Mese: Settembre 2022

Solo capire cambia tutto

Denigrare chi ci supera è la più vile delle arti, ma una delle più sicure per emergere fra gli spiriti ignoranti

Leonardo Da Vinci

Il tempo passato è… passato

La citazione non è mia, ma dei “Malavoglia”. Vivere attaccati al passato, amarlo e rimpiangerlo, è tanto sciocco quanto credere che il presente sia migliore semplicemente perché è più attuale, più moderno.

Nella storia umana spesso si sono dimenticate le tante conquiste della conoscenza, calpestandole in nome di quello che è venuto dopo, della modernità o come conquista; che rimane comunque in parte una truffa.

Guardando la storia in prospettiva, come ha fatto il Maestro Arnold Toyrbee, si nota che tutto tende in un certo modo a ripetersi

Quando la spirale passa attraverso lo stesso punto della rotazione circolare sopra il suo nucleo di fusione, anche se transita a un altro livello spazio temporale gli eventi si ripetono, come modelli che si ripetono in un insieme coerente.

Il rinascimento ha portato alla luce le conoscenze della Grecia Classica, dimenticate nel Medioevo, ma nel  Medioevo furono molti i saperi dei popoli antichi che si recuperarono.

Tendiamo a creare stereotipi che si possano incasellare nel nostro sistema di comprensione e di valori, con il risultato di lasciare poco spazio al vero apprendimento, ossia all’espansione della coscienza personale.

Le mode arrivano, si consolidano e poi… Passano

Lasciano sempre un alone dietro di sé che si protrae, ma poco tempo dopo ciò che viene abbandonato viene visto addirittura con disgusto, che ignoranza! Che pazzia!

Vedere le cose nel loro contesto ed essere in grado di vederle nel loro tempo, le colloca nella loro vera dimensione, che altra non è se non quella di rispettare questa fascia di totalità a cui bisogna aspirare, pur sempre parziale, ma giusta e necessaria…

Il tempo tuttavia fornisce una patina unica che è in grado di perdurare e, come alcuni fiumi, sa nascondersi sotto terra per poi riaffiorare più avanti con tutta la sua forza.

Nella storia del sapere, ciò che assume queste sembianze ha un valore intrinseco,che non è esonerato dalla prova del tempo

Questo è ciò che significa adattarsi o scomparire.

I musei sono pieni di “gioielli” il cui valore è solo simbolico, un residuo calcificato di antichi splendori, che ormai non sono più. Per permanere le cose devono possedere il dono della vita, del cambiamento.

Con le scuole marziali e con la conoscenza in generale, si verifica la stessa situazione, anche se la mancanza di discernimento nelle persone spesso porta alla confusione, soprattutto quando si è di fronte a una materia che non si conosce.

Il bisogno di accettazione porta più di una persona al compromesso e questo capita più spesso di quanto pensiamo

Si sente la necessità di giustificarsi di fronte agli altri, di differenziarsi con un lignaggio e di giocare a mescolare le carte… La verità e l’intelligenza sono le prime ad essere sconfitte in questa battaglia.

Le vecchie scuole che hanno resistito alla prova del tempo, hanno certamente un tesoro al loro attivo e questo non passa inosservato ai cosiddetti ladri di benedizioni e di glorie del passato, che vanno in cerca di titoli anche sotto le pietre, tuttavia questa ereditarietà non giustifica la mancanza di una messa in discussione o di un rinnovamento dei principi.

Pietrificato, il passato è come un museo, si arena su sé stesso, marcisce e rimane solo con lo scheletro, i tradizionalisti devono avere il coraggio di rinnovarsi e i moderni devono avere l’umiltà di riconoscere ciò che è stato fatto in passato è il sostentamento alla base di ciò che loro stanno creando ora e che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

Nel mondo delle arti marziali questo è raro, gli ego maniaci sono una legione e dietro di loro brilla l’insicurezza come principale causa della loro ignoranza

La società ci tiene un po’ in disparte, siamo i freak in un mondo di diritti, quando il nostro è stato, è e sarà la conquista e i doveri.

Come è bello avere una storia! Fin da quando l’uomo esiste ha sempre voluto prevalere e per questo ha cercato di apprendere e di sviluppare i modi e le arti del guerriero.

Noi amanti delle arti marziali apparteniamo ad una razza specifica, a una grande famiglia, ad una stirpe antica che ha permesso al genere umano di crescere.

Per quanto oggi siamo in disparte e limitati ad una professione, ad un tecnicismo, lo spirito che animò i nostri nonni non è molto diverso da quello che oggi spinge i giovani a perseguire i loro sogni di gloria, di potere, di conoscenza.

Tuttavia il terreno per la coltura del vero guerriero non è adatto, il guerriero che non serve il popolo, è per quanto poco fastidioso, oltraggioso, peggio finisce col cercare di dominarlo, può arrivare anche a fare il pagliaccio per intrattenere la gente al circo, quando non c’è guerra le esercitazioni, gli scontri simulati danno continuità e lavoro ai più inclini all’eroismo.

Triste immagine, destino patetico, che volete che vi dica, combattere per finta per il godimento e l’intrattenimento altrui.

Il valore delle scuole profonde e ben radicate dimostrano qui la loro vera forza, un guerriero senza un orizzonte più alto cadrà nelle trappole del proprio destino, senza trasgressione spirituale Musashi non sarebbe stato altro che un assassino, se non va oltre la spada un guerriero non è che un burattino nelle mani altrui.

Non a caso Samurai significa servitore ed essere uno schiavo non è mai un destino più elevato.

Bisogna capire che le arti marziali sono un mezzo, non un fine in sé

I più perspicaci tra di voi lo sapranno già.

Per questo le scuole che oggi non sono in grado di aprire ad una prospettiva spirituale valida, continuano ad accogliere il fuggi fuggi degli allievi, una volta raggiunto l’apice di conquiste, conoscenze o gradi, ma purtroppo non c’è nulla dietro…

Che tristezza! Che delusione! Poche scuole hanno effettivamente la competenza di offrire questo paesaggio spirituale, ma… Che diamine! E pochi sono anche gli allievi pronti per questo salto, tutti vogliono che qualcun altro risolva loro la questione, non per umiltà, ma perché credono che gli spetti di diritto.

L’ingratitudine quindi non ha una spiegazione, né secondo me c’è una soluzione possibile.

