Mese: Settembre 2022

COPERTINA parliamo di armi

[AUTODIFESA] Parliamo di armi!

In questo articolo analizzeremo i pro e i contro di utilizzare un’arma per difendersi da un’aggressione.

In tutti i seminari di tiro con la pistola, la prima domanda che gli allievi si sentono porre è se qualcuno ha mai sparato in vita sua con una qualsiasi arma.

La percentuale di chi ha sparato è sempre molto bassa e quando la gente risponde di sì si tratta sempre di molto tempo addietro.

Per questo motivo il problema non è saper togliere l’arma all’aggressore, ma sapere cosa fare una volta impugnata l’arma.

Sapresti come agire se la pistola si inceppasse o se il caricatore è vuoto?

Questo ci porta ad analizzare l’estrema importanza dell’uso dell’arma.

Se sei un praticante di Arti marziali che prende sul serio l’allenamento e lo pratica regolarmente, comprenderai la necessità di imparare ad utilizzare correttamente una pistola con un istruttore qualificato.

Ovviamente questo è un ragionamento necessario e applicabile a chiunque

le statistiche del Federal Bureau of Investigation indicano che tra i crimini violenti commessi negli Stati Uniti, nel 65% dei casi era stata usata una pistola.

Qualunque arma da fuoco è pericolosa se detenuta da qualcuno che non conosce le sue possibilità e i suoi limiti.

L’unico modo per imparare questi due fattori è praticare

In primo luogo occorre analizzare questi due fattori.

  • Se vivi in un’area rurale: Cerca un luogo sicuro all’aperto ben isolato e recintato;
  • Se vivi in una  città o in una zona molto popolata: Cerca un poligono qualificato.

La migliore opzione in ogni caso è quella di iscriversi ad un corso riconosciuto di utilizzo della pistola.

Una volta fatto si può praticare da solo (chiaramente bisogna essere in possesso del porto d’armi) e scoprire cosa può fare un’arma da fuoco.

La pistola è l’arma più difficile per imparare a sparare con precisione

Imparare a maneggiare correttamente una pistola richiede molta pratica. La maggior parte delle persone che la utilizza in una situazione normale arriva a consumare almeno 500 caricatori prima di ottenere la destrezza necessaria per centrare il bersaglio, figuriamoci in una situazione ad alta tensione.

Una volta ottenuta la destrezza per mantenerla si avrà bisogno di almeno 50 caricatori al mese.

È sorprendente vedere come molta gente si compri una pistola e 50 caricatori di munizioni, si rechi in un’area di tiro vicina e cominci a sparare i 50 caricatori a una sagoma situata a 8 metri di distanza e sbagliando anche diversi colpi. In una situazione critica tu non puoi permetterti di essere uno di loro.

Dimentichiamoci di ciò che in televisione fanno vedere

Non si spara mai con una mano sola o perlomeno non si dovrebbe fare. Se ciò che vuoi è colpire un qualsiasi bersaglio, quando si effettua uno sparo difensivo si devono utilizzare entrambe le mani per tenere la pistola.

Con la pistola dovrai mettere le dita della mano libera sopra le dita che stanno afferrando l’arma

Metti il pollice della mano libera sopra il pollice della mano che spara. Puoi farlo incrociando la parte posteriore del polso.

Puoi utilizzare la stessa impugnatura con un’arma semiautomatica o cambiarla leggermente, posizionando l’indice della mano di appoggio attorno alla parte frontale della sicura.

Afferrando l’arma in questo modo con entrambe le mai, risulterà più facile tenere l’arma mentre si sta prendendo la mira.

Eviterai così che l’arma rinculi dopo lo sparo, permettendoci di tornare a mirare il bersaglio dopo ogni sparo.

Il modo in cui sei posizionato influenzerà la precisione degli spari

Il piede opposto (il sinistro per i tiratori destrimani e viceversa) dovrebbe trovarsi circa 30 cm davanti all’altro piede ed entrambi i piedi dovrebbero essere allargati al livello delle spalle.

Questa posizione (chiamata Posizione di Weaver) permette al corpo di assorbire parte dell’impulso del rinculo, aiutandoci a mantenere l’equilibrio ed è a mio parere la posizione in piedi più stabile per sparare.

È estremamente efficace se utilizzata correttamente ed è ciò che conta, nessun altro all’infuori del tuo avversario si meraviglierà della tua tecnica, perciò non preoccuparti dell’immagine sgraziata che potresti dare.

Puoi provare anche una seconda posizione che è abbastanza efficace

Posizionati di fronte al bersaglio con le gambe leggermente separate e il peso del corpo distribuito equamente su entrambe le piante dei piedi.

Dopo di ciò piega leggermente le ginocchia e abbassa un po’ il corpo, come se dovessi sederti.

Questa semplice posizione ti permetterà di mirare con la pistola al centro, o verso uno dei lati, in maniera spontanea, perché le braccia e le spalle sono bloccate e funzionano come una torretta, facendo perno da un lato all’altro.

Le due cose più importanti che devi imparare sono il controllo del grilletto e la mira

Una volta adottata la posizione e l’impugnatura adeguate, le due cose più importanti che devi imparare sono il controllo del grilletto e la mira. Quando sarai in grado di dominare entrambe, vorrà dire che ti troverai nel giusto cammino per diventare un tiratore esperto, in grado di proteggere te stesso e la tua famiglia.

Il controllo del grilletto si mantiene con un movimento di pressione, non con un tiro o con un colpo secco

Questi movimenti tendono spostare la bocca della pistola e allontanarla dal bersaglio quando si spara, facendoti fallire il bersaglio.

Il dito sul grilletto deve agire in maniera indipendente dalle altre dita e dal pollice.

Le tre dita e il pollice dovrebbero assicurare un’impugnatura forte del calcio della pistola, mentre il dito posizionato sul grilletto non dovrebbe toccare nient’altro che il grilletto.

Se il dito del grilletto tocca il corpo dell’arma, tirando il grilletto la bocca dell’arma si muoverà.

Questo leggero movimento eseguito ad una distanza di 6 metri dal bersaglio, sarà sufficiente a fartelo mancare, se fai pratica per imparare a premere il grilletto in maniera corrette, ti risulterà più facile sparare sul bersaglio che realmente vuoi colpire.

Dopo aver sparato non devi lasciare andare il grilletto, il movimento del grilletto in avanti dopo uno sparo dovrebbe essere controllato nello stesso modo in cui si preme per sparare.

C’è un fenomeno strettamente relazionato al gesto di premere il grilletto, chiamato “scossa”

Quando premi, non riesci ad evitare di attendere di percepire il rumore della pistola che spara, all’ultimo, si tende ad anticipare e muovere la pistola nel momento in cui il grilletto sta completando il suo percorso e la carica viene sparata.

La scossa è una reazione normale nell’uso di qualunque arma da fuoco, ma è anche un’abitudine che devi superare se vuoi usare l’arma in maniera efficace.

Se stai praticando in una zona in cui vi sono più persone che sparano, potrebbe accadere che la scossa complichi le cose, perché è probabile che non avvenga solo col tuo colpo, ma anche con quello degli altri, in questo caso la cosa migliore da fare è cercare di tirare nelle pause degli altri.

Puoi utilizzare il suono dello sparo delle loro armi come segno per completare l’azione di premere il grilletto ed eseguire il tuo tiro, una volta che hai imparato a completare la sequenza, vedrai che avrai meno problemi con la scossa degli altri.

Il mirino è egualmente importante per poter sparare con precisione

La maggior parte della gente con un’esperienza ridotta nell’uso della pistola incontra delle difficoltà nel focalizzare il mirino, poiché il mirino anteriore e quello posteriore sono molto vicini e, al contempo molto lontani dal bersaglio, il tiratore noterà che i suoi occhi non riusciranno a mettere a fuoco contemporaneamente il mirino posteriore, quello anteriore e il bersaglio.

Non ti disturbare a provare a farlo, non si può.

Punta l’occhio sul mirino anteriore, potresti pensare che non sia giusto, ma finirai per renderti conto che è l’unico modo per sparare con precisione.

Il mirino posteriore e il bersaglio risulteranno sfocati, ma ad una distanza superiore a 50 metri è abbastanza facile mantenersi focalizzati sul bersaglio con il mirino anteriore.

I mirini delle rivoltelle sono stati progettati in modo tale che un po’ di luce brilli tra i laterali degli incastri del mirino posteriore e il filo del mirino anteriore.

Con la pratica, le mani finiranno per mantenere automaticamente la quantità di luce in entrambi i lati del mirino frontale in maniera regolare.

Se la pistola ha mirini regolabili, la parte superiore del filo del mirino anteriore dovrebbe essere simile alla parte superiore del mirino posteriore. Questa linea regolare con la luce, brillando nel mezzo ti fornirà il migliore angolo di mira per uno sparo difensivo.

Non preoccuparti se non sei in grado di mantenere la pistola completamente ferma, in realtà nessuno è in grado di farlo

La pratica farà sì che il movimento diventi più lento, perché i muscoli del braccio e del polso usati per sparare diventeranno più forti.

La precisione millimetrica non è necessaria nel tiro difensivo, pratica guardando attraverso i mirini al bersaglio, utilizzandoli soprattutto per confermare che la bocca dell’arma sia situata sopra il bersaglio.

È più importante sapere sempre dove si trova l’avversario e che cosa sta facendo, piuttosto che concentrarsi sul mirino

Qualunque cosa faccia, non perdere di vista un aspetto fondamentale del tiro difensivo, devi essere in grado di piazzare uno o più colpi al bersaglio a breve distanza, nel minor tempo possibile.

Un allenamento centrato sull’obiettivo è fondamentale per imparare correttamente l’uso, la sicurezza e la precisione con la pistola, ma può essere anche fine a se stesso.

Dato che il tiro difensivo è un tiro a breve distanza, una volta imparate le basi, la pratica del tiro al bersaglio a lunghe distanze non avrà senso.

In realtà, l’eccesso di pratica può impedirti di riconoscere un tiro rapido in una situazione di tensione, è meglio la rapidità di reazione, che la precisione millimetrica, purché tu sappia ciò che stai facendo.

Con un’adeguata pratica, dovresti poterti difendere da solo e difendere la tua famiglia con una certa sicurezza.

Il possesso legale di una pistola per la difesa personale non è facile da ottenere nell’attuale società, né è una decisione che si possa prendere alla leggera

Benché tu abbia i requisiti necessari e possa entrare in possesso di un’arma in maniera legale, le circostanze nelle quali puoi usarla per proteggerti e difendere la tua famiglia sono ancora più confuse.

Nelle ultime decadi i tribunali hanno progressivamente adottato posizioni che situano il proprietario di un’arma in una situazione di considerevole svantaggio legale.

Questa linea di ragionamento sposta il peso della colpa del trasgressore della legge al cittadino che segue la legge e che reagisce di fronte ad un’intrusione.

Esiste qualcuno tra noi in possesso di una saggezza tale che possa determinare con esattezza, in un millesimo di secondo, i vantaggi relativi di una pallottola su una gamba di fronte alla pena legale che un giudice imporrebbe?

Tuttavia, per quanto assurdo possa sembrare, l’unica maniera di essere sicuri è consultare un avvocato prima di premere il grilletto.

Dato che un furto implica una pena abbastanza lieve, non sarai in un terreno sicuro se cerchi di fermare un ladro con un’arma, la maggior parte dei giudici ti considereranno colpevole di aver utilizzato una forza non ragionevole se spari ad un ladro che ha le tasche piene di cose tue.

Questo deriva dal concetto che afferma che non devi utilizzare un’arma per proteggere la tua proprietà.

