Gli studi psicologici clinico-dinamici sull’aggressività trattano l’argomento attraverso un atteggiamento ermeneutico e facendo uso dell’interpretazione.

In questo caso la tradizione è più portata ad indagare le cause interne-psicologiche che spingono all’azione biliosa che prescindono dal contesto.

In psicologia gli autori che hanno affrontato in modo più o meno approfondito l’aggressività sono tanti, questo sembra sia dovuto a due aspetti della tradizione psicologica di ricerca clinico-dinamica sull’aggressività:

  • Il primo aspetto è filosofico, dal momento in cui si ritiene l’aggressività innata e naturale e poi perché si ritiene che l’aggressività denoti al male (morale);
  • Il secondo, che giustifica tanto interesse, è interno alla psicologia dinamica.

Dal momento che l’aggressività ha assunto da subito valore di istinto-pulsione ed elemento costituente la personalità, ogni autore in questo campo, trattando di personalità o di aggressività, ha dovuto fare i conti con riferimenti meta-psicologici, allargando di conseguenza le varie argomentazioni e letteratura.


Sigmund Freud fu tra i primi ad occuparsi in modo articolato di questo argomento

Da subito egli la postula come dimensione pulsionale-motivazionale inconscia, orientata alla distruzione e contrapposta alla spinta generativo-conservatrice della libido.

Questo punto di partenza freudiano pone l’aggressività come un istinto connaturato nell’uomo, presente nella sua personalità e motivante, che obbligherà gli autori che si occuperanno di temperamento irruento a dover sempre fare i conti con la questione motivazione e con un relativo modello della mente.

Freud, in modo parziale, ipotizza che l’aggressività-distruttiva sia istintuale-originaria.

Che sia ovvero un comportamento reattivo, una risposta alla frustrazione, nel senso di un’incapacità dell’Io di mediare rispetto ai bisogni intersistemici della mente.

Il parere di Alfred Adler

Contemporaneamente a Freud, sul tema si espresse Alfred Adler, attraverso i suoi studi sull’Inferiorità d’Organo.

Egli sostiene che l’aggressività viene agita per compensare un sentimento di inferiorità sentito dalla persona.

Questo presuppone che l’aggressività sia l’effetto di un brutto rapporto con l’ambiente e che l’aggressività sia una strategia estrema dell’individuo, finalizzata alla realizzazione di se stesso.

In questo pensiero adleriano è fondamentale il sentimento di odio e rancore, che abbassa il sentimento sociale e relazionale, permettendo così l’agito aggressivo di rivendicazione rispetto ad un senso di inferiorità sentito.

Il parere di Anna Freud

Sempre nello stesso periodo un altro importante contributo arriva da Anna Freud, la quale individua un meccanismo di difesa dalle esperienze violente subite, che prende il nome di “l’Identificazione con l’Aggressore” è presente in modo evidente nel bambino che ha subito l’aggressività.

Ma è possibile anche nell’adulto ed individuabile nei comportamenti sociali (si pensi alla dinamica del capro espiatorio), attraverso l’identificazione con l’aggressore (difesa impregnata di paranoia) il soggetto si difende da un atto violento riproducendolo in forma simbolica (esempio, con il gioco nel caso del bambino), o attraverso l’agito, permettendo così una reiterazione del trauma subito, capace nel tempo di renderlo accettabile alla coscienza.

La figlia di Freud non introduce variazioni rispetto alle teorizzazioni paterne sull’aggressività, ma scopre un comportamento di difesa contro forme di aggressività vissute come esperienze traumatiche.

Note