteccia prefrontale, legate alle decisioni e al controllo dei comportamenti, usando la risonanza magnetica funzionale.

Così hanno visto che nel cervello degli onesti non si accendono queste aree prima di dichiarare che hanno vinto o perso la scommessa; viceversa esse si accendono nel cervello degli imbroglioni.

Secondo i neurologi, ciò significa che l’onestà è un comportamento di default che non richiede autocontrollo da parte del cervello, come a dire che per gli onesti non vale il detto “l’occasione fa l’uomo ladro”. I disonesti, invece, devono pensare al fatto se sfruttare o meno l’occasione di imbrogliare.

Note


UGUAGLIANZA: Un aneddoto del SENSEI Richard Kim

I filosofi americani, dai dilettanti ai più esperti, hanno riflettuto sull’uguaglianza degli uomini e per comprovare le loro teorie.

Nel terreno della morte non esistono razze o credenze, ciò che conta è il bene che si è fatto nella vita.

Sono ricorsi alla Dichiarazione dei Diritti, alla Costituzione degli Stati Uniti ed al famoso discorso a Gettysburg di Lincoln.

Da giovane mi inquietava il problema dell’uguaglianza

In un ristorante di San Farcisco non hanno voluto servire alcuni miei amici per la loro razza, in questo modo così doloroso hanno potuto saggiare gli invincibili artigli della discriminazione sociale.

Erano arrabbiati, non erano mai stati trattati così ad Honolulu, dove erano nati, uno di loro pensò a voce alta “Se fossi nell’Elks Club lo capirei, ma in un locale pubblico…”

Un giorno dopo l’allenamento, parlai di uguaglianza al mio Sensei

In realtà gli parlai del fatto di San Francisco, una città in cui si supponeva non abbondassero gli atteggiamenti di questo tipo.

“Dopo la nascita” – mi disse Sensei – “ci sono due luoghi nella vita in cui gli uomini sono uguali“ gli chiesi quali fossero e mi rispose:

Il giorno in cui entri in una palestra sei come gli altri, cominci dal basso; ed il giorno in cui ti trovi nel terreno della morte, quando la morte ti guarda, non c’è diversità siamo tutti uguali

“Ma cosa succede con le leggi?” – gli risposi “la Dichiarazione dei Diritti, la Costituzione… La legge è buona quanto la coscienza degli uomini” proseguì il Maestro.

Osserva il cuore non la legge, tutto sta nel cuore e, come artista marziale, dovresti renderti conto che il cuore degli uomini non segue il ritmo della legge.


Mi raccontò la storia dove Hozoin Gakuzenbo Inye, uno dei maestri migliori di lancia del Giappone, riesce finalmente a battere in un combattimento Yagyu Muneyoshi

Nei precedenti combattimenti Yagyu aveva avuto sempre la meglio su Inye, ma la superiorità di Inye si faceva più evidente.

Sfortunatamente, Inye rimane così tanto impressionato di sé stesso per il combattimento vinto, che la vittoria stessa gli dà alla testa.

Un giorno un giovane di circa 17 anni giunge in palestra da Inye e gli dice: sono venuto ad imparare ad usare la lancia, chiedo se puoi impartirmi delle lezioni perché tu sei il migliore e voglio imparare da te.

Il ragazzo viene accettato, Inye tratta il ragazzo in una maniera completamente inumana e si adopera al massimo per scoraggiarlo, ma il ragazzo non fa una piega e continua a dire che vuole lottare.

Inye accetta, in dieci giorni sconfigge lo stesso Inye e dopo un mese Inye non vuole neppure entrare in palestra, perché ha paura del ragazzo.

Un giorno il ragazzo si avvicina ad Inye e gli dice: “non mi fido molto di te, ti sopravaluti, non capisco come hai potuto sconfiggere Yagyu, ti sfido ad un vero combattimento, tra cinque giorni verrò nel tuo giardino, preparati ad affrontare la morte” – e se ne va.

In quel momento a Inye appare tutto più chiaro e ritorna al suo stato normale, è molto preoccupato.

”Perché non mi sono preoccupato per quel ragazzo?” – si chiede, dovevo trattarlo meglio!

Impaziente la notte prima del confronto Inye si reca nel giardino con la lancia, rimane in piedi sul bordo dello stagno e si ferma a contemplare l’acqua.

Lo sguardo del ragazzo lo scorge dal fondo.

Improvvisamente passa una nuvola e tutto si oscura e quando la nuvola passa Inye vede il riflesso della sua lancia nell’acqua con una croce sulla punta.

Nervoso, si affretta a recarsi a casa del fabbro del tempio e gli chiede ciò che oggi è noto come il Kama-yari la famosa lancia Hozoin.

Arriva la notte del confronto ed Inye attende nel giardino l’arrivo del ragazzo, ma il ragazzo non appare.

Al suo posto giunge un monaco con un messaggio: il ragazzo ti ha lasciato questo, dice il monaco.

Inye apre il messaggio il ragazzo aveva scritto:

Tratta tutti gli uomini come esseri umani, con decenza e rispetto, non siamo tutti uguali in abilità o in creatività, ma tutti siamo esseri umani.

L’importante è ciò che conserviamo nel cuore, sono sicuro che oggi l’hai capito, è l’insegnamento che voglio darti, quando ti sei reso conto che avresti affrontato la morte, hai scoperto il denominatore comune che ci rende tutti uguali, nella vita, l’uguaglianza è nel cuore degli uomini.

Note


Le 7 REGOLE del BUSHIDO (武士道) – VIRTÙ DEI SAMURAI

Pensare che tutto il mondo può essere l’avversario quando esci da casa, immaginare che molti avversari ti stanno aspettando, oggi è un atteggiamento ossessivo e preoccupante, ma ai tempi dei Samurai era più facile trovare i nemici a ogni piè sospinto.