Se lo fai, deve essere in risposta a una situazione nella quale la tua vita (non la tua proprietà) è minacciata, nonostante ciò, in quel caso dovrai essere in grado di dimostrare che la tua vita era minacciata e che in nessun altro modo saresti potuto sopravvivere alla situazione.

Se utilizzi una pistola per fermare un ladro che sta scappando con i tuoi beni, peggiorerai considerevolmente  la situazione a tuo svantaggio

Nel caso tu lo dovessi inseguire e gli spari quando sta uscendo da casa tua, le conseguenze saranno anche peggiori. Tenendo conto di questo, esiste un procedimento stabilito che bisogna seguire nel caso in cui ti trovi un intruso dentro casa tua.

  • Il primo passo è verificare se è armato o meno, e se pertanto è potenzialmente pericoloso;
  • Il secondo passo è sfidarlo verbalmente: Se lo sorprendi con un affronto verbale, potrebbe impaurirsi e correre via o perfino arrendersi. Ovviamente, corri il rischio che ti uccida mentre tu segui il procedimento di “identificazione e sfida”.

Ora supponiamo che non sia armato, ma che sia tre volte più grande di te e il doppio più pericoloso di te

Non gli è affatto piaciuto che tu abbia interrotto il suo lavoro e quindi, senza pensarci due volte, decide di attaccarti con una bastonata per il semplice fatto di averlo disturbato, secondo te dovresti sparargli?

Se lo fai, ti troverai nelle sabbie mobili

Nella maggior parte dei casi, il giudice ti considererebbe colpevole di un atto criminale se si giungesse alla conclusione che non eri in pericolo di morte o di lesione grave come risultato di un attacco dell’aggressore con le mani. La stessa figura legale considererà l’uso delle mani di un pugile, di un lottatore o di un esperto in Arti marziali equivalente ad un’arma letale.

La maggior parte delle situazioni in cui è necessaria un’arma per la difesa personale accadono di sera, a corta distanza e così rapidamente che non vi è il tempo di tener conto delle considerazioni legali.

Tuttavia, devi essere in grado di convincere le autorità di aver fatto ricorso all’uso dell’arma solo perché la tua vita era in pericolo.

In generale si accetta l’idea che si dovrebbe utilizzare solo la forza sufficiente a resistere ad un’aggressione

Non appena il pericolo è passato, dovrai fermarti e desistere immediatamente.

I criminali tuttavia, non si vedono limitati dagli stessi obblighi legali. in alcuni stati d’America ad esempio questo concetto è stato modificato in maniera graduale, fino al punto in cui l’unica opzione legale che rimane in una situazione che minaccia la tua vita è scappare, invece di rimanere e mettere fine alla vita del tuo aggressore.

I punti che ho analizzato fanno una bella figura nella sala di un tribunale, ma la realtà della vita di solito è molto differente.

La tua reazione davanti ad un furto o un’aggressione notturna di un intruso si deve produrre in un millesimo di secondo

È raro che tu abbia il tempo sufficiente per sparare con precisione una pallottola all’aggressore per inabilitarlo o per fermare l’attacco.

Spesso non si ha nemmeno il tempo per mirare e colpire il bersaglio, l’unica cosa che avrai il tempo di fare è mirare, bene o male che sia, e sparare.

In queste circostanze vi è la possibilità che la tua reazione provochi la sua morte

È stato eccessivo l’uso della forza?

Un giudice potrebbe pensarlo se spari un secondo colpo e colpisci l’aggressore alle spalle mentre scappa, in questo caso esiste la possibilità che considerino te l’aggressore.

Se utilizzi una pistola per difenderti o se in grado di disarmare un aggressore, sarai giudicato con il criterio che il giudice considererà ragionevole in quella situazione e questo potrebbe essere terribile per te.

Se ci sono testimoni o se l’aggressore sopravvive, tutte le parole che vi sarete detti saranno analizzate nel dettaglio

Il luogo in cui si sarà prodotto l’incidente e la parte del corpo in cui l’aggressore avrà le ferite, influiranno sulle decisioni del giudice.

Si analizzeranno le sue intenzioni e il giudice deciderà quali erano le tue, con tutto questo a tuo sfavore, la prospettiva di utilizzare un’arma per difendersi diventa opprimente.

Supponiamo che per te sia necessario sparare ad un aggressore o ad un intruso

Benché tu consideri le tue azioni totalmente giustificate, dovresti pensare al fatto che le implicazioni legali possono durare mesi o anni.

Ci sono casi nei quali tutto è semplice e chiaro per tutti, meno che per te. Tuttavia, la maggior parte della gente non è in grado di togliere la vita a qualcuno in maniera così semplice ed è probabile che conseguenze psicologiche ti condizionino per il resto della vita.

Che cosa fare dunque per essere pronti alle conseguenze di un incidente simile?

Benché sia difficile da considerare qualsiasi possibilità, dobbiamo assumere che eri e sei convinto di sopravvivere all’attacco.

Se l’aggressore è armato di pistola, continua a sparare fino a che non è a terra.

Una volta al suolo, retrocedi e copriti fino a quando non riuscirai a valutare bene la situazione, se spari e lui scappa, lascialo andare, è troppo rischioso seguirlo.

Quando sei convinto che tutto è finito e che l’aggressore non può più farti del male, verifica di non essere ferito

Se si è trattato di un’aggressione in casa, assicurati che il resto della tua famiglia sia sano e salvo.

Ci sono stati casi in cui un membro della famiglia è stato colpito durante la sparatoria ed è rimasto a terra ferito per ore, fino a che qualcuno non è andato a vedere se stesse bene.

Assicurati di star bene anche tu, è possibile che una pallottola ti abbia colpito o ti abbia sfiorato senza che te ne renda conto.

Avvisa i parenti o qualunque vicino che entri a vedere che cosa è successo, di non toccare niente, tutto va lasciato così com’è fino all’arrivo della polizia, così potranno ricostruire i fatti.

Se le cose vengono mosse o se sembra che sia stata modificata qualche prova, ti sarai cacciato in un grosso guaio.

Se l’aggressore aveva un’arma, assicurati che le autorità ti confermino per iscritto con tanto di data il fatto, non vanno perse prove per nessun motivo.

Chiama il tuo avvocato, spiegagli brevemente quello che è successo.

Non appena hai visto che tutti stanno bene, chiama il tuo avvocato, spiegagli brevemente quello che è successo e chiedigli di venire da te quanto prima.

È estremamente importante che sia presente sin dall’inizio, probabilmente non ti dirà niente fino a che non arriverà sul posto.

Se possibile dovrebbe trovarsi nel luogo dell’aggressione quando arriva la polizia, dato che la maggior parte delle linee telefoniche di emergenza della polizia hanno dei registratori automatici, qualunque cosa succeda da quando chiami a quando non arrivano, rimarrà registrata e può esserti utile in un secondo momento.

Lascia la tua arma e aspetta che arrivino, questa è una misura di sicurezza importante

Se i poliziotti arrivano alla porta e ti trovano con l’arma in mano, potrebbero spararti. Tutto quello che sanno è che c’è stata una sparatoria, dato che non conoscono i dettagli, è normale che si aspettino un conflitto.

Se ti vedono alla porta con una pistola in mano, non ti daranno l’opportunità di spiegare, perciò è meglio che ti assicuri di metterla giù.

Uuna volta arrivato il tuo avvocato, appartati con lui e spiegagli la situazione nel dettaglio, non nascondere niente, qualunque cosa tu riesca a dirgli è un’informazione che non può essere usata contro di te.

Se pensa che il tuo stato emotivo sia troppo alterato per far fronte alla situazione, ti potrebbe consigliare di andare via, fa quello che ti dice senza discutere, l’avvocato sa che cosa deve dirti e può occuparsi della polizia fino a che non sarà sicuro che tu sei nelle condizioni di affrontare la situazione.

Nel caso tu non abbia un avvocato o non riesci a trovarlo in quel momento, stai molto attento a quello che dici alla polizia

Se non hai un avvocato o non riesci a trovarlo in quel momento, stai molto attento a quello che dici alla polizia, perché qualunque cosa dirai in quella situazione potrà essere usata come prova.

Non chiedere perdono, non piangere e non firmare niente, mostrati il più rilassato possibile, soprattutto se qualcuno comincia a farti delle pressioni.

Osserva quello che fanno e cerca di ricordare tutto quello che succede sin da quando arrivano

L’unica cosa che dovresti dire in quel momento è che vuoi parlare con il tuo avvocato, collabora con loro, ma non perdere di vista quello che fanno.

È probabile che delimitino la zona nella quale ha avuto luogo la sparatoria per raccogliere le prove, osserva quello che fanno e cerca di ricordare tutto quello che succede sin da quando arrivano, la tua arma verrà requisita come prova, ma non devi rivelare se hai altre armi a casa né dove stanno.

Non sei obbligato a rispondere a domande che abbiano a che vedere con la tua casa o con la tua vita privata e che non siano in relazione con quello che è successo.

A seconda delle circostanze della sparatoria, delle prove fisiche, delle dichiarazioni fatte da te o dagli altri e del carattere degli investigatori, potresti essere arrestato e accusato di omicidio!

Questo può succedere benché sia un chiarissimo caso di autodifesa.

Non farti sorprendere dagli avvenimenti e sii pronto al peggio

Ora forse ti rendi conto di quanto sia importante avere al tuo fianco sin dall’inizio un avvocato.

È possibile che i parenti dell’aggressore decidano di perseguirti legalmente, benché le autorità non ti incolpino di nulla, queste cause possono essere interminabili e potresti spendere una fortuna in processi.

Inoltre i suoi parenti potrebbero molestarti in altri modi, minacciandoti per telefono o con messaggi anonimi.

Cerca di non parlare dell’accaduto con nessuno, a meno che non sia il tuo avvocato

Perfino i commenti informali a membri della tua famiglia possono diventare un problema per te col tempo.

Le conseguenze derivanti dallo sparare ad un’altra persona per autodifesa non sono sempre giuste, soprattutto perché non succederebbe la stessa cosa se accadesse il contrario, se il tuo aggressore sopravvivesse e tu no.

Disgraziatamente è così che funziona oggigiorno la società e devi sapere ciò che ti aspetta se sei spalle al muro e devi difenderti usando la forza letale.

La parte spiacevole dell’incidente sarà difficile da dimenticare e potresti aver bisogno di un aiuto professionale e di un supporto psicologico

Nonostante i numerosi studi che dimostrano che l’incidenza di aggressioni, furti e violenze diminuiscono nelle zone in cui i cittadini vanno in giro armati e i criminali lo sanno, i governatori e i tribunali continuano a rendere la vita estremamente difficile ai cittadini che seguono la legge.

Il continuo aumento del crimine e l’incapacità della polizia di contenere le ondate di violenza è terrificante, soprattutto quando ti rendi conto che tutto è contro di te se decidi di difenderti.

Arrivati a questo punto, dovresti essere cosciente delle conseguenze derivanti dall’uso della pistola per difesa personale.

Posso dirti un’altra cosa, cioè cerca di evitare gli scontri il più possibile, se non puoi evitarlo, affrontali con l’idea di vincere nonostante le conseguenze.

Questo mi porta al concetto finale nell’uso di una qualsiasi arma, che sia una pistola o anche un coltello

Come hai potuto leggere, qualunque decisione tu prenda, il risultato sarà straziante, ma se alla fine non hai altre possibilità e la tua vita o quella di un tuo caro è minacciata, dovrai fare ciò che è necessario per sopravvivere, questo ci porta alla decisione dove dovrai “Lottare per la vita”.

Note


Le Arti Marziali: Un breve cenno introduttivo

Ogni strada è soltanto una tra un milione di strade possibili, perciò dovete sempre tenere presente che una via è soltanto una via.

