Prima di affrontare questo argomento molto importante, (mi è costato mesi di ricerche ed elaborazioni per le mie tesi), è necessario parlare prima di una parte fondamentale dell’arto: la capsula.

Continuiamo il nostro articolo precedente.

Fondamentali di un arto: La capsula

Non si può parlare di spalla se non si descrive anatomicamente un’altra struttura anatomica fondamentale, la capsula articolare.

Questa struttura è formata da un manicotto fibroso che circonda tutta l’articolazione.

Esso è diviso convenzionalmente in una porzione anteriore ed una posteriore. Essendo estremamente flessibile, la capsula può subire retrazioni o lassità in base ad una genetica (prevalenza di fibre elastiche o collagene) sia in base al tipo di fisico (lasso, tonico, ecc..), all’età (fino all’età puberale c’è una tendenza alla lassità) alla funzionalità dell’arto superiore, al dolore, ed altro ancora.

La valutazione di tale struttura si esegue tramite il movimento passivo (meglio se eseguito in clinostatismo perché si riesce ad isolare in modo migliore il movimento gleno-omerale), appunto perché la capsula è una struttura passiva e quindi l’influenza delle forze muscolari o del movimento attivo contro gravità dell’arto potrebbero determinare l’insorgere di dolori secondari che, con ogni probabilità, svierebbero anche un bravo terapista dalla vera e propria natura della patologia.

Inoltre è necessario escludere le limitazioni di escursione che possono dipendere da un’insufficiente forza muscolare, evidenziabili in modo maggiore in ortostatismo.

Le retrazioni possono essere solo riferite ad una porzione o a tutta la capsula, nel caso avessimo una rigidità nell’anteposizione passiva dell’arto superiore, si tratterebbe di una retrazione della capsula anteriore.

Al contrario se avessimo una rigidità della rotazione interna passiva dell’omero, si tratterebbe di una retrazione della capsula posteriore.

Un’attenta valutazione permette di individuare quale struttura è responsabile dell’eventuale dolore ed agire in modo specifico evitando protocolli prestabiliti, infatti il presupposto fondamentale di un buon recupero è quello di esaminare il soggetto che si ha di fronte, personalizzando e tarando il programma al suo preciso quadro patologico.

Non bisogna dimenticare che la capsula è una struttura riccamente innervata

Una sua alterazione quindi provoca nel soggetto una sensazione di dolore intenso e difficile da sopportare.

Infatti, in presenza di retrazione, durante lo stiramento della capsula si manifesta un’allodinia, ossia una sensazione dolorosa dovuta ad uno stimolo che normalmente non provoca dolore.

Il soggetto, cioè, avverte dolore in un angolo di movimento fisiologico che normalmente non dovrebbe provocare dolore.

Tale sensazione dolorosa è il campanello d’allarme che ci deve far pensare ad una rigidità capsulare, altro fattore da tener presente per individuare una rigidità capsulare è l’irradiazione del dolore lungo tutto l’arto, dolore che può estendersi fino alla mano.

In una capsula rigida, oltre al dolore da stiramento, si vengono a creare anche degli importanti attriti interni che con il passare dl tempo potrebbero determinare una degenerazione delle strutture anatomiche, complicando così ulteriormente la situazione.

Parliamo ora della varietà vasta delle patologie che potrebbero interessare la spalla, per cui è fondamentale non generalizzare, ma identificare e “chiamare per nome” la specifica patologia.

Non è più possibile sentir parlare solo di “periartrite scapolo-omerale, perché è un termine troppo generico per identificare realmente il problema.

Se ci trovassimo di fronte ad un dolore addominale cercheremmo di capire quale organo ne è la causa, la stessa cosa deve essere fatta a livello della spalla

Si deve comprendere quale struttura dell’arto è più interessata alla patologia: i muscoli, la capsula, i tendini, le ossa ecc… Dopo di che bisogna dare un nome ben preciso a ciascuna patologia: infiammazione del sovraspinato, tendinopatia calcifica della cuffia, tendinite del CLB, artrosi gleno-omerale, lussazione gleno-omerale, lussazione  acromion-claveare, fino ad elencarle tutte.

