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[STORIA BUGIARDA] Medioevo, Lady Godiva e le piramidi

Continua la rubrica di Paolo Algisi dedicata ai luoghi comuni della storia più duri a morire

Le piramidi le costruirono gli schiavi



Questo è uno dei luoghi comuni sull’Antico Egitto più duri a morire.

Frotte di schiavi che sotto i colpi di frusta spingono i pesanti blocchi di pietra delle piramidi.

Invece le tombe dei faraoni furono edificate da operai salariati

La conferma viene dagli scavi archeologici nella piana di Ciza, che hanno portato alla luce le tombe dei manovali che 4.500 anni fa parteciparono alla costruzione delle piramidi di Cheope e Cefren.

Erano egizi e non schiavi (che in Egitto erano soltanto prigionieri di guerra stranieri)

I grandi progetti di interesse nazionale erano affidati alla popolazione locale

È appurato che i grandi progetti di interesse nazionale quali piramidi ma anche dighe, erano affidati alla popolazione locale, tenuta ad un periodo di lavoro obbligatorio in occasione delle piene del Nilo, quando i campi non erano coltivabili.

Lavorare per l’ultima dimora del faraone garantiva un ottimo vitto. Le famiglie più ricche inviavano ogni giorno 21 vitelli e 23 montoni ai cantieri, in cambio di sgravi fiscali.

Poteva però capitare che vettovaglie o salari arrivassero in ritardo. Allora gli operai secondo l’espressione egizia si “coricavano”, ovvero scioperavano

Secondo testimonianze, accadde varie volte.

Una delle più importanti descrizioni è in un papiro conservato al Museo Egizio di Torino, che riporta le proteste avvenute nel 29° anno di regno di Ramses III (intorno al 1180 a.C.).

Si tratta di un’epoca successiva alla costruzione delle piramidi, durante la quale, però, gli operai addetti alle tombe monumentali (per esempio nella valle dei Re) avevano a disposizione villaggi dove vivere comodamente, con tanto di scuole.

Come nacque allora la credenza?

La colpa fu degli storici greci, non riuscendo ad immaginare la costruzione di questi edifici senza l’impiego di masse di schiavi, ma anche della Bibbia, dove si dice che la schiavitù era diffusa in Egitto.

I cani San Bernardo portavano i barilotti col Brandy



Che i San Bernardo soccorrano le vittime delle valanghe con un goccetto d’alcol è un’invenzione dell’Ottocento.

l’immagine del cane con il barilotto del brandy al collo è nata infatti dalla fantasia del pittore naturalista inglese, tale Edwin Landseer.

Nel 1831 Landseer dipinse il quadro “Mastini delle Alpi che rianimano un viaggiatore in difficoltà”, nella tela uno dei due cani di San Bernardo (dal nome dell’allevamento sul passo svizzero del San Bernardo) porta al collo un barilotto da brandy.

Quell’iconografia fece il giro del mondo

In realtà questi animali, in origine con il nome di mastini delle Alpi o cani di Barry e impiegati come animali da trasporto, non hanno mai portato con sé alcol (che comunque non va mai dato in questi casi).

Le catacombe erano un luogo di culto



È una falsa credenza, così come quella che ritiene che fossero rifugio dei primi cristiani durante le persecuzioni, diventando le prime chiese.

In realtà erano le sepolture

Normali necropoli a colombario come quelle usate anche dai pagani.

Quelle dei cristiani di Roma erano per lo più lungo la Via Appia e con lo sviluppo delle comunità divennero più grandi e complesse, raggiungendo la profondità fino a 30 metri nel tufo.

Gli unici riti però che vi si celebravano erano quelli di sepoltura.

Nel medioevo si bruciavano le streghe



I dati raccolti dagli storici parlano chiaro, la caccia alle streghe, ossia la persecuzione delle donne sospettate di compiere sortilegi e di intrattenere rapporti con il diavolo, iniziò solo alla fine del Medioevo.

Intorno al 1430 e raggiunse il culmine nel 500-600, in pieno rinascimento, durante i conflitti di religione fra cattolici e protestanti.

Fu allora che vennero processate per stregoneria circa tre milioni di persone (80% donne) di cui circa 40 mila furono condannate a morte

Durante i “Secoli bui“, invece, l’inquisizione fu implacabile soprattutto contro gli eretici, che spesso finivano al rogo se non abiuravano.

Le persecuzioni avvenivano senza mostrare particolare interesse per le accuse di stregoneria e alcuni papi medioevali cercarono persino di difendere le donne accusate di provocare tempeste e malattie.

Dal tardo Quattrocento le cosiddette “streghe“, ossia donne a cui venivano attribuite capacità soprannaturali, finirono nel mirino

Dal momento che questi poteri spettavano solo a Dio, chi sapeva metterli in atto, sosteneva la chiesa, non poteva che averli appresi dal Diavolo.

L’accusa di alleanza con Satana fece a quel punto assimilare le streghe agli eretici (tra i quali gli aderenti alla Riforma di Lutero).

Del resto, il Malleus maleficanum (martello dei malefici), il testo scritto nel 1486 da due domenicani tedeschi e che divenne il manuale di riferimento per gli inquisitori, si apriva con la frase: «Sostenere che le streghe esistono è cattolico, negarlo è un’eresia»

Ad accanirsi contro le donne, però, non fu solo l’Inquisizione

I tribunali protestanti diedero un grande contributo alla carneficina.

A finire sul rogo erano donne accusate di malefici a base di intrugli magici (le herbarie), depositarie di antichi saperi erboristici e sciamanici e di adorare il demonio nel “sabba“.

Una diceria, questa, nata forse da riti pagani travisati dagli inviati del Papa.

La caccia continuò anche dopo il rinascimento, tra il Seicento ed il Settecento.

L’ultimo rogo di una strega avvenne in Baviera (Germania) nel 1756, in pieno Illuminismo.

Nell’anno mille dopo Cristo si aspettava la fine del mondo



Che la gente alla fine dell’anno mille fosse terrorizzata per l’imminente fine del mondo annunciata dall’Apocalisse è un mito nato tra il 500 e l’800.

È la celebre profezia “Mille e non più Mille“, attribuita a Gesù, è un’interpretazione tarda delle enigmatiche parole dell’Apocalisse, “Dopo Mille anni Satana sarà disciolto“.

Le fonti coeve non fanno menzione di alcuna psicosi tra il popolo (che peraltro seguiva diversi calendari).

I garibaldini vestivano sempre la camicia rossa



La “divisa” fu adottata nel 1843 da Garibaldi a Montevideo, in Uruguay, per la sua legione Italiana.

Ma quando i volontari garibaldini furono inquadrati nell’esercito piemontese, nel 1848, indossarono ben altra mise: tunica scura, pantaloni grigi con banda verde, cappello con tre piume su un lato.

Solo 150 dei garibaldini sbarcati a Marsala nel 1860 portavano la camicia rossa, gli altri erano vestiti come capitava.

Nei combattimenti gladiatori pollice verso significava morte



Le fonti latine riportano espressioni come: verso pollice o pollicem vertere (o convertere) per indicare la richiesta di morte, da parte del pubblico, di un gladiatore sconfitto.

Pollicem premere significava invece risparmiarlo, benché le stesse fonti non siano chiare circa i gesti corrispondenti.

La maggior parte degli studiosi ritiene che nel primo caso il pollice fosse all’insù, mentre nel secondo fosse chiuso nel pugno.

La nostra idea di pollice verso, perpetuata dai Kolossal cinematografici, risalirebbe al 1872, quando il pittore francese Jean-Lèon Gèròme dipinse il pubblico del Colosseo che chiede la morte di un gladiatore con il pollice rivolto all’ingiù.

I guerrieri vichinghi portavano corna sui loro elmi



È vero che Vichinghi usavano copricapi con le corna, ma non in battaglia.

Li indossavano per cerimonie e feste e in corni di animali bevevano idromele.

Ad usare corna sugli elmi erano invece i guerrieri celti

L’equivoco nacque nel seicento, quando alcuni pittori cominciarono a dipingere Germani in assetto da battaglia con elmi decorati con corna animali.

L’iconografia fu ripresa dagli artisti del Romanticismo finché, negli anni Venti dell’Ottocento, il pittore svedese Gustaf Malmstrom decorò anche gli elmi dei vichinghi con le corna.

Il successo degli elmi “cornuti“ fu decretato poi dal ciclo operistico di Richard Wagner ”l’anello del Nibelungo” in cui le valchirie, divinità guerriere della mitologia nordica, portavano corna di vacca attaccate agli elmi.

Da qui attinsero i libri per ragazzi, fumetti e film.

La svastica fu inventata dai nazisti



Il simbolo della croce uncinata (in sancrito svastika) risale alla preistoria, come simbolo del ciclo della vita e delle stagioni si trova su manufatti greci, della civiltà indo-iranica come pure di quella germanica.

Nell’antica Cina, invece, simboleggiava i punti cardinali

Nel buddismo divenne un talismano, mentre nel giainismo (una religione indiana) quattro bracci corrispondono al mondo dell’uomo, a quello degli Dei, a quello animale e a quello degli inferi.

Prima del nazismo, in Germania la adottarono i movimenti che si rifacevano all’ideologia nazionalista germanica

Hitler la riprese nel 1920 come effigie del partito nazionalsocialista e poi, con l’aggiunta dell’aquila imperiale ne fece il simbolo del Terzo Reich.

I crociati imponevano alle loro mogli la cintura di castità



A dimostrare che si tratta di due falsità storiche, sono una serie di analisi su diverse cinture di castità tradizionalmente attribuite all’XI – XIII secolo, si sono rivelate di epoca successiva.

Cavalieri medioevali che partivano per la lunga avventura delle crociate con in tasca la chiave della cintura di castità delle proprie mogli, di cui blindavano letteralmente l’illibatezza, oppure nobildonne che indossavano spontaneamente “cintole di Venere“ per evitare stupri e nascite di figli illegittimi.

Persino il British Museum di Londra che dal 1846 esponeva un “originale”, lo ritirò negli anni 90 dalle sue bacheche in quanto falso

La maggior parte di queste “cinture di castità” fu infatti realizzata nell’ottocento, quando si consolidò questa diceria sul Medioevo.

Molte sono in realtà apribili e riportano frasi oscene, lasciando pensare che si usassero per giochi erotici.