Se sentite di non doverla percorrere, non siete obbligati a farlo in nessun caso.

Arte Marziale è un termine normalmente utilizzato nella lingua Italiana per definire un insieme variegato di discipline legate all’utilizzo del corpo e di armi per difendersi e combattere.

L’accostamento dei due termini sembra indirizzare chi cerca a percepire in questa forma dell’agire l’umano, una natura simbiotica che è atto filosofico e pura e semplice gestualità insieme, se per la parola Arte possiamo percorrere un percorso descrittivo “largo” e polivalente.

Arte è infatti quella gamma di attività umane regolate da accorgimenti tecnici e fondata nelle sue diverse espressioni o applicazioni dallo studio dell’esperienza vera o idealizzata che si ha degli eventi.

Per l’aggettivo marziale definirne un preciso riferimento etimologico nei termini Mars Martis, quindi a Marte il dio della guerra non è sufficiente a chiarirne i contorni.

Anzi per contrasto arte marziale trova nel dizionario la seguente definizione “insieme di varie tecniche di difesa personale, d’antica origine orientale volte a neutralizzare l’aggressore mediante particolari colpi o movimenti, senza ricorrere all’uso delle armi da punta  da taglio e da fuoco“

Questa descrizione non corrisponde però a quello che le Arti Marziali oggettivamente sono, anche se limitassimo il nostro orizzonte al solo Oriente, che ne sarebbe ad esempio dello Iaido, del Krabi Krabong, dell’Arnis e di tutte le altre arti che utilizzano le armi manesche siano esse solo di bastoni o lame affilate?

Superiamo quindi questa definizione e cerchiamone una più allargata evitando anche la generalizzazione che identifica e collega solo all’Oriente le Arti Marziali

Se vogliamo dare a questo termine un valore universale, la definizione potrebbe suonare all’incirca come

Insieme di pratiche, di diversa collocazione geografica, originate da primordiali espressioni di sopravvivenza ed evolutesi in forme arcaiche e condivise di autodifesa e di difesa della famiglia, clan o gruppo di appartenenza e solo successivamente attraverso lo sviluppo di conoscenze di tecniche a mani nude e con l’ausilio di strumenti e/o armi e da botta sviluppate e codificate in metodi, sistemi di combattimento tramandati in forma orale, scritta o dovuta alla pratica tramandata non senza  tantissime variazioni e segretezza”

Questa condizione finale, filosofico/ pratica, ci offre quella visione “sublime”, che assegna all’Arte Marziale un ruolo ben superiore al normale agire, trasfigurandone gli atti e gli effetti.

Essa non è più l’essenziale e cruda pratica guerriera di chi ci precedette, anche se questo è sempre stata per dato di fatto e per necessità oggettive, ma è o diviene “Arte” attraverso la trasfigurazione della pura violenza in ricerca della purezza del gesto.

Un mondo questo, difficile da collocare (sport, cultura, tempo libero, hobbie,forma fisica, difesa personale, combattimento, cosa fa il praticante di arti marziali di tutto questo)? 

Se non dalle definizioni correnti perché non aderenti al ruolo assunto dall’Arte Marziale per eredità storica e filosofica.

L’uomo è l’unico essere vivente che per la sua stessa natura non è solo il prodotto di un’evoluzione naturale.

La sua parabola dopo i primi incerti instanti dalla sua comparsa è diventata quella di soggetto attivo, creativo ed interattivo.

Nel suo rapporto con il mondo circostante egli infatti ha operato, e continua a farlo, utilizzando idee e strumenti in maniera del tutto propositiva.

Al naturalmente acquisito l’uomo aggiunge l’invenzione, il progetto, la creazione, la procedura, l’analisi e l’esecuzione più consona.

Tutte abilità che non sono naturalmente date e che rappresentano la sacrale elevazione della condizione umana. 

Le Arti Marziali sono una parte di tutto ciò

Come ogni attività umana si fondano sulla capacità umana di pensare e di trovare soluzioni sempre più aderenti alle esigenze.

Come tali nascono insieme all’uomo.

Inizialmente queste prime espressioni di forza focalizzata erano necessità vitale tesa a soddisfare il bisogno naturale di nutrirsi.

Servirono quindi per condizionare e intensificare gli atti legati alla caccia in risposta a capacità naturali ben inferiori a quelle animali.

Soddisfatta la necessità “vitale” di superare l’animale gli ingegni di forza vennero diretti contro altri uomini

In un secondo momento, soddisfatta la necessità “vitale” di superare l’animale, gli ingegni di forza vennero diretti contro altri uomini quale forma di tutela individuale o legata al gruppo di appartenenza.

Lo sviluppo di abilità combattive per successive necessità vitali portò progressivamente verso una “standardizzazione” delle competenze e con l’avvento delle prime grandi civiltà iniziò anche una vera e propria codifica delle tecniche e dei principi che governano le abilità nel combattimento.

I primi documenti ad oggi scoperti che possiamo definire relativi ad Arti Marziali ci portano davvero lontano alla Bibbia (XIX – XVII sec. a.C) dove si trova la descrizione di una tecnica all’interno di una lotta tra Giacobbe ed un angelo:

(…) ed ecco , un uomo lottò con lui fino allo spuntar dell’aurora, questi vedendo che non lo poteva superare, lo colpì nell’articolazione del femore slogandolo (genesi 32,25)

È alla civiltà Egizia che dobbiamo i primi scritti sulle Arti Marziali

Ma è alla civiltà Egizia che dobbiamo i primi documenti scritti, o meglio dipinti, veri e propri manuali tecnici sulle Arti Marziali.

I maggiori reperti sono quelli della tomba di Beni Hassan le oltre 400 figure dipinte da un ignoto artista.

In rosso chiaro e tinta bruna su muro per evidenziare attaccante e difensore, rappresentano scene di lotta con innumerevoli prese e azioni di lotta.

Altre sessanta immagini di lotta sono state ritrovate sulle pareti della tomba di Amenapt monarca di Menat-Khuffa e altre 220 azioni di combattimento tra lottatori egizi e stranieri sono quelle dipinte nella tomba di Baktas, monarca dell’ Opice Bianco.

Altri documenti Marziali sono quelli a Saqqara nella tomba di Ti

Altri importanti documenti Marziali sono quelli scolpiti sulle pareti di roccia a Saqqara nella tomba di Ti, un alto funzionario della V dinastia.

Gli egizi furono anche i precursori dei giochi a carattere agonistico sacrale che troveremo poi nella Grecia e a Creta.

Erodoto infatti, quando visitò l’Egitto, lasciò descrizioni di questi grandiosi tornei (vere e proprie feste popolari) nei quali si poteva assistere a confronti di lotta, corsa, regate ed anche combattimenti con bastoni.

Erodoto definì questi eventi con il nome greco Panegirie

È interessante osservare, per avere un riscontro sull’importanza di questi, che i geroglifici dell’obelisco che si trova a Roma attribuiscono al Faraone Ramsete il titolo si signore delle Panegirie.

Mille anni dopo ritroviamo immagini di lotta e combattimento nelle pitture minoiche della civiltà Cretese.

Con la bellissima scena di pugilato dipinta sul muro della casa di Thera (1550 a. C.) anche se dobbiamo aspettare l’illiade di Omero per avere la prima relazione su un incontro di lotta Marziale tra Ulisse ed Aiace Telamonio

(…) Pensò inganno Odiesseo (Ulisse) e al polpaccio riuscì a colpirlo da dietro, gli sciolse le gambe, cadde all’indietro Aiace e anche Odesso sul petto gli cadde, la gente guardava e rimaneva stupita (Illiade XXIII 725)

Note


Kenei e Kenzo Mabuni: I fratelli del Shito Ryu

Senza dubbio Kenwa Mabuni fu ai suoi tempi uno dei principali Maestri di Karate, forse il migliore, tanto per la sua tecnica quanto per le sue conoscenze in questa Arte Marziale. I suoi due figli Kenei e Kenzo, al posto di sviluppare lo Shito Ryu del padre, hanno messo in scena uno dei più grandi equivoci della storia.

Chi era Kenwa Mabuni, il fondatore del Shito Ryu

Se pensiamo agli storici maestri del passato del Karate, senza dubbio bisogna considerare Kenwa Mabuni come uno dei principali, se non il più grande, il quanto Gran Maestro dei Grandi Maestri.

Anche se formato ad Okinawa dalla mano di Anko Itosu e Kanryo Higaonna, nel 1929 il Maestro Kenwa Mabuni si trasferisce con la sua famiglia ad Osaka, dove sviluppò il suo stile che si chiama prima semplicemente Mabuni Ryu, poi Hanko Ryu e più tardi e definitivamente Shito Ryu.

Nel 1939 Mabuni crea anche quella che cambia in principio Dai Nihon Karate do Kai e che dopo cambierà in Nippon Karatedo Kai, organizzazione che suo figlio minore Kenzo guiderà fino alla sua morte, al giorno d’oggi Tsukasa, la figlia di Kenzo mantiene il dojo che fu di suo padre e prima ancora di suo nonno Kenwa.

Invece la casa adiacente che apparteneva ai suoi antenati, adesso non appartiene più alla famiglia, lei vive nella vicina Sakai, fuori Osaka.

Dopo la morte del fondatore

Dopo la morte di Kenwa Mabuni, nel 1952, lo Shito Ryu non solo subì la divisioni che possiamo considerare anche logiche, da quello che si può vedere in tutte le scuole, ma avrebbe anche sofferto del confronto fra i due figli del fondatore, Kenei e Kenzo.

Infatti, a partire da allora iniziarono gradualmente a formarsi nuovi gruppi con a capo discepoli di Kenwa, nel 1955 si assistette all’allontanamento dei più importanti maestri, ma nel seno familiare iniziò la lotta di potere per la direzione della scuola.

La storia cominciò quando dopo la morte di Kenwa, la vedova Kame palesa la necessità di un successore familiare per lo Shito Ryu.

La Vedova Mabuni e la scelta di un erede

La moglie di Kenwa ebbe un notevole peso su suo marito, che sempre appoggiò e accompagnò.

Mabuni era solito colpire ripetutamente il makiwara del giardino tutte le mattine e se qualche giorno spuntava la pioggia, si allenava ugualmente, mentre la sua sposa lo copriva con un ombrello.

Lo Shito Ryu ha un grande patrimonio tecnico grazie a Mabuni, che Kame vuole preservare, lo stile dispone di più di 60 kata e molti sono stati creati da Mabuni, come nel caso di Yuroku, Shiho Kosokun ecc… compreso Myojo che fu il suo Kata privato e anche se significa “la stella del mattino”, “brillante” o anche “stella luminosa dell’alba”.

Sta di fatto che Mabuni gli mise questo nome in memoria dell’istituto dove insegnò difesa personale: Il Kata include le difese che insegnò in quell’istituto, si dice che negli ultimi anni di vita Mabuni aveva ultimato altri 4 Kata, presumibilmente chiamati Kenosha, Kuench, Kenki e Kenshu, ma senza aggiungerli ufficialmente allo stile.

La sua morte evitò definitivamente questa possibilità, quindi i suddetti Kata sono detti dal maestro Minubu Miki (allievo di Kenzo, con il quale il sottoscritto si è allenato per alcuni anni), come i Kata fantasma.

Un aiutante fece una domanda su questo tema ai Sensei di Kenzo, ma non sapevano nulla, il che lascia un po’ sconcertati, bisognava preservare i Kata di Bo JUtsu e di sai che i maestri Arakaki e Soeshi nel primo caso e Tawada nel secondo avevano trasmesso.

