Rubrica Cultura · Nuova Isola

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Mas Oyama, l’ideatore del Kyokushinkai

Una delle figure più impressionanti della storia del Karate Moderno. Controverso e leggendario, la figura di Mas Oyama ha segnato un prima e un dopo. Analizziamo la sua storia, quella dell’uomo e quella del mito.

In genere quando si parla di grandi Maestri di arti marziali, si tende sempre o quasi a parlare dei loro pregi o difetti come Maestri e la loro storia inizia sempre con fatti che riguardano il Dojo e gli allievi.

In questo excursus del Maestro invece affronteremo la sua vita dall’inizio e cercheremo di capire tutto ciò che c’è stato prima che l’arte marziale costruisse un Maestro.

Chi è Masutatsu Ōyama

Hyung Yee, meglio conosciuto col suo nome giapponese Masutatsu Ōyama, nasce in Corea del Sud nel 1923 da una famiglia nobile.

Come la maggior parte dei grandi Maestri, è un bambino con una salute abbastanza cagionevole, e per porvi rimedio, suo fratello maggiore tenta di iniziarlo a molteplici sport come calcio, atletica e nuoto.

Ma sarà un lavoratore proveniente dalla Corea del Nord assunto da suo padre che, su sua richiesta, comincia ad insegnarli Kenpō (una sorta di boxe cinese) all’età di 9 anni.

Al piccolo Masutatsu però non interessa molto quest’Arte poiché ha una mente sognatrice e fantasiosa, incapace di concentrarsi e di sacrificarsi.

Presto riconosce di non aver fatto quasi nessun progresso nel Kenpō e rivolge il suo interesse verso le convulsioni politiche e ideologiche che sta soffrendo l’oriente negli anni 30.

L’impegno militare ed il trasferimento in Giappone

Viene dichiarata la guerra sino-giapponese e la penisola coreana forma il suo primo pilota militare, SHIN, che si trasforma in un eroe nazionale e in un esempio che tutta la gioventù coreana vuole seguire.

Nel 1938 parte per il Giappone alla ricerca della migliore formazione

Alla vigilia della seconda guerra mondiale il giovane Masutatsu si vede così coinvolto in questa febbre nazionalista e, cosciente del fatto che se voleva arrivare a qualcosa doveva compiere degli studi,a 15 anni nel 1938 parte per il Giappone alla ricerca della migliore formazione in un’accademia militare della prefettura di Yamanashi.

Un’altra versione meno romanzata della sua partenza per il paese del Sol Levante è che deve abbandonare la sua casa obbligato dalle circostanze, dopo aver picchiato suo padre poiché quest’ultimo aveva fatto lo stesso con la madre.

Ma con la velocità con cui si svolgono i fatti, non ha il tempo né l’opportunità di procurarsi del denaro.

Ancora non si sa come sia riuscito a raggiungere la costa per imbarcarsi, i suoi problemi finanziari aumentano a causa del costo del biglietto, quindi sbarca in Giappone praticamente senza soldi.

Nel Sol Levante conoscerà subito quanto è duro essere immigrato e povero in un paese nazionalista e xenofobo

Nessuno vuole affittargli una stanza né dargli lavoro, questo inizia a forgiare nel giovane una determinazione incrollabile, cresce di fronte alle avversità, poiché si rifiuta di tornare in Corea sconfitto.

Dopo alcune settimane durissime durante le quali si vede costretto a dormire in strada e ad accettare qualsiasi lavoretto occasionale che gli permettesse di mettere qualcosa sotto i denti.

Alla fine riesce a prendere in affitto una piccola stanza a Tokyo, dove si iscrive all’Università di Takushoku e trova un lavoro come lattaio che gli permette di pagarsi sia la stanza e gli studi.

Nonostante il miglioramento della sua situazione, Oyama si sente solo e demoralizzato in un paese ostile e cerca un’attività che gli permetta di sfogarsi e di essere motivato.

All’inizio si interessa al Judo ma poco dopo scopre il Karate, a quei tempi ancora un’Arte sconosciuta

All’inizio si interessa al Judo e si iscrive al Kodokan di Igoro Kano, ma poco dopo scopre il Karate, che a quei tempi era ancora un’Arte praticamente sconosciuta, dal momento che Funakoshi l’aveva introdotta in Giappone appena 15 anni prima.

Per Lui quest’arte è una rivelazione, quindi desidera prendere lezioni dal miglior Maestro, e si reca proprio nella scuola del fondatore dello Shotokan, Gichin Funakoshi, e si sottopone alla guida di uno dei suoi figli, Yoshitaka Funakoshi.

Oyama si dedica al Karate anima e corpo, giorno e notte, tanto che, nel giro di un anno, a soli 17 anni ottiene la sua prima cintura nera 1° Dan.

Il suo impegno e la sua devozione per il Karate si riflette in un fisico impressionante e si dedica ad indurire le mani e gambe con rotture spettacolari.

Rimane poco dell’immagine del bambino malaticcio che aveva caratterizzato i primi anni della sua vita

Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e Oyama a 18 anni si arruola nell’esercito imperiale, ed alla fine della guerra è un 4° Dan forgiato e indurito dagli orrori del conflitto e dell’occupazione, è allora che accade un fatto che cambia completamente la sua vita e la sue motivazioni.

Si tratta di uno Stato Coreano indipendente (fino a quel momento la penisola coreana era stata sempre occupata dai due giganti espansionistici dell’estremo Oriente: Cina e Giappone), ma quello che colpisce maggiormente Oyama è la dichiarazione di guerra civile tra il Nord e il Sud della Corea.

Questa divisione del suo paese natale strazia il cuore del giovane esiliato coreano, che non sopporta di vedere come la sua gente, manipolata dagli interessi della politica internazionale, sia portata a massacrarsi a vicenda.

Fratello contro fratello, tutto questo lo porta a diventare membro di un’organizzazione politica che lotta per l’unione delle due Coree, ma la vita gli riserva un altro duro colpo, poiché nel giro di poco tempo si rende conto che quella organizzazione non è mossa da ideali, ma piuttosto da interessi economici che si possono ricavare da intrighi internazionali.

L’auto esilio

Profondamente deluso e disgustato da tutto, Mas Oyama si lascia prendere dalla disperazione e dal disinteresse.

Abbandonando tutto ciò che aveva raggiunto fino a quel momento, il mondo gli sta crollando addosso quando conosce un carismatico Maestro di Karate chiamato So-Nei-Chu anche lui di origine coreana e adepto di una setta chiamata Nichiren.

Questo personaggio mistico gli dà solo un consiglio: abbandonare la sua vita attuale, ritirarsi in montagna e coltivare nella natura il suo corpo e il suo spirito, forse così sarebbe riuscito a ristabilire il suo equilibrio emozionale e a raddrizzare la tormentata traiettoria della sua vita.

Oyama comprende che solo un cambio radicale di esistenza può riportargli l’entusiasmo e l’energia, quindi decide di seguire i consigli e si stabilisce sul monte Kiyozumi, nella prefettura di Chiba, sulle rive dell’oceano pacifico.

Lo accompagna nel ritiro un suo allievo che si chiama Yashiro, e insieme costruiscono una capanna di legno in un luogo isolato e comincia la loro nuova vita in simbiosi con la natura selvaggia.

Si alzano alle prime luci dell’alba per correre lungo i monti scoscesi, praticano le rotture colpendo alberi, rami e pietre con i piedi e pugni nudi, lavorano sulla tecnica in coppia e colpiscono un sacco pieno di sabbia.

Sono allenamenti estremamente duri, interminabili ed estenuanti

Se si sopravvive, prove di questo tipo forgiano spiriti e corpi di ferro, infatti Yashiro non riesce a tollerare questo stile di vita per molto tempo e una notte esce dalla capanna per non ritornarvi mai più.

Mas Oyama resta da solo ed inizia a dubitare del senso di tutto ciò, scrive a So-Nei-Chu esponendogli la sua titubanza e questi gli risponde con una frase semplice ma ad effetto

Quello che sembra impossibile può essere realizzato solo da uno spirito perseverante, PERSEVERA! E tutto ciò che ora ti sembra assurdo acquisterà un nuovo significato

Questo infonde nuove forze al morale di Oyama che intensifica gli allenamenti, esigendo da se stesso sempre di più e aumentando l’austerità della sua esistenza.

Alimentandosi fondamentalmente di erbe e qualche altro alimento che gli forniva madre natura, sceglie un pino bello grosso e si propone di dargli 200 pugni prima di ogni pasto, “quando l’albero cadrà sarò pronto a ritornare”.

Dopo diversi mesi, rompe l’albero con un colpo inferto con la mano (shuto) nella parte più indebolita e logorata del pino dai colpi precedenti.

In quel momento ricorda la leggenda di un maestro di Karate che fu in grado di uccidere un toro con un unico colpo, questo sarà il nuovo obiettivo che si darà Oyama: ripetere questa impresa.

E così dopo un anno e mezzo di isolamento, decide di tornare alla civiltà e di mettere alla prova i suoi progressi.

Mentalmente è un uomo nuovo

Mentalmente è un uomo nuovo che è riuscito a cicatrizzare le ferite che gli aveva lasciato la divisione della sua patria, fisicamente dimostra la sua netta superiorità su qualsiasi avversario, radendoli letteralmente al suolo nel primo campionato di Karate aperto a tutti gli stili che si tiene a Tokyo nel 1947.