La crocifissione fu inventata dai romani

Le prime notizie di condanne al “palo” risalgono ai Sumeri (2000 a. C. circa).

I Greci nel V secolo a.C. Avevano l’ apotynpanismos (una condanna al palo con frantumazione delle ossa) e a Roma la pena si affermò solo intorno al 200 a.C.

La Gioconda fu trafugata da Napoleone

Napoleone trafugò molti capolavori italiani, ma non il quadro di Leonardo, che fu portato in Francia da Leonardo stesso, quando nel 1516 si trasferì alla corte di re Francesco I.

Nel Far West ci si sfidava a duello

L’immagine dei due pistoleri che si fronteggiano davanti al saloon è un mito cinematografico.

Le sparatorie nella frontiera americana erano molte, ma esiste un solo caso documentato di duello: il 21 luglio 1865 a Springfield (Missouri) il pistolero Bill Hickok uccise il rivale in amore Davis Tutt.

I campi di concentramento furono un’idea dei nazisti

Campi in cui rinchiudere civili su base etnica furono ideati dagli inglesi durante la Seconda guerra anglo-boera (1899-1902) in Sudafrica, e non dai nazisti

I britannici diedero fuoco ai raccolti e ai villaggi boeri (coloni di origine olandese), deportando vecchi, donne e fanciulli in campi dove morirono oltre 40 mila persone.

I britannici, a loro volta, secondo alcuni storici si sarebbero ispirati agli spagnoli, che avevano rinchiuso in campi gli indigeni di Cuba

Con la prima guerra mondiale in Francia si costruirono campi in cui furono rinchiuse migliaia di persone “colpevoli” di essere tedesche o austriache e negli anni 30 Stalin avviò in URSS deportazione di massa.

Ma furono i nazionalisti turchi, nel 1915-16, a organizzare la prima campagna sistematica: oltre 800 mila armeni morirono in quei campi di concentramento (molti in Siria).

Una politica di genocidio a cui Hitler si ispirò

Ai nazisti resta il triste primato dei campi di sterminio, il cui scopo, oltre al lavoro forzato, era l’uccisione programmata nelle camere a gas di ebrei, zingari, omosessuali e ritardati mentali.

I feudatari godevano dello “Ius primae noctis”

Il “diritto della prima notte” è passato alla storia come il diritto del feudatario di trascorrere con le mogli dei suoi servi della gleba la prima notte di nozze.

In realtà si trattava di una tassa (in denaro non in natura) chiesta dal signore in cambio del suo assenso al matrimonio.

Il mito moderno relativo all’epoca Medioevale si sviluppò a partire dall’Illuminismo, che ebbe una propensione a denigrare il Medioevo.

Filippide  annunciò la vittoria di Maratona

A narrare l’impresa dell’araldo Filippide (o Fidippide) che dopo la vittoria greca sui Persiani a Maratona, sarebbe corso ad Atene per dare la notizia, morendo subito dopo, fu lo scrittore greco Luciano di Samosada, cinque secoli dopo la battaglia.

Lo storico Erodoto, contemporaneamente ai fatti benché non sempre attendibile, raccontando della battaglia riferì solo di un Filippide che corse a chiedere aiuto agli spartani.

I pellerossa toglievano lo scalpo ai bianchi

Al contrario, furono i coloni europei, a fine 600, a diffondere nel Nord America questa pratica, le cui tracce archeologiche sono limitate alla preistoria.

Le autorità coloniali offrivano fino a 100 sterline per lo scalpo di un giovane indiano (la metà per quello di una donna).

La vergine di Norimberga era uno strumento di tortura

Un armadio metallico a vaga forma di donna che, una volta chiuso, trafigge la vittima con affilatissime lame.

I resti del corpo dilaniato vengono gettati, a Norimberga (Germania), nel fiume che scorre sotto la sede del tribunale.

aAccadeva in pieno Medioevo, secondo il filosofo tedesco Johann Siebenkees.

A sentir lui lo strumento di morte sarebbe stato usato per la prima volta il 14 agosto 1515 per punire un falsario

Peccato che la “Vergine di Norimberga” fosse solo frutto della sua fantasia e che tutti gli esemplari che fanno bella mostra di sé nei musei delle torture medioevali risalgano all’ottocento.

I pirati nascondevano il loro tesoro sottoterra

Di mappe del tesoro, di isole sperdute e di forzieri pieni zeppi di gioielli nascosti sottoterra, sono ricche le storie sui pirati.

Ma nella realtà i bottini dei predoni che infestarono i mari tra il 600 e 700 (l’età d’oro della pirateria) venivano spesi tra una scorribanda e l’altra e di tesori se ne vedevano ben pochi.

C’è però un’eccezione che conferma la regola

Nel 1699 il capitano William Kidd, il famigerato pirata scozzese, sotterrò il frutto delle sue rapine a Gardiners Island, vicino a New York, allora colonia inglese.

Gli costò la carriera. I preziosi recuperati divennero una prova schiacciante nel processo per atti di pirateria istruito contro di lui.

Kidd fu condannato a morte e giustiziato nel 1701.

Gli spartani gettavano i neonati deformi

L’archeologia ha dimostrato che i resti trovati ai piedi del monte Taigeto, presso Sparta erano di adulti

Si trattava forse di condannati alla precipitazione, pena prevista per reati politici anche ad Atene nel V secolo a.C.

Vero è invece che i piccoli spartani (come altri bimbi greci) erano esposti sui monti per fortificarli.

Lady Godiva andava in giro a cavallo completamente nuda

La leggenda è nata in epoca medioevale

Lady Godiva, alla metà dell’XI secolo, era la moglie di Leofric, conte di Mercia e signore di Coventry, in Gran Bretagna.

L’uomo opprimeva i sudditi con tasse esorbitanti e la nobildonna tentò di convincerlo a ridurle.

Alla fine Leofric accettò ma solo a patto che la consorte percorresse nuda a cavallo le strade di Coventry.

Lei non si tirò indietro e lo fece coperta solo dai suoi lunghi capelli, le tasse sparirono tranne quella sui cavalli.

Tutto (o quasi) inventato

Secondo gli storici, la diceria sarebbe un’eco di riti diffusi in Gran Bretagna, come quello della fertilità che consisteva nell’accompagnare su un asino una ragazza nuda.

Sarebbe vero, invece, che a Coventry, nel periodo storico di Lady Godiva, fossero tassati solo i cavalli.

Note


[STORIA BUGIARDA] Babbo Natale, Hitler e Napoleone

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NAPOLEONE FU DETTO “IL PICCOLO CAPORALE” PERCHÉ ERA BASSO”



Non era un gigante, ma non si poteva certo definire basso, secondo le fonti Napoleone era alto un metro e 69 centimetri, una statura di tutto rispetto negli anni in cui visse (1769- 1821) è nella media dei suoi tempi.

È noto infatti che l’ altezza delle popolazioni aumenta progressivamente da una generazione all’altra grazie alle migliori condizioni alimentari e igienico sanitarie, fino a raggiungere un livello stabile (com’è avvenuto per molti popoli occidentali, ma non per alcuni di quelli in via di sviluppo).

Perché allora Napoleone fu definito le petit caporal, cioè il piccolo caporale?

L’ipotesi degli storici è che si trattasse di un soprannome dovuto all’affetto e alla simpatia che i soldati nutrivano nei suoi confronti nonostante la giovane età e non alla statura.

CESARE MORENDO DISSE “TU QUOQUE, BRUTE, FILI MI“



Di sicuro non disse quelle parole, lo scrittore latino Svetonio (70-126) riferisce che morendo Cesare disse in greco “Kai su tectnon“ (anche tu figlio), perché quella era la lingua dell’elite romana.

Questa versione dei fatti però è messa in dubbio dallo stesso Svetonio, secondo il quale Cesare, in quel fatidico giorno delle idi di Marzo del 44 a.C.

Emise un solo gemito e non disse alcuna parola. La frase (tradotta in seguito in latino con l’aggiunta del nome Bruto) ebbe però fortuna, oltre allo sgomento di Cesare nel vedere Marco Giunio Bruto, suo pupillo, tra i congiurati, esprime il dramma universale del tradimento.

RASPUTIN FU EVIRATO



Il monaco russo Grigorij Efimovic Rasputin, eminenza grigia della zar Nicola II fu assassinato a San Pietroburgo il 19 dicembre 1916 in una congiura di nobili. Su moventi, mandanti e circostanze dell’omicidio non si è mai fatta del tutto chiarezza.

Probabilmente Rasputin venne avvelenato durante una cena ma non morì

Allora gli spararono al petto e alla schiena e fu gettato nella Mojka, uno dei canali della capitale. Il cadavere riemerse tre giorni dopo e l’autopsia dimostrò che il monaco fu gettato in acqua ancora vivo.

La tempra eccezionale, insieme alla statura e alla fama di donnaiolo, alimentarono dicerie sulla sua prestanza sessuale. Da qui nacque la leggenda dell’evirazione, sfregio simbolico al superdotato monaco, attribuita di volta in volta agli stessi assassini o a chi partecipò all’autopsia.

Nel 2004, al Museo dell’erotismo di San Pietroburgo, fu esposto uno smisurato “pene di Rasputin“, a detta del proprietario acquistato per 8 mila dollari in Francia, dove sarebbe giunto “al seguito“ di una dama di corte della zarina.

Inutile tentare riscontri autoptici o test del DNA, il cadavere di Rasputin fu dissepolto e bruciato durante la Rivoluzione Russa del 1917, mentre la documentazione dell’autopsia scomparve durante l’epoca staliniana.

BUFFALO BILL FU CHIAMATO COSÌ PERCHÉ UCCISE 5000 BUFALI IN 18 MESI



Diventò famoso per le sue imprese di caccia. William Frederik Cody uccise, secondo le fonti, 4280 animali in 18 mesi, quindi meno di 5000. E non erano neppure bufali: si trattava invece di bisonti, e la confusione nacque da un errore linguistico.

L’inglese buffalo infatti, si usava (e si usa ancora impropriamente) per indicare anche i bisonti.

I bufali d’altronde, animali tipicamente africani e asiatici, non esistono in America, dove Buffalo Bill fu assunto come cacciatore per procurare cibo agli operai che stavano costruendo le prime linee ferroviarie.

Fu allora che fu celebrato per l’impresa di caccia che gli diede il nome.