Kenei: la prima ipotesi di successore

In cerca di questo successore idoneo, Kame lo chiese prima a Kenei, come figlio maggiore.

Il padre aveva previsto il figlio Kenei come successore da prima della morte, ma al momento della verità non accetta al principio, forse per il fatto di non sentirsi all’altezza.

Oltre a ciò egli aveva smesso di allenarsi già da tanti anni, ed allora la madre fa la stessa offerta all’altro figlio che aveva iniziato i suoi allenamenti a 13 anni Kenzo. Quest’ultimo rispose che doveva pensarci.

Il fratello Kenzo e la scissione col fratello

Si dice che Kenzo mentre pensava all’offerta della madre, continuò la pratica del Karate temporaneamente con Ryusho, infine si ritirò a pensare all’offerta della madre e decise di accettarla.

Poco dopo capitò che anche suo fratello maggiore Kenei accettò tardivamente l’offerta della madre ed ecco che nacque un bel pasticcio!

Kenzo che si era già abituato all’idea, non vuole rinunciare al suo nuovo status

Sua madre Kame preferisce che sia il suo figlio maggiore Kenei il successore ufficiale e dato che Kenzo non vuole fare un passo indietro, da quel momento le loro vite si dividono creando entrambi differenti correnti.

Keni e Kenzo, due grandi maestri, tutti e due di massimo livello nello Shito Ryu, sono fratelli di sangue e tutti e due hanno vissuto la vita nella città di Osaka.

Tuttavia i loro modi differenti di elaborare gli insegnamenti trasmessi dal padre li hanno portati ad elaborare differenti tecniche ed opposte filosofie.

La morte di Kenzo

Kenzo morì nel 2005. I seguaci di Kenzo hanno sempre sostenuto che fosse lui il vero erede e successore del Karate tradizionale di suo padre.

Va considerato inoltre che suo fratello maggiore Kenei si era progressivamente allontanato dall’originale Shito Ryu, influenzato da un carattere più sportivo e più politico.

Che sia o meno così e dato che non si hanno abbastanza dati per prendere o meno la difesa di tale idea, la cosa certa è che dopo la morte di Kenzo nel 2005 importanti seguaci di questa linea si sono allontanati da essa senza rispettare la nuova direzione delle persone che vennero dopo.

È il caso ad esempio di Minobu Miki, stabilitosi a San Diego (Stati Uniti). L’organizzazione di Kenzo è conosciuta come Nippon Karate Do Kai.

Il confronto fra i due eredi

Sebbene negli Stati Uniti abbia tenuto abbastanza corsi, Kenzo non ha avuto nel resto del mondo una trascendenza così grande come il fratello, né esistono molti documenti storici su di lui.

Al contrario Kenei senza dubbio ha un passato ed un presente conosciuto più vincolato al Karate.

In ogni caso il principale obiettivo a Osaka è Kenei Mabuni, tenendo conto anche che è il figlio maggiore di Kenwa, che ha un maggior peso specifico nella storia recente dello Shito Ryu e che ormai suo fratello Kenzo è morto.

Note


Se il cuore va in stand-by la RIANIMAZIONE cardiopolmonare SALVA LA VITA

La rianimazione cardiopolmonare salva la vita

L’arresto cardiaco è il più importante problema sanitario in Europa, se i testimoni di un arresto cardiaco iniziano la rianimazione cardiopolmonare prima dell’arrivo dell’ambulanza, la possibilità di sopravvivenza della vittima aumentano di due/tre volte rispetto ai casi in cui la RCP non viene iniziata.

Nel 70% dei casi l’arresto cardiaco è testimoniato da qualcuno che può iniziare la rianimazione, tuttavia in Europa la RCP viene iniziata dai testimoni dell’arresto cardiaco soltanto nel 15% dei casi.

Se riuscissimo ad aumentare la percentuale dal 15% al 50-60% dei casi, potremmo salvare circa 100.000 persone all’anno.

Prof. Bernd Bottiger, Past President, European Resuscitation Council

Seguendo la cronaca di tutti i giorni, sempre più spesso questo killer silenzioso miete vittime senza distinzione di sesso, età e professione, si è chiesto di dotare le società sportive e non, di dotarsi di defibrillatori e corsi BLS, ma voglio affrontare nel dettaglio questo problema sperando che possa essere utile a coloro  che ancora lo sottovalutano.

L’ARRESTO CARDIACO IMPROVVISO

E’ una delle principali cause di decesso nei paesi industrializzati, in Europa, ogni giorno, il numero delle vittime è pari al totale dei passeggeri di due Jumbo, in Italia sono colpiti da arresto cardiaco circa 60.000 individui ogni anno.

Si tratta di un evento che frequentemente si manifesta in ambiente extraospedaliero

Poiché, ai fini della sopravvivenza e del recupero completo dello stato clinico precedente l’evento, è importante la tempestività della rianimazione cardiopolmonare (RCP), intervenire nell’immediatezza aumenta la possibilità di un buon esito. In genere, l’intervallo di tempo che intercorre tra la chiamata al servizio di emergenza medico (EMS) e l’arrivo del personale di soccorso è superiore a 5 minuti, dunque, ottenere alte percentuali di successo dipende dalla presenza di qualcuno addestrato alla RCP e da un programma di accesso alla defibrillazione.

Nella maggior parte dei casi la vittima di arresto cardiaco improvviso, presenta fibrillazione ventricolare (FV), in questo caso si rende necessaria una cardioversione tramite defibrillatore, più propriamente una defibrillazione che ha maggiori possibilità di successo se effettuata entro i primi 5 minuti dalla perdita di coscienza.

La defibrillazione si esegue mediante l’uso di un apparecchio, il defibrillatore elettrico semiautomatico (DAE), in grado di erogare una scarica elettrica, tramite l’impianto di due elettrodi o piastre applicate al torace dell’infartuato, allo scopo di ripristinare il ritmo sinusale.

Per chiarire cosa sia un ritmo sinusale, diciamo che l’impulso che determina la contrazione del cuore e genera il ritmo sinusale origina da un tessuto specializzato, posto all’interno del muscolo cardiaco e che ha la proprietà di produrre e propagare gli stimoli.

Il cuore è formato da quattro cavità: due atri e due ventricoli, durante il ciclo cardiaco il sangue affluisce negli atri per l’intero periodo del ciclo ad eccezione del periodo della sistole atriale (contrazione atri).

Il riempimento dei ventricoli avviene durante tutto il ciclo tranne durante le sistole ventricolare (contrazione dei ventricoli), dopo la sistole si ha la diastole sia atriale che ventricolare (rilasciamento), il ciclo cardiaco fa si che il miocardio eserciti funzione di propulsore della corrente ematica, quindi all’arresto cardiaco si accompagna sempre arresto di circolo ematico (arresto cardiocircolatorio).

L’arresto cardiaco si può verificare secondo tre modalità:

  • Arresto per asistolia (arresto in diastole), il miocardio cede improvvisamente e si ha la cessazione dell’attività contrattile, il cuore diventa molle, flaccido e privo di tono.
  • Arresto per fibrillazione ventricolare , corrisponde a quella “contrazione anarchica “ già descritta delle fibre miocardiche, inadeguata a produrre una contrazione cardiaca, secondo una descrizione poco elegante, si possono paragonare a una massa di spaghetti che si muovono.
  • Arresto cardiaco per cuore inefficace, rappresenta tutte quelle forme di arresto conseguenti a esiti di malattie che hanno determinato una prolungata sofferenza del miocardio.

La RCP in ambiente extra ospedaliero può essere praticata da personale sanitario qualificato ma può essere avviata anche da personale “laico”, purché sufficientemente istruito sulle tecniche di rianimazione cardiopolmonare di base, in attesa dell’intervento di un operatore sanitario che possa praticare una rianimazione cardiopolmonare avanzata (ACLS).

Migliori risultati di RCP praticata da soccorritori non professionisti si ottengono grazie ad un adeguato addestramento del personale reclutato

Per esempio, tra corpo di polizia o vigili del fuoco e con la presenza di defibrillatori esterni ed automatici (DAE), di cui è opportuno siano dotati ambienti come aeroporti, centri commerciali, sportivi o stadi.

È importante sapere quando iniziare o sospendere la rianimazione cardio-polmonare, in presenza di arresto cardiaco, una valutazione attenta della prognosi del paziente da parte dell’operatore sanitario,sia riguardo alla durata che alla qualità della vita possibili grazie all’intervento di rianimazione, consentirà di decidere se l’esecuzione della RCP sia appropriata o meno, in questo senso, riveste grande importanza la presenza di testimoni che hanno assistito all’evento o di coloro che conoscono la situazione clinica del paziente.

Se il trattamento medico non è atto a raggiungere un obiettivo volto all’allungamento della vita o al miglioramento della sua qualità, deve essere considerato inutile,mettere in atto una RCP è inutile, ovviamente, in presenza di segni di morte irreversibile o quando non vi sono benefici prevedibili, come nel caso di pazienti con malattie allo stadio terminale.

Dunque, quando il paziente presenta segni di morte inequivocabile, come rigor mortis, decapitazione, decomposizione o chiazze ipostatiche, oppure quando è prevedibile che non vi sarà alcun beneficio a causa del deterioramento delle funzioni vitali in atto, per esempio in pazienti neoplastici terminali, non si darà inizio alla rianimazione.

Si sospende la rianimazione cardiopolmonare una volta ottenuto il ripristino di una ventilazione efficace e spontanea o per trasferirne la gestione ad un operatore qualificato

Il trattamento però deve essere interrotto anche nel caso di: esaurimento delle forze fisiche del soccorritore, in presenza di fattori ambientali che mettano in pericolo la presenza stessa del soccorritore o quando intervengano segni di morte irreversibile.

Tutte le fasi della RCP sono importanti quanto quella dello shock elettrico attuata con il defibrillatore: una rianimazione con compressioni toraciche efficaci, che garantiscano un adeguato apporto di sangue alle coronarie ed al cervello, può raddoppiare o triplicare la probabilità di sopravvivenza e ridurre gli esiti di un arresto circolatorio.

Peraltro, sia in soggetti adulti che nei bambini, oltre all’arresto cardiaco improvviso ed alla fibrillazione ventricolare, un certo numero di decessi presenta un meccanismo di asfissia.

Avviene nell’annegamento ed anche nell’overdose da droghe, quello osservato nella maggior parte dei bambini, ad esempio, è l’arresto cardiaco conseguente ad asfissia per rigurgito o inalazione di corpi estranei, situazione in cui, in associazione al massaggio cardiaco, è necessario procedere alla ventilazione oltre alla messa in atto di manovre per la rimozione di eventuali corpi estranei dalle vie aeree.

Per procedere alla rianimazione e mettere in atto tutte le manovre necessarie, innanzi tutto chi soccorre si accerta di operare in situazione di sicurezza personale, l’esecuzione delle manovre rianimatorie, varia a seconda del numero dei soccorritori addestrati e presenti: uno o più soccorritori devono rimanere con il paziente ed iniziare la rianimazione cardiopolmonare, mentre un’ altro telefona al servizio di emergenza e rintraccia un defibrillatore automatico esterno (DAE).

Nel caso di un solo soccorritore, con un adulto privo di coscienza, deve prima di tutto attivare il servizio d’emergenza

Quindi raggiungere il DAE, se disponibile, poi tornare presso la vittima ed iniziare la rianimazione cardiopolmonare e la successiva defibrillazione.

Se l’arresto cardiaco è conseguente ad asfissia, come nell’annegamento, ancora prima di attivare il servizio d’emergenza si procede all’esecuzione di 5 cicli di rianimazione cardiopolmonare, il soccorritore dopo essersi assicurato che l’ambiente è sicuro, valuta lo stato di coscienza del paziente, toccandogli la spalla e chiedendogli “mi sente? Come va?” se la vittima risponde, si telefona al servizio d’emergenza e poi si torna rapidamente a rivalutarne, per quanto possibile, le condizioni.