Sono pochi quelli che ricevono la chiamata… E ancora meno gli eletti

Perché una volta passato l’entusiasmo, chi vuole ancora rimboccarsi le maniche, rinnovare il suo impegno e continuare a sforzarsi? Naturalmente io non li biasimo, in uno scenario di bugie, inganni e promesse insostenibili, è facile bruciarsi e si sa che il gatto in fiamme fugge anche dall’acqua fredda.

La validità delle scuole tradizionali dipenderà dall’esistenza di una meta più elevata, di un tetto che permetta il passaggio dal piano materiale a quello spirituale, in modo che quelli che sono pronti possano andare oltre il destino del guerriero per giungere alla dimensione dello Sciamano, all’uomo di conoscenza, e coloro che rimangono giù sanno che, anche se non raggiungono tali livelli, servono almeno qualcosa di più alto, giusto e buono.


Chi non arriva, può comunque avere una meta a cui tendere, possiede un orizzonte a cui dirigersi, colui che vede un ostacolo e pensa solo come aggirarlo, trascina altri con sé, nella sua delusione, verso un vicolo cieco.

Disilludetevi: Sferrare pugni e calci non possiede alcun merito in sé, così come non ha nessun merito ciò che non tende a trasgredire al suo destino, di per sé consumate le cose, semplicemente muoiono e marciscono, nulla più.


La trasgressione è il più grande atto di evoluzione, perché trasforma le cose portandole ad un livello superiore, che porterà a sua volta ad un grado più alto, il destino finale del guerriero è diventare saggio e il saggio comprende il mistero ed interagisce con esso.

Il resto sono dettagli tecnici, mezzi per un fine, residui del passato che tornano e raramente mostrano qualcosa di nuovo, perché dopotutto, per quanto cerchiamo di girarci attorno, un calcio è un calcio e un pugno… Un pugno, oggi come un centinaio di migliaia di anni fa.

SOLO CAPIRE CAMBIA TUTTO!

Note


Il KAMAE (構え): la corretta POSIZIONE di un ARTISTA MARZIALE

Questa parola di origine Giapponese che significa posizione è senza dubbio l’inizio e la fine di ogni tecnica che viene eseguita nelle arti marziali classiche

Kamae: La forma corretta

Questa parola di origine Giapponese che significa “Postura” è senza dubbio l’inizio e la fine di ogni tecnica che viene eseguita nelle arti marziali classiche, nel momento in cui respiriamo ed esaliamo anidride carbonica all’esterno del nostro organismo, la postura sarà senza dubbio il tramite di una traiettoria di successo o sconfitta.

Osservando la posizione corporale si possono scorgere in maniera lampante alcune interpretazioni: l’individuazione di tratti della personalità, la descrizione di alcune malattie e l’identificazione di stati emozionale.

Osservando il KI come un’energia continua che interagisce con tutto questo universo interiore, non è una novità che i dolori siano i risultati di un malessere situato nel lato opposto del nostro corpo.

Per rendere l’idea, una spalla dolorante può essere il risultato di una distorsione della caviglia avvenuta anni addietro, apparentemente una cosa non ha niente a che vedere con l’altra, ma in realtà, quando qualcuno zoppica a causa di una distorsione,finisce per deviare l’anca irrigidendo la spalla.

Quando il problema scompare, è possibile che l’anca, la colonna e le spalle continuino ad avere la posizione sbagliata.

In relazione alla linea di gravità del corpo, i muscoli posturali sono quasi tutti posizionati posteriormente, in congiunzione dalla nuca discendono fino alle dita del piede, dove garantiscono il nostro equilibrio, i muscoli situati davanti alla colonna sono i più deboli.

Nell’addome si trovano gli addominali che potenziano movimenti quali: piegare, girare,ed alzare, alleviando la tensione alla base della schiena e sostenendo gli organi interni.

La posizione corporale eretta (in movimento o ferma) si ottiene mediante l’equilibrio tra le forze che agiscono nel centro di gravità

Spingendo il corpo verso terra, e la forza dei muscoli antigravitazionali che fanno lo sforzo nel senso contrario.

Se quei muscoli cedessero, il corpo si piegherebbe, per effetto della forza di gravità, il fatto che i nostri muscoli siano organizzati come una catena, ci obbliga a considerare la meccanica corporale in maniera complessiva e simultanea, coloro che tengono il petto in fuori e la spalle parallele, sono in genere persone coraggiose, decise ed energetiche, quando si presentano così stanno dicendo chiaramente “sono pronto e non ho paura”.

La posizione del collo è determinata dai piedi, dalle ginocchia, l’asse corporale e l’equilibrio del bacino con le spalle, il collo deve essere allineato con la colonna, non deve cadere in avanti e tanto meno all’indietro, ma essere perfettamente equilibrato all’interno dell’asse corporale, se il collo fosse allungato verso l’alto, anche il tratto laringeo dovrebbe esserlo, costringendoci a lavorare in condizioni precarie, se fosse schiacciato sul petto, rimarrebbe parimenti imprigionato e senza possibilità di realizzare i suoi caratteristici movimenti.

Se a livello di massimo allungamento le articolazioni sono molto tese, è molto probabile che l’allievo incontri dei problemi nell’esecuzione dei movimenti, pertanto risulta fondamentale eseguire quotidianamente il rilassamento delle articolazioni e dei muscoli.

Un tipo di esercizio che può essere eseguito, indipendentemente dall’analisi, è la liberazione delle articolazioni con movimenti rotatori lenti

Partendo dal collo, spalle, braccia, fino alla vita, ginocchia e caviglie, la respirazione è alla base di tutta la tecnica della spada e della resistenza del praticante, l’aria, entrando per il naso, subisce un processo di riscaldamento dovuto ad una grande concentrazione di vasi sanguigni ivi localizzati e che si modificano secondo la mutazione climatica esterna.

Quando la temperatura esterna è bassa, i vasi sanguigni che irrigano la regione si contraggono, assicurando la circolazione sanguigna per più tempo, dando la sensazione che il naso all’interno sia gonfio, con questo procedimento, la cavità nasale rimane molto più calda, è come una stufa che continua a permettere che l’aria passando attraverso il naso, possa ricevere il giusto riscaldamento per il buon funzionamento dell’organo.

Tuttavia, se il giorno è caldo, i vasi sanguigni permetteranno una circolazione più attiva, come se il naso fosse più ampio, tale regolazione calorica lavora molto a beneficio del cantante che deve solo permettere l’entrata buco- nasale di aria in ambienti chiusi.