HITLER ERA TEDESCO



No, era austriaco, nacque a Braunau-am-inn, vicino a Linz, allora parte dell’impero austroungarico. Il 20 aprile 1889, a solo 24 anni, si spostò a Monaco di Baviera, fuggendo da Vienna, dove, rimasto orfano, si era trasferito.

Nell’agosto dell’anno dopo il Reich tedesco entrò nella Prima Guerra Mondiale, lui si arruolò come volontario nel 16° Battaglione di fanteria bavarese, iniziando poi la sua carriera politica.

Si dice che fosse vegetariano

Niente affatto. È vero invece che, a causa dello stato di salute precario e della sua ipocondria, intraprese numerose diete, nel corso delle quali si privò di alcol e carne, senza però divenire del tutto vegetariano.

Sembra sia stato il suo ministro della Propaganda a manipolare questa circostanza

l’obiettivo fu spingere l’opinione pubblica a considerare il Fuhrer più buono e farlo accettare meglio nell’alta società, in un’epoca in cui il vegetarianesimo era molto diffuso tra gli intellettuali e benestanti di mezza Europa.

NERONE SUONAVA LA LIRA MENTRE ROMA BRUCIAVA



Gli storici a questa leggenda non hanno mai dato credito, a diffonderla era stato, due secoli dopo il devastante incendio che nel 64 d.C. Aveva distrutto l’Urbe, lo storico Dione Cassio, inventandosi che Nerone era salito sul colle Palatino e aveva suonato la lira e cantato l’incendio di Troia. Diffamato.

Di Nerone si disse anche che fu addirittura il responsabile di quel rogo per far spazio alla Domus Aurea o, secondo altre versioni,per favorire il rinnovamento urbanistico della città.

Lo fecero soprattutto scrittori ostili alla sua politica, come Svetonio.

Tacito riferisce invece che Nerone, fuori città quando scoppiò l’incendio, accorse a Roma appena seppe la notizia, per coordinare i soccorsi e contenere i danni.

BABBO NATALE VESTE DI ROSSO DA SEMPRE



Prima degli anni 30 Babbo Natale era raffigurato più spesso come un elfo o uno gnomo vestito di verde o di blu.

C’era anche una versione marroncina disegnata nel 1862 dal vignettista Thomas Nast. Fu poiche la coca-cola nel 1931 consacrò la versione rossa di Babbo Natale, lanciato come testimonial della bevanda.

Lo fece grazie a un Santa Claus in bianco e rosso illustrato da Haddon Sundblom, disegnatore americano che si ispirò alla descrizione di Babbo Natale presente nel poema di Clement C. Moore.

Note


[STORIA BUGIARDA] D’Annunzio, Houdini e Dante Alighieri

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DANTE DI PROFESSIONE ERA UN POETA



Dante dedicò gran parte della sua vita a scrivere,ma la sua vera professione era un’altra: Quella di medico.

Lo provano le regolari iscrizioni, a partire dal 1295, all’arte dei medici e degli speziali e il fatto che indossasse spesso un vestito lungo rosso, si trattava del “lucco”, che rendeva ragione di una professione di un certo rango.

La sua scelta ebbe uno scopo preciso, a Firenze una legge obbligava chiunque volesse ricoprire cariche pubbliche ad immatricolarsi in una delle principali associazioni di professionisti, e Dante, per poter esercitare la sua grande passione per la politica, scelse la professione medica.

Ma Dante fece mai il medico?

Pare di si, a giudicare dalle fonti storiche, è certo che tra il 1285 e il 1287 frequentò Taddeo Alderotti, docente all’università di Bologna, figura di punta nell’ambiente medico del tempo, ma la vera prova è la familiarità con i termini medici che il poeta dimostra di avere nel suo capolavoro la Divina Commedia, soprattutto nell’inferno, che è anche un viaggio nel mondo del dolore fisico e della malattia.

Ecco qualche esempio, nel XXIX canto, descrivendo la pena a cui sono sottoposti i falsari, riporta con minuzia i sintomi della scabbia, i dannati, pieni di macchie, (dal capo al piè di schianze macolati) e in preda ad un forte prurito (del pizzicor, che non ha più soccorso), si grattano l’un l’altro, ma forse la descrizione più cruda è quella, nel XXVIII canto, del corpo squarciato di Maometto, con tanto di interiora in bella vista tra le gambe pendean le minugia (le budella) , la coratra (gli organi intorno al cuore) pareva e l’tristo sacco (lo stomaco) che merda fa di quel che si trangugia.

NOME DI BATTESIMO DI MOZART ERA AMADEUS



Quando nacque a Salisburgo, in Austria, il 27 gennaio 1756, fu battezzato Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart, ma allora perché oggi lo chiamiamo Wolfgang Amadeus  Mozart, e lui stesso si firmava così.

In famiglia era chiamato Wolfgang, ma presto cominciò a usare il suo terzo nome latinizzato, il greco Theophilus divenne (per seguire una moda diffusa) il latino Amadeus e, dal 1777 , il francese Amadè. Tutti nomi con lo stesso significato, come nell’italiano Amedeo “amato da dio”.

L’AMORE FRA ABELARDO ED ELOISA FU PLATONICO



La storia di Abelardo (chierico e professore di teologia, nato in Bretagna nel 1079) ed Eloisa, diventata celebre per il focoso epistolario amoroso che i due si scambiarono, iniziò che lei aveva appena 17 anni.

Lui l’avvicinò diventandone il precettore, ma ben presto, come scrive lo stesso Abelardo furono “più i baci che le spiegazioni” Dalla loro relazione clandestina nacque persino un figlio, che fu chiamato Astrolabio, seguì un matrimonio riparatore celebrato in gran segreto (per non intralciare la carriera di lui), ma i parenti di lei mal digerirono la faccenda e fecero evirare Abelardo e rinchiudere Eloisa e il figlio in convento.                        

ALBERTO DA GIUSSANO PARTECIPÒ ALLA BATTAGLIA DI LEGNANO



Niente affatto, anche perché Alberto da Giussano pare non sia mai esistito, si tratta, per la maggior parte degli storici, di un personaggio leggendario che sarebbe vissuto nel XII secolo, citato in opere letterarie scritte nel Tardo Medioevo.

Il nome appare per la prima volta in una cronaca storica dedicata alla città di Milano ( XIV) secolo, scritta per compiacere in toni eroici Galeazzo Visconti .

Qui si parlò di Alberto da Giussano come del cavaliere che si distinse nella Battaglia di Legnano (29 maggio 1176).

Da allora il personaggio è rimasto nell’immaginario collettivo  anche perché la battaglia è stata celebrata nel medioevo come esempio di vittoria di popolo contro l’invasore straniero, (al punto che Goffredo Mameli parla di Legnano nel nostro inno) .

Dal 1982 Alberto da Giussano ha conosciuto un’altra inaspettata fortuna, apparve infatti nel simbolo della Lega Lombarda e, dal 1989, in quello della Lega Nord.

HOUDINI MORÌ DURANTE UN SUO NUMERO



La morte del celebre illusionista Harry Hudini, nel 1926, non fu dovuta ai pericoli a cui si sottoponeva durante i suoi numeri (sotto quello in cui si liberava da una vasca d’acqua sigillata).

Fu invece colpa di uno studente appassionato di arti marziali che lo sfidò ad una prova di forza, colpendolo con un pugno al ventre senza dargli però il tempo di preparare i muscoli addominali.

Il giorno dopo Houdini accusò forti dolori, ma andò lo stesso in scena, pochi giorni dopo a Detroit al calare del sipario stramazzò al suolo con la febbre a 40.

La diagnosi fu peritonite, il colpo all’addome aveva forse contribuito a perforare l’appendice già infiammata. Operato d’urgenza Houdini morì il 31 ottobre 1926, a 56 anni.

DOPO L’ABIURA GALILEO AGGIUNSE SOTTOVOCE “EPPUR SI MUOVE”



Nel 1633 Galileo fu condannato dal tribunale dell’Inquisizione perché sosteneva che la terra ruotasse attorno al sole (e non il contrario), in procinto di recarsi a Roma per il processo, lo scienziato scrisse una lunga lettera all’amico Elia Donati definendo il libro in cui spiegava le sue teorie (il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo) “esecrando e più pernitioso per Santa Chiesa che le scritture di Lutero e Calvino“ Era quindi del tutto consapevole della gravità della situazione e del pericolo a cui lo esponevano le sue scoperte.

La storia ci racconta che Galileo non fu condannato a morte perché accettò di abiurare, cioè di disconoscere le sue intuizioni scientifiche e ristabilire la verità voluta dalla Chiesa.

Risulta però difficile credere che (come vuole la tradizione) in un clima di tale ostilità (che pochi anni prima aveva condotto al rogo il filosofo Giordano Bruno) Galileo si azzardasse a soggiungere, seppur sottovoce, la frase  “Eppur si muove”, riferendosi alla Terra, e infatti non andò così, questa ricostruzione fu inventata nel 1757 dal giornalista Giuseppe Baretto, che scrisse un’antologia in difesa della scienziato.

Fu lui a dipingere galileo più audace e temerario di quanto non fosse stato in realtà.

D’ANNUNZIO SI FECE TOGLIERE DUE COSTOLE?



Quella secondo cui il “Vate” si fece asportare due ossa del torace per praticare l’autofellatio è una diceria diffusissima e non solo tra i banchi di scuola, eppure è decisamente fantasiosa.

Intanto, l’idea dell’asportazione delle costole possa consentire l’autofellatio è priva di fondamento dal punto di vista medico.

E poi nessuna biografia di Gabriele D’Annunzio riporta questo dettaglio, è però facile capire perché la diceria ebbe fortuna, era molto credibile per un personaggio noto per l’intensa attività erotica e per l’esaltazione letteraria del piacere sessuale.

EINSTEIN ANDAVA MALE A SCUOLA



Diversamente da una diffusa leggenda (molto tenace perché paradossale) che lo dipinge come un pessimo studente, soprattutto in matematica. Albert Einstein ebbe invece un rendimento scolastico sempre buono.

È vero però che, in giovane età, il futuro scienziato si sentiva a disagio sui banchi per l’autoritarismo imperante anche nelle scuole tedesche e che i suoi atteggiamenti irritarono più di un professore.

Note


[STORIA BUGIARDA] La Terra Piatta, la lampadina e l’Indipendenza americana

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LA RIVOLUZIONE FRANCESE SCOPPIÒ CON LA PRESA DELLA BASTIGLIA



Per gli storici la Rivoluzione francese, che considerano come una lunga sequenza di avvenimenti durata quasi 10 anni, iniziò con la convocazione degli stati generali il 5 maggio 1789.