Oggi non significa uscire di casa negativamente pensando ossessivamente che tutti sono nemici, la realtà di oggi è sicuramente peggiorata e i giornali e vari episodi ti fanno pensare che non posso andare in giro completamente spensierato o con la testa tra le nuvole.

L’agguato potrebbe essere, come si dice sempre, dietro l’angolo

Alcuni Samurai erano così attenti e vigili che si accorgevano della presenza di una persona che si nascondeva per attaccarli, alcuni percepivano l’energia negativa di colui che voleva ucciderlo, con questo intuito anticipavano l’avversario e salvavano la vita.

Oggigiorno non c’è questa preparazione e, anche se leggiamo tanti soprusi, non è così allarmante girare per le strade, ovviamente dipende dall’ora e dalle zone delle grandi città soprattutto.

Un allenamento comunque che ci permetta di essere qui e ora e concentrati su cosa succede intorno a noi, non è da sottovalutare.

Quando un uomo varca la porta di casa, si può trovare di fronte a un milione di nemici, potrebbe diventare noioso ripetere sempre lo stesso concetto, ma non dimentichiamo che i nemici non sempre sono visibili, tangibili, prevedibili, ci sono nemici interiori che sono subdoli, macchinosi, pazienti e silenziosi.

Per affrontarli bisogna essere pronti, allenati, concentrati, un allenamento costante, anche per chi pratica discipline da difesa è importante per sconfiggere il nemico più oscuro: LA PAURA.

Se non ci si abitua a essere attaccati, a sentire la spinta,lo strattone, le urla o quant’altro possa succedere durante un alterco, quando succederà rimarrà impietrito dalla paura, che blocca ogni movimento e che blocca anche l’adrenalina necessaria per superare l’aggressione.

Questo principio è riportato anche in un antico proverbio: ”Quando un uomo oltrepassa la soglia della propria abitazione ha di fronte sette nemici“ (dal punto di vista cristiano potrebbero essere: orgoglio, invidia, avidità, rabbia, pigrizia, ingordigia e lussuria).

I nemici non sono visibili, tangibili e facili da attaccare e distruggere, molti sono invisibili, nascosti e indifferenti alla nostra attenzione. Il 7 è un numero sacro.


LE 7 REGOLE DEL BUSHIDO – VIRTÙ DEI SAMURAI:

Gi -onestà e giustizia – una sola via:

Onestà nei rapporti con gli altri,credere nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da se stessi, il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia, vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Yu -eroico coraggio:

Elevarsi al di sopra delle masse che hanno paura di agire,nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere, un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ma significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso, l’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

Jin- compassione:

l’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte, è diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune.

Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.

Rei- gentile cortesia-comportamento etico morale:

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza, un samurai è gentile anche con i nemici senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale.

Il samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia, ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

Makoto o shin:

Completa sincerità: quando un samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’azione espressa.

Egli non ha bisogno né di “dare la parola“ né di promettere, parlare e agire sono la stessa cosa.

Meyo – onore:

Vi è solo un giudice dell’onore del samurai: lui stesso.

Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà, non puoi nasconderti da te stesso.

Chugi-dovere e lealtà:

Per il samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario, egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue.

Il samurai è immensamente leale verso coloro di cui è responsabile.


Il 7 ricorre nella nostra vita

  • 7 sono le note,
  • 7 sono i mari secondo l’antica suddivisione dei greci (Mar Egeo, Mar Nero, Mar di Marmara, Mar Ionio, Mar Rosso, Mar Tirreno, Mar Mediterraneo Orientale)
  •  7 le costellazioni (Alfa, Beta, Gamma, delta, Ipsilon, Zeta, Età)
  •  7 sono le virtù (3 teologali: fede, speranza, carità; e 4 cardinali: giustizia, temperanza, prudenza e fortezza)
  • 7 sono i peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia)
  • 7 sono i colori dell’arcobaleno (rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto)
  • 7  sono i colli di Roma (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale, Vicinale).
  • 7 è il numero del perdono (dovrai perdonare settanta volte sette)
  • 7 sono i cieli dell’antichità, ciascuno corrispondente ad un pianeta (Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno)
  • 7 sono i doni dello Spirito Santo nel cristianesimo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio)
  • 7 sono i sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di 7 trombe suonate da 7 angeli, quindi dai 7 portenti e infine dal versamento delle 7 coppe dell’ira di Dio (da Giovanni, Apocalisse).
  • 7 sono i chakra (Muladhara, Svadisthana, Manipura, Anatha, Vishudda, Anja Sahasrara).

Note


[PILLOLE DI STORIA] Antonio Segni, Ministro e Presidente italiano

Uomo politico, tra i padri della costituzione italiana e dello statuto speciale per la Sardegna, leader della Democrazia Cristiana. Fu svariate volte ministro ed infine Presidente della Repubblica Italiana dal 1962 al 1964.

Nacque a Sassari nel 1891 da nobile e ricca famiglia di forte fede cattolica.

Si laureò in giurisprudenza nel 1913. Da giovane militò nel Partito Popolare Italiano e intraprese la docenza universitaria di diritto processuale che da Perugia, nel 1920, l’avrebbe portato a Cagliari, Sassari ed infine, dal 1951, a Roma.

Nel 1943 fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana, di cui rappresentò l’ala conservatrice. Fece parte della consulta regionale sarda e dell’assemblea costituente.