Il primo incontro con il toro

Continua a ronzargli per la testa l’idea di uccidere un toro con un solo pugno, quindi un giorno si reca in un mattatoio un fuori Tokyo e dopo una lunga spiegazione alle sorprese autorità, queste gli danno il permesso di affrontare un toro di 500 chili.

Oyama gli sferra un pugno secco sul muso e il toro fugge insanguinato ma vivo.

Riesce solo a rompergli un corno, piuttosto scoraggiato decide di rinunciare al proprio desiderio e di dedicarsi a promuovere il Karate in tutto il mondo.

In giro per il Mondo

Nel 1957 Mas Oyama è invitato da un judoka 6° Dan chiamato Kokoshi Endo a fare un giro di dimostrazioni per gli Stati Uniti, fanno più di trenta esibizioni ed Oyama sfida molti professionisti di lotta libera e di boxe vincendo sempre per K.O. arrivando ad apparire fino a nove volte nella televisione americana, poi torna in Giappone coperto di glorie e con le tasche piene di denaro.

Il secondo incontro con il toro

Con il morale alto, decide di ritentare il suo sogno di uccidere un toro con un solo colpo, studia attentamente le abitudini di lotta dei tori e allena con enfasi speciale lo sprint per riuscire a scappare dalla carica di un toro furibondo, quindi aumenta la sua resistenza fisica correndo quasi 8 chilometri al giorno, oltre alle sue solite cinque ore di allenamento giornaliero.

Una società cinematografica gli propone di filmare l’incontro e Oyama accetta, nel 1953 tutto sembra pronto perché tenti di sconfiggere un toro da 625 chili con corna da 40 centimetri, il duello avrà luogo in un piccolo villaggio di pescatori chiamato Tateyama, nella prefettura di Chiba, e sarà filmato.

Il toro viene liberato e carica Oyama

Questi lo evita con un giro e lo afferra per le corna con lo scopo di atterrarlo e ucciderlo, ma, con una forza impressionante, il toro scuote la testa e Oyama viene lanciato in aria, si rialza immediatamente in piedi con il busto coperto di sangue e torna ad afferrare il toro per le corna.

Davanti allo sguardo attonito degli spettatori, dopo una lunga resistenza Oyama riesce a buttarlo a terra, dove lo fulmina con uno Shuto sul muso, Oyama  ha appena raggiunto l’obiettivo che si era prefissato anni prima durante la sua vita da eremita, ha ucciso un toro a mani nude.

L’incontro è durato 35 minuti, tre anni dopo Oyama decide di ripetere l’impresa, questa volta allo stadio Denen di Tokyo.

Dal momento che la società giapponese per la protezione degli animali gli ha proibito in modo legale di uccidere pubblicamente un toro, Oyama decide di rompergli semplicemente un corno per metterlo fuori combattimento.

In questo secondo incontro riesce a mettere K.O. un toro in tre minuti, in totale Oyama affronta 52 tori nel corso della sua vita, dei quali 48 finiscono con un corno rotto e 4 muoiono.

Il trasferimento in Thailandia

Oyama non è famoso solo per i suoi incontri con i tori, nel 1954 si trasferisce nel sud-est asiatico, in Thailandia.

Lo scopofu di sconfiggere il miglior Thai-Boxer e così ripristinare l’onore di alcuni Karateka giapponesi che erano stati sconfitti dai tailandesi.

Oltre a ciò è guidato anche dal proposito di mostrare l’efficacia delle sue tecniche di Karate e di promuovere così la sua arte.

Il combattimento si tiene in una calda serata, un gran numero di persone si accalcano intorno al ring quando Mas Oyama sale nel suo angolo.

Suona la campana indicando l’inizio del primo round.

Mentre gira intorno all’avversario studiando i suoi movimenti, il tailandese chiamato Black Cobra lancia all’improvviso un velocissimo calcio circolare che raggiunge Oyama in testa e lo atterra.

Con gran sorpresa del pubblico rumoroso, il coreano si alza prima che l’arbitro finisca di contare e, avendo bene imparato la lezione continua a studiare il suo avversario.

Il thai-boxer torna ad eseguire un altro potentissimo calcio circolare cercando la mandibola di Oyama, ma questi para il colpo, sbilancia il suo avversario e lo fa rotolare a terra sferrandogli un calcio circolare, il tailandese si rialza sorpreso, mentre il pubblico tace.

L’attacco successivo questa volta è di Oyama, che lo sconfigge con un pugno fratturandogli la mandibola, Oyama si ferma alcuni giorni per affrontare tutti i tailandesi che vogliono salire sul ring con lui e, dopo aver vinto tutti i combattimenti torna in Giappone.

La nascita del Kyokushinkai

D’ora in poi è stato un continuo divulgare il suo stile in tutto il mondo, battezzato da egli stesso nel 1961 Kyokushinkai.

Scrisse libri ed aprì scuole negli stati uniti oltre che in Giappone esegue diverse dimostrazioni con successi clamorosi anche al Madison Square Garden.

Solo a Tokyo si stimano 20.000 praticanti dello stile Kyokushinkai, e questo stile è rappresentato in 43 paesi.

Sono state pubblicate centinaia di autobiografie, e nel 2004 fu realizzato un film sulle imprese di Oyama intitolato FIGHTER IN THE WIND .

La morte ed il ricordo postumo

Masutatsu Oyama muore il 23 aprile 1994 all’età di 70 anni per un cancro ai polmoni, il suo stile ora si pratica in più di 120 paesi superando i 10 milioni di praticanti.

Il Presidente del Sud Africa Nelson Mandela dichiarò:

Finché lo stile di Oyama continuerà con la sua espansione inarrestabile, lo stesso Mas Oyama vivrà nelle mente e nei cuori dei suoi praticanti.

Questa è stata la vita di un grande Maestro, forse non tutti conoscono l’intera vita di questo combattente prima Maestro dopo.

Questo deve insegnarci a non arrenderci mai ma trovare sempre la strada della vittoria nell’arte, come nella vita.

Note


[MAESTRI DELLA STORIA] Yamaguchi Gogen “Il gatto”

Yamaguchi Gogen nacque il 20 gennaio del 1909 nell’isola di Kyusho (Isola del sole) a pochi mesi dalla sua nascita, i suoi genitori decisero di trasferirsi nell’isola di Kagoshima.

Lo chiamavano il gatto perché possedeva abilità sorprendenti, il suo sguardo insieme alla sua fama, senza dubbio, gli bastavano per pietrificare o immobilizzare qualsiasi avversario, come il gatto paralizza i topi.

Il motivo di questo spostamento di domicilio era dovuto ad un vulcano

Tutt’oggi attivo, si trovava molto vicino all’isola dove risiedevano, precisamente in quella di Sakarima.

Per questo motivo la prima tappa della sua vita si svolse a Kagoshima, nel seno di una modesta famiglia di commercianti.

Suo padre Yamaguchi Tokutaro, anche se era un piccolo commerciante, discendeva da una famiglia di Samurai, tuttavia i suoi mezzi erano scarsi e non bastavano a mantenere tutta la sua prole, (aveva 10 figli).

Gogen dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali

Gogen era il terzo e come tutti i suoi fratelli, dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali.

I suoi primi contatti con esse furono attraverso il Kendo, poi praticò anche il Judo.

Il suo maestro di Kendo fu Toshiakai Kirino, un grande esperto di quest’arte il quale era famoso in tutto il Giappone per le sue prodezze con la sciabola.

Tale era la sua destrezza con questa arma che era capace di tagliare nell’aria una goccia d’acqua e rinfoderare la sua Katana prima che questa cadesse al suolo.

Tutto faceva prevedere che il Bushido sarebbe stata la sua strada

Rapidamente iniziò ad emergere nel paese per il grande entusiasmo e la dedizione che dimostrava per il Kendo. Tanti furono gli elogi che gli fecero.

Ad Okinawa si accorse di lui il Sensei Maruta

Quest’ultimo era un carpentiere di Okinawa, una persona umile ed apparentemente introversa.

A causa del suo comportamento nessuno sapeva, e nemmeno sarebbe arrivato a sospettare, che sotto quella apparenza di uomo fragile e tranquillo si nascondesse un  grande maestro di Karate.

Un giorno fece partecipe Gogen del suo grande segreto, facendogli una dimostrazione pratica delle sue conoscenze.

Dopo quella dimostrazione, Gogen lo pregò di insegnargli quegli strani movimenti, però il Maestro rifiutò, argomentando che non era ancora preparato per ricevere i suoi insegnamenti (a quell‘epoca il Karate era una disciplina segreta nell’isola e normalmente non si insegnava a chiunque, ogni famiglia aveva il suo stile che, per regola generale, veniva trasmesso solo dai padri ai figli).

Gogen però era un giovane che spiccava per la sua ostinazione e dopo aver superato una dura prova che il Maestro Maruta gli fece fare solamente allora lo considerò degno di insegnargli la sua arte.

il Karate divenne tutta la sua esistenza

In pochi mesi il Karate cambiò la vita del giovane adolescente, a tal punto che divenne tutta la sua esistenza.

Durante il giorno praticava il Kendo nella scuola Jigen, famosa per l’estrema durezza dei suoi allenamenti, la notte si allenava al Karate nella sua casa.

Tale era la sua passione per questa disciplina che più di un giorno allungava i suoi allenamenti fino all’alba.

Nel suo allenamento era inevitabile che causasse rumore, così che presto risvegliò la curiosità della sua famiglia e dei vicini, i quali vedevano sorpresi come quel ragazzo passasse ore a colpire uno strano aggeggio, simile ad un Makiwara, che però ruotava.