Fu allora che il terzo stato (la borghesia) si pose alla testa della rivolta contro il sistema feudale (l’Anciem règime), quanto all’insurrezione violenta di luglio, non cominciò con l’assalto alla Bastiglia.

L’assalto alla Bastiglia del 14 luglio 1789 fu solo uno dei tanti episodi di una rivolta che in Francia era già dilagante (soprattutto a causa della carestia e delle tasse), la capitale stessa da un paio di giorni era preda delle sommosse.

Dal 12 luglio si era insediato un comitato permanente rivoluzionario che si contrapponeva al governatore reale, l’attacco alla fortezza-prigione della Bastiglia, poi, ebbe all’inizio uno scopo pratico: impossessarsi delle polveri e delle armi della guarnigione.

Fu condotto a partire dal mattino da circa 900 rivoltosi, mentre nella città erano già state alzate le barricate.

Dopo il fallimento di una trattativa con il comandante della guarnigione di 114 uomini, Bernard-Renè de Launay, scoppiò una breve battaglia.

Verso le 5 del pomeriggio gli assedianti entrarono dal ponte levatoio, liberando i sette detenuti, la fortezza (eretta nel 1832, ma mai strategica) era stata trasformata in prigione dal cardinale Richelieu nel seicento.

Avendo avuto tra i suoi (mai numerosi) ospiti anche personaggi come l’ illuminista Voltaire, la propaganda rivoluzionaria fece di quell’assalto l’evento scatenante della rivolta e il 14 luglio divenne festa nazionale francese.


L’INDIPENDENZA AMERICANA FU FIRMATA IL 4 LUGLIO 1776



E’ un’errore, l’Independence day, la festa nazionale degli Stati Uniti che commemora l’adozione della Dichiarazione d’Indipendenza delle 13 colonie dalla Gran Bretagna celebra il 4 luglio 1776, ma andrebbe spostato al 2 agosto.

Fu questo infatti il giorno in cui la maggior parte dei delegati delle colonie sottoscrisse lo storico documento, reso pubblico il 4 luglio.

In verità fu accertato però solamente nel 1884, quando lo storico Mellon Chamberlain consultò i verbali manoscritti conservati negli archivi del Congresso, ma ormai la festa era entrata nella tradizione americana e si preferì non modificare quella data.

LE SABINE FURONO RAPITE DAI ROMANI



Al tempo della fondazione di Roma (Vlll secolo a.C.) Romani e Sabini vivevano fianco a fianco, i primi sul colle del Palatino, i secondi su quelli del Campidoglio e del Quirinale.

Originari di Alba Longa (Lazio), i romani erano arrivati lì senza mogli e per assicurarsi una discendenza rapirono le donne dei sabini (attirati con l’inganno di una grande festa).

Questo almeno dice la leggenda di quello che tutti chiamano “il ratto delle sabine”, leggenda appunto,che i romani e i sabini si siano mischiati è vero, come prova l’origine sabina di alcune parole latine come “bos” bue, scrofa, popina, (osteria).

Che abbiano fatto ricorso a un rapimento invece no, i due popoli si fusero pacificamente, tanto che il co-reggente di Romolo fu, per cinque anni, il sabino Tito Tazio.

A LITTLE BIGHORN I SOLDATI DI CUSTER MORIRONO TUTTI



L’epica sconfitta del 25 giugno 1876 subita dal 7° Cavalleggeri del tenente colonnello George Custer spazzò via l’intero reggimento.

Così narra il mito della battaglia svoltasi nei pressi del fiume Little Bighorn (Montana) contro una coalizione indiana agli ordini di Cavallo Pazzo e Toro Seduto, la verità è che non tutti morirono in quella battaglia,del gruppo di Custer sopravvisse il trombettiere-portaordini di origini italiane John Martini, che aveva lasciato la colonna del colonnello e gli squadroni agli ordini di Marcus Reno e Frederick Benteen in gran parte la scamparono.

Il reggimento contava 31 ufficiali, 586 soldati, 33 scout indiani e 20 civili: morirono 268 uomini.

EDISON INVENTÒ LA LAMPADINA



Alla lampadina ad incandescenza si solito si associa il nome dell’inventore americano Thomas Alva Edison (1847-1931).

Il piemontese Alessandro Cruto il 5 marzo 1880 accese la sua prima lampadina

Ma c’è un altro papà, oggi dimenticato, il piemontese Alessandro Cruto (1847-1908). Il 5 marzo 1880, nel laboratorio di fisica dell’Università di Torino, Cruto accese la sua prima lampadina grazie alla messa a punto di un filamento di sua invenzione e ignoto ad Edison.

La lampadina risultò molto più efficiente di quella realizzata appena 5 mesi prima da Edison (500 ore di durata contro le 40 del collega americano)

Chi è Alessandro Cruto?

Nato nel Piossasco, non lontano da Torino, Cruto fu avviato agli studi tecnico-industriali e fin da giovane iniziò a cimentarsi come inventore.

Nel suo laboratorio mise a punto tra l’altro un sistema di graduazione per i termometri. Nel 1879 si convertì agli studi sull’elettricità, allora pionieristici.

Nello stesso anno Cruto aveva assistito a Torino alla presentazione dei prototipi di Edison, che il fisico e ingegnere Galileo Ferraris aveva introdotto come una mera curiosità, dati i loro limiti funzionali.

Il problema era il filamento, che diventando incandescente per il passaggio della corrente elettrica si consumava troppo in fretta.

Cruto trovò pochi mesi dopo la soluzione, usò all’interno del bulbo di vetro filamenti di carbonio purissimo, ottenendo non solo una maggior durata,ma anche una luce più chiara.

Altri Italiani lavorarono alla lampadina

Alti Italiani lavorarono alla lampadina (oltre a numerosi stranieri) come Ferdinando Brusotti (1839-1899), che nel 1877 aveva brevettato una lampadina elettrica ad incandescenza ed Arturo Malignani che aumentò la durata fino a 800 ore.

VESPASIANO INVENTÒ I GABINETTI PUBBLICI



Le toilette pubbliche sono chiaramente vespasiani solo dall’Ottocento, in ricordo dell’imperatore romano che regnò dal 69 al 79 d.C.e al quale si attribuisce una tassa sull’urina, che veniva raccolta in vasi di terracotta lungo le vie.

All’epoca i fullones (tintori e lavandai) riciclavano le urine, da cui ricavavano l’ammoniaca per le loro lavorazioni, senza pagare nulla.

Criticato dal figlio Tito per quella trovata fiscale, l’imperatore avrebbe commentato “pecunia non olet” (il denaro non puzza).

LEONARDO È IL PADRE DELLA BICICLETTA



Questa diffusa credenza deriva dal fatto che su una pagina del Codice Atlantico compare il disegno di una bicicletta con tanto di pedali e catena.

In realtà la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che il disegno non appartiene alla mano del Maestro, né a quella di un suo allievo (si disse per esempio che potesse essere opera di Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì).

L’ipotesi più probabile è che sia stato aggiunto nell’800 o anche più tardi, quando la bicicletta era appena stata inventata

Il codice Atlantico, in effetti, nacque nel tardo 500 da un assemblaggio arbitrario da parte dello scultore Pompeo Leoni che aveva acquistato i codici originari da Francesco Melzi (allievo di Leonardo) e che li aveva riorganizzati, altri rimaneggiamenti si ebbero nei secoli successivi.

IL PRIMO A FARE IL GIRO DEL MONDO FU MAGELLANO



Il portoghese Ferdinando Magellano partì nel 1519 da Siviglia al comando di cinque velieri, con l’obiettivo di raggiungere le Molucche, nell’arcipelago indonesiano, allora note come le isole delle spezie.

Decise però che ci sarebbe arrivato navigando verso ovest invece che verso est circumnavigando l’Africa, come si usava allora.

Una volta superata la punta meridionale dell’America del Sud attraverso lo stretto che oggi porta il suo nome, riuscì a raggiungere le Filippine. Dimostrando la praticabilità della nuova rotta qui, il 27 aprile 1521, perse la vita durante uno scontro con gli indigeni.

Magellano dunque non completò la circumnavigazione del globo.

Fu il capitano basco Juan Sebastian Elcano

Fu il suo vice, il capitano basco Juan Sebastian Elcano, a prendere il comando della spedizione e a diventare il primo a compiere il giro del mondo, riportando in Spagna, nel 1522, i pochi sopravvissuti dell’equipaggio.

IL PRIMO A RAGGIUNGERE L’AMERICA FU COLOMBO



In realtà ci arrivò un vichingo, secoli prima, Leif Eriksson nel 992 sbarcò infatti in tre punti della costa canadese Helluland, Markland e Vinland (le attuali Baffin, Labrador e Terranova).

E prima di lui, nel 986, un altro vichingo, Bjarne Herjolfsson, aveva avvistato la costa americana, pur senza raggiungerla, negli anni 60 sono state trovate prove archeologiche di un insediamento vichingo databile al mille circa.

GALILEO INVENTÒ IL TELESCOPIO



Galileo Galilei (1564-1642) si limitò a perfezionarlo e fu il primo a puntarlo verso il cielo.

Fondando l’astronomia moderna, ma lo strumento fu inventato dal fabbricante di occhiali olandese Hans Lippershey, che nel 1608 chiese il brevetto per il “vetro prospettico olandese”.

FLEMING SCOPRÌ LA PENICILLINA



Nel 1928, osservando al microscopio una coltura contaminata da una muffa, Alexander Fleming (1881-1955) medico e biologo scozzese, si accorse che la crescita dei batteri si era fermata, ne dedusse che la muffa conteneva una sostanza antibatterica (la penicillina).

Già nel 1895 il medico napoletano Vincenzo Tiberio aveva notato gli effetti del fungo Penicillium

Questo gli valse il premio Nobel, ma già nel 1895 il medico napoletano Vincenzo Tiberio aveva notato gli effetti del fungo Penicillium sulle infezioni, pubblicando anche uno studio. Altrettanto ignorato fu il francese Ernest Duchesne, che si accorse del fenomeno nel 1897.