Il futuro Ministro e Presidente venne eletto deputato nel 1948


Ricoprì importanti incarichi a livello ministeriale:

  • Sottosegretario per l’agricoltura e foreste nei governi Bonomi III, Parri, De Gasperi I, (anni 1944-1945);
  • Più volte Ministro dell’agricoltura e foreste e della pubblica istruzione nei governi De Gasperi e Pella, (anni 1946-1953);
  • Primo Ministro negli anni (1955-1957);
  • Vicepresidente del consiglio e Ministro della difesa nel II governo Fanfani (1958);
  • Premier prima e Ministro dell’interno poi negli anni 1959-1960;
  • Ministro degli esteri nel governo Tambroni e Fanfani III, (1960);
  • Ministro degli esteri nel IV governo Fanfani, (1962).
  • Presidente della Repubblica Italiana (1962-1964).

Dopo la carriera da Ministro fu Presidente della Repubblica Italiana

Fu Presidente della Repubblica Italiana dal maggio 1962 all’agosto 1964, quando si dimise per una sopraggiunta grave infermità.

Si devono a lui importanti provvedimenti in favore della Sila e della Puglia, nonché la legge di riforma agraria e molti provvedimenti in favore della Sardegna, tra questi l’istituzione della zona industriale di Porto Torres.

Antonio Segni fu anche uno dei costruttori dell’unità europea, per il quale impegno gli fu attribuito nel 1964 il Premio “Carlo Magno” della città di Aquisgrana. Morì a Roma nel 1972.

Note


[RICERCA DEL GIORNO] Folklore nella cultura alimentare sarda

Con questa ricerca tratteremo il modo in cui la cultura alimentare sarda si è legata col tempo all’antichissimo al folklore locale. Andremo a vedere come con certi rituali, spesso legati a suggestioni e credenze locali, le persone tentavano semplicemente di alleviare la vita di ogni giorno.

Non solo Pane: Folklore nella cultura alimentare sarda

Da sempre l’umanità ha individuato negli alimenti, o nei derivati animali e vegetali, tanto gli elementi utili a garantire la sopravvivenza in senso stretto, quanto gli aspetti delle valenze magico/rituali in funzione terapeutica o scaramantica.

Queste ultime a volte sconfinano in quella che è comunemente definita superstizione, a volte invece, alla luce delle nuove scoperte scientifiche, si dimostrano realmente in grado di sconfiggere determinate malattie o di prevenirne l’insorgere.

Numerosi ricercatori hanno affrontato questo argomento con taglio diverso secondo la loro specializzazione.

Così abbiamo avuto, di volta in volta, spiegazioni di tipo sociologico, antropologico, psichiatrico e religioso ecc…

Non è mia intenzione tentare ulteriori analisi particolareggiate, per le quali rimando agli autori dei testi specifici della bibliografia essenziale citata

Semplicemente vorrei mostrare alcuni di questi aspetti legati agli alimenti, e rilevare come, nonostante la pressione delle culture egemoniche, che da sempre hanno tentato di sopprimerle, siano arrivate pressoché intatte fino ai giorni nostri e che solo oggi, stiano realmente svanendo nell’oblio a causa della massificazione dei costumi e della scomparsa della cultura orale tradizionale, che in alcuni casi era la sola deputata a tramandarle.

Storie di tradizione orale

Alcuni di questi riti magico/terapeutici sono già stati registrati, altri sono a tuttora assenti nei vari testi di d’etnologia.

Si riesce a venire a conoscenza solo dopo ore, o addirittura giorni, di paziente conversazione con le persone anziane.

Queste, infatti, tendono a riportare fatti per lo più già noti, o comunque che si sono conservati anche nella memoria più recente, chiudendo così il discorso con l’interlocutore.

Ma se si presenta loro la dovuta attenzione, anche quando si parla magari d’altro, improvvisamente salta fuori qualcosa di nuovo.

Qualcosa che magari era stato rimosso da una sorta di censura etica, o forse solo dimenticato.

Del resto, tutte le occasioni importanti, nell’arco dell’anno o della vita umana, sono sancite da tradizioni particolari, volte, come ho già detto, a tutelare un’esistenza che si prospetta precaria e in balia di eventi sconosciuti e ingovernabili.

Rituali esoterici per alleviare la vita

Cristiano Cani – Paste e dolci tipici della Sardegna

Ecco allora le storie di spiriti, di anime in pena che causano sofferenze, se non si rabboniscono in qualche modo.

Non si tratta di veri e propri riti di tipo apotropaico, bensì di azioni volte a migliorare le condizioni dei vivi, e con loro anche dei defunti, che spesso si aggirano ancora nel mondo nell’attesa della pace eterna, e che potrebbero essere addirittura parenti delle persone che “vanno a visitare”.

Queste si preoccupano quindi di rendere più lieve la loro attesa, con preghiere o azioni materiali volte a soddisfare le supposte necessarie.

A questo punto, anche il pianto, apparentemente senza motivo, di un bambino piccolo, che tra le braccia dei genitori non trova conforto, e nel lettino ancora meno, può essere causato da qualcosa di soprannaturale.

Ai genitori, ormai stremati, era consigliato, solitamente da un’anziana della famiglia, di mettere un pezzo di pane sotto il cuscino del piccolo, questi sotto la spinta della disperazione eseguivano, il bambino, dopo un po’, tornava tranquillo (non è dato sapere dopo quanto tempo) e con lui anche i genitori.

Le anime che lo infastidivano, trovato il pane, si erano messe a mangiare lasciandolo finalmente tranquillo.

Che le anime se ne andassero in giro giorno e notte cercando di mangiare non è una novità (basti pensare all’antico Egitto), ma in Gallura, ancora ai primi del novecento (e in alcune zone, anche oggi) la Notte dei Santi, si allestiva un vero e proprio banchetto ad uso e consumo delle stesse.