Doveva avere molti riflessi pronti, a parte la potenza, per fermare o addirittura bloccare l’altra estremità, Gogen passava ore colpendolo.

Scoprì il piacere di superare se stessi

Presto scoprì quello che significava allenarsi fino a svenire esausti con tutto il corpo dolorante, però scoprì anche il piacere di superare se stessi e di superare tutte queste prove.

Alcuni dei suoi vicini, inclusa la sua stessa famiglia iniziarono a preoccuparsi dello stato mentale di questo giovane che passava il giorno colpendo i muri, gli alberi ecc… fino a finire con le nocche lacerate e ricoperte di sangue, inoltre fu sorpreso in diverse occasioni a realizzare movimenti strani.

Quando questo succedeva, Gogen cercava di dissimulare, facendo qualsiasi altra cosa, per cui tutti iniziarono a temere il peggio.

Suo padre, preoccupato per le sue eccentricità, decise di parlare con lui, al giovane non rimase altro rimedio che confessargli il suo grande segreto.

Durante la sua adolescenza, la sua famiglia lo mandò a studiare alla Università di Kansai

Però gli studi non erano qualcosa che catturava la sua attenzione.

Continuò ad allenarsi con la stessa intensità di sempre, per cui mancava alla maggior parte delle lezioni, per questo motivo fu espulso dal centro.

Suo padre per questo lo rimproverò in maniera dura, Gogen gli promise di cambiare la propria condotta, pregandolo di iscriverlo all’Università di Rytsumeikan per studiare diritto.

Anche se ad essere sinceri, il suo unico interesse ad essere ammesso a quell’Università era il fatto che era famosa in tutto il Giappone per il suo Dojo di Arti Marziali, nel quale era incluso il Karate (bisogna considerare che in quel periodo era praticamente sconosciuto ed inoltre non era considerato come un’arte autoctona giapponese, visto che tutti sapevano che le sue tecniche provenivano dal Kempo cinese, più conosciuto da alcuni come Kung Fu).

Nel 1931 si trasferì a Tokio, per mantenersi in forma entrò in un club di Sumo, dove scoprì che lo spirito e l’Arte in sé non erano compatibili con il Karate, il quel periodo tutto il paese si preparava per la guerra, il partito ultra-nazionalista già controllava il Governo da 11 anni, era l’esercito che dettava le leggi e le decisioni del paese.

Si propagò dal potere una propaganda aggressiva che esaltava la lealtà, il patriottismo e il codice del Bushido (codice del guerriero), il Giappone entrò in guerra con i suoi vicini asiatici, prima di dichiarare guerra agli Stati Uniti.

Note


Mastro Fiore dei Liberi, maestro di Scrimia del XVI secolo

Se vuoi conoscere l’arte di combattere, porta con te tutto ciò che hai trovato negli insegnamenti, sii audace e non mostrarti vecchio nell’animo. Nessun timore vi sia nella tua mente, stai in guardia, puoi farcela!

Fiore de’ Liberi da Premariacco, figlio di Benedetto De Liberi nacque tra il 1345  ed il 1350 a Premariacco, comune a cinque chilometri da Cividale e a 15 da Udine.

Venne mandato sin da giovanissimo a frequentare le scuole di “Lettere umane“ e, data l’indole vivace, lo ritroviamo allievo alle scuole d’armi presenti in gran numero sul territorio friulano.

La giovanissima età per l’avvio alla carriera marziale era una consuetudine per quei tempi.

Mastro Fiore crebbe dunque in quella fucina di grande tradizione marziale

Se si pensa che il famoso condottiero Jacopo Del Verme ebbe il suo primo combattimento a 16 anni. Mastro Fiore crebbe dunque in quella fucina di grande tradizione marziale per uomini e armi, che in Italia dall’anno Mille era conosciuta con i nomi di Scrirm, Scrama, Scrima e Scrimia.

Spinto dal desiderio di sapere, il giovane friulano si mosse in lungo e in largo in terra padana e oltre le Alpi.

Cercava i migliori insegnanti dai quali apprendere i segreti dell’arte

La sua sete di conoscenza era enorme e per parecchi anni non ebbe sosta.

Ebbe due precettori tedeschi, Giovanni Lo Svevo e Nicolò da Toblem e diversi Maestri Italiani.

La reputazione di uomo d’armi se la conquistò sul campo di battaglia, nelle giostre e nei tornei in cui erano frequenti i duelli in armatura.

La sua fama di Maestro crebbe e il prestigio che si era guadagnato esigeva comunque un prezzo

Dovette infatti difendere il suo nome contro l’invidia in cinque terribili sfide lanciate da altrettanti “ Magistri Scrimidori.

Duelli mortali con spade affilate, senza alcuna parte d’armatura, se non un giacchetto di stoffa e un paio di guanti di pelle.

Duelli crudeli lontano da giudici e amici, in cui la sola regola era ferire mortalmente l’avversario.

Fiore per sopravvivere fece unicamente affidamento su se stesso, sulla sua conoscenza dell’arte, sulla sua spada e su Dio.

Uscire vincente da queste sfide portò altra gloria al Maestro friulano

La sua abilità e il suo sapere attirarono nella sua scuola molti uomini d’armi italiani e tedeschi.

Tra questi molti erano nobili e cavalieri, uomini d’arme e capitani di ventura, avvezzi tanto al campo di battaglia che al duello in steccato con ogni sorta d’arma.

Formati e forgiati all’arte di combattere erano tutti dotati di grande forza, destrezza e conoscenze tecniche superiori alla media.

Alcuni di questi si divertivano a dar prova della loro abilità come fendere con un sol colpo di spada una “mezena” di bue, salire rapidamente scale e pertiche con la sola forza delle braccia, eseguire verticali sui tavoli, eseguire piroette con indosso l’armatura, oppure abbattere al suolo un cavallo afferrandone il morso con una mano.

Alcuni di questi divennero per Mastro Fiore dei “figlioli“ dunque allievi prediletti

Giunto alla soglia dei sessant’anni fu chiamato per svolgere il ruolo di Maestro e precettore del giovane Marchese Nicolò III D’Este.

A corte istruì il giovane e nobile Signore di Ferrara e Rovigo nell’arte di combattere e armeggiare in armi et sine armis e si prodigò a dettare il suo sapere nel prezioso manoscritto FLOS DUELLATORUM.

Quanto ci è stato tramandato da Mastro Fiore è senza dubbio racchiuso nelle sue tre importantissime opere manoscritte, una delle quali datata 10 febbraio 1409

Apprendiamo dalle pagine di pergamena, vergate dalle mani di abili miniatori, che Fiore dopo quarant’anni di pratica e studio dell’arte non si riteneva ancora “ben perfeto magistro“.

Da uomo saggio e previdente, sapeva che sarebbe stata un’impresa tramandare di generazione in generazione anche solo la “quarta parte dell’arte“ senza trascriverne e fissarne i dettami tecnici su carta.

Ritenne così suo compito, come del resto fecero altri Maestri dell’arte , “farne memoria“ con un’opera scritta.

Tramandare in forma integra i segreti della “marcial virtud“ era l’azione più degna per un Maestro

Fiore, ormai anziano, vedeva questo come uno splendido atto finale a sigillo della sua carriera.

A rendere questo suo obbiettivo possibile fu il “Principo Misser Nicolò Marchese da Este”.

Quel Nicolò III per il quale venne chiamato come Maestro alla Corte di Ferrara.

Nicolò allievo brillante del vecchio Maestro ne raccolse l’eredità marziale

Tanto si sentì in debito verso il suo anziano Mentore e tanto ne reputò sublime la conoscenza dell’arte da mettergli a disposizione scrivani e disegnatori di corte per dare vita all’opera finale il “Fior di Battaglia“ sulle conoscenze marziali dell’arte di Scrimia medioevale.

E in questo clima favorevole che Fiore crea e ordina il suo manoscritto, circondato da validi miniatori e altrettanto validi disegnatori, malgrado lui vanti oltre a conoscenze alchemico-erboristiche e metallurgiche, insospettate doti di scrittore e disegnatore provetto.

Si colgono nelle parole del Maestro un senso di profonda soddisfazione per questa sua fatica

La più grande impresa della sua vita, un premio che superava di gran lunga la vittoria in una giostra, la salvezza in battaglia, o la sconfitta di un avversario in un duello mortale.

E in questo modo Fiore, come molti Maestri italiani ed europei, tutelò la propria scuola rendendola insensibile al tempo e ai capricci dei vanitosi, fissandone su carta concetti, principi e tecniche dalle fondamentali alle avanzate.

Grazie alla sua profonda conoscenza dell’arte, il Maestro illustra un interessantissimo sistema di relazioni tra attaccante e difensore, un modello didattico ineccepibile, con passaggi collegati e ruotanti sul sistema a tre eventualità, che vede l’azione e la sua contraria sviluppate fino alla contra-contraria.

Un sistema così sviluppato determina un vero e proprio programma articolato in una vasta gamma di tecniche e connessioni anche tra materie diverse come la lotta senza armi, il combattimento di daga e l’arte della spada.

Attraverso questo lascito e a distanza di sette secoli, Maestro Fiore può ancora trasmettere agli allievi del III millennio, il sapere marziale nella sua forma autentica ed integrale.

Una volta che decriptarono il sistema, attraverso opportuni passaggi non casuali, l’immenso patrimonio di tecniche, strategie ed azioni, diventa disponibile e la bellezza dell’arte di Scrimia si apre in tutta la sua forza marziale.