NEL MEDIOEVO SI CREDEVA CHE LA TERRA FOSSE PIATTA



La teoria della sfericità della Terra, avanzata da vari filosofi dell’antica Grecia, fu dimostrato intorno al 240 a.C. da Eratostene di Cirene, che calcolò con precisione il raggio terrestre.

Quella nozione arrivò intatta al mondo medioevale, come provano diversi trattati, e il falso mito che fino all’epoca dei grandi navigatori (XV secolo) si credesse alla Terra piatta si affermò solo nell’Ottocento.

Note


[STORIA BUGIARDA] I Magi, gli Apostoli e i “300” spartani

Continua la rubrica di Paolo Algisi dedicata ai luoghi comuni della storia più duri a morire

LE GUERRE PUNICHE FURONO TRE



Sui libri di scuola si legge che fra Roma e Cartagine il duello per la supremazia nel Mediterraneo si esaurì in tre guerre, dette puniche dal latino Poeni, nome con cui i romani chiamarono i Cartaginesi. Solo che non furono tre ma quattro.

Dopo un primo scontro, avvenuto per il controllo della Sicilia (264-241 a.C.) ci fu infatti una quasi dimenticata guerra-lampo, che ebbe come teatro i mari tra Sardegna e Corsica.

Nel 241 a.C. Cartagine era padrona della Sardegna e Corsica

Ma si trovò a fronteggiare le rivolte dei suoi mercenari in Africa, fomentate dai Romani. Roma, approfittandone, nel 238 a.C. inviò alcune sue legioni ad invadere Sardegna e Corsica.

I Cartaginesi furono colti di sorpresa e cedettero quasi subito, perdendo il controllo delle isole, che nel 227 a.C. divennero province romane.

I riottosi isolani ottennero l’aiuto segreto di Cartagine, ma con la Seconda Guerra Punica (che quindi in realtà fu la terza) combattuta fra il 218 e il 202 a.C., fu sancito il controllo romano, che portò alla distruzione di Cartagine al termine dell’ultima (quarta e non terza) guerra del 149-146 a. C.

GLI EROI DELLE TERMOPILI ERANO 300



Secondo la tradizione, tra il 19 e il 21 agosto del 480 a.C. al passo delle Termopili (Grecia Orientale) 300 spartani fermarono (o, a onor del vero, rallentarono solamente) l’avanzata dei Persiani invasori.

In realtà i soldati greci inviati alle Termopili furono fra i 5 e i 7 mila

È vero che, stando alle fonti del tempo, gli uomini del re spartano Leonida (la cui guardia contava 304 uomini oltre al sovrano e ai comandanti) rimasero isolati dal resto delle truppe alleate.

Ma, sempre secondo le fonti antiche, con loro c’erano anche 700 guerrieri della città di Tespie e 400 di Tebe (già conquistata dai Persiani).

I COMANDAMENTI DI MOSÉ SONO 10



Nella Bibbia le Tavole della legge ricevute da Mosè sul monte Sinai non hanno numerazione e non sono affatto un “decalogo“ (espressione peraltro introdotta nei testi soltanto nel lll secolo d.C.)

Si tratta infatti di numerosi e vari precetti, di cui quelli che sono poi diventati i 10 comandamenti sono i primi.

Non solo, esistono discordanze tra ebraismo e cristianesimo: per gli ebrei, per esempio, il primo comandamento è “Io sono il Signore Dio tuo“ (per i cristiani è “Non avrai altro Dio all’infuori di me“) e il nono e il decimo sono accorpati (mentre i cristiani distinguono tra “Non desiderare la donna d’altri“ e “Non desiderare la roba d’altri“)

GLI APOSTOLI ERANO 12



In totale furono 20, oltre ai canonici 12, il più noto è San Paolo, il cui titolo apostolico è confermato da varie fonti cristiane, Paolo definisce a sua volta apostoli: Timoteo e Silvano, Apollo, Andronico e Giuia.

Negli Atti, poi Barnaba è chiamato apostolo e, dopo il tradimento di Giuda, all’inizio degli stessi Atti, Pietro propone di sostituire Giuda con Giuseppe oppure con Mattia, prevalse quest’ultimo, per sorteggio promosso ad apostolo.

GLI ANTICHI RE DI ROMA FURONO 7



In realtà ce ne fu un ottavo, Tito Tazio, nato a Cures (oggi Fara in Sabina, 37 km a sud di Rieti), regnò per cinque anni e probabilmente in co-reggenza con il primo dei sette (Romolo).

Eppure fu un personaggio tutt’altro che secondario

Si tramanda che fu lui a urbanizzare il Colle per eccellenza, cioè il Quirinale, già residenza dei papi e oggi del presidente della Repubblica, perché quindi nessuno lo ricorda?

Quasi certamente non compare nelle liste tradizionali perché ricevette la corona solo in seguito al cosiddetto “ratto delle Sabine“ Per questo avrebbe soltanto affiancato il fondatore dell’Urbe.

LE REPUBBLICHE MARINARE ERANO 4



La semplificazione storica è stata rafforzata persino dalla marina italiana, che nello stemma dal 1941 ha, al centro del tricolore, i simboli delle “4 Repubbliche marinare“ Venezia, Genova, Amalfi e Pisa.

L’ equivoco ebbe origine nella storiografia dell’Ottocento che, in pieno fervore risorgimentale,esaltò queste quattro città (effettivamente molto potenti) come esempi italiani di indipendenza. Per gli storici di oggi, invece, furono repubbliche marinare molti altri comuni e signorie cittadine dedite al commercio marittimo, rette da governi repubblicani o da oligarchie, spesso di banchieri.

Tra i requisiti:

  • Possedere una propria valuta;
  • Avere proprie leggi marittime;
  • Possedere una flotta commerciale;
  • Possedere fondaci (magazzini) e rappresentanti diplomatici all’estero (ed esteri in patria).

Corrispondono in tutto o in parte alla descrizione Ancona, in competizione con la Repubblica di Venezia per i traffici nell’Adriatico, e la laziale Gaeta, in corsa per il controllo del Tirreno.

Va indicata inoltre La pugliese Trani, dove nel 1063 furono redatti gli Ordinamenta maris, tra i più antichi codici marinari.

Anche la piccola Noli, in Liguria, Ragusa (oggi in Croazia, ma nel medioevo Italiana), Sorrento e Capua.

I MAGI ERANO RE ED ERANO TRE



L’episodio dei Magi che giunsero da Gesù appena nato richiamati da una stella è raccontato in uno solo dei Vangeli canonici, quello di Matteo. Tuttavia la tradizione differisce molto da quello che è effettivamente raccontato dall’evangelista.

Da nessuna parte, infatti, Matteo scrisse che si trattava di re

I Magi o Maghi erano probabilmente sacerdoti del profeta Zoroastro, che interpretavano i sogni e studiavano gli astri e Matteo non scrisse neppure quanti fossero.

L’evangelista dice genericamente che «alcuni Magi giunsero da Oriente» e fu solo nel Vl secolo che si stabilì che fossero tre.

Nei secoli successivi furono loro assegnati anche dei nomi, che nella tradizione occidentale sono Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Ma ad esempio per la Chiesa etiope si chiamano Hor, Basanater e Karsudan.

I COLLI ROMANI ERANO 7         



Palatino, Aventino, Celio, Campidoglio, Viminale e Quirinale

Sarebbero questi i nomi tradizionali dei colli all’interno delle mura serviane (fatte erigere da Servio Tullio nel Vl secolo a.C.) su cui sarebbe nata la potenza di Roma.

Ma rileggendo le fonti del tempo i conti cambiano, di sette colli, pur senza nominarli, parlano scrittori come Cicerone, Virgilio, Orazio, Marziale, Properzio e Stazio, ma c’è chi mette il Gianicolo al posto del Campidoglio. Complicando la faccenda, testi successivi, del lV secolo d. C. escludono Aventino e Viminale, ma conteggiano Gianicolo e Vaticano.

Sommandoli tutti si deduce che i romani distinguevano una ventina di alture,da dove spuntarono allora i sette colli? Forse dalla cerimonia del Septimontium, nome che deriverebbe però da saepti, cioè recintati, e non dal numero sette.

I trecento “Giovani e forti“ della Spedizione di Sapri erano appunto 300



Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! […]

Luigi Mercantini, La spigolatrice di Sapri (1858)

Sono i versi della poesia risorgimentale di Luigi Mercantini, La Spigolatrice di Sapri, sull’impresa di Carlo Pisacane.

Ma ecco i fatti: Il 25 Giugno 1857 il rivoluzionario napoletano diede vita a una fallimentare impresa che avrebbe dovuto scatenare l’insurrezione del Meridione e finì invece in un massacro.

Pisacane (che inizialmente puntava alla Sicilia) sbarcò sull’isola di Ponza dopo aver dirottato un piroscafo.

Con lui c’erano 24 compagni, coi quali Pisacane assaltò il carcere dell’isola e liberò 333 detenuti, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Sbarcò poi sulla costa di Vibonati (Sa), quindi la poesia (scritta alla fine del 1857) approssimò sia il numero che il luogo (Vibonati è più a nord di Sapri).

Note


[STORIA BUGIARDA] L’Apocalisse, le corna di Satana ed Eva


Continua la rubrica di Paolo Algisi dedicata ai luoghi comuni della storia più duri a morire.

In questo capitolo tratteremo due fatti riguardanti Eva, uno dei protagonisti biblici della Creazione. Parleremo di Papa Pietro I, di Satana e dell’Apocalisse

EVA OFFRÌ AD ADAMO UNA MELA



Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò

(Genesi, 3:6)

La Bibbia racconta che Adamo ed Eva mangiarono il frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male contravvenendo alla proibizione di Dio.

Per questa ragione i due furono scacciati dall’Eden, perdendo i privilegi di cui godevano al momento della creazione.

La decisione di mordere questo frutto fu dunque il “peccato originale“ in conseguenza del quale Dio condannò per sempre l’uomo a un’esistenza difficile degradata dal punto di vista morale, fisico e spirituale.

Nel testo però non è specificato di quale frutto si trattasse

Molti commentatori hanno ritenuto che fosse un fico.

Questo anche perché, poche righe più avanti, la Bibbia riferisce che appena Adamo ed Eva “si accorsero di essere nudi, intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture“ (Genesi, 3:7).

Altri hanno ipotizzato che si trattasse di un grappolo d’uva, di un cedro o di un melograno.

