COPERTINA anatocismo bancario

Cos’è l’anatocismo bancario

L’anatocismo (dal greco ἀνατοκισμός anatokismós, «usura») esprime un metodo di calcolo degli interessi per il quale gli interessi maturati secondo una certa periodicità, pattuita tra creditore e debitore, sono essi stessi produttivi di altri interessi, cioè sono sommati al capitale dato in prestito (capitalizzati) in modo tale da contribuire (insieme al capitale) a maturare altri interessi nei periodi successivi.

Questo metodo di calcolo favorisce il creditore a discapito del debitore.


Un esempio chiarirà meglio il concetto

  • Tasso d’interesse: 10%
  • Capitale iniziale: € 1.000,00
  • Periodicità di liquidazione degli interessi: trimestrale

Quando non c’è l’anatocismo si ha:

  • Interesse trimestrale = (1.000,00 x 3 x 10)/1200 = € 25,00

Quindi, ogni trimestre i 1.000 euro di capitale fruttano sempre € 25,00

Con l’anatocismo:

  • Interesse del primo trimestre = (1.000,00 x 3 x 10)/1200 = € 25,00
  • Interesse del secondo trimestre = [(1,000,00 + 25,00) x 3 x 10]/1200 = € 25,625
  • Interesse del terzo trimestre = [(1.025,00 + 25,625) x 3 x 10]/1200 = € 26,265625
  • e così via per gli altri trimestri…

Quindi, con l’anatocismo aumentano gli interessi da corrispondere al creditore.


Questo fenomeno dell’anatocismo era proprio quello che accadeva alle liquidazioni degli interessi sui conti correnti bancari.

Infatti, quasi tutte le Banche liquidavano gli interessi a debito del correntista con frequenza trimestrale, mentre liquidavano gli interessi a credito dello stesso solo con cadenza annuale.

Ciò provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi ed il conseguente fenomeno dell’anatocismo, perché venivano calcolati interessi su interessi.

La storia dell’anatocismo bancario

Pixabay, Money in notes (2016)

Il divieto dell’anatocismo (bancario e non) è sempre esistito nel nostro ordinamento giuridico in virtù dell’art. 1283 del Codice Civile.

Tuttavia le Banche agivano legittimamente quando applicavano la sopraesposta metodologia di calcolo degli interessi sui conti correnti, perché tale comportamento consuetudinario era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza, almeno fino al momento in cui ha preso il via tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti la fattispecie dell’anatocismo.

Processo di revisione culminato con la definitiva sentenza del 4 novembre 2004, n. 21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale in sostanza si afferma l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo.

Prima di questa sentenza c’era stato l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999

Prima di questa famosa sentenza c’era stato comunque l’art. 25 del Decreto Legislativo n. 342/1999, comma 2, che, introducendo un nuovo comma all’art. 120 del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), ha previsto la possibilità di stabilire, tramite un’apposita delibera del Cicr (Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio), le modalità ed i criteri di produzione degli interessi sugli interessi (anatocismo), maturati nell’esercizio dell’attività bancaria, purché fosse rispettata la stessa periodicità sia nel conteggio sui saldi passivi, sia su quelli attivi.

In sostanza, la volontà legislativa, trasfusa nel TUB, è nel senso della non illegittimità del comportamento delle Banche qualora queste provvedano a liquidare periodicamente non solo gli interessi maturati a loro favore, ma anche quelli a credito del correntista.

È sufficiente il riconoscimento di questa reciprocità di trattamento e quindi la contabilizzazione sul conto corrente di eventuali interessi a credito della clientela, per essere in regola con le norme legislative disciplinanti il complesso fenomeno dell’anatocismo.

Il sigillo ufficiale al suddetto nuovo corso in tema di calcolo degli interessi bancari è stato poi apposto dalla sentenza del Cicr emanata il 9 febbraio 2000, la quale ha definitivamente fissato il momento di decorrenza dell’obbligo, a carico delle Banche, di riconoscere ai correntisti pari periodicità nella liquidazione degli interessi.

Questo momento è venuto quindi a coincidere con la liquidazione del 30 giugno 2000 e vedremo quanto questa data sia di grandissima rilevanza ai fini del ricalcolo degli interessi anatocistici.

Aspetti pratici

Occupiamoci ora degli aspetti pratici che deve affrontare chi è costretto a quantificare l’importo degli interessi anatocistici, allo scopo valutare la convenienza o meno di un’eventuale richiesta di rimborso.

Importantissima è la determinazione del momento iniziale e finale del periodo incriminato (per il quale vanno fatti i calcoli).

Il momento finale è necessariamente quello sopra indicato della liquidazione di giugno 2000, perché da tale mese le Banche si sono adeguate alla normativa anti-anatocistica e pertanto da allora gli interessi maturati sui conti correnti sono per definizione legittimi.

Di conseguenza qualsiasi ricalcolo degli interessi sugli interessi deve fermarsi agli interessi liquidati a marzo 2000, in quanto questi sono da considerarsi gli ultimi interessi anatocistici prodotti dal sistema bancario italiano.

Tutto quello che è successo sul conto corrente dopo il 31 marzo 2000 è completamente irrilevante ai fini dell’anatocismo ed il periodo successivo (fino ad oggi ovvero fino all’estinzione del conto) è da prendere in considerazione solo per la normale rivalutazione (in base ai tassi d’interesse) delle somme dovute risultanti dai nuovi conteggi effettuati.