Note


Miyamoto Musashi, il migliore spadaccino giapponese della storia

La vita di Musashi viene spesso confusa con le leggende che sono nate su di lui nei secoli dopo la sua morte. Questo perché i documenti relativi alla sua biografia sono frammentati e molti sono andati perduti.

In Giappone, fra gli storici che hanno cercato di far luce sulle vicende che lo riguardano, ci sono grandi estimatori e molti detrattori.

Comunque non è un personaggio che lascia indifferenti per i suoi biografi è “relativamente“ semplice ripercorrere la sua vita fino al duello con Kojiro.

Mentre è più difficile trovare fonti certe su quel che fece dopo.

Si trovano invece sufficienti notizie sulla sua vecchiaia

Di certo si sa che era un pittore, e qualche sua opera è rimasta.

Ha lasciato tre opere scritte, anche se tutti parlano solo del libro dei cinque anelli, che di sicuro è il più famoso ed è arrivato a noi grazie ai suoi allievi.

Si pensa erroneamente che non avesse studenti.

Invece proprio il libro dei cinque anelli è dedicato ad un suo allievo.

Inoltre alla sua morte aveva almeno tremila studenti che studiavano se non sotto di lui, sotto la guida dei suoi allievi diretti. Ancora oggi in Giappone ci sono molte scuole che derivano dalla sua.

Altra leggenda afferma che sia stato educato dal monaco Takuan ma non è stato così, anzi i due non sono mai entrati in contatto.

Sul duello più famoso che vinse contro Kojiro, risono gli scontri più feroci tra gli storici, qualcuno insinua che a vincere sia stato Kojiro, detto Ganriu.

Infatti l’isola dove venne tenuto il duello oggi si chiama Ganriujima, ma in molti trovano strano che venga dato il nome del perdente al luogo dell’incontro.

Per altri questo particolare è insignificante, visto che ci sono altre tracce che danno Musashi vincitore. Qualcun altro invece afferma che la vittoria di Musashi è certa, ma non fu onorevole e per questo l’isola ricorda il perdente.

Questo perché c’è un testo scritto da un testimone dell’incontro, dove si racconta che Kojiro non morì ma rimase svenuto.

Quando si riprese venne ucciso da alcuni allievi di Musashi, o da alcuni uomini appartenenti alla famiglia rivale di quella che “sponsorizzava” Koijro.

Infatti questo duello era stato organizzato da due famiglie che si contendevano il potere nella zona

Musashi era il campione di una e Kojiro dell’altra, comunque Musashi dopo questo duello si ritirerà dalla vita di Ronin in cerca di sfide e non cercherà più scontri singoli, se li farà saranno altri a sfidarlo.

Probabilmente il duello rappresentò comunque una svolta nella sua vita, volente o meno.

Se come sembra, ci furono fini politici dietro lo scontro, Musashi forse capì che il singolo non può nulla nelle trame ordite dai potenti nella società.

Forse questo gli fece diminuire l’interesse per lo scontro singolo ed aumentare quello per lo scontro di massa e lo studio della strategia applicata alle battaglie tra eserciti.

Le più forti critiche verso di lui nacquero perché uccise un esponente della scuola Yoshioka in un duello e questi era solo un adolescente di tredici anni.

Va però detto che l’esponente della Yoshioka in quell’occasione non era solo, ma scortato da molte decine di samurai, e ricordato anche Musashi stesso vinse un duello a tredici anni.

Comunque Musashi aveva già ucciso, in due precedenti duelli, i due fratelli maggiori del piccolo Yoshioka.

Il terzo scontro fu deciso dagli allievi della Yoshioka che cercavano per fini personali di salvare l’onore della scuola.

Certamente a contribuire a notizie fuorvianti su Musashi è stato il romanzo di Eiji Yoshikawa.

Bellissimo ritratto di un’epoca e anche del personaggio di Musashi, anche se con chiare invenzioni biografiche, dettate probabilmente da esigenze di narrativa.

Si sa che non si sposò, ma adottò tre figli.

Uno si suicidò alla morte del suo signore, secondo le regole del tempo.

Il terzo lo adottò in tarda età, Musashi non riuscì a diventare maestro di spada per lo shogun.

Venne scelto un altro samurai al suo posto, trovò comunque un signore a cui dare i propri servigi.

In vecchiaia diede diverse dimostrazioni della sua abilità

Non uccideva più gli avversari, li fronteggiava sempre con un Boken.

Solo in una occasione uccise un uomo, ma questo morì sbattendo la testa dopo che Musashi lo spinse con il corpo contro un muro dopo aver evitato un fendente.

Si dice che fosse mancino e abile nel lancio dei coltelli.

In età matura partecipò per il suo signore a delle battaglie, che lo videro vincitore, per lui la strategia che si mette in pratica per un singolo individuo si può utilizzare anche per molti.

Del libro dei cinque anelli l’originale fu perduto, Musashi stesso chiese a due allievi di bruciarlo.Uno lo trascrisse e l’altro lo im

Fu istruito all’uso delle armi dal padre Munisai Musashi

Nato nel villaggio Miyamoto nella provincia di Harima, fu istruito all’uso delle armi dal padre Munisai, che era uno spadaccino riconosciuto dallo shogun.

Mentre al suo sviluppo spirituale contribuì anche il monaco Zen Takuan Soho, a 13 anni ebbe il suo primo duello mortale.

A 16 anni partecipò e si batté nella Battaglia di Sekigahara (1600) per la fazione sconfitta, la Coalizione Toyotomi.

Sopravvissuto al massacro, Musashi cominciò un vagabondaggio per il Giappone alla ricerca di avventure e di affermazione personale.

Vagò fino ai 29 anni battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria.

Tutto questo anche quando si trovò a combattere contro più avversari contemporaneamente o contro maestri di arti marziali, come i Samurai della famiglia Yoshioka, famosi per la loro scuola di spada a Kyoto, li batté tutti indistintamente.


L’epico duello contro Ganryū

Forse il suo duello più celebre fu quello combattuto contro Kojiro Sasaki, detto Ganryū.

Avvenne nel 1612 sull’isola di Funa-jima, il duello ebbe così tanta rinomanza che ora quest’isola porta il nome di Ganryu-jima.

Alcune voci dicono che Kojiro fosse sordo e che Musashi approfittò di questo per colpirlo mortalmente con un bokken ricavato dal remo di una barca che l’aveva portato a Funa-jima, quindi molto più lungo del consueto.

Un’altra versione di questo duello è che Kojiro usava come arma una canna di bambu.

Musashi di conseguenza affilò il remo della barca usata per raggiungere l’isola e appena Kojiro mise mano alla sua canna Musashi gli spaccò la testa con il remo, con un unico micidiale colpo, questo viene riportato sul “il libro dei cinque anelli“.


Si ritiene vero che Musashi non abbia perso mai un incontro

I dati biografici sono incerti, ma tradizionalmente si ritiene vero che Musashi non abbia perso mai un incontro, nonostante contrapponesse spesso un bokken alla Satana dell’avversario (si tenga sempre in mente che il bushido, codice d’onore dei Samurai, imponeva allo sconfitto in un duello di suicidarsi).

Pare inoltre che fosse di modi molto scortesi

Egli non era mai puntuale agli appuntamenti ed aveva scarsissima igiene personale, si dice infatti che fosse impossibile lavarlo finché portava la spada al fianco, cosa che faceva persino nel sonno.

Il ritiro e la morte

A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline risultando un maestro in molte di esse. Si cimentò con maestria nella pittura e nella calligrafia.

Nella forgiatura delle Tsuba, le guardie delle spade che risultavano opere d’arte in sé, diede il proprio nome a un modello divenuto poi tradizionale.

La leggenda vuole che al suo funerale un fortissimo tuono scosse tutti i presenti. Il commento dei più fu “È lo spirito di Musashi che lascia il corpo“.

Note

Bibliografia


Masahiro Nakamoto, il primo X Dan di Kobudo di Okinawa

Masashiro Nakamoto è uno dei principali Maestri del Kobudo di Okinawa attuale 10° Dan.

Dirige il Budokan, un pittoresco chalet nel cuore di Shuri dedicato alle Arti Marziali con Dojo, patio, terrazza ecc… perfino un intimo museo di armi che Nakamoto Sensei si impegna a mantenere quasi in segreto.

Masahiro Nakamoto nasce il 15 gennaio 1938 nel cuore di Shuri, nello stesso luogo familiare nel quale oggi ha il suo Dojo Bunbukan, Nakamoto Sensei è un appassionato di Arti Marziali racconta:

Mi sono interessato alle storie dei bushi di Shuri fin dalla mia infanzia, vivendo e crescendo nell’antica capitale delle Ryu Kyu, ho dedicato più di mezzo secolo a studiare, indagare ed intervistare persone legate ai Maestri del Karate di Shurie del Kobudo, i bushi di Shuri hanno indagato sul Karate e sul Kobujutsu tra le mura del castello di Shuri , in quello che fu chiamato Bugeiza

Masahiro Nakamoto è discendente della prima figura di importanza vitale nel Karate e nel Kobudo di Okinawa, niente meno che Satunuke Sakugawa

Il suo albero genealogico è qualcosa di cui va orgoglioso, non tutti possono disporre del loro albero con i dettagli di cui dispone lui ma, nel suo caso, a causa dell’importanza dei suoi predecessori, il governo Okinawese lo possiede.

Masahiro Seicho da piccolissimo avrebbe conosciuto e ricevuto istruzione dal già anziano Kanga Sakugawa, il cui nome originale era Kanga Teruya.