L’identificazione dell’albero con un melo avvenne solo durante il Medioevo

Forse per via di un’assonanza presente nella lingua latina, in cui “malum“ è sia il male sia la mela, l’albero della conoscenza del male può essere diventato, per un errore di traduzione, un melo.

Una svista, o un’interpretazione, che poi ebbe molta fortuna, che coinvolse anche altre espressioni linguistiche: il “pomo d’Adamo“, ovvero la sporgenza della cartilagine nel collo frequente negli uomini dopo la pubertà, è detto così con riferimento al peccato reso possibile dalla maturità sessuale.

La scelta della mela fu aiutata dalla tradizione

La simbologia della mela è presente in molte altre culture.

Nei miti greci, dove una mela è il frutto che Paride dà in premio ad Afrodite designandola la più bella tra le Dee dell’Olimpo, ma anche nell’iconografia medioevale, dove accanto al melograno è simbolo di fertilità.

Dalla tradizione biblica la mela passò a sua volta fuori dall’ambito sacro

Fu una mela posta sulla testa del figlio quella che Guglielmo Tell, leggendario eroe svizzero, dovette colpire con una freccia, ed è con una mela che la strega cattiva avvelena Biancaneve nella favola dei fratelli Grimm.

Una continuità che arriva fino alla mela come simbolo di New York, ma anche della casa discografica fondata dai Beatles e dell’azienda informatica Apple: una mela morsicata, secondo alcuni simboli di conoscenza.

LA PRIMA DONNA FU EVA



Per i credenti la prima donna dell’umanità fu Eva.

Tuttavia nei versetti della Bibbia in cui si descrive la creazione dell’uomo (Genesi, 1: 27) si legge che “maschio e femmina li creò“ ma non si dice quale fu il nome della donna.

Che la moglie di Adamo si chiamasse Eva è detto più avanti (Genesi, 3: 20 e Genesi, 4: 1) e da questa lacuna nacque una tradizione ebraica secondo la quale prima di Eva ci fu un’altra donna: Lilith.

Nella Bibbia Lilith, ispirata forse ad una divinità mesopotamica, è citata una sola volta (nel libro di Isaia definita “civetta” Lilith in ebraico), ma la sua storia è raccontata in un testo cabalistico del Vlll-Xl secolo d. C.

Qui si narra che, dopo la creazione insieme ad Adamo, Lilith si rifiutò di sottomettersi al maschio e pronunciò il nome di Dio

Fu cacciata dall’Eden e fu costretta ad una vita errabonda.

Trasformandosi in demone, solo allora da una costola di Adamo (genesi 2 : 2) Dio creò Eva, devota e fedele.

Per alcuni la figura di Lilith rappresenta il passaggio dalle culture matriarcali a quelle patriarcali, simboleggiato dalla sua cacciata dall’Eden.

PIETRO FU IL PRIMO PAPA



Per diversi secoli dopo la morte di Gesù non ci fu un unico luogo che fungesse da “centro direttivo” della cristianità.

Altrettanto importanti del vescovo di Roma erano ad esempio, quelli di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.

Fu Leone l detto “Leone Magno” il primo a sostenere che il vescovo di Roma fosse superiore agli altri vescovi

Egli stilò inoltre la prima lista di pontefici che partiva appunto da Pietro, vissuto a Roma all’epoca di Nerone e crocifisso tra il 64 e il 68 d.C.

Niente lascia però supporre che Pietro avesse assunto la guida della prima comunità cristiana della città, già presente prima del suo arrivo.

Inoltre mai nei suoi scritti l’apostolo rivendicò un potere speciale sulla chiesa, né sostenne che la propria autorità sarebbe stata trasmessa ai successori.

SATANA HA LE CORNA



Il Satana biblico è un angelo che si contrappone a Dio, ma le corna sono un’attribuzione medioevale.

Quando per rappresentare il diavolo ci si ispirò a Pan, dio pagano della fertilità. Con zampe e corna caprine.



APOCALISSE VUOL DIRE CATASTROFE

Il greco “apokalygipsis” significa “rivelazione” e non catastrofe.

Il termine si diffuse intorno al ll secolo d.C. ed era originariamente riferito a un particolare genere letterario tipico degli scrittori giudaico-cristiani.

In quei libri si descrivevano visioni mistiche che rivelavano i segreti della fine del mondo.

Le immagini simbolo della fine dei tempi erano mostri, draghi, angeli che annunciavano il giudizio universale.

L’esempio più celebre è l’Apocalisse attribuita all’apostolo Giovanni

Chiamata così dai primi Padri della chiesa, da lì vengono le catastrofiche immagini di fiamme e distruzione che oggi definiamo appunto apoca

Note


FAO: Fame, è record storico. Oltre un miliardo di persone affamate

La fame nel mondo raggiunge un nuovo record: Per la prima volta nella storia umana, oltre un miliardo di persone in tutto il mondo risultano sottonutrite.

Lo rende noto la Fao, che ha rivisto al rialzo le stime per il 2009 sul numero di persone che soffrono la fame, indicando la cifra di 1,02 miliardi.

Tale cifra supera di oltre 100 milioni il livello dell’anno scorso e rappresenta circa un sesto della popolazione mondiale.

Questo aumento della fame a livello mondiale – spiega la Fao – non è la conseguenza di raccolti insoddisfacenti, ma della crisi economica mondiale che ha ridotto i redditi e aumentato la disoccupazione.

E anche nelle nazioni sviluppate la denutrizione è divenuta un problema crescente, riguardando 15 milioni di persone.

La fame nel mondo ha mostrato un trend di lenta ma continua crescita nell’ultimo decennio

Deb Haaland – Raccolta alimentare in Nuovo Messivo (2019)

La fame nel mondo – sottolinea l’agenzia delle Nazioni Unite – ha mostrato un trend di lenta ma continua crescita nell’ultimo decennio.

Quest’anno il numero di persone vittime della fame è previsto crescere globalmente dell’11%, secondo le stime della Fao basate su analisi del Dipartimento per l’Agricoltura degli Stati Uniti.

Quasi l’intera popolazione sotto-nutrita vive nei Paesi in via di sviluppo ma una fetta di 15 milioni riguarda i Paesi sviluppati.

In Asia e nel Pacifico circa 642 milioni di persone soffrono di denutrizione cronica; nell’Africa Sub-Sahariana 265 milioni; in America Latina e nei Caraibi 53 milioni; nel Vicino Oriente e nel Nord Africa 42 milioni.

La situazione di crisi economica di alcuni Paesi in via di sviluppo – nota la Fao – è anche aggravata dal fatto che i trasferimenti monetari (le rimesse) degli emigrati nei loro Paesi d’origine sono diminuiti sostanzialmente nel corso di quest’anno, causando una notevole riduzione delle riserve estere e dei redditi familiari.

La diminuzione delle rimesse, insieme al previsto declino degli aiuti ufficiali allo sviluppo, ridurrà ulteriormente la capacità dei Paesi di avere accesso al capitale necessario a sostenere la produzione e a creare reti di sicurezza e schemi di protezione sociale per i poveri.

Mentre i prezzi alimentari sui mercati internazionali sono diminuiti nel corso degli ultimi mesi, i prezzi interni nei Paesi in via di sviluppo sono scesi assai più lentamente e sono rimasti più alti in media del 24% alla fine del 2008 rispetto al 2006.

DIOUF, ADOPERARSI TUTTI CON URGENZA PER SRADICARLA

La Fao nota infine che i prezzi dei generi alimentari di base, sebbene siano diminuiti, restano ancora più alti del 24% rispetto al 2006, e del 33% rispetto al 2005.

“Questa silenziosa crisi alimentare costituisce un serio rischio per la pace e la sicurezza nel mondo. Abbiamo urgentemente bisogno di creare un largo consenso sul totale e rapido sradicamento della fame nel mondo, ed intraprendere le azioni necessarie ad ottenerlo”.

Lo afferma il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, commentando la stima dell’agenzia Onu di un livello record di oltre 1 mld di persone affamate nel 2009.

L’attuale situazione dell’insicurezza alimentare nel mondo non ci può lasciare indifferenti


“L’attuale situazione dell’insicurezza alimentare nel mondo non ci può lasciare indifferenti – aggiunge Diouf – Le nazioni povere devono essere dotate degli strumenti economici e politici necessari a stimolare la produzione e la produttività del loro settore agricolo”.

“Gli investimenti in agricoltura – conclude Diouf – devono aumentare, perché per la maggioranza dei Paesi poveri un settore agricolo in buone condizioni è essenziale per combattere i problemi della fame e della povertà, ed è un prerequisito indispensabile per la crescita economica generale”.

Note

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  • Grafica copertina ©RIPRODUZIONE RISERVATA
  • Fonte: ANSA
  • Articolo originariamente pubblicato nel 2009

Lo Yawara-Kubotan: La MILLENARIA arma da difesa buddista

Lo Yawara è un’arma millenaria che in origine fu uno strumento utilizzato nelle cerimonie religiose buddiste.

Il suo uso marziale venne sviluppato prendendo come riferimento IL Tanto-Jutsu, maneggiandolo senza sfoderare per non tagliare né produrre emorragie.

Questo piccolo cilindro, di circa quindici centimetri di lunghezza, è diventato un’arma efficacissima sia nella difesa personale civile, che nella difesa personale poliziesca

La sua fabbricazione in diversi materiali non rilevabili, leggeri ed estremamente solidi, lo hanno reso famoso tra le persone che desiderano portare con se un’arma dissuasiva che sia anche discreta, altamente efficace e, contemporaneamente facile da utilizzare, specialmente nel misurare l’intensità della violenza da applicare in caso di necessità, inoltre è generalmente un prodotto economico e di facile fabbricazione.

In legno, policarbonato, metallo, con punta arrotondata, appuntito o meno, le varietà possibili sono infinite, ma il suo utilizzo tattico è fortunatamente simile.

Lo Yawara è effettivamente versatile ed è proprio questa versatilità ed il suo intuitivo maneggio che, forse, hanno fatto si, che pochi stili abbiano sviluppato seriamente le possibilità implicite al momento di sfruttare tutto il suo potenziale, fortunatamente il nostro “Mondo Marziale“ è talmente ricco ed attivo che, sapendo cercare, si trova sempre l’esperto adeguato.

Questa piccola meraviglia è un accessorio, che più di una volta ci ha tirati fuori da una difficoltà inaspettata, ma parliamo dei suoi precedenti storici.