Quando è all’aperto, l’entrata di aria deve essere fatta attraverso il naso, soprattutto se fa freddo, evitando il più possibile che l’aria gelata danneggi la mucosa della laringe.

Il diaframma è un grande muscolo a forma di cupola, con una concavità inferiore, che separa la cavità toracica da quella addominale, quando inspiriamo, il diaframma si colloca verso il basso, diminuendo la cavità addominale e ampliando così la cavità toracica, i muscoli intercostali invece dilatano le costole, promuovendo una compressione negativa nei confronti dell’ambiente, introducendo l’aria all’interno dei polmoni, una buona respirazione è fondamentale per l’assorbimento del KI.

Tutto il processo respiratorio influenza l’allenamento in maniera diretta, in questo caso, è importante evidenziare che la percezione è strettamente correlata alla concentrazione, noi lavoriamo con due tipi di memoria: la memoria fotografica e la memoria motoria.

La memoria fotografica registra i fatti, mentre quella motoria ripete semplicemente ciò che registriamo

Quanto più siamo concentrati su un fatto, tanto questo verrà assimilato e la memoria motoria agirà più rapidamente,per questo motivo è importante che al momento dell’utilizzo della memoria fotografica, l’oggetto di studio, sia una sequenza o una tecnica e  venga registrata senza errori.

Questo non vale solo nella percezione, ma anche nell’incorporazione della respirazione, delle articolazioni e delle tecniche di canto che devono essere studiate in brevi periodi e varie volte al giorno e sempre con regolarità e disciplina affinché producano effetto.

Secondo Souchard, una postura sbagliata porta ad un “appiattimento” dell’individuo, ossia ad una posizione comoda e confortevole, l’aumento di questa “comodità“, porta ad un aggravamento delle curve vertebrali, i nostri muscoli posteriori si accorciano, diminuisce la mobilità articolare, favorendo le fratture (artrosi, ernia discale, tendinite ecc…), compaiono mal di testa, del collo, delle spalle e accorciamento dei muscoli pettorali e vi è una perdita di altezza per l’eccessiva tensione muscolare.

Tutto ciò influenza negativamente il processo di apprendimento di qualunque arte marziale, viviamo in uno stato di continuo squilibrio fisico e la nostra postura continua ad alternarsi inconsciamente per compensare quello squilibrio.

Tesi realizzate da eminenti scienziati hanno concluso che parte della nostra posizione corporale è ereditata e una parte è copiata, ciò significa che affinché gli allievi possano mantenere una posizione perfetta e adeguata, il Maestro deve mostrarla continuamente, senza permettersi posizioni sbagliate che rischiano di essere imitate dagli allievi, anche inconsciamente.

La posizione corporale è di vitale importanza anche nella vita

Perché a partire da essa l’individuo si mette in relazione con il mondo, con la persone, così si usano diversi termini per esprimere certi atteggiamenti psicologici, tali come “tenere la testa alta“ oppure “Stare fermi “, queste espressioni a volte sono interpretazioni di linguaggio corporale.

Soprattutto dopo una pratica di anni, l’uomo è in grado di percepire la posizione e il movimento del proprio corpo e delle relative parti, la percezione della posizione e del movimento del corpo è misurato da sistemi i cui recettori sono localizzati nei labirinti ossei della testa e nelle articolazioni e tendini.

Le strutture sensoriali associate alla differenziazione della posizione e al movimento del corpo sono denominate sistemi propriocettivi e questo aspetto della percezione è chiamato propriocezione, è difficile separare i ruoli delle strutture nel labirinto uditivo e nelle articolazioni e tendini.

Quando un individuo cambia la propria posizione o si muove, questi due gruppi di strutture sono coinvolti inoltre da quelli situati nella pelle e negli organi interni, quando si adotta una posizione modificata, non si altera solo l’orientamento del corpo, ma anche gli organi interni assumono posizioni differenti, oltre a questo, la distribuzione di tensioni in varie aree della pelle varia man mano che il corpo cambia la posizione complessiva.

L’immagine corporale si definisce come un’immagine visiva e mentale del corpo dell’individuo, che include i sentimenti che riguardano il suo corpo, soprattutto in relazione alla salute e alla malattia

Lo schema corporale si riferisce ad un modello posturale del corpo, compresa la relazione delle parti corporali, una con l’altra e la relazione del corpo con l’ambiente.

Analizzandolo sotto forma di insegnamento, senza un’impronta strategica,dico che il corpo è una mappa fedele della nostra storia personale, in esso è riportato tutto ciò che viviamo, tutte le emozioni… non riconoscere ciò che i movimenti corporali rivelano è non riconoscere la memoria del nostro passato, che è parte del nostro presente.

Il corpo è uno specchio altamente rivelatore dell’inconscio, mostra flash della personalità, espone credenze, valori, preconcetti, forze e fragilità del carattere, non ci permette di mentire e rivela i segreti più intimi… In questa legge naturale, dove il più forte e/o abile trionfa, l’uomo deve acquisire per forza uno sviluppo generalizzato delle proprie strutture e funzioni e dotarsi di abilità e destrezze specifiche.

L’uomo è il cervello e muscoli in un equilibrio perfetto, i messaggi che emettiamo attraverso il nostro corpo, rappresentano ciò che abbiamo di più vero e sostanziale.

Il linguaggio corporale, se ben utilizzato, aiuta a dire le cose indicibili, a dare forma a un sentimento e a concretizzare le immagini delle emozioni più VERE!!!

Note


[ARTI MARZIALI] Il JU JITSU nella DIFESA PERSONALE

Il significativo incremento di praticanti del ju jitsu deriva anche da un aumento di richiesta di corsi di difesa personale: quale risposta tecnica migliore del ju jitsu si può offrire a questa necessità?

Il programma da svolgere è interessante e colpisce per la sua efficacia pratica, prevede ogni tipo di gesto tecnico, comprendendo proiezioni, percosse, leve articolari e tutto quello che serve nel corpo a corpo o nel combattimento a corta distanza, difendendosi per lo più a mani nude anche da attacchi armati.

Le tecniche di ju jitsu, insegnate correttamente ee apprese, costituiscono un valido ed efficace sistema di autodifesa, anche per la loro intrinseca natura di tecniche difensive e quindi di risposta a un’aggressione.