Chi era Kanga Sakugawa

Costui nacque nel 1786. Il padre di Kanga morì a causa di un pestaggio e, nella sua agonia, fece promettere al figlio di non diventare mai una vittima

Per cui questi iniziò a studiare Arti Marziali con istruttori famosi, come il famoso cinese Kushanku.

Si dice che Sakugawa con o senza intenzioni spinse Kushanku, che quindi lo umiliò pubblicamente, anche se poi decise di insegnare a Sakugawa.

È stato Takahara che prima di morire chiese a Sakugawa di prendere il nome della sua Arte Marziale e così, a partire da allora Satunuke si fece chiamare To De Sakugawa.

Lavorò come scorta nel castello di Shuri e andò spesso in Cina con denaro delle tasse nonostante fosse spesso attaccato da pirati e banditi e dovesse applicare “la lotta notturna“ che gli aveva insegnato Kushanku, basata su percezioni, inganni e provocazioni acustiche…

Durante i più di 600 anni di commercio con la Cina, divenne necessario imparare non solo il Karate ma anche tecniche con armi per poter proteggere in modo adeguato dai pirati le vite e le barche cariche di tesori quando si attraversavano gli oceani. Il gran merito del sistema di Shuri è che il Karate e il Kobujutsu sono stati sviluppati insieme attraverso le esperienze marziali dei nostri antenati e, ancora oggi, sono trasmesse come una tradizione

All’avanzata età di 78 anni, Sakugawa indicò colui che sarebbe stato il pezzo chiave dello sviluppo dell’Arte Marziale a Okinawa:

Sokon Matsumura, che allora aveva 14 anni.

Kanga Sakugawa morì nel 1867

La sua tomba fu un regalo del suo Signore e fu posta nel bosco di Kochi

Come è tradizione, le ossa dei dei defunti a Okinawa si lavano una volta all’anno nei tre anni successivi alla morte in quello che viene denominato il giorno di Tanabata.

Nel luglio del 1976, la tomba dovette essere trasferita vicino a Shikina Enn, più tardi precisamente il 3 luglio 1993, la tomba fu aperta per la sua cura e ispezione in presenza di diversi familiari e discendenti.

Tra essi c’era Masahiro Nakamoto

La tomba era stata oggetto di furto da parte di tombaroli alla ricerca dei gioielli che a volte accompagnano i resti dei defunti.

Fortunatamente i resti di Sakugawa erano ancora li anche se le sue ossa erano state sparse sul coperchio dell’urna del terzo figlio di Kanga, morto prima.


L’11 novembre 1962 Nakamoto iniziò la sua carriera

L’11 novembre 1962 Nakamoto iniziò la sua carriera sotto la direzione del famoso Maestro di Kobudo Shinken Taira, imparando così da uno dei principali Maestri che l’isola abbia dato nella sua storia.

Otto anni dopo Nakamoto ricevette la licenza di istruttore di Kobudo.

Nel gennaio del 1971 Nakamoto aprì il suo Dojo

L’anno seguente e alla ricerca di maggiore istruzione, si recò da diversi Maestri che lo istruiscono sui sai, sul bo, allenandosi ad usarli con entrambe le mani.

Il primo febbraio 1973 Nakamoto iniziò ad imparare anche sotto la guida di Sensei Nakama, il quale era buono e gentile. Era tale la sua modestia che quasi nessuno sapeva che era un Maestro di Karate.

Nel 1983 Nakamoto fondò la Società Do Conservazione del Kobudo Tradizionale do Okinawa, per preservare quanto più possibile tutto il bagaglio culturale che il Kobudo rappresenta.

Nakamoto conosce molto bene i dettagli che accompagnano tutto ciò che si riferisce alle armi di Okinawa.

Il 27 ottobre 1984 Nakamoto Sensei organizzò la prima dimostrazione di arti marziali tra Cina e Okinawa come scambio culturale.

Nel 1985, patrocinato dal governo della Cina, studiò in quel paese arti marziali e pittura, un’altra delle sue passioni.

Nel marzo del 1986 si laureò alla scuola Yobu della Cina

Dopo la guerra, Sakumoto è stato il primo ad essere invitato dal Governo cinese per imparare sotto la sua guida i segreti dei Maestri di Fujian, non si era verificata una deferenza tale da quando lo fecero con Go Shiken, professore della Corte Reale.

Da allora la sua relazione con la Cina si mantiene e i suoi viaggi si ripetono, così le sue dimostrazioni di scambio.

Il 1° ottobre 1998 ottenne il 9° Dan grazie all’organizzazione di Karatedo Rengo Kai della prefettura di Okinawa.

L’11 luglio 1999 Nakamoto aprì il suo museo in una delle stanze del Bunbukan

Lì mostra cartelli esplicativi dello sviluppo del Kobudo e “nasconde“ nei suoi armadi numerose e varie armi, molte delle quali sconosciute in Occidente.

Senza dubbio una delle armi è il Bo l’arma per eccellenza dei contadini di Okinawa, dietro un semplice bastone c’è molta materia di studio,

Okinawa ha un clima subtropicale molto specifico, una temperatura di 22 gradi ed una climatologia peculiare essendo bagnata da tutte le parti dall’oceano. Ci sono anche molti tifoni, tanto che è chiamata la Ginza dei tifoni, quando si fabbrica il Bo si è sempre data molta importanza al legno utilizzato, che di solito è uno di questi alberi, palma, la quercia rossa giapponese o altri alberi sempreverdi, la palma apporta una gran flessibilità, ma rompendosi  colpendo, il suo punto di rottura rimarrebbe con un bordo affilato come se fosse una lancia,la quercia rossa è rugosa a grana fine. I legni migliori per il Bo si ottengono a Okinawa in autunno, il legno dell’autunno è massiccio e secca molto bene. Il 10 giugno 2006 è nominato 10° Dan dalla Federazione di Kobudo della prefettura di Okinawa, Nakamoto Sensei insegna abitualmente a marines americani a Camp Hansen, patrocinato dal Ministero Giapponese degli Affari Esteri, questo è il modo migliore con il quale gli stranieri di Okinawa si adattano alle differenze culturali e imparare le sue abitudini, il suo stile, le sue caratteristiche

Note


Kenei e Kenzo Mabuni: I fratelli del Shito Ryu

Senza dubbio Kenwa Mabuni fu ai suoi tempi uno dei principali Maestri di Karate, forse il migliore, tanto per la sua tecnica quanto per le sue conoscenze in questa Arte Marziale. I suoi due figli Kenei e Kenzo, al posto di sviluppare lo Shito Ryu del padre, hanno messo in scena uno dei più grandi equivoci della storia.

Chi era Kenwa Mabuni, il fondatore del Shito Ryu

Se pensiamo agli storici maestri del passato del Karate, senza dubbio bisogna considerare Kenwa Mabuni come uno dei principali, se non il più grande, il quanto Gran Maestro dei Grandi Maestri.

Anche se formato ad Okinawa dalla mano di Anko Itosu e Kanryo Higaonna, nel 1929 il Maestro Kenwa Mabuni si trasferisce con la sua famiglia ad Osaka, dove sviluppò il suo stile che si chiama prima semplicemente Mabuni Ryu, poi Hanko Ryu e più tardi e definitivamente Shito Ryu.

Nel 1939 Mabuni crea anche quella che cambia in principio Dai Nihon Karate do Kai e che dopo cambierà in Nippon Karatedo Kai, organizzazione che suo figlio minore Kenzo guiderà fino alla sua morte, al giorno d’oggi Tsukasa, la figlia di Kenzo mantiene il dojo che fu di suo padre e prima ancora di suo nonno Kenwa.

Invece la casa adiacente che apparteneva ai suoi antenati, adesso non appartiene più alla famiglia, lei vive nella vicina Sakai, fuori Osaka.

Dopo la morte del fondatore

Dopo la morte di Kenwa Mabuni, nel 1952, lo Shito Ryu non solo subì la divisioni che possiamo considerare anche logiche, da quello che si può vedere in tutte le scuole, ma avrebbe anche sofferto del confronto fra i due figli del fondatore, Kenei e Kenzo.

Infatti, a partire da allora iniziarono gradualmente a formarsi nuovi gruppi con a capo discepoli di Kenwa, nel 1955 si assistette all’allontanamento dei più importanti maestri, ma nel seno familiare iniziò la lotta di potere per la direzione della scuola.

La storia cominciò quando dopo la morte di Kenwa, la vedova Kame palesa la necessità di un successore familiare per lo Shito Ryu.

La Vedova Mabuni e la scelta di un erede

La moglie di Kenwa ebbe un notevole peso su suo marito, che sempre appoggiò e accompagnò.

Mabuni era solito colpire ripetutamente il makiwara del giardino tutte le mattine e se qualche giorno spuntava la pioggia, si allenava ugualmente, mentre la sua sposa lo copriva con un ombrello.

Lo Shito Ryu ha un grande patrimonio tecnico grazie a Mabuni, che Kame vuole preservare, lo stile dispone di più di 60 kata e molti sono stati creati da Mabuni, come nel caso di Yuroku, Shiho Kosokun ecc… compreso Myojo che fu il suo Kata privato e anche se significa “la stella del mattino”, “brillante” o anche “stella luminosa dell’alba”.