Una tovaglia bianca, apparecchiatura festiva, pane, vino e cibo, erano poggiati sul tavolo della cucina, la porta che si affacciava verso l’esterno era lasciata aperta e la famiglia andava a letto.

Le anime avrebbero avuto di che soddisfare la fame. Al mattino il tavolo era ripulito.

Nessuno aveva visto niente, solo a qualcuno era parso di sentire dei rumori provenienti dal locale in cui era esposto il cibo, ma del resto, chi mai si sarebbe sognato di andare a controllare?

Ovviamente poi, il fatto che il cibo fosse scomparso, dava ragione a chi quest’usanza continuava a perpetuarla

Solo qualcuno iniziava ad insinuare che forse non di anime si trattasse, ma di mendicanti o bontemponi…Inutile dire che la teoria era destinata a cadere inascoltata, o addirittura tacciata di eresia (ovviamente al contrario).

Anche la notte del 1° agosto si procedeva in modo simile

In quest’occasione si preparava un cunchinu di chjusoni (un bel piatto di gnocchi) conditi con formaggio e pomodoro fresco e, questa volta, si metteva sul davanzale.

Anche in questo caso, alle prime ore del giorno, il piatto era ripulito e le anime imbonite, con gran soddisfazione degli abitanti della casa che da questo fatto traevano auspici favorevoli per tutta la famiglia.

Di questa consuetudine rimane traccia nell’abitudine, ancora viva in alcune zone della Gallura, di preparare il 1° agosto, questa pietanza. Non sappiamo però se solo per i vivi, oppure anche per i trapassati.

Tradizioni al giorno d’oggi ormai perse

Un giustificato pudore impedisce di ammettere, oggi, una tale abitudine, anche per non essere esposti al ludibrio dei più “colti”.

Un’altra forma scaramantica, questa volta un po’ più complessa, anche perché gli informatori non sanno dare spiegazioni in merito, è quella di lu casju parafocu (il formaggio che ferma il fuoco).

In questo caso, il Giorno dell’Ascensione, l’allevatore/agricoltore prelevava una forma di cacio dalla scorta annuale, e, dopo averci inciso sopra, con un coltello, una croce, la conservava in un angolo della casa fino al termine della stagione estiva.

Questa forma possedeva la virtù di proteggere tutto il territorio, di proprietà dell’esecutore, dai temutissimi fuochi estivi.

Anche se, come già detto gli informatori non sanno spiegare questa usanza, da quanto dicono, pur non dichiarandolo apertamente, si può desumere che rappresentasse una sorta di tutela contro il male estremo per antonomasia.

Oltre a queste forme scaramantiche, altri espedienti costituiscono una via di mezzo tra queste e la medicina popolare.

Vi è, infatti, una fusione tra elementi magico – rituali ed altri che potrebbero avere, se opportunamente studiati, un riscontro spiegabile scientificamente.

Prendiamo ad esempio l’Ociu Casgju, preparato il giorno dell’Ascensione

Prendiamo ad esempio l’Ociu Casgju (olio del formaggio) che era preparato il Giorno dell’Ascensione.

In quella data si “segnavano” capretti e agnelli e si marchiavano i manzi. Mentre gli uomini attendevano a queste incombenze le donne preparavano il pranzo.

In questa occasione era d’uopo cucinare la mazza frissa, una salsa di condimento per gli gnocchi ottenuta con la panna di latte.

Durante la cottura, la panna rilasciava l’olio in essa contenuto, questo era raccolto in un vasetto e conservato per tutto l’anno come unguento medicinale, specificamente per lu mali di la ula e lu custuppatu (mal di gola e bronchi impegnati).

Spalmato sul torace e poi ricoperto cu la calta biaitta di la pasta (la carta straccia azzurra della pasta sfusa) o cu la bambacia (ovatta) era considerato infallibile.

In altre zone quest’olio veniva preparato il 3 febbraio.

In questo caso ci troviamo di fronte ad una corrispondenza perfetta tra il rito popolare e quello religioso,

Perché in questa data la Chiesa Cattolica celebra S.Biagio vescovo e martire (III-IV sec.)

A lui sono riconosciute qualità di taumaturgo, protettore degli animali, Santo dei fidanzati e… guaritore del mal di gola.

Questo perché avrebbe guarito un bambino che stava per morire soffocato da una spina di pesce;

Ma mentre la chiesa festeggia in quel giorno “la candelora”e nella cerimonia sacra sul collo dei fedeli il celebrante poggia una candela benedetta che poi, portata a casa, verrà utilizzata tutto l’anno con questa funzione.

Il popolo utilizza le sostanze che ha a disposizione, e che, se vogliamo, sono anche affini (cera – grasso) con le stesse finalità.

C’è da sottolineare che il fatto di sottolineare che il fatto di strofinare il torace con un unguento, causando il riscaldamento della zona interessata, potrebbe, in effetti, portare ad un miglioramento delle condizioni dell’ammalato.

Se poi questo unguento è stato preparato il giorno dell’Ascensione, e quindi nel periodo in cui le piante sono quasi al culmine delle loro proprietà curative, si può ipotizzare che parte delle loro sostanze attive si siano trasferite nel latte e quindi nel nostro olio.

È chiaro che sono solo ipotesi senza fondamento certo, ma quanta di questa saggezza popolare non è stata prima irrisa e poi accolta?

Si pensi semplicemente all’uso delle erbe, da sempre patrimonio della tradizione popolare ed ora accettata e ricercata da tutti.

Diverso il discorso dell’Uovo del giorno del 25 marzo

Qui, o ci si crede, o non ci si crede. Gli “antichi” ci credevano! L’uovo deposto dalla gallina il 25 Marzo, vale a dire nove mesi prima della nascita di Gesù, quindi nel giorno ipotetico del Suo concepimento, veniva raccolto e conservato in un luogo inaccessibile fino a Natale.