Se la vittima è priva di coscienza, nessun movimento e nessuna risposta agli stimoli, il soccorritore attiva il servizio d’emergenza, prende il defibrillatore, se disponibile, quindi inizia a praticare la rianimazione cardiopolmonare, con la defibrillazione se necessaria.

Se sono presenti due soccorritori, uno attiva il servizio d’emergenza l’altro inizia la rianimazione cardiopolmonare. Vorrei anche dare un’indicazione sulla

RIANIMAZIONE: LA TECNICA

È chiaro che conoscere la tecnica di primo soccorso ed essere in grado di praticarla è fondamentale, chiunque può farlo frequentando un corso di formazione per soccorritori dove apprendere la tecnica del Basic Life  Support (BLS), il sostegno di base alle funzioni vitali, che comprende la rianimazione cardiopolmonare (RCP) ed una sequenza di azioni di supporto di base alle funzioni vitali appunto, lo standard progressivo dei corsi per soccorritori è costituito dalla BLS/D che al protocollo BLS affianca la procedura di defibrillazione.

L’intervento con la tecnica del BLSha lo scopo di mantenere ossigenati il cuore e cervello, organi purtroppo sensibilissimi all’anossia, la mancanza di ossigeno

La vittima deve essere supino su una superficie rigida, iperestensione del capo e il sollevamento del mento (head tilt chin lift) permettono di aprire le vie aeree, ovviamente si tratta di pazienti per i quali è escluso un trauma della colonna cervicale, i politraumatizzati debbono essere trattati con protocolli differenti.

Mantenendo pervie le vie aeree, si valuta il respiro, se non valido si procede a due ventilazioni, ognuna di un secondo, insufflando nei polmoni un volume d’aria sufficiente a produrre una espansione visibile del torace, quindi si inizia il massaggio cardiaco esterno (MCE), con trenta compressioni del torace in regione precordiale, per riattivare un flusso ematico sia attraverso l’aumento della pressione intratoracica, sia attraverso la compressione diretta del cuore.

Il soccorritore è inginocchiato accanto al paziente e procede alla compressione al centro del torace, sulla metà inferiore dello sterno, tra i capezzoli, posizionando il calcagno della mano sullo sterno, ed il calcagno della seconda mano sulla prima, con mani sovrapposte e parallele.

Perché siano efficaci le compressioni debbono essere forti e veloci: in un adulto lo sterno deve essere abbassato di circa 4-5 cm, permettendo al torace di rispandersi completamente dopo ogni compressione, in presenza di un DAE si procede alla defibrillazione, se necessario, ed i cicli di RCP si ripetono fino a quando il paziente non riprende a muoversi nell’attesa che arrivino gli operatori del servizio di emergenza.

Note


[PAURA & AUTODIFESA] Psicologia di un conflitto inaspettato

La paura, una volta manifestata in sintomi, non è altro che una sindrome che si concretizza in un quadro ben definito di alterazioni psicosomatiche. Vediamo assieme alcuni esempi di questa condizione


Alcuni esempi reali

Primo scenario

NEW YORK, giovedì 3 giugno 2005. I giornali della città riportavano la notizia di una sparatoria nella quale ferirono un poliziotto: si era salvato miracolosamente grazie al suo corpetto antiproiettile.

In quella stessa notizia veniva sottolineato il fatto che, mentre l’ufficiale risultato ferito aveva affrontato il delinquente, il suo collega era fuggito spaventato dalla scena.

Tutti i giornali erano d’accordo nel dare risalto al fatto in particolar modo per l’impressionante atto di vigliaccheria del collega.

Secondo scenario

Tempo fa fece scalpore la notizia che Alex Gong, direttore del Fairtex Gym in California, era stato vittima di alcuni colpi di pistola ed era morto in una delle strade più frequentate di San Francisco.

Gli avvenimenti erano stati i seguenti: un conducente, che viaggiava in una jeep, era andato a sbattere contro la sua auto che era parcheggiata, immediatamente si era dato alla fuga.

Alex lo aveva seguito a piedi fino ad acciuffarlo più avanti, il conducente si era fermato ad un semaforo rosso, nel momento in cui Alex lo aveva raggiunto, l’individuo in questione aveva estratto un’arma ed aperto il fuoco contro di lui, perdendosi poco dopo in mezzo al traffico.

Alex era stato colpito appena sopra il cuore, una ferita mortale. Più tardi ritrovarono il Cherokee abbandonato in un altro luogo.

Per chi non conosce Alex Gong, va detto che era campione del mondo di Muay Thai, il suo nome aveva brillato di luce propria a Las Vegas, in altre parole un artista marziale molto ben preparato.

Terzo scenario

Giovedì 12 settembre 1991, l’ufficiale di polizia Hèctor Antonio Fontanez Diaz morì a causa dei colpi di pistola ricevuti inseguendo in un vicolo cieco un criminale armato.

Gli ufficiali avvistarono Il criminale nella zona su una bicicletta ed in possesso di un’arma da fuoco.

L’ufficiale Fontanez fu in grado di rispondere al fuoco facendo centro almeno cinque volte, ed il criminale fu arrestato alla fine da altri ufficiali.

A suo tempo, questi fatti hanno occupato le prime pagine dei mezzi di comunicazione giungendo a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica in generale.


Analizziamo assieme i dati

La ragione per la quale ne parlo è che nei tre eventi si è prodotta una violenza non prevedibile.

Essi rappresentano perfettamente la reazione umana che essa scatena.

Vale a dire le condotte che palesiamo di fronte ad un conflitto inaspettato, quando una persona affronta una situazione di stress come quelle a cui furono esposte le persone di questi esempi.

La reazione “normale, umana” è istintiva di sopravvivenza, e può essere di due tipi, paura (fuga) o rabbia (aggressione).

La fuga

Nel primo caso, cioè in quello del poliziotto in fuga, è facile giungere alla conclusione che la paura si sia impadronita di lui e sia riuscita a dominarlo.

La paura è un’emozione umana naturale, che ci aiuta a focalizzare le situazioni di stress.

Tuttavia essa è generalmente presentata come una debolezza del carattere, la paura può essere provocata da una minaccia reale o percepita come tale, la nostra reazione istintiva sarà quella di intervenire o, al contrario, quella di fuggire.

La condizione di paura una volta manifestata in sintomi non è altro che una sindrome

La paura, una volta manifestata in sintomi, non è altro che una sindrome che si concretizza in un quadro ben definito di alterazioni psicosomatiche quali:

  • Tachicardie o bradicardie;
  • Diminuzione o l’aumento di determinate attività ghiandolari;
  • Cambiamenti della temperatura del corpo;
  • ecc…

A sua volta tutto ciò produce negli individui trasformazioni in determinate parti del corpo, che li spingono ad agire in una direzione o in un’altra.

Nel caso di Alex Gong e del poliziotto Fontanez, furono la rabbia e il coraggio a determinare la loro reazione.

Le tre reazioni umane primarie sono il coraggio o rabbia, la paura e l’amore

Le prime tre esplodono come risultato di una reazione immediata ad uno stimolo esterno, o come risultato di un processo soggettivo indiretto, derivante dalla memoria, dall’associazione o dall’introspezione.

La cosa curiosa di tutto ciò è che le strutture anatomiche dove risiedono i controlli di queste reazioni, si trovano tutte nella stessa porzione del nostro cervello centrale, l’ipotalamo.

L’ipotalamo controlla un’ampia gamma di funzioni vitali del nostro organismo.

Dirige anche la risposta tipica del “correre o lottare” del sistema nervoso autonomo, l’eccitazione o la paura costringono i segnali a viaggiare verso l’ipotalamo, il quale produce a sua volta tachicardia o accelerazione del polso e della respirazione, pupille dilatate ed aumento del flusso sanguigno.

Quando le persone si arrabbiano o hanno paura cominciano a pensare dal cervello centrale invece che dal cervello anteriore

Quando le persone si arrabbiano o si spaventano, cominciano a pensare e, quindi, ad agire dal cervello centrale invece che dal cervello anteriore, che è dove risiede la “mente umana” o il cervello più avanzato.

So che non suona molto attraente, ma nonostante la nostra evoluzione apparente, l’unico modo di avere influenza su questa zona del cervello è usare lo stesso metodo che funziona con i cani: il condizionamento psicologico.

Vale a dire ripetere esattamente lo stimolo che si potrebbe affrontare nella realtà e perfezionare la risposta desiderata una volta dopo l’altra, in modo che nel bel mezzo di un’eventuale crisi il cervello abbia una più alta probabilità di reagire nel modo desiderato, benché ci si trovi in una situazione di stress estremo.

In definitiva, questo è ciò che facciamo quando ci alleniamo ,imparare a condizionare o a controllare queste emozioni primarie, sia se si tratta di allenamenti polizieschi, che di arti marziali.

CONDIZIONAMENTO PSICOLOGICO

Come sappiamo la maggior parte dei dipartimenti di polizia e delle agenzie di sicurezza cerca di educare i loro membri con qualche tipo di allenamento, che li aiuti a fare meglio il loro lavoro, tuttavia le limitate possibilità in termini economici, la perenne mancanza di personale, oltre alla minaccia costante delle procedure giudiziarie, fanno si che, sia i dipartimenti di polizia che le agenzie di sicurezza, limitino in un certo senso le possibilità di allenare il loro personale in modo più realistico.


Un altro esempio pratico: l’addestramento al poligono

Per esempio nella maggior parte dei poligoni di tiro polizieschi si seguono protocolli di sicurezza che vanno a scapito dell’introduzione della pressione psicologica nell’esercizio, cosa che apporterebbe agli esercizi stessi molto più realismo ed efficacia.

  • Si spara dopo aver sentito un suono preciso emesso dagli istruttori;
  • Si usano cuffie per diminuire il rumore degli spari (per prevenire il danno acustico);
  • Si spara da una linea predeterminata, la quantità di pallottole che stabilisce la torre di controllo;
  • Si spara ad un’ora e in un luogo predeterminato, ad oggetti generalmente immobili, che naturalmente non rispondono al fuoco.

In realtà, l’allenamento offerto è generalmente accettabile quanto alla formazione fisica e tecnica dell’allievo, sarà l’atteggiamento del partecipante di fronte all’allenamento che alla fine deciderà la portata e l’autenticità dello stesso.

È l’allievo che deve trovare un modo di integrare la parte psicologica e tattica al suo allenamento, ed adattare i livelli della sua preparazione personale alla realtà.


Ci sono quattro livelli di condizionamento mentale

Tutti rispondiamo agli stimoli in funzione dello stato mentale in cui ci troviamo in quel momento, per questo motivo, per essere capaci di rispondere ad un possibile attacco inaspettato, dobbiamo coltivare l’allerta rispetto a tutto quello che sta succedendo intorno a noi.

Sebbene sia vero che non è pratico né appropriato vivere “col dito sul grilletto”, non lo è nemmeno voler vivere la propria vita in un limbo di spalle al mondo che ci circonda, trasformandosi così in un bersaglio ambulante.

In alcuni corpi militari come nei servizi di pronto soccorso, i differenti livelli di allerta sono insegnati attraverso un sistema che usa un codice di colori, che rappresenta i differenti tipi di coscienza dell’esperienza di un essere umano.

CONDIZIONE BIANCA

È lo stato mentale in cui la maggior parte delle persone vive la sua vita.

Nella condizione “bianca” non ci si aspetta nessun tipo di problemi, né si cercano problemi, in questa condizione ci sentiamo ed agiamo perfettamente fiduciosi e sicuri.