Sta di fatto che Mabuni gli mise questo nome in memoria dell’istituto dove insegnò difesa personale: Il Kata include le difese che insegnò in quell’istituto, si dice che negli ultimi anni di vita Mabuni aveva ultimato altri 4 Kata, presumibilmente chiamati Kenosha, Kuench, Kenki e Kenshu, ma senza aggiungerli ufficialmente allo stile.

La sua morte evitò definitivamente questa possibilità, quindi i suddetti Kata sono detti dal maestro Minubu Miki (allievo di Kenzo, con il quale il sottoscritto si è allenato per alcuni anni), come i Kata fantasma.

Un aiutante fece una domanda su questo tema ai Sensei di Kenzo, ma non sapevano nulla, il che lascia un po’ sconcertati, bisognava preservare i Kata di Bo JUtsu e di sai che i maestri Arakaki e Soeshi nel primo caso e Tawada nel secondo avevano trasmesso.

Kenei: la prima ipotesi di successore

In cerca di questo successore idoneo, Kame lo chiese prima a Kenei, come figlio maggiore.

Il padre aveva previsto il figlio Kenei come successore da prima della morte, ma al momento della verità non accetta al principio, forse per il fatto di non sentirsi all’altezza.

Oltre a ciò egli aveva smesso di allenarsi già da tanti anni, ed allora la madre fa la stessa offerta all’altro figlio che aveva iniziato i suoi allenamenti a 13 anni Kenzo. Quest’ultimo rispose che doveva pensarci.

Il fratello Kenzo e la scissione col fratello

Si dice che Kenzo mentre pensava all’offerta della madre, continuò la pratica del Karate temporaneamente con Ryusho, infine si ritirò a pensare all’offerta della madre e decise di accettarla.

Poco dopo capitò che anche suo fratello maggiore Kenei accettò tardivamente l’offerta della madre ed ecco che nacque un bel pasticcio!

Kenzo che si era già abituato all’idea, non vuole rinunciare al suo nuovo status

Sua madre Kame preferisce che sia il suo figlio maggiore Kenei il successore ufficiale e dato che Kenzo non vuole fare un passo indietro, da quel momento le loro vite si dividono creando entrambi differenti correnti.

Keni e Kenzo, due grandi maestri, tutti e due di massimo livello nello Shito Ryu, sono fratelli di sangue e tutti e due hanno vissuto la vita nella città di Osaka.

Tuttavia i loro modi differenti di elaborare gli insegnamenti trasmessi dal padre li hanno portati ad elaborare differenti tecniche ed opposte filosofie.

La morte di Kenzo

Kenzo morì nel 2005. I seguaci di Kenzo hanno sempre sostenuto che fosse lui il vero erede e successore del Karate tradizionale di suo padre.

Va considerato inoltre che suo fratello maggiore Kenei si era progressivamente allontanato dall’originale Shito Ryu, influenzato da un carattere più sportivo e più politico.

Che sia o meno così e dato che non si hanno abbastanza dati per prendere o meno la difesa di tale idea, la cosa certa è che dopo la morte di Kenzo nel 2005 importanti seguaci di questa linea si sono allontanati da essa senza rispettare la nuova direzione delle persone che vennero dopo.

È il caso ad esempio di Minobu Miki, stabilitosi a San Diego (Stati Uniti). L’organizzazione di Kenzo è conosciuta come Nippon Karate Do Kai.

Il confronto fra i due eredi

Sebbene negli Stati Uniti abbia tenuto abbastanza corsi, Kenzo non ha avuto nel resto del mondo una trascendenza così grande come il fratello, né esistono molti documenti storici su di lui.

Al contrario Kenei senza dubbio ha un passato ed un presente conosciuto più vincolato al Karate.

In ogni caso il principale obiettivo a Osaka è Kenei Mabuni, tenendo conto anche che è il figlio maggiore di Kenwa, che ha un maggior peso specifico nella storia recente dello Shito Ryu e che ormai suo fratello Kenzo è morto.

Note


Le 7 REGOLE del BUSHIDO (武士道) – VIRTÙ DEI SAMURAI

Pensare che tutto il mondo può essere l’avversario quando esci da casa, immaginare che molti avversari ti stanno aspettando, oggi è un atteggiamento ossessivo e preoccupante, ma ai tempi dei Samurai era più facile trovare i nemici a ogni piè sospinto.

Oggi non significa uscire di casa negativamente pensando ossessivamente che tutti sono nemici, la realtà di oggi è sicuramente peggiorata e i giornali e vari episodi ti fanno pensare che non posso andare in giro completamente spensierato o con la testa tra le nuvole.

L’agguato potrebbe essere, come si dice sempre, dietro l’angolo

Alcuni Samurai erano così attenti e vigili che si accorgevano della presenza di una persona che si nascondeva per attaccarli, alcuni percepivano l’energia negativa di colui che voleva ucciderlo, con questo intuito anticipavano l’avversario e salvavano la vita.

Oggigiorno non c’è questa preparazione e, anche se leggiamo tanti soprusi, non è così allarmante girare per le strade, ovviamente dipende dall’ora e dalle zone delle grandi città soprattutto.

Un allenamento comunque che ci permetta di essere qui e ora e concentrati su cosa succede intorno a noi, non è da sottovalutare.

Quando un uomo varca la porta di casa, si può trovare di fronte a un milione di nemici, potrebbe diventare noioso ripetere sempre lo stesso concetto, ma non dimentichiamo che i nemici non sempre sono visibili, tangibili, prevedibili, ci sono nemici interiori che sono subdoli, macchinosi, pazienti e silenziosi.

Per affrontarli bisogna essere pronti, allenati, concentrati, un allenamento costante, anche per chi pratica discipline da difesa è importante per sconfiggere il nemico più oscuro: LA PAURA.

Se non ci si abitua a essere attaccati, a sentire la spinta,lo strattone, le urla o quant’altro possa succedere durante un alterco, quando succederà rimarrà impietrito dalla paura, che blocca ogni movimento e che blocca anche l’adrenalina necessaria per superare l’aggressione.

Questo principio è riportato anche in un antico proverbio: ”Quando un uomo oltrepassa la soglia della propria abitazione ha di fronte sette nemici“ (dal punto di vista cristiano potrebbero essere: orgoglio, invidia, avidità, rabbia, pigrizia, ingordigia e lussuria).

I nemici non sono visibili, tangibili e facili da attaccare e distruggere, molti sono invisibili, nascosti e indifferenti alla nostra attenzione. Il 7 è un numero sacro.


LE 7 REGOLE DEL BUSHIDO – VIRTÙ DEI SAMURAI:

Gi -onestà e giustizia – una sola via:

Onestà nei rapporti con gli altri,credere nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da se stessi, il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia, vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Yu -eroico coraggio:

Elevarsi al di sopra delle masse che hanno paura di agire,nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere, un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ma significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso, l’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

Jin- compassione:

l’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte, è diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune.

Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.

Rei- gentile cortesia-comportamento etico morale:

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza, un samurai è gentile anche con i nemici senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale.

Il samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia, ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

Makoto o shin:

Completa sincerità: quando un samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’azione espressa.

Egli non ha bisogno né di “dare la parola“ né di promettere, parlare e agire sono la stessa cosa.

Meyo – onore:

Vi è solo un giudice dell’onore del samurai: lui stesso.

Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà, non puoi nasconderti da te stesso.

Chugi-dovere e lealtà:

Per il samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario, egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue.

Il samurai è immensamente leale verso coloro di cui è responsabile.


Il 7 ricorre nella nostra vita

  • 7 sono le note,
  • 7 sono i mari secondo l’antica suddivisione dei greci (Mar Egeo, Mar Nero, Mar di Marmara, Mar Ionio, Mar Rosso, Mar Tirreno, Mar Mediterraneo Orientale)
  •  7 le costellazioni (Alfa, Beta, Gamma, delta, Ipsilon, Zeta, Età)
  •  7 sono le virtù (3 teologali: fede, speranza, carità; e 4 cardinali: giustizia, temperanza, prudenza e fortezza)
  • 7 sono i peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia)
  • 7 sono i colori dell’arcobaleno (rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto)
  • 7  sono i colli di Roma (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale, Vicinale).
  • 7 è il numero del perdono (dovrai perdonare settanta volte sette)
  • 7 sono i cieli dell’antichità, ciascuno corrispondente ad un pianeta (Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno)
  • 7 sono i doni dello Spirito Santo nel cristianesimo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio)
  • 7 sono i sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di 7 trombe suonate da 7 angeli, quindi dai 7 portenti e infine dal versamento delle 7 coppe dell’ira di Dio (da Giovanni, Apocalisse).
  • 7 sono i chakra (Muladhara, Svadisthana, Manipura, Anatha, Vishudda, Anja Sahasrara).

Note


Lo Haragei (腹芸), il sesto senso di un combattente

Forse mi sto imbarcando in qualcosa di molto complesso, ma all’interno di questo articolo cercherò di essere il più chiaro possibile affinché alla fine possa capirci qualcosa anch’io rileggendolo!

Haragei” è un ampio studio del dominio della bioenergia a partire dal concetto del Ki (energia vitale), acquisito attraverso la respirazione

La respirazione alimenta tutti i nostri sensi, le nostre funzioni organiche, le cellule, gli organi ecc… È lei che ci mantiene vivi, respirare è la prima cosa che abbiamo fatto quando siamo venuti al mondo e sarà l’ultima che faremo, se i movimenti nascono da un semplice processo di inspirazione, allora, ecco qui un gran combustibile.

