Goffredo di Buglione è entrato nel mito come “il liberatore” (a suon di massacri) di Gerusalemme, ma il suo mito postumo è assai lontano dalla realtà

Egli è passato alla storia come “il capitano/ che il gran sepolcro liberò di Cristo “, il quale “ molto operò col senno e con la mano /molto soffrì nel doloroso acquisto“

Ma Torquato Tasso che scrisse questi versi nel Cinquecento, era più poeta che storico e quindi si concesse alcune licenze, appunto, poetiche.

Fra queste cosiddette licenze le principali da segnalare sono:

  • La prima: Goffredo di Buglione non era capitano ma Duca;
  • La seconda: a conquistare Gerusalemme non fu soltanto né principalmente lui;
  • La terza: l’acquisto fu sì doloroso, ma per i vinti, che vennero trucidati senza distinzione di sesso né di età.

Chi fu dunque, al di là delle leggende, il (presunto) super condottiero della prima crociata?

Iniziamo col dire che in realtà si chiamava Godefroy e che Buglione è una traduzione casereccia di Bouillon, cittadina del Lussemburgo (non lo stato attuale, bensì l’omonima provincia Belga) dove la famiglia del “capitano“ aveva un castello.

Lui però non nacque lì, ma quasi di sicuro a Baisy-Thy, frazioncina di Genappe, che è anch’essa in Belgio, ma nella regione del Bramante, più incerta del luogo di nascita e la data, per convenzione, si parla del 1060 circa.

Ma perché se era nato altrove, Godefroy è chiamato di Buglione?

Per rispondere occorre fare un passo indietro e dire due parole sulla famiglia materna del futuro crociato, che aveva un albero genealogico strapieno di Goffredi (il nostro era il quinto), un grande feudo in Lorena (Francia) e una salda devozione per l’impero, allora impegnato in quel duro braccio di ferro con il papato che va sotto il nome di “lotta per le investiture“, però suo zio Goffredo lV detto il gobbo aveva sposato Matilde di Canossa, supporter del papa.

Quel matrimonio politicamente spurio era finito malissimo

Prima lei aveva lasciato lui, poi lui aveva fatto oggetto lei di un cocciuto stalking, infine narra un antico cronista, Landolfo Seniore da Milano-lei aveva fatto uccidere lui “mentre stava seduto al cesso, infilandogli una spada nell’ano“

Ammazzato in quel modo atroce, il povero zio Goffredo fu trattato male anche da morto, perché l’imperatore Enrico lV, dimenticò dei servigi da lui ricevuti e, col pretesto che il defunto non aveva eredi, ne aveva confiscato il feudo.

Che Goffredo lV non avesse figli era vero

Matilde gli aveva dato solo una bambina, morta in tenerissima età, però lo sfortunato nobiluomo lorenese aveva indicato come suo successore un nipote minorenne, il nostro Godefroy.

Finì che l’imperatore, pur confermando le confische in Lorena, tacitò il giovane erede assegnandogli il titolo di conte (poi duca) e certe terre periferiche del feudo dello zio, tra cui appunto il Lussemburgo belga, Bouillon compresa, obbediente, Godefroy si stabilì lassù e diventò così “di Buglione“

Se le date convenzionali sono giuste, quando zio Goffredo morì (1076) il suo omonimo nipote aveva solo 16 anni e ne aveva 35 quando papa Urbano ll indisse la prima crociata

Era una chiamata alle armi rivolta a tutto il mondo cristiano, ma soprattutto ai francesi, che il pontefice blandiva ed incitava attribuendo loro “insigne gloria nelle armi, grandezza d’animo, agilità di membra“, Godefroy rispose subito all’appello, forse per ardore religioso, forse per opportunismo, forse per vendetta.

L’ipotesi più probabile comunque è la seconda, infatti la lotta per le investiture era ancora in atto, il papa era in netto vantaggio e la dinastia dei Goffredi, già militante nel fronte avverso, doveva rifarsi una verginità agli occhi del probabile futuro vincitore.