Le tecniche di combattimento del Kakushijutsu

Le antiche scuole di ju jitsu, Taijitsu e Yawara, contemplavano nei loro insegnamenti tecniche di Kakushijutsu (combattimento con armi nascoste), utilizzate per aumentare considerevolmente gli effetti degli Atemi o dei colpi e delle pressioni esercitate nei punti di pressione.

La sua denominazione generica giapponese è Yubi Bo ed essendo utilizzato principalmente nell’arte dello Yawara, assunse il nome dello stile stesso.

La scuola di Takenouchi Ryu utilizzava un’arma simile, benché più lunga (20 cm circa) che denominarono Koshi No Bo, conosciuta nelle altre scuole sotto la denominazione Kakushi Bo (bastone nascosto).

Normalmente erano fabbricati in legno, benché li utilizzassero anche in metallo con le estremità molto appuntite, che servivano per colpire nelle zone più vulnerabili gli avversari che indossavano armature leggere.

Le tecniche impiegate derivavano dal Tanto-Jutsu, con una peculiarità di maneggiare il Tanto coperto dal suo fodero, per non causare tagli o ferite mortali, poiché spesso i Samurai dovevano condurre i prigionieri preziosi senza provocare loro ferite gravi o mortali.

Cosa è lo Yubi Bo

Gli Yubi Bo hanno una corda inserita nella porzione centrale, che serve per legarli introducendo il dito medio e l’anulare, in modo che, chiudendo la mano, emergano le estremità da entrambi i lati, in questo modo, si può colpire in stoccata o a martello, la lunghezza della corda deve essere adeguata, poiché deve permettere allo Yawara di muoversi all’interno della mano per ottenere maggior forza.

La corda permette di colpire con la mano aperta, trasversalmente e perfino di eseguire delle prese ed esercitare pressioni sulle articolazioni.

La conoscenza e il maneggio di quest’arma venne ristretto alle succitate scuole fino a quando Frank Matsuyama giapponese nato a Miyakonojo nel 1886, emigrò negli Stati Uniti.

Dopo aver esercitato diversi mestieri, cominciò ad insegnare nel 1927 l’Arte dello Yawara che aveva imparato da suo padre insegnando a diversi corpi di polizia, si rese conto della necessità di un’arma pratica ed efficace che sostituisse il classico randello.

Matsuyama sviluppò nel 1948 lo Yawara – Stick

Sembra sensato dire che Matsuyama non inventò nulla di nuovo, bensì approfondì il maneggio e l’utilizzo dell’antico Yubi Bo.

In realtà possiamo parlare di una  “evoluzione simultanea“ nell’utilizzo di questo tipo di armi, alle quali sono stati dati altri nomi, a seconda delle diverse Arti Marziali e delle diverse provenienze.

Il Kubotan

Il celebre maestro di Karate Takayuki Kubota, nacque nell’isola giapponese di Kyushu ne 1934, cominciò a praticare Arti Marziali a quattro anni.

Karate, Judo e Keibo-Jutsu; nel suo apprendistato conobbe una moltitudine di stili e di Arti Marziali, il che gli conferì una versatilità ed un’efficacia straordinarie, cominciò ad insegnare ai poliziotti ed ai corpi di sicurezza in Giappone.

Nel 1964 in breve tempo divenne famoso negli Stati Uniti per la sua durezza e per la sua efficacia, insegnò Karate, Judo, Kendo e Gyokute-Jitsu a diversi corpi militari e di polizia.

Esperto nel maneggio del Tambo poliziesco e nel Thaio-Jutsu, nel 1970 sviluppò, partendo dallo Yawara, il Kubokan, che prese il suo cognome come denominazione, attualmente è cintura nera 10° Dan di Gosoku Ryu Karate.

La novità del Kubotan risiede nel suo utilizzo come portachiavi, dando la possibilità di utilizzare le chiavi come arma, benché, in sostanza, il Kubotan sia uno Yawara senza corda, in realtà, prima che il Maestro Kubota sviluppasse il Kubotan, esistevano già adattamenti dello Yubi Bo o Yawara senza corda, e le prove le troviamo in diverse pubblicazioni militari e manuali di utilizzo delle armi che mostrano oggetti simili.

Attualmente poche Arti Marziali utilizzano qualche tipo di bastone di piccole dimensioni, con o senza corda,nei loro insegnamenti, e in quelli che li usano, lo fanno solo a livelli avanzati.

Confrontando lo Yawara con il Kubotan

Quanto al Kubokan si sta diffondendo come arma di difesa a livello urbano e, specialmente nelle forze di sicurezza, se lo Yawara più utilizzato è quello di legno, i Kubokan si fabbricano di diversi materiali, come il Titanio, l’Alluminio o PVC, ed oltre alla forma cilindrica classica, si stanno usando anche con delle palline alle estremità, con fessure per le dita e perfino vuoti all’interno per alloggiare un piccolo deposito di gas urticante.

Confrontando lo Yawara con il Kubotan, le possibilità del primo sono maggiori, oltre alla sicurezza che deriva dal fatto di averlo legato con la corda, con il vantaggio che aprendo la mano non cadrà, come succede con il Kubokan.

Con lo Yawara la possibilità di tecniche è molto maggiore

Dal punto di vista tecnico con lo Yawara la possibilità di tecniche è molto maggiore, permettendo prese e pressioni con tutta la sua superficie, oltre alla possibilità di premere e colpire con la mano aperta e trasversalmente.

Il Kubotan, tuttavia, che tutte le sue tecniche possono realizzarsi con una penna, una matita, ecc…

Le possibilità dello Yawara al momento di colpire sono infinite, con il pugno chiuso , tutti i colpi di Karate sono possibili, sia quelle che si sferrano con le nocche e con il dorso,che i colpi a martello in qualsiasi angolazione e direzione o di stoccata a qualsiasi altezza o senso.

Anche i colpi di pugilato sono molto efficaci impugnando lo Yawara, ma è molto importante avere conoscenza dei punti vitali per trarre il maggior vantaggio dagli Atemi, bisogna anche dire che i colpi con le estremità dello Yawara sono dolorosi anche se non incidiamo su un punto vitale, nonostante ciò i punti più efficaci sono le tempie, il sopracciglio, il labbro superiore, il mento, le carotidi, la trachea, lo sterno, le costole, i genitali, e le grandi zone muscolari.

In conclusione tutto ciò che è difesa può essere effettuato senza limiti dallo Yawara.

Lussazioni e strangolamenti, spazzate e conduzioni, l’importante è non eccedere se non necessario ed avere la manualità necessaria per il suo utilizzo, essendo coscienti che stiamo stringendo in mano un nostro caro amico che mai ci tradirà!

Note


Nel karate ci sono PREGIUDIZI, lo sappiamo TUTTI

Quanti Sensei sono realmente qualificati per insegnare una disciplina così difficile?

I lottatori, fuori controllo, ripresero la lotta avventandosi uno sull’altro come in una lotta tra cane e gatto. Varie cinture nere e altri assistenti saltarono allora sul ring. Quando smisero di lottare, la gente che era salita sul ring tentò di attaccare un uomo con la pelle di colore differente, come se un’onda razzista fosse sul punto di esplodere nel Karate americano. Gli organizzatori del torneo a questo punto pensarono di tenere dei tornei separati per bianchi e neri, sperando che lo spirito del Bushido restituisca la saggezza agli atleti di Karate prima che degenerasse tutto nei tornei

La filosofia del Bushido finisce sempre per apparire in discussioni accademiche di questo tipo, l’ideale sarebbe che prevalesse sempre lo spirito del Bushido, così non ci sarebbero problemi, ma quanti Sensei sono realmente qualificati per insegnare una disciplina così difficile?

Quanti oggi possono dire oggi ai loro allievi “Seguitemi ,che io vi indicherò la strada“?

Il mio Maestro “Nakaashi” una volta mi ha detto I pregiudizi sono un atteggiamento della mente, la discriminazione è un’azione”.

Uno può apparire senza l’altro, i comitati e le commissioni possono formarsi per creare un codice di condotta che elimini il pregiudizio di fondo, ma c’è un solo modo per combattere i pregiudizi: un cambiamento di carattere, aiutato ed appoggiato dalla disciplina e dal rispetto.

I Maestri di una volta avevano la risposta. Per loro, nei loro insegnamenti era l’Etica: sapevano che la natura di un uomo non cambiava perchè si vestiva con abiti civili o con il gi.

Il cambiamento del carattere deve essere fatto dall’allenamento, un allenamento con una severa disciplina

La continua ripetizione e revisione delle basi, anno dopo anno, fu pensata per fare una selezione e lasciar fuori gli allievi troppo emotivi e impazienti.

Gli istruttori il cui comportamento si basa più sulla rottura che sulle promesse non dovrebbero parlare, nessuno può negare che l’atteggiamento degli allievi rifletta l’ambiente dei Dojo nel quale si allenano, ogni Dojo è unico, ognuno ha nel suo specifico ambiente la sua specifica personalità, un Dojo è il riflesso dei Sensei, dell’organizzazione e dell’ambiente.

Generalmente, un Dojo attrae e conserva gli allievi che si inseriscono nel suo ambiente

Se un Sensei segue una traiettoria deviata, i suoi allievi seguiranno la stessa traiettoria, c’era una vecchia storia che illustra questo punto:

Perché non cammini dritto figlio mio? Disse un vecchio granchio a suo figlio, devi imparare ad andare dritto!Insegnami come, padre, rispose il giovane granchio, e quando andrai dritto, proverò a seguirti.

Un’immagine vale più di mille parole e finché i Sensei di questo paese non agiscono seguendo questo principio, il Karate sarà come il vecchio granchio che non riuscì a rispondere al proprio figlio.


Era appena finita la guerra del Pacifico e l’occupazione del Giappone era in pieno svolgimento

Una sera, dopo aver visto un film, Arai andò a camminare a Isezaki-cho, la strada principale di Yokohama, da dove provenivano grida, voci, parolacce che ascoltava ed il suono di una rissa a Negishiva, nell’unico luogo aperto tutta la notte.

Quasi tutti i giapponesi che si trovavano per strada a quell’ora erano magnaccia, prostitute, ladri e delinquenti

Era appena finita la guerra del Pacifico e l’occupazione del Giappone era in pieno svolgimento, quasi tutti i giapponesi che si trovavano per strada a quell’ora erano magnaccia, prostitute, ladri e delinquenti, il resto erano uomini delle Forze Armate statunitensi e marinai della marina mercantile che, al crepuscolo, si riunivano nel Ne gishiya per prendersi un ultimo drink o farsi uno spuntino, in questo miscuglio così eterogeneo di gente, le risse notturne erano abituali e il Negishiva era il luogo adatto a questo.