Alcune scuole del passato si caratterizzavano per il numero di respirazioni applicate agli esercizi, che facevano parte degli esercizi, i quali facevano parte del metodo di allenamento, alcune in quattro, altre in cinque, altre in tre, in un modo o nell’altro, ognuna aveva nel suo proposito quella tecnica come la più corretta e la più vitale per l’obiettivo finale.

Per i più studiosi e mistici, mi numeri possono modificare di molto l’essenza dei Ki assorbito, una volta adulterata questa energia attraverso l’Hara, naturalmente anche i suoi riflessi saranno diversi, questa ricerca fece in modo che si definissero i punti importanti di questo studio.

Respiriamo circa 20.000 volte al giorno.

In ogni respiro, assorbiamo circa 300ml di aria, ma i nostri polmoni sono stati progettati per molto di più, poiché la capacità polmonare di un adulto è di circa 4 litri, la nostra respirazione quotidiana muove appena il 10% della capacità dei nostri polmoni.

Così il nostro corpo e la nostra mente funzionano con una quantità di combustibile molto più piccola di quella di cui hanno bisogno e non potremmo mai esprimere pienamente il nostro potenziale e vivere una vita veramente sana se non incrementiamo il nostro assorbimento di ossigeno .

Con la pratica degli esercizi che lo Haragei ci offre, ampliamo la respirazione e rieduchiamo i muscoli e gli organi che intervengono in questo processo in modo che questo modello respiratorio si mantenga anche dopo aver concluso la pratica

Per i Maestri più antichi tutte le respirazioni corrispondono ad una certa energia inerente all’universo, quando (sono) fatte con la corrispondente contrazione durante l’inspirazione e l’espirazione, si può dire che i numeri pari rappresentano la porzione Yang dell’energia assorbita e quelli dispari la porzione Yin, quando si dice “secondo la contrazione”, è perché la stessa determina se ci sarà o meno l’inversione di queste porzioni dell’Hara, in un modo o nell’altro, nel linguaggio comune, respirazione è l’azione di inalare ed esalare aria attraverso le vie respiratorie.

Dal punto della fisiologia, respirazione è il processo attraverso il quale un organismo vivo scambia ossigeno e biossido di carbonio con l’ambiente, dal punto di vista della biochimica, respirazione cellulare è il processo di conversione delle catene chimiche di molecole ricche di energia che può essere usata nei processi vitali.

Se iniziamo a cercare attraverso la comprensione, vedremo che per capire l’Haragei la prima cosa è non cercare di capirlo, ma sentirlo

Secondo la prospettiva Orientale, comprenderemo il primo punto chiedendoci: che cosa rende possibile l’esistenza di questo sentimento? Dove si trova? Fuori o forse all’interno del nostro corpo? Se si trova nel nostro corpo, chi sente?

La carne, il sangue, le ossa,i nervi, le vene,i polmoni o il cuore?

Se ci pensiamo attentamente, ammetteremo che nessun membro né nessun organo rivendica la sua stessa esistenza dicendo “io“, così , la mente non può essere assimilata ad una parte dell’organismo.

Prendiamo l’esempio dell’occhio, l’occhio non proclama la sua stessa esistenza, non dice a se stesso “io esisto“ o “devo guardare l’esterno in un determinato modo“ L’occhio in se non ha nessuna volontà non sperimenta nessun sentimento, affetto o avversione, è la mente che ha il sentimento di esistere, che percepisce, giudica, si affeziona o respinge, lo stesso vale per l’udito e i suoni, le narici e gli odori, la lingua e i sapori, la pelle e i contatti, l’organo mentale e i fenomeni, non sono gli organi che percepiscono ma la mente.

Gli organi, incoscienti per natura, non sono la mente, sono come una casa  in cui si vive, gli abitanti sono ciò che chiamiamo coscienza:

  • Coscienza visiva;
  • Coscienza uditiva;
  • Coscienza olfattiva;
  • Coscienza gustativa;
  • Coscienza tattile;
  • Coscienza mentale.

Queste coscienze non esistono in modo autonomo, non sono altro che parte della mente, inoltre si può dire che il corpo è come una macchina e la mente il suo autista.

Quando la macchina è vuota, nonostante possegga tutte le attrezzature per circolare, il motore, le ruote, il carburante ecc… e si trovi in perfetto stato di funzionamento, non può andare da nessuna parte.

Allo stesso modo un corpo sprovvisto di mente, nonostante possegga la totalità degli organi, non è altro che un cadavere anche se ha occhi, orecchie, narici non può vedere, udire ed annusare.

L’Haragei ha a che vedere con il dominio… dominio di sé, del suo interno e dell’energia che da lui emana, vedendo le forme con tutto il corpo e la mente, ascoltando i suoni con tutto il corpo e la mente, è possibile comprenderlo intimamente.

Che importanza ha lo Haragei nei movimenti analizzati nei ruoli di Tori e Uke? Nella misura in cui evolviamo nell’allenamento e cominciamo ad effettuare le tecniche con più vigore, in linea generale iniziamo anche a rendere la vita difficile agli “ Uke “.

Per mia esperienza personale, un Uke proiettato con violenza, per effetto di una tecnica di torsione violenta, in futuro può arrivare a soffrire molti danni, se parliamo a livello di Haragei, si può dire che nell’Uke l’energia si aggrappa all’altezza dell’anca, lasciandola pesante e lenta, tutto inizia e finisce con la respirazione.

Nel caso di Uke, si consiglia che la respirazione resti nella parte superiore del corpo, in modo che il Ki circoli nelle regioni chudan e jodan, questo significa che le gambe devono restare leggere, come il riflesso emesso dalle anche alle regioni inferiori del corpo, soprattutto quando siamo stanchi, la tendenza naturale è che il nostro corpo si indebolisca e abbia la sensazione di peso e di fatica.

Possiamo immaginare cosa significa a questo per un Uke nel momento in cui subisce una torsione che lo proietta a terra con violenza, i danni alle mani e alle braccia possono essere gravi e compromettere la sua vita da atleta.

Durante la respirazione normale e tranquilla, il diaframma si contrae e si abbassa lentamente durante l’inalazione

Durante l’esalazione si alza lentamente contro la gravità, assistito in modo sinergico dalle proprietà di retrocessione del polmone e dai muscoli di espirazione del torace.

Le mobilità diaframmatiche nella respirazione tranquilla è di circa di 1 a 3 cm ed è responsabile dal 65 al 70 per cento della ventilazione polmonare, essendo i muscoli respiratori coloro che si fanno carico del restate 30 o 35 per cento, il pericolo sta nel fatto che molte volte Uke stabilisce come meta la costante elevazione della sua energia, cercando di irrorare di Ki il cervello e i polmoni per mezzo della respirazione.

Naturalmente, quando le anche sono pesanti, le condizioni sono diverse rispetto al suo stato normale, poiché l’energia accumulata in questa regione assorbe potenza il Ki inalato attraverso la respirazione, essendo il corpo pesante, è naturale che le gambe assorbano la compensazione di questo Ki che dovrebbe salire sino alla regione Jodan.

Questo scambio graduale continua fino a quando i muscoli respiratori e accessori del torace si fanno carico del 70 per cento dello sforzo respiratorio e il diaframma solo del 30 per cento, si crea un disturbo nel recupero dell’energia corporale.

Soprattutto in un momento di tensione, il risultato è un tipo di respirazione rapida e superficiale.

Insufficiente a causa della diminuzione del volume, cosa che genera la necessità di una maggiore quantità di aria.

Questa necessità di aria interrompe il ciclo respiratorio e diminuisce ancor di più la ventilazione, dato che l’inalazione ricomincia continuamente prima di completare l’esalazione.

La respirazione diventa discontinua e timorosa e l’individuo ansima costantemente per ottenerla, ma in questo modo non è possibile ottenere energia, per quanto riguarda il Tori, è un po’ difficile studiare qualsiasi tipo di influenza che si eserciti e le sue ripercussioni senza avere la specificazione di ciò che si vuole valutare e confrontare.

La condizione di un Dojo favorisce l’esperienza e ogni studio diventa interessante, ma prende vita nel campo sensoriale e pratico solo quando diventa anche empirico, poi, per una forma teorica di studio, abbiamo bisogno di un esempio, quale potrebbe essere?

Se parliamo di Kote Gaeshi, probabilmente il movimento più conosciuto e forse il più utilizzato nella scuole che studiano il principio di aiki, come renderlo efficiente con l’uso dell’Hara? La maggior parte delle scuole stabilisce come principio di mantenere il peso basso, ma cosa significa tenere il peso basso?

Che tipo di respirazione bisogna utilizzare?

Quando dico “che tipo di respirazione“ è perché tratterò un aspetto della fisiologia posturale dal punto di vista dell’Uke.

Se immaginiamo un Uke forte, con una base ben strutturata e che utilizza la certezza della volontà nell’attacco,naturalmente ci troveremo in una situazione nella quale siamo obbligati a relazionarci direttamente con l’energia del nemico, con l’effetto di mettere a rischio la nostra integrità.

Così sono diversi ragionamenti di guerra che cercano forme e metodi per stabilire una condizione di vantaggio sull’altro, tutti enfatizzano la buona posizione dell’Hara secondo la tecnica eseguita, ognuna in accordo con la scuola o lo stile che contribuisce alla formazione del praticante.

Tutti i movimenti in Kaeshi – che significa tornare, ritornare- determinano che il fondamento di questi si trovi nell’elemento terra, cioè la contrazione dell’Hara si realizza con il momento finale dell’esecuzione, in altre parole si può dire che inspiriamo con l’Hara rilassato ed espiriamo con l’ Hara in contrazione.