Certo, il maestro deve trasmettere al principiante i principi fondamentali della pratica e dello studio marziale

Si devono evidenziare dunque durante l’insegnamento non solo la tecnica, ma anche le peculiarità etiche ed educative della “Tradizione degli antichi Ryu“ e così infondere uno spirito di reciproca collaborazione tra gli allievi per progredire insieme.

L’apprendimento delle tecniche di ju jitsu come metodo di autodifesa comporta però un’analisi delle linee di comportamento e di approccio al sistema per certi versi radicalmente differente rispetto alle norme che hanno sempre regolato e regolano tuttora la pratica di un’arte marziale tradizionale all’interno di un Dojo o, nella nostra cultura occidentale, di una palestra.

Le nuove prospettive offerte dalla richiesta di corsi specificamente destinati alla difesa personale, solo apparentemente in contrasto con lo spirito del ju jitsu, impongono quindi l’esame di aspetti spesso tralasciati

Ma non totalmente estranei alla pratica delle discipline marziali orientali come studio di elementi di psicologia e la conoscenza della regolamentazione giuridica dell’utilizzo del ju jitsu ai fini di autodifesa

L’utilizzo di tecniche di autodifesa è ammesso dal nostro sistema giuridico nei limiti di cui si dirà tra poco, la legge penale italiana, similmente alle altre, prevede che io cittadino che commetta un fatto normalmente considerato come antigiuridico (quindi reato), per esempio percosse, lesioni, omicidio, non sia punito per la sua azione quando questa sia stata commessa nell’esercizio di un proprio diritto.

Le circostanze che giustificano un uso di tecniche di difesa (normalmente vietate in considerazione del loro carattere potenzialmente lesivo) sono analiticamente illustrate nell’art. 52 del codice penale che disciplina la legittima difesa, “non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalle necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa“.

I giudici della cassazione hanno chiarito negli anni i confini di questa norma, i presupposti essenziali della legittima difesa (giustificazione ammessa nei confronti di tutti i diritti, personali e patrimoniali) sono costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima.

L’offesa deve, quindi e prima di tutto, essere ingiusta o ingiustificata, prodotta cioè al di fuori di qualsiasi norma che la imponga o autorizzi, e che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocerebbe nella lesione di un diritto tutelato dalla legge es. vita, incolumità, proprietà, riservatezza

Il pericolo (la probabilità del danno) deve essere attuale cosicché non può in alcun modo giustificarsi la reazione ad un’offesa ormai passata, per esempio un aggressore che ormai si è dato alla fuga, in quanto rappresenterebbe una vendetta o rappresaglia, né tanto meno è legittima una reazione ad un pericolo immaginario o futuro, perché in tal caso potrebbe essere richiesto l’intervento delle forze dell’ordine.

Il pericolo non dovrà in ogni caso essere causato volontariamente da chi si difende e pertanto non potrà essere invocata la legittima difesa in caso di rissa, di atteggiamenti di sfida e dove lo scopo concreto è quello di offendere l’aggressore provocando così la sua reazione.

La reazione deve essere inoltre, necessaria ed inevitabile, nel senso che chi si difende non ha la possibilità di evitare l’offesa in nessun’altra maniera

Infine l’ultimo, ma indispensabile requisito per il carattere legittimo della difesa reattiva è costituito dalla proporzione tra l’azione offensiva e la difensiva, la reazione difensiva deve cioè essere adeguata facendo riferimento al modo in cui si manifesta l’aggressione, il genere di bene attaccato, l’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio –temporale e personale e, non ultimo, l’abilità dell’aggressore (ma anche dell’aggredito che si difende) di utilizzare tali messi.

Nel caso in cui un soggetto si introduca fraudolentemente in un’abitazione o in un esercizio commerciale altrui, è consentito a chi si difende, utilizzare un’arma (legittimamente detenuta) o qualsiasi altro mezzo di difesa, sempre che, naturalmente, l’aggressore non interrompa la propria azione allontanandosi.

Se utilizzando le tecniche di autodifesa si oltrepassano i limiti precedentemente descritti, chi si difende sarà tenuto a risponderne penalmente a titolo di colpa (art. 55 del codice penale quando nel commettere alcuno dei fatti prevenuti dall’art. 51 (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere, difesa legittima,53, uso legittimo delle armi, 54 stato di necessità), si eccedono colposamente, normalmente per un errore di valutazione, i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’autorità, ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo, o addirittura di dolo, quando l’eccesso è previsto e volontario.

Note


TOMARI: L’antica GROTTA SEGRETA del KARATE

Una mitica grotta nelle colline di Tomari nella città di Naha, di fronte alla costa, fu anticamente il nascondiglio dei naufraghi cinesi arrivati ad Okinawa.

Molti dei quali erano artisti marziali che cominciarono a praticare ed a insegnare il Karate in questo mitico luogo nella più assoluta clandestinità.

È questo il caso di Chinto, l’abile karateka cinese al quale dobbiamo il nome di uno dei Kata di Karate più rapidi e più fluidi.

Oppure di Kosaku Matsumora, l’eroe del posto da quando nel 1392 le famose 36 Famiglie di Kume (il cui nome si deve al quartiere dove si stabilirono) si trasferirono dalla città cinese di Fuzhou fino a Naha.

Il pellegrinaggio di cinesi ad Okinawa fu una costante, benché la storia nella quale ci immergiamo si situi quattro secoli più tardi.

Chi è Kosaku Matsumora

Kosaku Matsumora (1829-1898) nacque nella cittadina di Tomari. Di enorme talento, fu una persona che seppe approfittare del suo piccolo ma potente corpo.

Quando era giovane studiò le tradizioni marziali di Tomari, dove si distinse come coraggioso e bujin.

Arrivò ad essere ben conosciuto per la sua cavalleria e per il suo spirito vibrante e fu sempre ricordato per aver evitato che un Samurai armato di katana importunasse gli abitanti di Tomari.

Poi in uno sforzo per evitare delle rappresaglie, si confinò in un luogo remoto di Nago. È anche ricordato per aver protetto la proprietà della cittadina su incarico del governatore.

Nel 1879 le proprietà e i beni  derivanti dai contributi rischiarono di essere confiscati dal nuovo governo, dopo che il Re abdicò e il Regno venne abolito.

Ma gli sforzi degli ufficiali giapponesi per confiscare i beni di Tomari furono vani grazie in parte  all’impegno di Matsumora.