Non si doveva toccarlo per nessun motivo, pena la riuscita del “prodigio”, se ci si atteneva a queste regole, il giorno di Natale l’uovo sarebbe stato ormai di cera

A questo punto diventava anch’esso medicinale e, passato sulla gola malata, la guariva, poggiato su un arto dolorante ne leniva il dolore ecc…Questi sono solo alcuni esempi della miriade di riti che l’uomo ha ricercato o creato per risolvere i problemi di ogni giorno.

Oggi ci fanno sorridere, e forse ci meravigliamo dell’ingenuità dei nostri nonni, disposti a credere a simili panzane, ma…Stiamo bene attenti, perché, come si dice: “Quel che buttiamo via dalla finestra, rientra dalla porta”.

Quanti di noi, infatti, non si sono mai sentiti dire da qualcuno, non necessariamente più anziano: “Bevi il caffè stando seduto, altrimenti non diventerai mai ricco!”

E soprattutto, chi non si è seduto immediatamente, dopo una simile minaccia?

Quanti di noi, ancora, non si sono accodati alle schiere degli adepti della Notte di Halloween, muniti di zucca e sonagli, pronti ad andare in giro, all’insegna della nuova cultura egemone, per chiedere “dolcetto o scherzetto”? invece di: “Li molti e molti”, senza pensare che la festa di Halloween non è nient’altro che un rito simile a quelli che volutamente abbiamo seppellito, bollandoli come dabbenaggini da ignoranti.

Infine, visto che il filo conduttore del nostro discorso è la tradizione alimentare.

Come facciamo a sorridere dei nostri vecchi, che traevano auspicio da un piatto di gnocchi lasciato sul davanzale o dalle foglie d’olivo nummati (cui era dato il nome di un uomo e quello di una donna), gettate sul piano incandescente dei focolare se poi, puntualmente andiamo a guardare l’oroscopo del giorno.

E a Capodanno, per quanto già satolli, non rinunciamo a mangiare le lenticchie che, per il nuovo anno, saranno foriere di soldi?

E pensare che il Capodanno in Sardegna, una volta era in settembre …Una volta!

Note

Bibliografia

  • Alberto M. Cinese, Cultura egemonica e culture subalterne, Pa. Palombo 1978.
  • Paolo Toschi, Guida allo studi delle tradizioni popolari, To. Boringhieri 1971
  • Giuseppe Cocchiera, Storia de folklore in Europa, To. Boringhieri 1972
  • Francesco Alziator, Il folklore sardo, Bo. La Zattera 1957
  • Francesco De Rosa, Tradizioni popolari di Gallura, Bo. Arnaldo Forni 1989
  • Maria Azara, Tradizioni popolari di Gallura – Dalla culla alla tomba – Roma Italiane 1943
  • Gino Bottiglioni, Vita sarda – folklore, racconti e leggende, Mi. Trevisani 1925
  • Ernesto De Martino, Magia e civiltà, Mi. Garzanti 1962
  • Francesco Cossu, Tradizioni popolari di Gallura, SS. Chiarella 1974
  • Mario Atzori, Maria M. Satta, Credenze e riti magici in Sardegna – Dalla religione alla magia, SS. 1980
  • Marua Margherita Satta , Riso e pianto nella cultura popolare – Feste e tradizioni sarde, SS. Asfodelo 1982
  • Nicolino Cucciari, Magia e superstizione fra i pastori della bassa Gallura, SS. Chiarella 1985

[MAESTRI DELLA STORIA] Bruce Lee, incontro con il TAO (道)

C’è qualcosa di misterioso e di solitario che c’era prima del cielo e della terra, è immutabile, inafferrabile.

È l’unità e il vuoto, percorre eternamente un circolo ed è inesauribile, per quella che può essere chiamata “la madre di tutte le cose”, io non conosco il suo nome, ma faccio uno sforzo e lo chiamo TAO.

Tentare di spiegare il Tao sarebbe un lavoro impossibile.

Come minimo si dovrebbe scrivere un altro libro sul TAO The King e nonostante questo non ce la faremmo, perché invece di avvicinarci al Tao ci saremmo allontanati.

Perché il Tao nella sua essenza è inspiegabile e inesprimibile, si sente o non si sente, ma non si può descrivere.

Perché per quanto si parli di lui è difficile arrivare alla sua piena comprensione, principalmente in un mondo così materialista.

Forse alcuni possono pensare che questa sia un’utopia, qualcosa di irreale, creato dall’immaginazione di alcuni, tuttavia risulta insolito che tutti i grandi Maestri abbiano descritto la stessa cosa: l’unione tra la mente e il corpo con l’ambiente circostante, qualcosa di tanto facile da spiegare, ma al tempo stesso tanto complicato da fare e, soprattutto da applicare…



Alcuni esempi storici sul TAO


MASUTATSU OYAMA

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale Mas Oyama è un 4° dan di Karate, forgiato e indurito dagli orrori della guerra e dell’occupazione, è allora che avviene un fatto che cambia completamente la sua vita e le sue motivazioni: l’avvio di una guerra civile tra il Nord e il Sud della Corea.

Questa divisione del suo paese natale lacera il cuore del giovane esiliato coreano, che non sopporta di vedere come la sua gente sia spinta a massacrarsi reciprocamente, in una lotta fratello contro fratello.

Profondamente deluso e schifato di tutto, Mas Oyama si lascia prendere dalla disperazione e dal disinteresse.

Abbandonando tutto, il mondo gli sta cadendo addosso.