È come se il mondo che ci circonda fosse la nostra stanza, e noi avessimo il controllo di tutto quello che succede attorno a noi.

Pensiamo che niente di male ci può succedere, è la condizione idonea per diventare delle vittime.

CONDIZIONE GIALLA

Questa è la condizione nella quale si dovrebbe stare quando ci si trova in pubblico, cioè in un ambiente che non è intimo o familiare.

Corrisponde all’equivalente mentale del semaforo, cioè, questo stato ci suggerisce di procedere con precauzione, si deve essere coscienti di ciò che accade attorno a noi.

Per esempio chi vi sta dietro, va mantenuta sempre la distanza perlomeno di un braccio dagli estranei.

È conveniente, inoltre, abituarsi a giocare un gioco mentale, analizzando le persone che ci circondano: che tipo di persone possono essere… che situazioni potrebbero prodursi inaspettatamente ecc…

In questa condizione si devono ascoltare i propri istinti, attenti a qualunque eventuale pericolo.

CONDIZIONE ARANCIONE

A questo livello si deve capire che sicuramente… qualcosa non va per il verso giusto.

Si deve ammettere che esiste un pericolo, questo è uno stato d’allarme, essenzialmente la decisione è di allontanarsi o di prepararsi ad agire.

CONDIZIONE ROSSA

In questa condizione l’azione è imminente.

Non appena la minaccia si manifesta, si deve agire, qualunque risposta o colpo che si stia preparando, deve essere portato a compimento immediatamente, con tutta la velocità e l’aggressività possibili.

In questo momento si deve esercitare un controllo sulle proprie emozioni, non sopprimerle.


IN CONCLUSIONE

Allenarsi per partecipare ad un torneo, per migliorare la propria immagine fisica, persino per mantenere la salute sono ragioni adeguate, ma naturalmente non ci si prepara ad affrontare situazioni spontanee di vita o di morte.

Malgrado la paura sia un’emozione così frequente, sono molto poche le persone che si allenano immergendosi in circostanze che evochino questa emozione.

L’obiettivo durante l’allenamento dovrebbe essere quello di considerare seriamente questo tema e lavorare di fatto sullo sviluppo dell’autocontrollo totale della paura e della rabbia, due reazioni tra le più sconvenienti in un conflitto inaspettato, che possono risultare letali.

Note


[MAESTRI DELLA STORIA] Bruce Lee, incontro con il TAO (道)

C’è qualcosa di misterioso e di solitario che c’era prima del cielo e della terra, è immutabile, inafferrabile.

È l’unità e il vuoto, percorre eternamente un circolo ed è inesauribile, per quella che può essere chiamata “la madre di tutte le cose”, io non conosco il suo nome, ma faccio uno sforzo e lo chiamo TAO.

Tentare di spiegare il Tao sarebbe un lavoro impossibile.

Come minimo si dovrebbe scrivere un altro libro sul TAO The King e nonostante questo non ce la faremmo, perché invece di avvicinarci al Tao ci saremmo allontanati.

Perché il Tao nella sua essenza è inspiegabile e inesprimibile, si sente o non si sente, ma non si può descrivere.

Perché per quanto si parli di lui è difficile arrivare alla sua piena comprensione, principalmente in un mondo così materialista.

Forse alcuni possono pensare che questa sia un’utopia, qualcosa di irreale, creato dall’immaginazione di alcuni, tuttavia risulta insolito che tutti i grandi Maestri abbiano descritto la stessa cosa: l’unione tra la mente e il corpo con l’ambiente circostante, qualcosa di tanto facile da spiegare, ma al tempo stesso tanto complicato da fare e, soprattutto da applicare…



Alcuni esempi storici sul TAO


MASUTATSU OYAMA

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale Mas Oyama è un 4° dan di Karate, forgiato e indurito dagli orrori della guerra e dell’occupazione, è allora che avviene un fatto che cambia completamente la sua vita e le sue motivazioni: l’avvio di una guerra civile tra il Nord e il Sud della Corea.

Questa divisione del suo paese natale lacera il cuore del giovane esiliato coreano, che non sopporta di vedere come la sua gente sia spinta a massacrarsi reciprocamente, in una lotta fratello contro fratello.

Profondamente deluso e schifato di tutto, Mas Oyama si lascia prendere dalla disperazione e dal disinteresse.

Abbandonando tutto, il mondo gli sta cadendo addosso.

Quando conosce un Maestro carismatico di Karate Goju-Kai, anch’egli di origine coreana, questo mistico personaggio gli dà solamente un consiglio, abbandonare la sua vita attuale, ritirarsi in una montagna e coltivare nella natura il suo corpo e il suo spirito, e forse così riuscirà a ristabilire il suo equilibrio emozionale.

Oyama comprende che solo un cambio radicale di esistenza può restituirgli la gioia e l’energia, perciò decide di seguire i consigli del Maestro.

Il resto è già pubblicato sulla sua biografia in un precedente articolo.


YAMAGUCHI GOGEN

Quando la Seconda Guerra Mondiale finì, il Giappone era materialmente e moralmente distrutto, davanti a questo desolante scenario, Yamaguchi Gogen pensa di ricorrere all’Harakiri.

Un giorno pregando per la purezza dello spirito prima di commettere il suicidio, ha una rivelazione che cambia il suo destino.

Visualizza la sua missione: la ricostruzione della scuola Goyu Ryu per aiutare il Giappone e il mondo.

Dopo quella visione intensifica i suoi allenamenti di Karate, ma ancor di più la meditazione e la pratica della religione Scintoista, della quale è monaco e che considera indissociabile dal suo Karate.

Lo Scintoismo era la religione ancestrale dei giapponesi, la cui base è la venerazione dei principi della natura e il contatto con essa attraverso pratiche sui monti, mari e fiumi.

Per questo motivo il Maestro era solito andare una volta al mese in montagna per mettersi in contatto con la natura e meditare nella più assoluta solitudine, oltre che per perfezionare i suoi Kata sotto le cascate d’acqua gelida cercando di mantenere il suo spirito sereno, pur essendo nel mezzo delle più severe condizioni.


MORIHEI UESHIBA

Secondo diversi racconti, dopo anni di pratica e allenamento in diverse arti marziali, un giorno ebbe una visione che cambiò completamente la sua vita.

Attraverso di essa trovò il suo equilibrio con l’universo.

Su questo ci sono molti scritti e le spiegazioni su questa fantastica visione non smettono di essere incredibili.

Alcuni raccontano che vide una specie di gnomo o folletto, il quale gli raccontò i segreti dell’Universo, in altre biografie raccontano che un giorno, meditando, contemplò come il suo spirito si fondesse in lui formando carne e anima in un unico blocco, coscienti ambedue di questa unione…

La cosa certa è che dopo aver avuto la succitata visione, cambiò completamente vita, si iniziò a chiedere a cosa servisse sconfiggere un avversario, quali benefici ne avrebbe avuto, perché se hai sconfitto una persona, prima o poi ti sconfiggerà un altro rivale, il vincitore di oggi sarà lo sconfitto di domani.

Un giorno avrebbe perduto quella vitalità e avrebbe trovato qualcuno di più giovane e con meno conoscenze che lo avrebbe sconfitto.

Morihei cercava quell’arte marziale in cui la forza bruta passasse in secondo piano e prevalesse la tecnica, nella quale esistesse un equilibrio universale e grazie alla quale qualunque persona, per quanto debole fosse, potesse sconfiggere qualunque rivale, per quanto forte o giovane fosse.

A partire dall’idea che la forza non è tutto nelle arti marziali, creò il concetto basilare dell’Aikido che è Al:unione, Ki: vita, energia e Do:via o strada.

La via dell’armonia con l’energia universale, con questo concetto cominciò a lavorare e a perfezionare la tecnica di base per due anni, fino a sviluppare quello che oggi è l’Aikido.


Tutti i grandi Maestri delle arti marziali hanno un denominatore comune: la rivelazione del TAO

Un giorno hanno un’esperienza che cambia completamente la loro vita e le loro concezioni delle arti marziali, cioè che li spinge a contemplare tutto da un’ottica diversa, da allora esiste un “prima” e un “dopo” nella loro esistenza.

Grazie a quel momento o esperienza, riescono a trovare l’equilibrio tra mente e corpo, vale a dire l’unione tra l’uomo e il suo ambiente.

Da allora acquisiscono quel grado di “intendimento” che fa si che i loro progressi nelle arti marziali siano notevoli, segnando un sentiero che altri, più tardi trasformeranno in strada.

Nel caso del Piccolo Drago non poteva essere altrimenti

Esiste uno scritto dello stesso Bruce Lee in cui spiega quel momento trascendentale della sua vita.

La cosa curiosa in questo caso è che successe quando aveva 17 anni, era molto giovane.

Tuttavia, dopo averlo letto, non vi è spazio per i dubbi, quel “momento” ebbe luogo quando navigava solo in un giunco nel porto di Victoria (Hong Kong), grazie ad esso Bruce Lee riuscì a raggiungere quello che i cinesi chiamano Tun Wu e i giapponesi Satori.

Lo Zen considera questo momento come un intendimento spirituale inaspettato o un risveglio nei sensi del quale l’uomo aderisce con la natura.

È ciò che i cinesi denominano Tao

Quell’esperienza cambiò la vita di Bruce Lee ed evidentemente anche la sua filosofia di vita.

Anni dopo il Drago descrisse questo cruciale momento con una grande quantità di dettagli e sfumature, in uno dei suoi scritti scolastici dell’università, intitolandolo “un momento di comprensione” fu scritto nel suo primo anno di facoltà, quando studiava filosofia e sorprende per la sua semplicità e la sua profondità rende comprensibile ai neofiti quella connessione tra l’uomo e il “Tao”.

Un qualcosa che altri Maestri tentarono con scritti molti più ampi e spiegazioni più estese, ma secondo la mia opinione, meno chiari.

Un altro “tocco” della genialità del “Piccolo Drago”, il Gung Fu è il tipo di pratica molto particolare un’arte splendida più che un puro esercizio fisico, l’arte consiste nel coniugare l’essenza della mente con le tecniche su cui lavorare.

Il principio del Kung Fu non è qualcosa che si può imparare come una scienza, mediante costrutti e cercando riscontri.

In sostanza infatti deve crescere spontaneamente, come un fiore, in una mente libera da emozioni e desideri, il nucleo di questo principio del Gung Fu è il Tao, la spontaneità dell’universo.


Un aneddoto del Piccolo Drago

Dopo quattro anni di duro allenamento, cominciai a capire e sentire l’essenziale, che altro non era che l’armonia di queste pratiche, l’arte di neutralizzare il rivale, minimizzando l’uso della mia energia, tutto questo deve essere fatto con calma e senza sforzo.

Tutto sembrava semplice, ma nella pratica risultava molto difficile da fare

Quando affrontavo un avversario in combattimento, la mia mente era completamente turbata e instabile, specialmente dopo aver dato e ricevuto una serie di colpi e calci, tutta la mia teoria di armonia era sparita, l’unico pensiero che persisteva era quello di dover, in un modo o nell’altro, attaccare e sconfiggere il mio avversario.

Un giorno il mio Maestro di Wing Chun, si avvicinò a me e mi disse: “Loong, rilassa e calma la tua mente, dimentica te stesso e segui i movimenti del tuo rivale, lascia agire liberamente la tua mente, senza nessun tipo di ragionamento che interferisca, soprattutto impara l’arte della separazione”.