Ci fermammo a guardare e la rissa finì in piazza, di fronte all’entrata, un marinaio della mercantile stava lottando con due soldati e un bullo, il marinaio non riusciva quasi a reggersi in piedi, un gancio sinistro nello stomaco lasciò uno sei soldati a terra e un uppercut destro lasciò l’altro stordito.

Quando stava andando dal bullo, una bottiglia che qualcuno lanciò dalla folla gli colpì alla testa e lo atterrò

La folla corse verso di lui, gli diedero calci violentissimi e, come lupi intorno ad una preda indifesa, riempirono l’ambiente di suoni spaventosi. All’improvviso, Arai si avventò sulla folla per aiutare l’uomo, emise un kiai come non si è più sentito da quella notte di novembre, il suo kiai fece tacere di colpo la folla assetata di sangue e restarono pietrificati, proprio allora apparve la Polizia Militare e, all’improvviso, la folla scomparve.

La mattina seguente, prima dell’alba, Arai andò nel cortile antistante la casa e iniziò a praticare kiaijutsu, il Sensei diceva sempre “Devi tirar fuori il tuo spirito attraverso il suono“ dopo la notte precedente Arai si rese conto che il Kiai che aveva emesso era un Kiai di stordimento, era un buon kiai che utilizzato in momenti chiave del combattimento poteva pietrificare l’avversario o paralizzarlo, doveva essere una vera e propria arma.

In genere il kiai emesso durante la pratica delle arti marziali è un semplice grido dalla gola, ma il vero si tira fuori in modo esplosivo dalla zona addominale, in coordinazione con il diaframma, la posizione della lingua è importante, le diverse posizioni della lingua danno luogo a diversi tipi di kiai.


Muso Gonnosuke affermava che aveva sconfitto in un combattimento l’incomparabile Miyamoto Musashi utilizzando un bastone

La sua affermazione era difficile da credere, poiché nessuno era riuscito a battere Miyamoto in un duello con la Katana, e tanto meno con un bastone, la storia inoltre raccontava che Miyamoto aveva vinto gli avversari in sei duelli a morte, per questo l’impresa di Gonnosuke doveva sembrare incredibile.

Secondo quanto si racconta, accadde una seconda volta, Miyamoto sconfisse Gonnosuke in un primo combattimento ma gli risparmiò la vita, la seconda volta, dopo aver studiato per tre anni come battere  Miyamoto, ci riuscì con un lungo Bo di più di un metro e lasciò che Miyamoto se ne andasse risparmiandogli anch’egli la vita, così come aveva fatto lui con la sua.

Arrivava perfino a dover rifiutare nuovi allievi, poiché il suo Dojo avrebbe potuto correre il rischio di crollare

Il contributo di Gonnosuke ai posteri comunque non è questo fatto rilevante solo nelle arti marziali, ma è stato anche il primo ad introdurre i principi nel mondo dello spettacolo delle arti marziali e le rese attrazioni per un pubblico desideroso di pagare per vederle, riuscì anche a fare del suo modo di vestire un altro spettacolo, si vestiva come un pavone reale e si pavoneggiava come tale, tutti i suoi movimenti erano calcolati, come si dice nel mondo dello spettacolo, nessun artista vale più di ciò che può ottenere al botteghino, la gente accorreva in massa per vederlo lottare e vedere come muoveva il suo corpo.

Arrivava perfino a dover rifiutare nuovi allievi, poiché il suo Dojo avrebbe potuto correre il rischio di crollare, Gonnosuke era inoltre un uomo d’affari sensato ed intelligente, con una mente fredda, non faceva quello che fanno oggi molti professionisti, far salire i prezzi alle stelle.

È un peccato che non si sia scritto molto su di lui, è probabile che i tradizionalisti abbiano detestato il suo lato professionale, ma in quel momento chi poteva prevedere eventi futuri che si sarebbero verificati 500 anni dopo?

Un buon Sensei deve trasformare il potenziale di un allievo in qualcosa di reale, ogni allievo può diventare potenzialmente un Maestro ed è il Sensei che si fa carico di motivare ed indirizzare l’allievo perchè questo possa scoprire se stesso. La motivazione del Sensei ha un effetto simile al processo che fa trasformare una crisalide in una bella farfalla


Narra un atleta

Narra un atleta: eravamo da tre giorni in un programma di allenamento estivo in montagna e si stava rivelando duro, ci restavano davanti sette giorni di un corso di dieci giorni, stavamo imparando allenamento di arti marziali e sopravvivenza in montagna.

Dovevamo adattarci per ottenere cibo da Madre Natura

Era difficile sopportare il rigoroso allenamento che aveva stabilito il professore e, inoltre, dovevamo imparare tecniche di sopravvivenza, dovevamo adattarci per ottenere cibo da Madre Natura, per me non era molto complicato, ma per un mio compagno Tanaka stava diventando molto dura.

Tanaka non era una persona molto comunicativa ma, ogni volta che apriva bocca, l’unica cosa di cui parlava era del buon cibo che c’era nel quartiere cinese di Yokohama “Non credo di essere un Samurai, ora che ci penso, i miei antenati erano agricoltori, una cosa è certa, dovevano avere sempre qualcosa da mangiare “ .

Tutti finimmo col perdere peso, a volte Sensei diceva: “Vi stanno diventando grandi i pantaloni? Ricordate che quanto più lunga è la cintura, tanto più corta sarà la vita“.

Un giorno, dopo aver imparato a catturare pesci nel fiume con un arpione, Tanaka mi disse “Sai ora che ci penso, non ho mai sentito parlare di un Samurai grasso, probabilmente l’obesità gli avrebbe impedito di fare movimenti e avrebbe diminuito la sua resistenza, sto imparando a valorizzare questa esperienza, sto iniziando a capire perché il Sensei ha incluso questo tipo di allenamento.“

L’ultima notte il Sensei di diresse verso di noi e disse: “In tutta la sua vita Miyamoto Musashi partecipò a 60 combattimenti, la maggior parte mortali, il suo primo combattimento fu a 13 anni e l’ultimo quasi a 30, in seguito non tornò più a lottare e morì sul tatami, da vecchio ed in pace“.

Decisamente, fu una delle figure più importanti del Giappone, tuttavia non riuscì a trovare un successore, mentre lo trovarono figure meno abili di lui, Miyamoto ha commesso lo stesso errore che commettono molti bravi Maestri, tentò di formare un allievo a sua immagine e somiglianza.


Un buon Sensei non è colui che forma un allievo come lui, ma colui che trasforma il potenziale del suo allievo in realtà

Io sono io e tu sei tu, quando arriva il tuo momento, dovrai trasformarti in te stesso, e il modo per farlo è insegnare le arti marziali come un’esperienza totale, non come un’arte specializzata.

Note


[SARDEGNA] La Bandiera dei Quattro Mori

Lo scudo con croce rossa accantonata da quattro mori bendati è il simbolo del popolo sardo

Studiosi di tutti i tempi si sono mossi in un intrico di leggenda e realtà storica, tra Sardegna e Spagna.

Tutti hanno cercato di ricostruire origini e significati, ma lo stemma dei quattro mori rimane ancora oggi sostanzialmente un mistero.

La tradizione iberica lo considerava la bandiera della Sardegna una creazione di Re Pietro I d’Aragona

Il fine fu la celebrazione della vittoria di Alcoraz (1096).

La vittoria sarebbe stata ottenuta anche grazie all’intervento di San Giorgio (campo bianco e croce rossa) e che avrebbe lasciato sul campo le quattro teste recise dei re arabi sconfitti.

Sulla tradizione iberica si innestò la tradizione sarda.

Questa, contro ogni evidenza storica, legava lo stemma al leggendario gonfalone dato da papa Benedetto II ai Pisani in aiuto dei Sardi.

I pisani furono mandati contro i crudeli saraceni di Museto che in quegli anni minacciavano di conquistare Sardegna e Italia (1017).

In realtà, la più antica attestazione dell’emblema della Sardegna risale al 1281 ed è costituita da un sigillo della cancelleria reale di Pietro il Grande d’Aragona

Ma fu soltanto nella seconda metà del XIV secolo che i quattro mori apparvero per la prima volta legati alla Sardegna.

Questo fu come simbolizzandone il Regno all’interno della confederazione della Corona d’Aragona (Stemmario di Gerle).

Importato dunque dai re aragonesi, il simbolo comparve nella Sardegna spagnola su opere a stampa, monete e sui gonfaloni dei corpi speciali dei Tercios de Cerdeña, istituiti da Carlo V per la difesa dell’isola e distintisi a Tunisi (1535) e Lepanto (1571) nelle operazioni contro i Turchi.

L’iconografia del simbolo fu quanto mai confusa e le teste dei mori furono rappresentate in vario modo: volte a destra e a sinistra o affrontate, scoperte, coronate, cinte da una benda sulla fronte

Bandiera del Regno di Sardegna (1324-1848)

Risale alla metà del Settecento l’iconografia destinata a perdurare, con le teste volte a sinistra e le bende calate sugli occhi.

Delle ragioni di quest’ultima innovazione, se dettate dal caso oppure più maliziosamente alludenti agli atteggiamenti (illiberali) del governo piemontese verso la popolazione isolana, non sapremo mai.

Lo stemma comparve nell’arma composita della dinastia piemontese su atti, monetazione di zecca sarda e bandiere dei miliziani


Successivamente ornò gli stendardi delle brigate combattenti sarde, tra queste la “Sassari”, divenuta leggendaria per le imprese eroiche sul fronte austriaco della Grande Guerra.

Nel 1952 lo scudo dei quattro mori diventava stemma ufficiale ed ornava il gonfalone della Regione Autonoma della Sardegna (DPR del 5 Luglio 1952).

Oggi i sardi hanno la loro bandiera.

I quattro mori però, memori dell’antico affronto piemontese, hanno voltato la testa e aperto gli occhi, non più fasciati dalla benda che torna a cingere la fronte.

Note

  • Foto di copertina File (Wikimedia Commons)
  • Grafica copertina ©RIPRODUZIONE RISERVATA
  • Fonte: www.regione.sardegna.it