Quando conosce un Maestro carismatico di Karate Goju-Kai, anch’egli di origine coreana, questo mistico personaggio gli dà solamente un consiglio, abbandonare la sua vita attuale, ritirarsi in una montagna e coltivare nella natura il suo corpo e il suo spirito, e forse così riuscirà a ristabilire il suo equilibrio emozionale.

Oyama comprende che solo un cambio radicale di esistenza può restituirgli la gioia e l’energia, perciò decide di seguire i consigli del Maestro.

Il resto è già pubblicato sulla sua biografia in un precedente articolo.


YAMAGUCHI GOGEN

Quando la Seconda Guerra Mondiale finì, il Giappone era materialmente e moralmente distrutto, davanti a questo desolante scenario, Yamaguchi Gogen pensa di ricorrere all’Harakiri.

Un giorno pregando per la purezza dello spirito prima di commettere il suicidio, ha una rivelazione che cambia il suo destino.

Visualizza la sua missione: la ricostruzione della scuola Goyu Ryu per aiutare il Giappone e il mondo.

Dopo quella visione intensifica i suoi allenamenti di Karate, ma ancor di più la meditazione e la pratica della religione Scintoista, della quale è monaco e che considera indissociabile dal suo Karate.

Lo Scintoismo era la religione ancestrale dei giapponesi, la cui base è la venerazione dei principi della natura e il contatto con essa attraverso pratiche sui monti, mari e fiumi.

Per questo motivo il Maestro era solito andare una volta al mese in montagna per mettersi in contatto con la natura e meditare nella più assoluta solitudine, oltre che per perfezionare i suoi Kata sotto le cascate d’acqua gelida cercando di mantenere il suo spirito sereno, pur essendo nel mezzo delle più severe condizioni.


MORIHEI UESHIBA

Secondo diversi racconti, dopo anni di pratica e allenamento in diverse arti marziali, un giorno ebbe una visione che cambiò completamente la sua vita.

Attraverso di essa trovò il suo equilibrio con l’universo.

Su questo ci sono molti scritti e le spiegazioni su questa fantastica visione non smettono di essere incredibili.

Alcuni raccontano che vide una specie di gnomo o folletto, il quale gli raccontò i segreti dell’Universo, in altre biografie raccontano che un giorno, meditando, contemplò come il suo spirito si fondesse in lui formando carne e anima in un unico blocco, coscienti ambedue di questa unione…

La cosa certa è che dopo aver avuto la succitata visione, cambiò completamente vita, si iniziò a chiedere a cosa servisse sconfiggere un avversario, quali benefici ne avrebbe avuto, perché se hai sconfitto una persona, prima o poi ti sconfiggerà un altro rivale, il vincitore di oggi sarà lo sconfitto di domani.

Un giorno avrebbe perduto quella vitalità e avrebbe trovato qualcuno di più giovane e con meno conoscenze che lo avrebbe sconfitto.

Morihei cercava quell’arte marziale in cui la forza bruta passasse in secondo piano e prevalesse la tecnica, nella quale esistesse un equilibrio universale e grazie alla quale qualunque persona, per quanto debole fosse, potesse sconfiggere qualunque rivale, per quanto forte o giovane fosse.

A partire dall’idea che la forza non è tutto nelle arti marziali, creò il concetto basilare dell’Aikido che è Al:unione, Ki: vita, energia e Do:via o strada.

La via dell’armonia con l’energia universale, con questo concetto cominciò a lavorare e a perfezionare la tecnica di base per due anni, fino a sviluppare quello che oggi è l’Aikido.


Tutti i grandi Maestri delle arti marziali hanno un denominatore comune: la rivelazione del TAO

Un giorno hanno un’esperienza che cambia completamente la loro vita e le loro concezioni delle arti marziali, cioè che li spinge a contemplare tutto da un’ottica diversa, da allora esiste un “prima” e un “dopo” nella loro esistenza.

Grazie a quel momento o esperienza, riescono a trovare l’equilibrio tra mente e corpo, vale a dire l’unione tra l’uomo e il suo ambiente.

Da allora acquisiscono quel grado di “intendimento” che fa si che i loro progressi nelle arti marziali siano notevoli, segnando un sentiero che altri, più tardi trasformeranno in strada.

Nel caso del Piccolo Drago non poteva essere altrimenti

Esiste uno scritto dello stesso Bruce Lee in cui spiega quel momento trascendentale della sua vita.

La cosa curiosa in questo caso è che successe quando aveva 17 anni, era molto giovane.

Tuttavia, dopo averlo letto, non vi è spazio per i dubbi, quel “momento” ebbe luogo quando navigava solo in un giunco nel porto di Victoria (Hong Kong), grazie ad esso Bruce Lee riuscì a raggiungere quello che i cinesi chiamano Tun Wu e i giapponesi Satori.

Lo Zen considera questo momento come un intendimento spirituale inaspettato o un risveglio nei sensi del quale l’uomo aderisce con la natura.

È ciò che i cinesi denominano Tao

Quell’esperienza cambiò la vita di Bruce Lee ed evidentemente anche la sua filosofia di vita.

Anni dopo il Drago descrisse questo cruciale momento con una grande quantità di dettagli e sfumature, in uno dei suoi scritti scolastici dell’università, intitolandolo “un momento di comprensione” fu scritto nel suo primo anno di facoltà, quando studiava filosofia e sorprende per la sua semplicità e la sua profondità rende comprensibile ai neofiti quella connessione tra l’uomo e il “Tao”.

Un qualcosa che altri Maestri tentarono con scritti molti più ampi e spiegazioni più estese, ma secondo la mia opinione, meno chiari.