E lì stava la soluzione: dovevo rilassarmi, tuttavia, in quello stesso momento avevo appena fatto qualcosa di contrario alla mia volontà, questo accadde nel preciso istante in cui mi dissi: “devo rilassarmi”

La pretesa dello sforzo in quel “devo” era già di per sé in contraddizione con l’idea di rilassarmi, soprattutto mentre la mia accentuata timidezza cresceva fino a quella che gli psicologi chiamano “doppio legame”, per me era terribilmente difficile farlo, allora il mio Maestro si avvicinò nuovamente e mi disse “Loong, prova a liberarti e a lasciarti trasportare dai tuoi istinti naturali, senza che tu interferisca, ricorda che non devi mai contraddire la natura: non ti opporre mai ostinatamente a nessun problema, ma cerca piuttosto di risolverlo analizzandolo, non allenarti questa settimana, vai a casa e pensaci su“.

La settimana seguente rimasi a casa, dopo aver passato varie ore a meditare e allenandomi, mi diedi per vinto e decisi di uscire in barca un momento da solo, in mare pensavo a tutto il mio allenamento passato, mi irritai con me stesso e diedi un colpo sull’acqua, giusto in quel momento mi sovvenne un’idea: non era proprio quell’acqua la vera essenza del Gung Fu?

La colpii nuovamente e non subì nessun danno, sferrai un altro colpo con tutte le mie forze e, ovviamente ancora una volta l’acqua non subì alcun danno, quindi tentai di afferrarne un po’ ma fu impossibile.

L’acqua, la sostanza più serena del mondo, potrebbe riempire qualunque recipiente acquisendone la forma, benché sembri debole, potrebbe penetrare la sostanza più grezza e dura della terra, ecco il punto!

Io dovevo essere come l’essenza dell’acqua! Improvvisamente un uccello che volava, si riflettè sull’acqua del mare, in quell’istante, mentre io ero assorto nella lezione dell’acqua, mi venne rivelato un altro significato mistico dell’enigma: non è che forse i miei pensieri e le mie emozioni di fronte al mio avversario dovessero essere come il riflesso di un uccello sull’acqua?

Questo era esattamente ciò che il professor Yip Man voleva dire quando parlava di slegarsi, non si trattava di non possedere pensieri o sentimenti, piuttosto essi non dovevano bloccarmi, dovevo in primo luogo accettarmi in relazione con la natura e non contrappormi ad essa, finalmente sentivo di essermi unito con il Tao, mi ero unificato con la natura.

Ero disteso dentro la barca e la lasciai scivolare liberamente sull’acqua in sintonia con la sua volontà, da quel momento ottenni uno stato di benessere peculiare e non ci furono più conflitti nella mia mente, la totalità del mondo è l’unità.


In virtù di quell’esperienza la mentalità di Bruce Lee cambiò

In virtù di quell’esperienza, la mentalità di Bruce Lee cambiò, forse in quei momenti non era pronto a “quello“.

Ciò che è indiscutibile è che quell’esperienza lo segnò e, come gli altri Maestri, gli indicò la strada da seguire, trasformando quella “lezione“ nel principio del Jeet Kune Do, dove impera l’adattabilità di fronte a qualunque avversario e circostanza, senza opporre resistenza, fondendosi con l’ambiente, come piegava Bruce Lee in una delle sue più conosciute massime:

Sii come l’acqua, l’acqua non ha forma e tuttavia ce l’ha.

È l’elemento più morbido della terra, ma penetra nella pietra più dura. Non ha una propria forma, ma può adattarla all’oggetto che la contiene.

In una tazza acquisisce la forma di una tazza, in un vaso da fiori adotta la forma del vaso e circonda i fusti dei fiori, mettila in una teiera e si trasforma in teiera.

Per favore, osserva l’adattabilità dell’acqua, se la comprimi a gran velocità, fluisce velocemente, se la comprimi lentamente, fluisce pian piano.

Può sembrare che l’acqua si muova in modo contraddittorio, perfino verso l’alto, ma in realtà sceglie qualunque strada libera per poter arrivare al mare, può fluire rapidamente o lentamente, ma il suo proposito è inesorabile, il suo destino sicuro…

Bruce Lee impregnò il Jeet Kune Do dell’ideologia che abbiamo appena letto

La base del JKD tratta l’individualismo, l’auto espressione e la capacità dell’uomo di imparare ad adattarsi in modo immediato e armonioso a qualunque ostacolo che possa trovarsi durante il tragitto.

Attraverso questo processo di adattamento, Bruce Lee pensava di poter superare tutte le difficoltà.

Il suo punto di vista era diverso, la sua prospettiva della condizione umana unica e, soprattutto, la filosofia della quale fu pioniere, ha indicato una via da seguire nelle arti marziali.

Sfortunatamente si è considerata solo la grande diffusione delle arti marziali che realizzò con i suoi film o i suoi eccezionali attributi fisici.

Tuttavia Bruce Lee fu, come abbiamo potuto vedere, molto più di questo.

Suppongo che trasmettere questo, in quegli anni, quando non si conoscevano nemmeno le arti marziali, fosse qualcosa di molto difficile, in ogni modo la sua eredità è li, ora è compito dei suoi allievi e praticanti di Jeet Kune Do perpetuarla e diffonderla.

Note


Harakiri (腹切り): Da Konishi Yukinaga all’Incidente di Kobe

Harakiri. Non tutti però avevano tale coraggio

Nella disfatta di un esercito per esempio, il comandante Ispida Mitsunari fu fatto prigioniero, ma non lo ritenne un’infamia intollerabile, disse agli uomini che avrebbe potuto uccidersi da solo, ma pensava fosse meglio lasciare il disturbo ai propri nemici.

Un altro importante prigioniero fu Konishi Yukinaga, il generale cristiano divenuto famoso durante la guerra di Corea.

Catturato, gli venne imposto di suicidarsi, ma rifiutò sostenendo che la sua fede cristiana lo considerava un peccato. In seguito venne decapitato sulle rive del fiume Kamo.

Un esempio ben documentato di Harakiri: L’incidente di Kobe

Esiste un classico resoconto di un seppuku, scritto da A.B. Mitford rappresentante della delegazione britannica.

L’avvenimento ebbe luogo alla fine del periodo feudale, in una notte del 1868, in un tempio presso Kobe.

Protagonista un Samurai di nome Taki Zenzaburo, reo di aver ordinato ai suoi uomini di far fuoco sulla colonna straniera di Kobe, con mano ferma prese il pugnale che gli stava dinnanzi e lo fissò intensamente, quasi con affetto.

Restò assorto per un momento, poi se lo conficcò in profondità al di sotto della cintura nella parte sinistra, lentamente lo portò a destra, poi lo rigirò nella ferita e lo trasse verso l’alto.

Durante questa tremenda operazione non in un muscolo della sua faccia si mosse, estrasse il pugnale e si abbandonò in avanti reclinando il collo.

A questo punto il kaishaku, che era rimasto accoccolato al suo fianco spiando attentamente ogni sua mossa, balzò in piedi brandendo alta la katana.

Un lampo, un tonfo sinistro, e con un solo colpo la testa rotolò via dal corpo.


Conclusioni

I tempi cambiano, ma chi ha innata la cultura e il senso dell’onore ancora oggi effettua il suicidio l’Harakiri.

Le motivazioni sono diverse, (vedi quel direttore di banca che aveva truffato i clienti) ma il risultato è lo stesso.

Harakiri anche senza il proprio kaishaku, il giappone una tradizione, una popolazione, un solo onore.

In Italia se ci fosse lo stesso principio dell’onore con relativo Harakiri, troveremmo tantissimi kaishaku e nessun candidato al Harakiri. Di questo ne sono più che convinto!

Note


[SEPPUKU] Cosa è lo Harakiri (腹切り)?

Per quanto strano possa sembrare, nessuno è in grado di precisare le origini del seppuku; questa forma atroce di suicidio.

Ma il seppuku (lettura più colta dei due ideogrammi di harakiri, “ventre – taglio“) divenne col tempo il modo di morire in quattro situazioni diverse.

Era l’ultimo rifugio per evitare un’indicibile disgrazia come quella di cadere nelle mani del nemico.

Poteva essere effettuato come JUNSHI, suicidio alla morte del proprio signore, oppure essere l’ultima risorsa per contestare un superiore di cui non si approvava il comportamento. Infine poteva essere la sentenza capitale imposta a un guerriero dalle autorità.

Lo HARAKIRI, detto anche seppuku, era naturalmente prerogativa della classe samuraica

A monaci, contadini, artigiani e mercanti non era concesso darsi questo tipo di morte.

Un nobile della corte di Kyoto, ad esempio, avrebbe preso il veleno, ciò sta a significare che lo harakiri fu scelto perché principalmente era la dimostrazione di un coraggio quasi sovrumano, qualità che insieme alla lealtà era la somma, indispensabile virtù del Samurai.

Per usare le parole di uno storico:

la scelta di tale estrema sofferenza fu senza dubbio correlata all’idea che era obbligatorio per i membri dell’elitaria classe marziale mostrare il proprio eccezionale coraggio e la propria determinazione nell’affrontare una prova così atroce che la gente comune non poteva affatto sopportare

Bisogna anche tener presente che il ventre (hara) in Giappone era considerato il centro dell’uomo, dove risiedevano il suo spirito, la sua volontà, le sue emozioni.

Chi si apprestava a fare il harakiri doveva essere pronto a esporre questa sede per dimostrare la propria sincerità. Un brano da Sole e acciaio di Mishima ci fornisce una spiegazione alquanto singolare di questa specifica concessione:

Prendiamo una mela, una mela intatta, l’interno della mela è naturalmente invisibile, così all’interno di questa mela, rinchiuso nella polpa del frutto, il torsolo si nasconde nella sua livida oscurità, tremante nell’ansiosa ricerca di sapere se è una mela perfetta.

È certo che la mela esiste, ma per il torsolo questa esistenza è ancora insufficiente, se le parole non possono confermarla, allora l’unico mezzo per farlo sono gli occhi.

In realtà per il torsolo la sola sicurezza di esistere è esistere e vedere allo stesso tempo, c’è un solo modo per risolvere questa contraddizione: conficcare un coltello ben dentro la mela, spaccarla ed esporre il torsolo alla luce, a quella stessa luce che vedeva la buccia.

Yukio Mishima, Sole e acciaio (titolo originale 太陽と鉄
Taiyō to tetsu)

Ma l’esistenza della mela finisce a pezzi, il torsolo sacrifica l’esistenza per vedere.

Col tempo si realizzò che la morte per seppuku era non solo coraggiosa, ma anche “bella“

Era considerata un’onorevole e quindi esteticamente soddisfacente fine per una vita, per quanto breve, di leale servizio.

Sin dall’inizio del Xlll secolo almeno, il seppuku come pratica comune divenne talmente parte della tradizione Samuraica, che al figlio di un guerriero gli venivano impartite già nell’infanzia istruzioni al riguardo.

In epoca posteriore il Seppuku divenne una cerimonia rituale, specie quando a un samurai veniva imposto (o dal Governo o dal suo signore feudale) il suicidio.

Già verso la fine del XVll secolo erano state codificate regole molto complicate, come il numero di tatami da usare e la loro disposizione.

I tatami erano stuoie di giunchi di circa un metro per due, usate per coprire i pavimenti delle case.

Dovevano essere bordati di bianco e su questi veniva posto un grande cuscino sul quale il guerriero che doveva fare seppuku si poneva in atteggiamento formale.

Inginocchiato e seduto eretto sui talloni, circa un metro dietro di lui alla sua sinistra, stava inginocchiato il kaishakunin, l’assistente al seppuku. Egli era un amico intimo del protagonista, che brandiva la spada nelle due mani e il suo compito era di decapitare l’amico nel momento concordato insieme prima della cerimonia.