Il 7 novembre del 1898 Kosaku Matsumora muore e comincia la sua leggenda a Tomari e per un secolo il suo ricordo è rimasto nelle leggende della zona, e oggi si può ammirare un bel rilievo in suo onore.

La selva di Tomari

La zona più sconosciuta, disabitata e desolata di Tomari, ad Okinawa, è una piccola selva vicino al mare, che è composta da montagne che nascondono delle crepe nel terreno, utilizzate anticamente come nascondiglio da gente che, per una ragione o per l’altra, dovevano rimanere nell’ombra.

I naufraghi cinesi

Questo fu il caso di alcuni importanti Karateka venuti dalla Cina in nave.

Si nascosero in queste grotte dopo aver naufragato di fronte alla costa, e si guadagnavano da vivere come potevano (spesso rubando). Praticavano le loro arti marziali in queste zone nascoste, vicino alla spiaggia di Naminoue.

Verso il XIV secolo Chinto, un marinaio cinese esperto in arti marziali dotato di una notevole abilità nell’arrangiarsi in certe circostanze, cominciò ad insegnare arti marziali vicino alla grotta, e da lui ricevettero tali informali insegnamenti in questo luogo all’incirca 1840 contadini di Tomari e personaggi che sarebbero poi diventati importanti in futuro, tra cui Giei Yamada.

Non possiamo parlare di Tomari senza parlare di Kosaku Matsumora, che divenne il maestro più importante e famoso della forma marziale conosciuta da approssimativamente l’anno 1700 come Tomare Te.

Chinto e Kosaku Matsumora

Kosaku imparò questa forma del futuro Karate con Teruya Kishin e un giorno, mentre stava praticando le sue arti marziali in gran segreto e in solitario vicino alla grotta, notò che c’era qualcuno che lo stava spiando dall’interno della grotta.

Matsumora andò a raccontarlo a Teruya e quest’ultimo lo fece ritornare sul posto dove la “spia“ della grotta uscì, si scusò per aver interrotto il sua allenamento, gli consegnò un foglio e poi, quell’enigmatico personaggio semplicemente sparì.

Quando Kosaku mostrò il foglio a Teruya, questi esclamò: “chiaro, non poteva essere che lui“, si trattava di Chinto.

Tempo dopo Sokon Matsumura, il Capo Militare del castello di Shuri, fu inviato a fermare un clandestino cinese che aveva causato dei tumulti nella città e che si era stabilito nelle grotte di Tomari.

Le strategie, le furberie e le abilità di quel cinese fecero si che la missione non risultasse così facile, come in principio era sembrata, si trattava di Chinto e Sokon Matsumura per arrestarlo, si fece accompagnare da un esperto conoscitore del posto e delle grotte delle colline di Tomari.

Questo esperto non era che Kosaku Matsumora, il quale in questo modo ebbe modo di conoscere assieme a Matsumura, questo bizzarro cinese.

In poco tempo i tre diventarono amici per via della loro passione comune, le arti marziali, di cui si scambiarono le rispettive conoscenze.

L’abilità di Chinto gli fece meritare l’onore di dare poi il nome al famoso Kata (più avanti conosciuto in alcune scuole di Karate anche come Gankaku).

Benché non si sappia se sia stato una creazione sua, di Matsumura Sokon o se semplicemente sia stato importato dalla Cina da quest’ultimo e poi ribattezzato con quel nome in onore di Chinto.

Il significato esatto del nome Chinto è incerto

Una traduzione potrebbe essere “lottare dell’ovest“, mentre un’altra potrebbe essere “lottare in una città“, Chinto fu uno dei Kata che Gichin Funakoshi portò in Giappone, assieme ad altri 15, all’inizio era un Kata introdotto dal Tomari –Te ed integrato allo Scurite.

Ci sono più di 5 differenti versioni di Chinto.

La versione di Tomari mantiene qualcosa dell’essenza cinese, mentre quella di Shuri è più semplicistica, il Kata segue una linea di movimento retta e si deve eseguire con tecniche molto dinamiche.

Caratteristica di questa forma è la ripetuta posizione con la gamba alzata, che ricorda la splendida visione di una gru posata su una roccia mentre sta per colpire la sua vittima.

Si usano anche vari calci in salto, che la contraddistinguono da altri Kata.

Entrambe le caratteristiche rappresentano la preparazione del Kata per lottare su gradini e tratti di scala, da una parte, e in posti con un terreno non uniforme e perfino delle pietre dall’altra.

Il terreno dove è ubicata la grotta, ha influenzato anche la tecnica di questo Kata, con i salti con calcio frontale sferrati da sopra le rocce.

Sia il personaggio Chinto che Tomari lasceranno un segno nella vita di Kosaku Matsumora, il quale diventò poi un un vero e proprio eroe per via della sua strenua difesa degli interessi dei contadini di Tomari nel corso degli anni in cui i Samurai dell’isola principale del Giappone li sottomisero.

Divenne molto famoso e ancor oggi si ricorda in questa zona il combattimento che Matsumora una volta ebbe contro un Samurai Satsuma.

Il fatto accadde nella via Haariya. Durante il combattimento, nel quale il Samurai usò la sua Katana regolamentare e Matsumora solo una giacca di panno, il Karateka perse un dito… che gettò nel fiume insieme al capo d’abbigliamento.

Senza dubbio Matsumora è il vero simbolo di Tomari

Con tutto rispetto di un altro esperto della zona, Kokan Oyodomari, i suoi allievi ricevettero insegnamenti regolarmente dall’eroe di Tomari nelle zone della grotta, estemporanei dojo naturali di allora, ed oggi considerati da coloro che amano il Karate più tradizionale, come luoghi storici della nostra arte marziale.

Come aneddoto da menzionare va detto che Kosaku non voleva insegnare tecniche di combattimento a Motobu per via del suo modo di essere. La bizzarria di Chocki lo spinse a spiare Kosaku nei suoi allenamenti privati e a rubargli così alcune sue conoscenze.

Note


[STORIA ANTICA] Il Pancrazio, l’antico sport da combattimento

La lotta e il pancrazio devono la loro origine alla utilità nella guerra

Lo dimostra la battaglia delle Termopili in cui gli Spartani, spezzatisi gli scudi e le spade, combatterono gloriosamente ed a lungo con le sole mani.