Quanto detto comporta la necessaria conseguenza che i conti correnti aperti successivamente al 31 marzo 2000 sono completamente al di fuori della tematica anatocistica e pertanto nulla può essere reclamato alle Banche dai loro titolari.

Più controversa è la determinazione del momento iniziale da prendere in considerazione per rifare i calcoli computistici dell’interesse sui conti correnti

Premettendo che il termine di prescrizione per richiedere eventuali somme pagate in più è quello ordinario di 10 anni, la domanda che dobbiamo porci è da quando partono questi 10 anni, in modo da risalire al momento iniziale del periodo che stiamo cercando.

Qui sussistono due atteggiamenti giurisprudenziali decisamente diversi.

Da una parte, alcune sentenze sottolineano la rilevanza giuridica dei singoli atti di addebito periodico degli interessi e quindi la prescrizione decennale riguarderà i 10 anni antecedenti la data di presentazione della domanda giudiziale di rimborso degli interessi anatocistici.

Ciò comporta, per esempio, che una domanda giudiziale di rimborso presentata nel 2005 dovrà riguardare solo i 10 anni antecedenti e pertanto non potrà andare oltre il 1995.

Siccome il momento finale del nostro nuovo calcolo degli interessi è stato sopra identificato con marzo 2000, sarà possibile contestare gli interessi maturati sul conto corrente solo per il periodo che va dal 1995 al 2000 (marzo).

Da un’altra parte, alcune sentenze dei Tribunali italiani evidenziano invece il carattere unitario del conto corrente, e non i singoli movimenti di addebito degli interessi

Questo atteggiamento ha effetti più radicali perché porta ad identificare la data da cui parte la prescrizione decennale con l’estinzione del conto corrente (quindi la data iniziale del periodo sarebbe quella calcolata andando 10 anni indietro rispetto al giorno d’estinzione del rapporto).

Per esempio un conto corrente chiuso in febbraio 2003 avrebbe un periodo incriminato che andrebbe da febbraio 1993 a (sempre) marzo 2000.

Inoltre, per effetto di questa interpretazione giurisprudenziale potrebbe verificarsi la fattispecie, di non poco rilevo, che per i conti correnti ancora in essere, non avendo essi un termine di decorrenza della prescrizione, si potrebbe richiedere il rimborso degli interessi pagati in più (per effetto dell’anatocismo) addirittura dalla loro costituzione, anche se questa risale alla notte dei tempi.

Per esempio un conto corrente aperto nel 1974 ed ancora in essere presso l’Istituto di credito, darebbe diritto a richiedere il rimborso degli interessi anatocistici per il periodo 1974 – marzo 2000 (sempre questo).

Tuttavia ci sembra agevole dimostrare come questa seconda interpretazione dei giudici italiani sia nella pratica facilmente riconducibile alla prima

Tuttavia ci sembra agevole dimostrare come questa seconda interpretazione dei giudici italiani sia nella pratica facilmente riconducibile alla prima, cioè a quella che vuole la prescrizione decennale decorrere dalla data di presentazione della domanda giudiziale di rimborso, la quale tesi ci appare dunque l’unica soluzione materialmente percorribile.

Il motivo di questa conclusione è oggettivamente indiscutibile, checché ne dica parte della giurisprudenza e anche della dottrina: ad una domanda di rimborso che richiedesse la restituzione di interessi su interessi per un periodo superiore ai 10 anni antecedenti la data odierna, le Banche risponderebbero semplicemente che, non avendo più a disposizione la documentazione relativa al periodo eccedente i 10 anni passati, non sarebbero in grado di fornire alcun dato, né di effettuare nessun tipo di conteggio.

Infatti, le Banche, come tutte le altre Aziende, sono, per disposizione del codice civile, tenute a conservare tutta la documentazione delle operazioni effettuate “solo” per 10 anni, avendo poi la facoltà di stracciare tutto questo materiale di archivio.

Quindi, tranne il caso puramente ipotetico del correntista che abbia conservato con cura per l’intero periodo tutti (nessuno escluso) gli estratti conto ed i conti scalari (questi ultimi sono i documenti da cui risultano tassi e condizioni), il ricalcolo degli interessi, per periodi maggiori di quello che parte da 10 anni fa ed arriva sempre a marzo 2000, è praticamente impossibile.

Conclusioni

Per concludere accenniamo alla questione della Commissione di Massimo Scoperto (CMS), che è quella spesa che gli Istituti di credito fanno pagare sul massimo scoperto di conto del periodo interessato.

Su questo aspetto c’è da dire che nessuna norma si è finora interessata della questione, avendo la legislazione anatocistica sempre riguardato l’illegittimità dei soli interessi e non delle spese.

È anche vero che modificandosi gli uni (gli interessi), si modifica (in peggio) anche l’altra (la CMS).

Tuttavia il calcolo della nuova commissione (sui nuovi saldi) è di estrema difficoltà e la sua domanda di rimborso non avrebbe allo stato, secondo alcuni, nessun fondamento normativo di giustificazione.

Ci limitiamo pertanto a dire che, nel silenzio legislativo e giurisprudenziale, ogni conclusione in merito è giusta e sbagliata al tempo stesso.

Note

  • Foto di copertina File (Wikimedia Commons)
  • Grafica copertina ©RIPRODUZIONE RISERVATA
  • A cura del Consorzio INSEA