Più curiosa è però l’ipotesi numero tre, quella della vendetta

Ad accreditarla è il De liberatione civitatum Orientis, un libretto scritto da un crociato ligure, Caffaro da Caschifellone, il quale narra che Goffredo andò una prima volta a Gerusalemme coperto non con una corazza militare ma con un saio da pellegrino.

In data incerta fra il 1083 e il 1085, si imbarcò a Genova con tale Roberto, conte di Fiandra, su una nave Pomella, fece tappa in Egitto, poi sbarcò in Palestina e salì a piedi a Gerusalemme.

Tutto filò liscio fino all’ingresso del Santo Sepolcro, dove il custode (musulmano) gli chiese il “bisante“ (la tassa d’ingresso che tutti i cristiani pagavano) .

Ma Goffredo non aveva spiccioli “Perché il suo tesoriere che portava il denaro, si era allontanato“

L’intoppo degenerò in alterco, poi in contatto fisico: “Mentre Goffredo richiamava il tesoriere, uno dei guardiani della porta gli sferrò un gran pugno sul collo, il Duca incassò con pazienza l’insulto, ma pregò Dio che prima di morire gli concedesse di vendicare l’offesa con la spada”.

L’aneddoto è vero?

Sull’attendibilità di Caffaro si nutrono molti dubbi, certo è che una volta indetta la crociata il duca di Buillon si mise al lavoro di buona lena.

Diede in pegno al vescovo di Liegi il suo castello, vendette alcune tenute di quello di Verdun, taglieggiò i sudditi ebrei, coinvolse nella colletta altri nobili, poi con il ricavato arruolò un esercito robusto: 12 mila uomini secondo le stime più prudenti, 10 mila cavalieri e 70 mila fanti secondo le più generose.

Non era l’unica armata in partenza per Gerusalemme, ma la più numerosa sì.

I crociati di Godefroy partirono nell’agosto 109

Il loro capo aveva il physique du role, ”Un grande cavaliere dai capelli lunghi e dalla barba bionda“ lo descrive, sulla scorta di fonti musulmane, lo storico franco-libanese Amin Maalouf, autore del best-seller Le crociate viste dagli arabi .

Ma in realtà Goffredo era capo fino ad un certo punto

Al comando dell’armata c’era un un triumvirato formato da lui e dai suoi fratelli Eustachio e Baldovino.

Eustachio era una figura scialba, defilata che aspettava solo di tornare a casa, come un soldato a fine naja, gli altri,invece, si facevano notare, ma per motivi diversi.

I due fratelli presentavano un contrasto forte, ha scritto uno dei più famosi storici delle Crociate, l’inglese Steven Runciman

Baldovino era ancor più alto di Gofferdo, era scuro quanto l’altro era biondo, ma di carnagione molto chiara. Goffredo era gentile nei modi, Baldovino arrogante e freddo, Goffredo era di gusti semplici, Baldovino pur potendo sopportare privazioni, amava il lusso, Goffredo era casto, Baldovino indulgeva ai piaceri del sesso

Steven Runciman, A History of the Crusades: Volume 1, The First Crusade and the Foundation of the Kingdom of Jerusalem (Cambridge University Press 1951)

La colonna dei tre fratelli seguì per un tratto il Danubio, puntando poi su Costantinopoli

Quasi tutti i crociai raggiunsero la Terrasanta via Italia, con imbarco a Brindisi. Invece la colonna dei tre fratelli seguì per un tratto il Danubio, puntando poi su Costantinopoli.

La  scelta creò qualche problema con ungheresi e bizantini.

Cristianissimi entrambi, Colomanno, re d’Ungheria, per concedere il transito pose condizioni-capestro: “chiese che gli fosse dato in ostaggio Baldovino, fratello del capo con la moglie e la famiglia“ narra Alberto di Aquisgrana, un prelato coevo, autore di una Historia hierosolymitanae expeditionis.