Sin dai tempi remoti tutto il bacino del mediterraneo era interessato all’arte di combattere disarmati

Questa disciplina nata per la guerra e divenuta presto anche metodo di confronto singolare, vanta origini antichissime che ci portano nelle fertili terre dell’Eufrate come testimoniato dal bassorilievo del ll millennio a.C. conservato nel museo del Louvre a Parigi.

Nella culla d’Occidente il combattimento senza armi trovò il più audace sviluppo e, nella Grecia dei filosofi e dei guerrieri, divenne l’arte suprema di combattere con le sole armi naturali che fu cantata nell’Iliade di Omero e nell’Odissea, diversi scrittori Greci oltre ad Omero documentarono l’arte di lottare.

Come Pindaro, poeta lirico corale greco 518 A.C. Che narra:

L’animo ha pari ai leoni dal cupo ruggito nella lotta, sagace come una volpe, che stesa sul dorso sostiene l’assalto dell’aquila che si deve colpire d’ogni colpo il nemico“

Luciano, scrittore e avvocato greco nato a Samosara nel 125 D.C afferma “Non senza ragione gli atleti dei nostri dì sono chiamati leoni “ e descrive in un racconto la lotta tra una ragazza chiamata Palestra e un altro atleta chiamato Lucio.

È bene ricordare che per i greci l’esercizio della lotta era chiamato palestra e che solo successivamente il vocabolo designò il  luogo annesso al ginnasio presso il quale si svolgevano esercizi di lotta e gare.

Quando la parola passa a Palestra, la giovane si rivolge a Lucio e dice:

Senti giovanotto, ricordati bene che hai incontrato una Palestra, perciò devi dimostrare che sei un palestrita vigoroso e che hai imparato molti tipi di lotta, la prova la voglio così: io a guisa di un Maestro di ginnasio ti ordinerò le lotte che mi verranno in mente e tu le dovrai eseguire a puntino! “

La ragazza inizia dunque a richiedere al giovane diverse applicazioni di lotta tra cui una interessante nella quale avverte: “prima, come è d’uso, annodalo con le braccia, poi ripiegalo, inchioda e batti senza allentare”.

Flavio Filostrato, detto l’Ateniese, è l’autore di un libro ”Della Ginnastica“ che tratta di cose riguardanti l’arte di combattere disarmati, ed è considerato tra i più attendibili cantori dell’arte di combattere a mani nude.


Cosa è il Pancrazio

Il Pancrazio, il cui nome ricordiamo sembra discendere da pankrates = onnipotente, pan = tutta, kratos = forza, così come può essere descritto dal termine Pankration = tutta la potenza, è stata la più feroce e completa fucina di tecniche marziali nel combattimento a mani nude.

Il Pancrazio era una perfetta fusione tra gli aspetti della lotta in piedi e a terra e l’uso sistematico di percussioni e leve, il tutto senza la minima protezione né guanti, in quanto i pancraziasti non indossavano i terribili cesti (una sorta di armatura della mano fatta con strisce di cuoio avvolte attorno alla mano, alle quali in seguito furono applicate anche “nocche“ in metallo),combattendo a mani libere.

Essi potevano colpire con il pugno chiuso e utilizzare le mani aperte per sferrare i loro colpi di palmo o con la punta delle dita. Ancora, il pancraziaste poteva intrecciare le proprie dita con quelle dell’avversario ed infine andare alle prese sulle braccia o al corpo.

Il pankraziaste quindi poteva colpire con la testa, afferrare con le mani, colpire con le dita tese, a pugno chiuso, con gomiti e calci.

Galeno, celebre medico greco, racconta che nel Pancrazio si potevano torcere gli arti, fratturare le ossa, slogare le articolazioni e perfino tentare il soffocamento senza arrivare alle estreme conseguenze.

A Sparta diversamente che a Olimpia si poteva anche graffiare e mordere anche se era vietato accecare l’avversario.

Questo non deve far pensare al Pancrazio come una rissa sconclusionata

Si tratta invece di un preciso sistema codificato e regolato e le competizioni venivano severamente arbitrate per evitare degenerazioni dovute ai vari stili praticati.

Il Maestro si chiamava Listarca Agonistarca per il pugilato e il Pancrazio.

Egli, in qualità di tecnico (alcuni Maestri erano ex atleti che avevano cessato l’attività come il pancraziaste) seguiva ed insegnava le tecniche e le strategie di combattimento osservando nell’addestramento in palestra regole severe.

A coadiuvare l’opera del Maestro vi erano poi i Podotribi (avvisatori, oggi li chiameremmo assistenti), il loro compito era quello di portare agli atleti le informazioni e i consigli tattico/strategico del Maestro.

Anche l’alimentazione aveva le sue linee guida

Gli atleti seguivano quello che possiamo definire un regime dietetico nel quale figurava l’utilizzo di cereali, di fichi e uva secca, di carne di maiale e di montone aromatizzata con aneto e finocchio, annaffiati di buon vino.

Certo gli atleti non passavano le giornate a trangugiare costate o a sbronzarsi, ed integravano la dieta, date le necessità energetiche derivate da un allenamento durissimo, con infusi di erbe tra cui sembra vi fosse una bevanda fatta con i semi di fieno greco (trigonella foenum-graecum), pianta conosciuta per le sue naturali proprietà anabolizzanti, non esistendo allora i famigerati e nocivi prodotti dopanti di sintesi.

Nella palestra trovavano posto non solo gli adulti, ma anche i giovani ed i giovanissimi

La cosa non era certo nuova, nell’antico Egitto i bambini si allenavano in esercizi di lotta e destrezza.

In Grecia la pratica, che in Egitto era ristretta alla classe sociale dei nobili più vicini al Faraone, divenne pubblica e fin dalla tenera età i bambini erano chiamati ad iniziare i giochi di lotta e di confronto ludico.

Il Maestro, che doveva aver superato i quarant’anni d’età, doveva istruire i suoi allievi alle tecniche di combattimento e curarne la preparazione fisica ed alimentare con particolare riguardo.

La preparazione precisa ed intensa era necessaria poiché si trattava di combattimenti estremamente completi che richiedevano un eccellente stato fisico, coraggio e notevole acume tattico/strategico, dato che si poteva lottare e combattere anche a terra.

Il Pancrazio fu la forma di combattimento totale senza armi più cruento e micidiale ideata dall’uomo

La disciplina venne diffusa in diverse zone dell’Europa proprio dai greci e dai romani tanto che l’Imperatore Silla dopo che la Grecia (nel 146 a.C.) era passata sotto il dominio di Roma, volle nell’80 a.C. Tenere a Roma le Olimpiadi con tutte le gare di Pancrazio e lotta.