Quando ripeto che tale elemento è considerato essenziale per applicazioni in Kaeshi, mi riferisco alle applicazioni in situazioni di attacchi reali, poiché i maestri possono mostrare forme meravigliose nel corso di dimostrazioni ed in armonia con Tori, in queste ultime, sicuramente ci si potrebbe chiedere se forme in aria, fuoco o anche acqua potrebbero non essere efficienti dal punto di vista del Jutsu.

Ecco perché sotto la prospettiva della guerra, l’efficienza è in relazione alla capacità di distruzione e non soltanto con il fatto di mantenerci integri, il buon angolo delle gambe e la buona posizione dei piedi sul tatami, dove indubbiamente devono stare ben saldi, per mezzo delle dita, il grado di contrazione degli stessi, sarà determinante in base alla forma e alla subordinazione dell’Hara.

Nella teoria di KoteGaeshi, varie possibilità di applicazione che sarebbero corrette all’interno di ciò che è tradizionale

Possono essere comprese sotto l’aspetto storico quando sottoposto ad analisi del requisito dell’efficienza.

Certamente esistono alcune forme che contengono la particolarità di avere i loro meccanismi più contundenti e sono conosciute perché funzionano in modo più interessante di molte altre.

Una di queste consiste nel fare Ki tomeru (sottomettere il Ki) nel gomito in diagonale in relazione all’Hara, opposto in una forma discendente, cosa che polarizza il lato dell’Uke a partire dal quale l’attacco si è originato con le caratteristiche “Kaeshi“ e permette un’enfasi dell’ Hara da parte di chi lo applica.

Un’altra forma sarebbe Kuzure, variante, nella quale il ginocchio del Tori è portato a terra dalla forza dell’ Hara in diagonale, visto dall’esterno come un disegno radiale, in quest’ultima, tuttavia le spirali che costituiscono il movimento in vuoto composto, non potrebbero essere uguali.

Quello che non è concludente e lascia la soluzione tra entrambe le forme, è la caratteristica dell’Hara che rende il movimento pesante solo nelle articolazioni o nelle anche dell’Uke, queste conseguenze, d’altronde, si ottengono per mezzo dell’Haragei.

Spero di essere riuscito nell’intento della prefazione, cioè di essere stato chiaro, rileggendo l’articolo mi è sembrato di esserci riuscito, forse è un discorso prettamente per tecnici, ma spero che anche l’allievo riesca a capire l’importanza di ciò che è stato scritto perché sarà sicuramente un arricchimento del suo sapere!

Note


[PILLOLE DI STORIA] Antonio Segni, Ministro e Presidente italiano

Uomo politico, tra i padri della costituzione italiana e dello statuto speciale per la Sardegna, leader della Democrazia Cristiana. Fu svariate volte ministro ed infine Presidente della Repubblica Italiana dal 1962 al 1964.

Nacque a Sassari nel 1891 da nobile e ricca famiglia di forte fede cattolica.

Si laureò in giurisprudenza nel 1913. Da giovane militò nel Partito Popolare Italiano e intraprese la docenza universitaria di diritto processuale che da Perugia, nel 1920, l’avrebbe portato a Cagliari, Sassari ed infine, dal 1951, a Roma.

Nel 1943 fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana, di cui rappresentò l’ala conservatrice. Fece parte della consulta regionale sarda e dell’assemblea costituente.

Il futuro Ministro e Presidente venne eletto deputato nel 1948


Ricoprì importanti incarichi a livello ministeriale:

  • Sottosegretario per l’agricoltura e foreste nei governi Bonomi III, Parri, De Gasperi I, (anni 1944-1945);
  • Più volte Ministro dell’agricoltura e foreste e della pubblica istruzione nei governi De Gasperi e Pella, (anni 1946-1953);
  • Primo Ministro negli anni (1955-1957);
  • Vicepresidente del consiglio e Ministro della difesa nel II governo Fanfani (1958);
  • Premier prima e Ministro dell’interno poi negli anni 1959-1960;
  • Ministro degli esteri nel governo Tambroni e Fanfani III, (1960);
  • Ministro degli esteri nel IV governo Fanfani, (1962).
  • Presidente della Repubblica Italiana (1962-1964).

Dopo la carriera da Ministro fu Presidente della Repubblica Italiana

Fu Presidente della Repubblica Italiana dal maggio 1962 all’agosto 1964, quando si dimise per una sopraggiunta grave infermità.

Si devono a lui importanti provvedimenti in favore della Sila e della Puglia, nonché la legge di riforma agraria e molti provvedimenti in favore della Sardegna, tra questi l’istituzione della zona industriale di Porto Torres.

Antonio Segni fu anche uno dei costruttori dell’unità europea, per il quale impegno gli fu attribuito nel 1964 il Premio “Carlo Magno” della città di Aquisgrana. Morì a Roma nel 1972.

Note


[PILLOLE DI STORIA] Eleonora D’Arborea, juyghissa sarda

Giudicessa d’Arborea, condottiera e legislatrice. Eleonora può essere definita, senza ombra di dubbio, la più nota dei personaggi del medioevo sardo, e forse di tutta la storia sarda, in quanto sovrana estremamente determinata nella difesa dell’indipendenza dell’isola.

Eleonora nacque probabilmente nel 1340 dalle nozze di Mariano IV

Nacque probabilmente nel 1340 dalle nozze di Mariano IV, giudice d’Arborea, con la nobildonna Timbora, figlia di Dalmazio, visconte dei Roccabertì.

La ragion di stato sancì le sue nozze con Brancaleone Doria, rampollo di una delle più illustri famiglie genovesi. Dall’unione nacquero due figli, Federico e Mariano.

La prima volta in cui Eleonora poté dimostrare le sue doti politiche e la tempra coraggiosa, fu nel marzo del 1383. In quel occasione suo fratello, il giudice d’Arborea Ugone III, con l’unica figlia Benedetta, caddero vittime di una rivolta popolare, forse causata dall’atteggiamento dispotico del giudice nei confronti dei sudditi.

Dopo quei drammatici fatti, la Corona de Logu chiamò a regnare Federico Doria-Bas, figlio primogenito poco più che decenne di Eleonora e Brancaleone; ma, poiché Federico, secondo le consuetudini del giudicato d’Arborea, era troppo giovane per assumere la pienezza dei poteri, fu deciso di porre in sua vece alla guida del giudicato sua madre Eleonora, allora quarantatreenne.

La juyghissa Eleonora si dimostrò dotata di straordinaria abilità politica e di grande forza d’animo

La juyghissa (così Eleonora é indicata dai documenti dell’epoca) si dimostrò dotata di straordinaria abilità politica e di grande forza d’animo, punendo con fermezza gli uccisori del fratello e stroncando in questo modo sul nascere un movimento orientato a costituire Oristano in comune indipendente posto sotto la protezione di Genova.

Intrapresa la lotta contro gli aragonesi, si trovò nel 1383 di fronte ad una situazione drammatica: l’arresto del marito Brancaleone.

Egli si era recato in Spagna, presso il sovrano catalano-aragonese Pietro il Cerimonioso, nel duplice intento di risanare la grave crisi che affliggeva l’Isola e di ottenere una pace vantaggiosa.

Trasferito a Cagliari, fu recluso nella Torre di San Pancrazio, dalla quale tentò, inutilmente, una rocambolesca fuga; fu dunque rinchiuso nella Torre dell’Elefante.

Eleonora si impegnò subito nelle trattative di pace. Nonostante tutti gli sforzi, però, Brancaleone fu rilasciato solo nel 1390, in seguito alla pace di Sanluri.

La pace fu stipulata nel 1388 tra la giudicessa e il sovrano Giovanni il Cerimonioso.

Questa pace fu causa di grave malcontento presso le popolazioni sarde. Questo fu poiché tutte le terre conquistate precedentemente e legate da giuramento di fedeltà al Giudicato d’Arborea, furono sciolte dal giuramento e tornarono nelle mani del sovrano iberico.

Gli Arborensi, guidati ancora una volta da Eleonora, diedero il segno della riscossa nel 1391, riuscendo a riconquistare una buona parte dei territori.

Un’altra tappa degna di nota nella vita di Eleonora è il 1392

Un’altra tappa assolutamente degna di nota nella vita e nell’opera di Eleonora è il 1392. In quell’anno la sovrana si distinse come avveduta e dinamica legislatrice, promulgando la Carta de Logu.

La Carta de Logu fu una raccolta di leggi nel campo del diritto positivo e processuale, civile e penale.

Redatte in sardo arborense ed articolate in 198 capitoli, nel proemio la giudicessa, animata da devozione filiale, dichiara di aver ripreso e arricchito la Carta de Logu di suo padre Mariano IV «sa quali cum grandissimu provvedimentu fudi facta».

Il codice arborense è un documento importantissimo. Esso rivela la volontà della giudicessa di collocare le antiche tradizioni del suo popolo nella cornice di uno stato di diritto, con un risultato che per l’epoca trova pochi confronti a livello europeo.

Del codice resta allo stato attuale un manoscritto del 1400, custodito presso la biblioteca universitaria di Cagliari. La Carta de Logu restò in uso fino al 1827, anno in cui fu sostituito dal Codice Feliciano promulgato dal re piemontese Carlo Felice.

Quanto alla famosa giudicessa, le fonti narrano che morì intorno al 1402. Ella fu forse vittima della “morte nera”, la peste, male che in quegli anni, falciò un gran numero di vite umane in tutta l’Europa

Note