Un altro “tocco” della genialità del “Piccolo Drago”, il Gung Fu è il tipo di pratica molto particolare un’arte splendida più che un puro esercizio fisico, l’arte consiste nel coniugare l’essenza della mente con le tecniche su cui lavorare.

Il principio del Kung Fu non è qualcosa che si può imparare come una scienza, mediante costrutti e cercando riscontri.

In sostanza infatti deve crescere spontaneamente, come un fiore, in una mente libera da emozioni e desideri, il nucleo di questo principio del Gung Fu è il Tao, la spontaneità dell’universo.


Un aneddoto del Piccolo Drago

Dopo quattro anni di duro allenamento, cominciai a capire e sentire l’essenziale, che altro non era che l’armonia di queste pratiche, l’arte di neutralizzare il rivale, minimizzando l’uso della mia energia, tutto questo deve essere fatto con calma e senza sforzo.

Tutto sembrava semplice, ma nella pratica risultava molto difficile da fare

Quando affrontavo un avversario in combattimento, la mia mente era completamente turbata e instabile, specialmente dopo aver dato e ricevuto una serie di colpi e calci, tutta la mia teoria di armonia era sparita, l’unico pensiero che persisteva era quello di dover, in un modo o nell’altro, attaccare e sconfiggere il mio avversario.

Un giorno il mio Maestro di Wing Chun, si avvicinò a me e mi disse: “Loong, rilassa e calma la tua mente, dimentica te stesso e segui i movimenti del tuo rivale, lascia agire liberamente la tua mente, senza nessun tipo di ragionamento che interferisca, soprattutto impara l’arte della separazione”.

E lì stava la soluzione: dovevo rilassarmi, tuttavia, in quello stesso momento avevo appena fatto qualcosa di contrario alla mia volontà, questo accadde nel preciso istante in cui mi dissi: “devo rilassarmi”

La pretesa dello sforzo in quel “devo” era già di per sé in contraddizione con l’idea di rilassarmi, soprattutto mentre la mia accentuata timidezza cresceva fino a quella che gli psicologi chiamano “doppio legame”, per me era terribilmente difficile farlo, allora il mio Maestro si avvicinò nuovamente e mi disse “Loong, prova a liberarti e a lasciarti trasportare dai tuoi istinti naturali, senza che tu interferisca, ricorda che non devi mai contraddire la natura: non ti opporre mai ostinatamente a nessun problema, ma cerca piuttosto di risolverlo analizzandolo, non allenarti questa settimana, vai a casa e pensaci su“.

La settimana seguente rimasi a casa, dopo aver passato varie ore a meditare e allenandomi, mi diedi per vinto e decisi di uscire in barca un momento da solo, in mare pensavo a tutto il mio allenamento passato, mi irritai con me stesso e diedi un colpo sull’acqua, giusto in quel momento mi sovvenne un’idea: non era proprio quell’acqua la vera essenza del Gung Fu?

La colpii nuovamente e non subì nessun danno, sferrai un altro colpo con tutte le mie forze e, ovviamente ancora una volta l’acqua non subì alcun danno, quindi tentai di afferrarne un po’ ma fu impossibile.

L’acqua, la sostanza più serena del mondo, potrebbe riempire qualunque recipiente acquisendone la forma, benché sembri debole, potrebbe penetrare la sostanza più grezza e dura della terra, ecco il punto!

Io dovevo essere come l’essenza dell’acqua! Improvvisamente un uccello che volava, si riflettè sull’acqua del mare, in quell’istante, mentre io ero assorto nella lezione dell’acqua, mi venne rivelato un altro significato mistico dell’enigma: non è che forse i miei pensieri e le mie emozioni di fronte al mio avversario dovessero essere come il riflesso di un uccello sull’acqua?

Questo era esattamente ciò che il professor Yip Man voleva dire quando parlava di slegarsi, non si trattava di non possedere pensieri o sentimenti, piuttosto essi non dovevano bloccarmi, dovevo in primo luogo accettarmi in relazione con la natura e non contrappormi ad essa, finalmente sentivo di essermi unito con il Tao, mi ero unificato con la natura.

Ero disteso dentro la barca e la lasciai scivolare liberamente sull’acqua in sintonia con la sua volontà, da quel momento ottenni uno stato di benessere peculiare e non ci furono più conflitti nella mia mente, la totalità del mondo è l’unità.


In virtù di quell’esperienza la mentalità di Bruce Lee cambiò

In virtù di quell’esperienza, la mentalità di Bruce Lee cambiò, forse in quei momenti non era pronto a “quello“.

Ciò che è indiscutibile è che quell’esperienza lo segnò e, come gli altri Maestri, gli indicò la strada da seguire, trasformando quella “lezione“ nel principio del Jeet Kune Do, dove impera l’adattabilità di fronte a qualunque avversario e circostanza, senza opporre resistenza, fondendosi con l’ambiente, come piegava Bruce Lee in una delle sue più conosciute massime:

Sii come l’acqua, l’acqua non ha forma e tuttavia ce l’ha.

È l’elemento più morbido della terra, ma penetra nella pietra più dura. Non ha una propria forma, ma può adattarla all’oggetto che la contiene.

In una tazza acquisisce la forma di una tazza, in un vaso da fiori adotta la forma del vaso e circonda i fusti dei fiori, mettila in una teiera e si trasforma in teiera.

Per favore, osserva l’adattabilità dell’acqua, se la comprimi a gran velocità, fluisce velocemente, se la comprimi lentamente, fluisce pian piano.