Campioni di Pancrazio furono non solo nativi della Grecia, ma anche provenienti da Alessandria, da Antiochia in Siria, Egitto e Armenia e in diverse occasioni furono vincitori atleti provenienti dalla penisola italiana.

Lo fu Brito, il primo re dei britanni, che secondo la leggenda era un fuoriuscito troiano, compagno d’armi dell’iliaco un Corineo che fondò la Cornovaglia, come racconta il dottor Alberto Cougner nel suo libro “Pugilato e Lotta per la Difesa Personale“ del 1898.

Sempre Cougner scrive:

Gli stessi pastori brettoni, gaelici ed armoricani continuano tuttora ad essere i più famosi lottatori e pugilisti, così pure gli scozzesi o higlanders moderni, che nei loro clan tengono in onore il westriling (lotta corpo a corpo) e il boxing, oltre alla danza pirrica dei claymors e il getto dei martellio aber, come per i discoboli greci“

È plausibile che proprio il Pancrazio sia matrice di molte tecniche e strategie diffusisi in Occidente e sviluppatesi in varie forme.

Il cornish hug, tecnica di sgambetto anche il modo di portare i colpi del primo Boxing con i pugni verticali, che vedremo praticati anche nel pugilato venatico, sono una caratteristica del Pancrazio e così pure prese alle gambe sui calci, azioni di controllo articolare che ritroviamo nel gioco stretto di scuola medioevale germanica e italiana.

Note

Bibliografia

  • Alberto Cougner “Pugilato e lotta per la difesa personale: box inglese e francese” Milano, Hoepli, 1898.

Perché pratichiamo le arti marziali?

  • Che cosa facciamo, è il metodo base di praticare arti marziali: produrre energia;
  • Come lo facciamo: sono le sensazioni che si producono mentre generiamo quell’energia e questo è il metodo per trasformare le cose mediocri in eccellenti.

Nel primo caso si mobilitano solo le endorfine cerebrali (sensazioni di piacere ed ormoni rigenerati), che di per se è una gran cosa nel mondo fisico, nel secondo appare una consapevolezza nuova, che trae origine dalle sensazioni prodotte dal movimento che stiamo realizzando e che ci collega al momento.

Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te

Questo è ciò che ha voluto esprimere Sensei Funakoshi quando in uno dei suoi venti precetti afferma “ devi essere serio negli allenamenti”, in parole povere, ciò che sta dicendo è “Poni tutta la tua attenzione in ciò che stai facendo, affinché la mente si dissolva nell’azione e si liberi il KI che si muove in te”.

Che cosa ti importa di più, i movimenti, (la forma) che perderai nel corso della vita, o ciò che scopri del tuo essere che è nascosto dall’ego dell’azione fisica? l’età porta una saggezza in grado di chiarire la domanda precedente, quante tecniche di kata o movimenti complessi ho imparato che oggi, trent’anni dopo, sono passati nel dimenticatoio? Migliaia. Quante emozioni ho provato durante la realizzazione di quei kata o di quei movimenti che tuttora sono presenti? Tutte.

L’emozione non solo perdura, ma aumenta col passare del tempo, nella memoria qualsiasi tecnica imparata durante la gioventù scompare ed il suo frutto è la frustrazione o la vanagloria: Ego

Le emozioni sono semi, la memoria è polvere che svanisce col vento del tempo, ricordo di un allievo che venticinque anni fa riuscì ad imparare ventuno kata shotokan e altri quindici di scuole diverse, un portento ! ed era cintura marrone.

L’ho incontrato qualche mese fa, pesava 110 chili e non ricordava neppure il nome di un solo kata, ma ciò che ricordava, mentre ostentava un dolce e malinconico sorriso, era quanto aveva sudato e quanto buona fosse l’energia del dojo: “la migliore epoca della mia vita” ha affermato.

Ricordi le parole di qualche canzone che ti ha emozionato da giovane? … forse ricordi addirittura di aver pianto dall’emozione, il Ki è immateriale, non si perde, né si rompe, perché non è diretto dalle leggi dell’evoluzione.

Quando perdiamo la capacità di contemplare i nostri pensieri, osservare le emozioni e provare le reazioni fisiche, viviamo si, ma in uno stato latente, viviamo da morti viventi, significa camminare nella vita senza viverla, questo è il grande segreto, quando si blocca il tempo, la persona allenata nell’osservazione della coscienza percepisce la vita con una maggiore intensità.

Come si ferma il tempo? Non pensando. E come si fa a non pensare? Contemplando il pensatore.

Il pensatore che abbiamo nel cervello è quell’entità che pensa costantemente, quella che crea il tempo psicologico, questo tempo psicologico crea ego e questo ricrea tempo psicologico, in questo ciclo senza fine viviamo una vita piena di ansietà.

È tempo speso male. Vediamo ora un metodo che può essere utilizzato in qualunque momento della vita o nel corso degli allenamenti specifici, è basato sul concetto ken zen it chi / il karate e lo zen sono un tutt’uno.

Il modo migliore per iniziare è osservare e sentire la respirazione: osserva e senti come l’aria entra fresca per le narici ed esce tiepida senza che la mente produca nessun altro pensiero, se la respirazione viene eseguita con coscienza, è impossibile che mentre poni l’attenzione su questo gesto tu possa pensare a qualsiasi altra cosa.

Fai questa prova: cerca qualcosa che abbia un buon profumo, annusala… appena finito devi renderti conto che mentre la annusavi non sei stato in grado di pensare a nulla, solo al profumo

Se la tua mente ha prodotto qualche pensiero, è perché non hai annusato appieno l’aroma, non sei stato nel qui e adesso, ti sei perso nel pensiero di qualcosa che non era li.

Hai usato la mente e questa ha giudicato qualcosa, l’osservazione e la coscienza si sono perdute nella nebulosa dei pensieri.

Una volta finito di annusare, la mente cercherà un nome o un ricordo per quel profumo, l’attività mentale si riannoda, ma se sei cosciente del fatto che durante l’atto di annusare non hai pensato a nulla, allora avrai raggiunto un momento unico, avrai vissuto pienamente quel qui e adesso!

Questo atto apparentemente semplice, ma di enorme valore spirituale, è una fugace manifestazione del “satori“, che è uno stato transitorio di vivere con pienezza il “qui e adesso“ per brevi periodi di tempo, il “satori” è un istante di illuminazione.