Goffredo non fece una piega

Consegnò il fratello (recalcitrante) e attraversò l’Ungheria senza incidenti, gli andò peggio più avanti, nella Tracia Bizantina, dove in assenza di ostaggi il controllo della truppa sfuggì di mano ai capi della spedizione:

tutta quella terra” racconta il solito Alberto “fu data in preda ai pellegrini e ai soldati in arrivo, che per otto giorni vi fecero tappa e saccheggiarono tutta la regione“

Con questo prologo, ben si capisce che poi i rapporti tra Goffredo e l’imperatore bizantino Alessio non furono mai più cordiali.

Una volta arrivati a Costantinopoli, i crociati furono costretti ad accamparsi fuori città e Alessio intimò a Goffredo di giurargli fedeltà.

Il duca rifiutò, l’imperatore reagì tagliando i rifornimenti ai crociati

In breve tutto precipitò, il duca rifiutò, l’imperatore reagì tagliando i rifornimenti ai crociati e, mentre il prode Godefroy non sapeva più che pesci pigliare, suo fratello Baldovino risolse il problema a modo suo, facendo provviste a suon di rapine nei sobborghi della capitale.

Il braccio di ferro costò diversi morti e durò circa dal Natale 1096 alla Pasqua 1097, infine Goffredo cedette e si sottomise.

Poi a Costantinopoli giunsero altri crociati, imbarcati a Brindisi e lo scenario mutò radicalmente

Il vero capo della spedizione divenne Boemondo d’Altavilla, duca normanno-pugliese, che evitò inutili prove di forza con Alessio.

Anzi, gli promise che tutte le terre conquistate ai musulmani sarebbero state consegnate all’Impero.

Seguì il passaggio del Bosforo (26 aprile 1097) e la lenta calata verso sud-est attraverso l’Anatolia, dove finalmente i crociati smisero di far guerra ad altri cristiani e si scontrarono con i loro nemici naturali, i turchi.

La figuraccia politica che Goffredo aveva fatto a Costantinopoli non fu riscattata sul piano militare

Alla prima operazione di rilievo, l’ assedio di Nicea , il “Duca di Buglione“ si limitò a presidiare un tratto di mura, senza partecipare ai violenti scontri con un’armata turca giunta in aiuto agli assediati.

Il peso della battaglia gravò tutto su altri due comandanti, Roberto di Fiandra e Raimondo di Tolosa.

In quei giorni Goffredo sostenne da solo un duello con un nemico anomalo: Un orso

A narrare l’aneddoto è sempre Alberto di Aquisgrana.

L’orso assalì un pellegrino addetto alle salmerie, ma il duca “afferrata subito la spada e spronato con forza il cavallo” accorse in aiuto al poveretto, mise in fuga l’orribile fiera e la inseguì nei boschi.

Vistosi braccato, l’orso si fermò, abbatté il cavallo del duca, e poi, eretto sulle gambe posteriori, prese a unghiate il nostro eroe.

Benché ferito e atterrato, “dispiacendogli l’idea di morire di morte vile per opera di un animale sanguinario“ reagì e trafisse l’orso nel fianco destro.

Orsi a parte, le prime vere due battaglie che Goffredo sostenne furono nel 1098 ad Antiochia (oggi Antakya, nel sud della Turchia)

Una fu in attacco per prendere la città, l’altra in difesa, per respingere un contropiede nemico.

In entrambe i casi il primattore fu però il pugliese Boemondo, che secondo Caffaro di Caschifellone “Uccise tutti i turchi assassini e li mandò così a patire le pene dell’inferno insieme a Maometto“.

Stavolta anche Goffredo combatteva sul camp, ma come (relativo) comprimario, dirigeva tre schiere di fanti su sette.

Solo il 7 giugno 1099 il Duca di Buglione arrivò in vista di Gerusalemme

Meta prefissata della spedizione da lui fortemente voluta e meno saldamente guidata.

Schierò i suoi uomini all’angolo nord-ovest della città, mentre gli altri comandanti occupavano i lati nord, sud e ovest. Il lato est rimase libero per carenza di truppe.