Tra le numerose patologie della spalla, quella della cuffia dei rotatori è quella che riveste il maggior interesse nel mondo sportivo, un buon terapista deve però conoscere l’intero quadro patologico, per avere la possibilità di risolvere il problema in ogni momento e situazione.

A tale scopo, di seguito ed in breve descriverò le varie patologie della spalla che spesso si possono incontrare in soggetti che svolgono un’attività sportiva regolare e non solo.

TENDINOPATIA CALCIFICA

Tra tutte le patologie che si presentano di frequente a seguito di movimenti ripetitivi, la prima è la tendinopatia calcifica, ossia la presenza di calcificazioni a livello tendineo su uno o più tendini della cuffia dei rotatori.

Questa patologia si manifesta soprattutto i soggetti giovani che, spesso, non sono a conoscenza del problema reale.

Esistono diversi tipi di calcificazioni:

  • TIPO A: a margini netti e ben definiti;
  • TIPO B: a margini non definiti, ma situata in una posizione inserzionale;
  • TIPO C: eterogenea polilobata a limiti ben definiti;
  • TIPO D: calcificazione distrofica inserzionale.

La classificazione può assumere un aspetto diverso anche in base al tendine interessato, esistono infatti calcificazioni posizionate nel tendine del sovraspinoso, del sottoscapolare, del capo lungo del bicipite, più rare, del sottospinoso del piccolo rotondo, tutte con diverse particolarità.

Un’ulteriore classificazione si può effettuare in base alle dimensioni:

  • Piccole: (< 10 mm);
  • Medie : (da 10 a 20 mm);
  • Grandi : (> 20 mm).

Le calcificazioni sono come “leoni” che dormono nei tendini, ma quando si svegliano il dolore si manifesta in modo immediato ed intenso, tale da far correre il soggetto al pronto soccorso

Infatti, quando una persona accusa e descrive eventi dolorosi acuti ed invalidanti, della durata di circa sette giorni, si può pensare ad una calcificazione, questo periodo di particolare sofferenza è riferito alla fase acuta, in cui si crea una congestione (afflusso eccessivo ed improvviso di liquido e sangue) all’interno del tendine accompagnata da impotenza funzionale, dolore, calore e rossore.

Nelle fasi acute, quando è possibile, ci si dovrebbe rivolgere subito ad un chirurgo specializzato nelle patologie della spalla, perché sarebbe meglio effettuare un lavaggio bursale, asportando così i residui calcifici ancora prima che si compattino.

Questa procedura consiste nel lavare lo spazio sottoacromiale con fisiologica e nel cercare di decongestionare, asportando parte del calcio presente con due aghi (l’esame strumentale indispensabile per effettuare questa procedura è la radiografia).

Qualora non ci fosse la disponibilità di un chirurgo esperto, è necessario spiegare al paziente che si tratta di una fase transitoria e, dopo il dolore acuto, sarà importante verificare che la mobilità della spalla sia completa e, nel caso, recuperare l’eventuale deficit di forza che si è creato

Naturalmente in quest’ultimo caso la calcificazione rimane presente nel tendine e, anche se dopo la prima fase acuta il dolore diminuirà notevolmente o nelle migliori condizioni cesserà di esistere, si potrebbero presentare problemi continui con tendenza ad incrementare lo stato patologico.

Per effettuare un trattamento riabilitativo adeguato, è importante conoscere e valutare attraverso la radiografia, di quale calcificazione si tratta, la grandezza e in quale tendine è posizionata, una delle conseguenze più assidue in una tendinopatia calcifica è la rigidità capsulare (questa è una patologia molto problematica, che tratterò successivamente), per cui è opportuno lavorare in prevenzione, facendo eseguire esercizi per la mobilità.

Dopo il lavaggio articolare o nel periodo successivo ad una fase acuta, deve seguire un periodo di riabilitazione  che prevede il recupero della mobilità e della forza dell’arto.

Tale periodo si completerà con un’attenta valutazione del paziente e con l’individuazione di un programma di esercizi da eseguire a domicilio o in palestra, il trattamento dovrà essere differente da seconda della tipologia e della localizzazione anatomica della calcificazione.

In seguito descriverò i principi del corretto trattamento riabilitativo da applicare ad ogni situazione.

Note