Può sembrare che l’acqua si muova in modo contraddittorio, perfino verso l’alto, ma in realtà sceglie qualunque strada libera per poter arrivare al mare, può fluire rapidamente o lentamente, ma il suo proposito è inesorabile, il suo destino sicuro…

Bruce Lee impregnò il Jeet Kune Do dell’ideologia che abbiamo appena letto

La base del JKD tratta l’individualismo, l’auto espressione e la capacità dell’uomo di imparare ad adattarsi in modo immediato e armonioso a qualunque ostacolo che possa trovarsi durante il tragitto.

Attraverso questo processo di adattamento, Bruce Lee pensava di poter superare tutte le difficoltà.

Il suo punto di vista era diverso, la sua prospettiva della condizione umana unica e, soprattutto, la filosofia della quale fu pioniere, ha indicato una via da seguire nelle arti marziali.

Sfortunatamente si è considerata solo la grande diffusione delle arti marziali che realizzò con i suoi film o i suoi eccezionali attributi fisici.

Tuttavia Bruce Lee fu, come abbiamo potuto vedere, molto più di questo.

Suppongo che trasmettere questo, in quegli anni, quando non si conoscevano nemmeno le arti marziali, fosse qualcosa di molto difficile, in ogni modo la sua eredità è li, ora è compito dei suoi allievi e praticanti di Jeet Kune Do perpetuarla e diffonderla.

Note


[PALEONTOLOGIA] Lluc, il nuovo antenato dell’uomo

È nato nel Mediterraneo, e non in Africa, il più antico degli antenati dell’uomo: parola di Lluc, l’ominide vissuto 11,9 milioni di anni fa e scoperto in Spagna.

La rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas ha pubblicato ilsuo “ritratto”, dall’aspetto moderno rispetto a quello delle altre scimmie antropomorfe.

A studiare questo nuovo antenato dell’uomo, il cui nome scientifico è Anoiapithecus brevirostris, è il gruppo spagnolo dell’Istituto catalano di Paleontologia, in collaborazione con il gruppo italiano del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Firenze.

Il ritrovamento fornisce elementi nuovi nella comprensione della storia delle origini della nostra famiglia, Hominidae, che oltre all’uomo include orango, scimpanzé e gorilla“, osserva Lorenzo Rook, del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Firenze, che ha partecipato alla ricerca coordinata dallo spagnolo Salvador Moyà-Solà.

La scoperta di Lluc è avvenuta in Catalogna, nella località l’Anoia (che ha ispirato il suo nome scientifico), presso Hostalets de Pierola.

È vissuto nel Miocene medio ma i suoi resti, pochi ma ben conservati, rivelano un aspetto moderno, con un prognatismo molto ridotto.

Sono arrivati fino a noi parte della faccia e della mandibola, ma per gli studiosi sono sufficienti a dimostrare che le scimmie kenyapithecine sono da considerare il “sister taxon” degli ominidi attuali, vale a dire “il gruppo arcaico più vicino agli ominidi, quello in cui gli antenati dell’uomo affondano le radici“, spiega Rook.

La scoperta, prosegue lo studioso, indica inoltre che “la regione mediterranea è stata l’area di origine della nostra famiglia“.

Dalla ricostruzione fatta sulla base dei resti, risulta che Lluc era un maschio

Il restauro e la preparazione dei resti, spiegano gli studiosi, “sono stati molto lunghi ed estremamente delicati a causa della fragilità del reperto, ma una volta che il fossile è stato pienamente disponibile per lo studio analitico, la sorpresa è stata enorme“.

Il fossile, spiegano, “ha un aspetto mai visto in nessun primate fossile miocenico” e il suo aspetto “é confrontabile tra gli ominidi solamente con il prognatismo del nostro genere, Homo“.

Tuttavia, aggiungono, la morfologia della faccia non indica che Anoiapithecus abbia relazioni di parentela diretta con Homo, ma potrebbe essere il risultato di una convergenza morfologica.

Note


[CULTURA SARDA] Il nome Sardegna

Dal latino Sardinia, terra, isola dei Sardi

Dal latino Sardinia, terra, isola dei Sardi (Sardi-orum). Nome con cui i romani chiamavano la Sardegna e nome della provincia romana di Sardegna, costituita nel 227 a.C.

Vincenzo Maria Coronelli – Sardiniae Regnum et Insula (1734)

I Greci chiamavano la Sardegna Sardò

I greci chiamavano la Sardegna Sardò, connettendola a Sardo, figlio di Eracle che secondo il mito sarebbe giunto nell’isola a capo di colonizzatori libici.

La Sardegna era chiamata dai greci anche Ichnussa, dal greco ichnos (orma di piede umano), per la sua caratteristica forma (da cui anche Sandaliotis, da sandalion, sandalo).

Il radicale s(a)rd- , che identifica l’ethnos dei sardi, appartiene al sustrato linguistico mediterraneo preindeuropeo. Si ritiene che i sardi della protostoria indicassero la loro terra e se stessi con nomi derivati da questa base.

La più antica sicura attestazione scritta dell’etnico (Srdn) è contenuta nella fenicia “Stele di Nora” risalente alla fine del IX sec. a.C .

Un altro importante documento risale al VI secolo a.C.

Si tratta di un trattato di amicizia stipulato dagli abitanti della potente città magno-greca di Sibari e dal popolo dei Serdàioi, i Sardi secondo alcune accreditate ipotesi, il cui testo fu inciso su una tavola di bronzo che fu deposta nel famoso santuario panellenico di Zeus ad Olimpia.

Diversi studiosi avanzano l’ipotesi che i Sardi siano da riconoscere anche nei Serdan-, uno dei “Popoli del Mare” menzionati nei documenti egiziani tra il XVI e il XIII secolo a.C. Ciò lascerebbe immaginare una civiltà nuragica eccezionalmente avanzata ed intraprendente a livello mediterraneo, aspetti che però l’archeologia non sembra avere ancora adeguatamente documentato.

Note