Un primo assalto alla città scattò il 12 giugno, preceduto da un pellegrinaggio al Gestsemani, l’Orto degli ulivi dove per i Vangeli era iniziata la passione di Gesù.

Ma nonostante le preghiere nell’Orto, l’attacco si risolse in un flop.

A salvare la situazione furono un’eclissi di Luna, l’apparizione di un morto e l’arrivo nel porto di Giaffa di due navi genovesi.

L’eclissi fu interpretata come un segnale premonitore della prossima fine della mezzaluna musulmana, il morto si chiamava Ademaro di Monteil, era un vescovo francese bellicoso e carismatico, che aveva guidato un contingente crociato fino ad Antiochia, dove poi era morto di tifo.

Ebbene il 6 luglio un prete, tale Pietro Desiderio, disse di aver visto il fantasma di Aldemaro, che incitava ad un nuovo attacco.

La notizia risollevò il morale delle truppe, ma un effetto ancor più positivo ebbe l’arrivo delle navi genovesi, che furono subito smontate e trasferite a pezzi sotto le mura di Gerusalemme.

Il legname ricavato servì per costruire due torri mobili (una per Raimondo, una per Goffredo), da usare nell’assalto finale, che iniziò la notte sul 14 luglio con un finto attacco diversivo nel settore nord-ovest ( quello di Goffredo), e due attacchi veri altrove.

L’obiettivo principale era riempire il fossato per consentire alle torre mobili di accostarsi alle mura

L’operazione riuscì per prima lasera del 14, alla torre di Raimondo, che però finì bruciata.

Quella di Goffredo arrivò la mattina del 15 e quando i crociati cominciarono a scavalcare le mura, i primi a salire furono due cavalieri fiamminghi che i libri di storia hanno dimenticato: Litoldo e Giberto di Turnai.

Il duca di Bouillon fu tra i primi a seguirli, ma si fermò sugli spalti, lasciando che a guidare l’occupazione della città fosse un ardito nipote di Boemondo: Tancredi d’Altavilla, futuro principe di Galilea, all’epoca 27enne.

Seguirono giorni da incubo “la popolazione della Città Santa“ scrisse lo storico curdo Ibn al-Athir “fu passata a fil di spada e i franchi massacrarono i musulmani per una settimana“.

La liberazione diventò una Kermesse di macellai, che oscurò per ferocia altre barbarie precedenti

Quando non ci fu più nulla da predare e nessuno da ammazzare, i crociati si posero il problema di dare a Gerusalemme un re cristiano.

Ma i candidati non erano molti, Ademaro, vescovo carismatico, che avrebbe potuto governare in nome del papa, era morto.

Boemondo, vero capo della crociata, si era già sistemato come principe di Antiochia: idem per Baldovino, autoproclamatosi conte di Edessa: Eustachio aveva già pronti i bagagli per tornare a casa: Roberto di Fiandra pure.

Restarono in lizza solo due “papabili“, Raimondo di Tolosa e Goffredo

Il primo però rifiutò, così quel finto capo, grande organizzatore ma cattivo politico e mediocre soldato, divenne sovrano di Gerusalemme, anche se in un sussulto di decenza rifiutò il titolo di Re e scelse quello di difensore del Santo Sepolcro.

Governò un anno, poi si spense e il Regno di Gerusalemme passò a suo fratello Baldovino, come era scritto dal destino.

Note

Bibliografia

  • Le Crociate viste dagli Arabi (Les Croisades vues par les Arabes, 1983), trad. di Z. Moshiri Coppo, Torino, Società Editrice Internazionale, 1989, ISBN 978-88-050-5050-5
  • A History of the Crusades: Volume 1, The First Crusade and the Foundation of the Kingdom of Jerusalem (Cambridge University Press 1951)
  • Alberto di Aquisgrana, Historia Hierosolymitanæ Expeditionis, XII secolo
  • Ali Ibn al-Athir, al-Kāmil fī l-taʾrīkh (“La Storia Completa”, in arabo: الكامل في التاريخ ), 1231 d.C. circa