Così a meno che non gli fosse ordinato diversamente, il kaishakunin cercava di cogliere il minimo accenno di sofferenza o di incertezza, pronto a decapitare il condannato appena questi si conficcava il pugnale nel ventre dopo averlo preso dal vassoio che gli stava di fronte.

Si dice che sovente la decapitazione avesse luogo appena il pugnale era tolto dal vassoio o addirittura al solo stendersi della mano verso di esso.

I coraggiosi che riuscivano a portarlo a termine, si tagliavano da sinistra a destra e quindi volgevano la lama verso l’alto, questa tecnica era conosciuta come jumonji, taglio traverso, poi interveniva il kaishakunin.

Note

Bibliografia

  • Yukio Mishima, Sole e acciaio (titolo originale 太陽と鉄
    Taiyō to tetsu) tradotto da Lydia Origlia, Prosa contemporanea, Guanda, 1982  ISBN 8877462159.

La nuova era del Ju Jitsu

Agli albori del Ju Jitsu lo Shogun, riscontrando nel periodo antecedente alla restaurazione dell’era Meiji (1868) la presenza di circa 1000 Ryu differenti, alcuni con migliaia, altri con poche decine di Ryusha, per conferire loro ordine e ufficialità impartì nel 1843 l’ordine di redigere il Bu Jutsu Ryu soroku (il trattato sulle scuole dell’arte del combattere) in cui si evidenziavano i 159 Ryu più importanti dell’epoca.

Ancora oggi le autorità giapponesi preposte scelgono ogni anno 46 Ryu per rappresentare i vari Ryugi nel Taikai (manifestazione sulle arti marziali tradizionali) che si svolge nel Budokan (il luogo dove si studiano e si praticano le arti marziali) di Tokyo.

I Ryu di Ju Jitsu sono in continua evoluzione tecnica e lo studio e il perfezionamento degli stili non deriva solo da uno spirito di miglioramento, ma anche dall’esigenza, come nel passato, di chi deve usufruire di quest’arte per compiti specifici, come nel caso della polizia o dei corpi speciali.

Negli ultimi anni il Ju Jitsu si è infatti affermato come valido supporto tecnico a chi vuole affrontare lo studio della difesa personale

A questo proposito è interessante sapere che già nel 1947 gli esperti della polizia giapponese avevano creato il Taiho Jutsu (un metodo per l’attacco e la difesa), un insieme di tecniche desunte dal Ju Jitsu e da diverse discipline marziali appropriate pe l’uso degli interventi di ordine pubblico e in azioni contro la criminalità.

Esso comprende inoltre tecniche di Taihen Jutsu (l’arte di muoversi silenziosamente), di Keibo Soho (le tecniche di bastone corto attinenti alla difesa), di Tokushu Keybo (il bastone telescopico) e molte altre ancora che vengono continuamente aggiornate e perfezionate.


IL JU JITSU IN ITALIA

Il Ju Jitsu, o “lotta giapponese“ come allora era denominato, fece la sua prima apparizione in Italia nel 1908 nel corso di una dimostrazione, a cui presenziò la famiglia Reale.

Fu tenuta da due sottufficiali della regia marina, il cannoniere Raffaele Pizzola e il timoniere Luigi Moscardelli, che lo avevano appreso durante il loro servizio in Estremo Oriente.

Questa esibizione suscitò grande interesse, ma rimase fine a se stessa, come una semplice curiosità orientale

Quello che non riuscì ai due pionieri, riuscì ad un altro sottufficiale cannoniere, Carlo Oletti, che frequentò gli stessi corsi dei due colleghi già rimpatriati.

Egli praticò il ju jitsu sotto la guida del Maestro Matsuma, campione della marina militare nipponica, approfondendolo nei Ryu di Nagasaki, Miatsu, Hokodate e Tauruga.

In Italia si riparlò di Ju Jitsu nel 1921, quando si istituí alla Farnesina la Scuola centrale di educazione fisica per l’esercito

Il colonnello comandante inserì tra gli sport anche il Ju Jitsu, chiamando a dirigere i corsi proprio il sottufficiale Carlo Oletti che tenne l’incarico fino al 1930.

In questi dieci anni si qualificarono 150 ufficiali esperti e 1500 sottufficiali istruttori.

La “lotta giapponese“ comparve per la prima volta in un circolo sportivo civile nel 1923, presso la palestra Cristoforo Colombo di Roma.

Nel 1925, gli esperti cultori di Ju Jitsu, che sino ad allora avevano praticato presso enti militari e in circoli sportivi civili, si riunirono con quelli del Judo e fondarono la Federazione Italiana JU Jitsu e Judo.

Poco più tardi assunse il nome di Federazione Italiana Lotta Giapponese, il primo presidente fu Giacinto Pugliese.

Dopo la seconda guerra mondiale numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Itali

Dopo la seconda guerra mondiale e la forzata interruzione delle attività federali dovuta alle traversie degli avvenimenti politici e bellici dell’epoca, numerosi Dojo di Ju Jitsu erano presenti in tutta Italia, sostenuti da molti appassionati di questa disciplina.

Nel 1947, il Judo si staccò dalla federazione perché integrato dal CONI come disciplina sportiva della FIAP (Federazione Italiana Atletica Pesante).

Il Ju Jitsu manteneva invece i presupposti prettamente legati allo spirito originale della disciplina: la difesa personale e il combattimento.

Tra le scuole italiane si distinse quella del Maestro Gino Bianchi

Esperto e studioso di quest’arte, codificò un programma tecnico ad uso dei praticanti:il cosiddetto “metodo Bianchi“.

Nel corso dei decenni in Italia, il Ju Jitsu ha subito diverse vicissitudini politico-sportive che lo hanno portato solo nel 1985 a far parte di nuovo di una federazione olimpica:la FILPJK (Federazione Italiana Lotta Pesi Judo Karate.

Negli ultimi anni si sono affiliate alla federazione nazionale più di 200 società con un significativo incremento del numero dei praticanti tesserati, anche grazie al lavoro della Commissione Tecnica Nazionale Ju Jitsu FIJLKAM (Sigla aggiornata nel 2000, Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali), che ha riorganizzato e sviluppato il programma tecnico basato sul menzionato “metodo Bianchi“ e inserito lo stile della scuola tradizionale HONTAI YOSHIN RYU.

Allo studio e approfondimento della disciplina, deciso dal Consiglio Federale per non alterare lo spirito del Ju Jitsu, negli ultimi anni si è venuto ad affiancare lo sviluppo della forma agonistica che, seguendo le regolamentazioni internazionali JJIF (Ju Jitsu International Federation), prevede un sistema di combattimento sportivo denominato “Fighting System“ e un sistema dimostrativo denominato “Duo System“

Attualmente in Italia la diffusione del Ju Jitsu, oltre che dalla principale FIJLKAM-CONI , è portata avanti anche da organizzazioni di tipo privatistico che, oltre all’attività agonistica, studiano metodologie tradizionali o moderne derivate da scuole in auge in altre nazioni.

Note


UGUAGLIANZA: Un aneddoto del SENSEI Richard Kim

I filosofi americani, dai dilettanti ai più esperti, hanno riflettuto sull’uguaglianza degli uomini e per comprovare le loro teorie.

Nel terreno della morte non esistono razze o credenze, ciò che conta è il bene che si è fatto nella vita.

Sono ricorsi alla Dichiarazione dei Diritti, alla Costituzione degli Stati Uniti ed al famoso discorso a Gettysburg di Lincoln.

Da giovane mi inquietava il problema dell’uguaglianza

In un ristorante di San Farcisco non hanno voluto servire alcuni miei amici per la loro razza, in questo modo così doloroso hanno potuto saggiare gli invincibili artigli della discriminazione sociale.

Erano arrabbiati, non erano mai stati trattati così ad Honolulu, dove erano nati, uno di loro pensò a voce alta “Se fossi nell’Elks Club lo capirei, ma in un locale pubblico…”

Un giorno dopo l’allenamento, parlai di uguaglianza al mio Sensei

In realtà gli parlai del fatto di San Francisco, una città in cui si supponeva non abbondassero gli atteggiamenti di questo tipo.

“Dopo la nascita” – mi disse Sensei – “ci sono due luoghi nella vita in cui gli uomini sono uguali“ gli chiesi quali fossero e mi rispose:

Il giorno in cui entri in una palestra sei come gli altri, cominci dal basso; ed il giorno in cui ti trovi nel terreno della morte, quando la morte ti guarda, non c’è diversità siamo tutti uguali

“Ma cosa succede con le leggi?” – gli risposi “la Dichiarazione dei Diritti, la Costituzione… La legge è buona quanto la coscienza degli uomini” proseguì il Maestro.

Osserva il cuore non la legge, tutto sta nel cuore e, come artista marziale, dovresti renderti conto che il cuore degli uomini non segue il ritmo della legge.


Mi raccontò la storia dove Hozoin Gakuzenbo Inye, uno dei maestri migliori di lancia del Giappone, riesce finalmente a battere in un combattimento Yagyu Muneyoshi

Nei precedenti combattimenti Yagyu aveva avuto sempre la meglio su Inye, ma la superiorità di Inye si faceva più evidente.

Sfortunatamente, Inye rimane così tanto impressionato di sé stesso per il combattimento vinto, che la vittoria stessa gli dà alla testa.

Un giorno un giovane di circa 17 anni giunge in palestra da Inye e gli dice: sono venuto ad imparare ad usare la lancia, chiedo se puoi impartirmi delle lezioni perché tu sei il migliore e voglio imparare da te.

Il ragazzo viene accettato, Inye tratta il ragazzo in una maniera completamente inumana e si adopera al massimo per scoraggiarlo, ma il ragazzo non fa una piega e continua a dire che vuole lottare.

Inye accetta, in dieci giorni sconfigge lo stesso Inye e dopo un mese Inye non vuole neppure entrare in palestra, perché ha paura del ragazzo.

Un giorno il ragazzo si avvicina ad Inye e gli dice: “non mi fido molto di te, ti sopravaluti, non capisco come hai potuto sconfiggere Yagyu, ti sfido ad un vero combattimento, tra cinque giorni verrò nel tuo giardino, preparati ad affrontare la morte” – e se ne va.

In quel momento a Inye appare tutto più chiaro e ritorna al suo stato normale, è molto preoccupato.

”Perché non mi sono preoccupato per quel ragazzo?” – si chiede, dovevo trattarlo meglio!

Impaziente la notte prima del confronto Inye si reca nel giardino con la lancia, rimane in piedi sul bordo dello stagno e si ferma a contemplare l’acqua.

Lo sguardo del ragazzo lo scorge dal fondo.

Improvvisamente passa una nuvola e tutto si oscura e quando la nuvola passa Inye vede il riflesso della sua lancia nell’acqua con una croce sulla punta.

Nervoso, si affretta a recarsi a casa del fabbro del tempio e gli chiede ciò che oggi è noto come il Kama-yari la famosa lancia Hozoin.

Arriva la notte del confronto ed Inye attende nel giardino l’arrivo del ragazzo, ma il ragazzo non appare.

Al suo posto giunge un monaco con un messaggio: il ragazzo ti ha lasciato questo, dice il monaco.

Inye apre il messaggio il ragazzo aveva scritto:

Tratta tutti gli uomini come esseri umani, con decenza e rispetto, non siamo tutti uguali in abilità o in creatività, ma tutti siamo esseri umani.

L’importante è ciò che conserviamo nel cuore, sono sicuro che oggi l’hai capito, è l’insegnamento che voglio darti, quando ti sei reso conto che avresti affrontato la morte, hai scoperto il denominatore comune che ci rende tutti uguali, nella vita, l’uguaglianza è nel cuore degli uomini.

Note