Nel nostro caso, in quanto artisti marziali, osserva senza pensare qualunque movimento che realizzi nel Dojo

Se hai la mano nel punto A e devi arrivare al B, senti, sii cosciente del movimento durante tutto il  percorso ed eseguirai un movimento di qualità spirituale, un movimento di “satori”, ma se quando ti trovi in A stai già pensando a B, la tua mente allora è già proiettata nel futuro e non nel presente, e così perderai la possibilità di osservare e cogliere il movimento, che è proprio ciò che arricchisce la tua coscienza.

Potrai eseguire un movimento ricco nell’azione (forma), ma vuoto nel contenuto spirituale, questa è la chiave ed il fondamento di ogni creazione artistica fatta con entusiasmo, non devi mai dimenticare che noi pratichiamo un’ Arte Marziale, la parola “entusiasmo“ significa: “essere posseduto dagli Dei “.

La mente è il grande nemico che ci impedisce di percepire il Ki in qualsiasi momento, se pensiamo all’ordine dei movimenti, se ci sbilanciamo, se pensiamo a che cosa penserà un osservatore dei nostri errori, se siamo preoccupati per l’ora o ci appigliamo a qualunque altro cavillo, allora il momento sarà di bassa qualità, benché abbia comportato una grande spesa energetica aerobica o sia stato realizzato con precisione.

Questo racconto lo descrive in maniera molto dettagliata

Il rospo superbo gracchia su un’umida roccia, mentre vede amaramente passare la vita davanti a lui, non fa niente.

Gli passa davanti un affannato millepiedi che sembra essere oltremodo felice e lui non può permetterselo, perciò decide di fargli delle domande che lo confondano e possa così perdere la sua pace. – “millepiedi dove vai?” domanda il rospo, – “Semplicemente vado” risponde il tranquillo ed affannoso millepiedi, senza alterare la sua decisa marcia. – “Cavoli”, pensa il rospo costernato “non ha perso la calma“ .

Gli domanda nuovamente –“senti millepiedi, a che cosa pensi mentre cammini? “ “non penso, cammino e basta” Risponde nuovamente con tranquillità.

Il rospo non può sopportare che vi sia qualcuno più sicuro di sé di lui, decide così di porgli una domanda più maliziosa che si possa immaginare.-“Millepiedi, in che ordine muovi le zampe ?” Il millepiedi si ferma pensa per un istante e risponde, “ per prima cosa muovo la prima zampa e dopo la seconda.

No” rettifica – “ prima la seconda e poi la quarta, no,no, mi sono confuso, prima muovo la quinta e dopo l’ottava, no,no,no! Prima la… e poi la… No,no,no! Da allora il millepiedi non è più riuscito a camminare e a ritrovare il suo cammino , la sua mente si era attivata e questa è stata la sua perdizione.

Quale è il cammino che ci condurrà verso quel misero che abbiamo denominato Ki, e che non è solo il cuore di tutte le arti marziali, ma di qualunque attività che si realizzi? Il cammino cosciente nel quale si avverte il momento presente senza l’interferenza della mente, questo è il motivo per cui pratichiamo le arti marziali e pochi ne sono coscienti.

In Giappone lo chiamano: Do

Significa essere presenti in tutto ciò che si compie, nell’azione o nella passività, nella contemplazione di qualcosa o mentre si pensa ad essa, essere coscienti persino di un errore che si è commesso, o di un successo, essere presenti significa essere coscienti di ciò che sta succedendo in ogni qui e adesso.

Ma attenzione al tempo, che agisce sulla coscienza e questa comincia a pensare (intelligenza), ed è proprio allora che cominciano a manifestare i desideri , che non sono altro che una forma di ego, di credere che per essere qualcuno abbiamo bisogno sempre di più, L’ego ha sempre fame, fame di pensieri, di giudizi, di cose, di potere, di tutto ciò che il mondo produce e soprattutto di tempo. “ non ho tempo”, “mi manca il tempo” , “ se avessi più tempo “, sono frasi comuni che ripetiamo con assiduità.

L’ego si identificherà con qualcosa e da lì ne uscirà solamente altro ego in forma di ansietà, perché non si sarà mai soddisfatti o se lo si sarà, sarà solo per poco tempo

Ora possiamo comprendere le prodezze che compiono alcuni Maestri, con la forza o con il peso si possono ottenere abilità nella forma, anche se puerili nella coscienza, ma quando scopri un Maestro autentico, in grado di compiere vere imprese, allora hai a che fare con un personaggio umile che irradia un alone di distacco che giunge al tuo anteriore come un’abile freccia.

Non ha ego.

I grandi Maestri sembrano essere vuoti, creano una sensazione che ti assorbe, danno pace ed il tempo si ferma alla loro presenza, ma la cosa più grande è che ridono molto.

Non sono nel tempo, non vivono nella vanità delle cose, vivono il “qui e adesso” di ciò che stanno facendo, ma se si fermassero davanti al televisore a guardare una partita di calcio, quella sarebbe l’unica cosa che farebbero in quel “qui  e adesso“ e l’atto di vedere la televisione rappresenterebbe un’autentica prodezza spirituale….. con il KI.         

Note


COPERTINA proiezioni e manipolazioni delle articoli articolazioni

PROIEZIONI e manipolazioni delle ARTICOLAZIONI

È più facile per qualcuno premere il grilletto di un’arma da fuoco, ma avanzare e avvicinarsi a breve distanza per pugnalare qualcuno, secondo le circostanze, è un compito molto difficile ed è un atto molto complesso.

Ci sono diversi angoli di attacco e le loro applicazioni nella difesa sono varie, dalle più semplici alle più complesse.

Ci si allena non solo per tutte le sfaccettature della lotta a mani nude, ma anche alla lotta con le armi per sforzarci ad acquisire l’equilibrio in tutti gli aspetti dell’allenamento così come nella nostra vita di tutti i giorni.

Generalmente i sistemi di combattimento si dividono in tre livelli:

  • Livello uno: Scambio di colpi a media distanza
  • Livello due: Lotta a breve distanza, dove si possono usare gomitate, ginocchiate, punti di pressione, lussazioni, prese ed atterramenti.
  • Livello tre: Lotta a terra, dove si usano chiavi e immobilizzazioni per controllare e finire il nostro avversario.

Tuttavia esiste un quarto livello ed è quello che si chiama Quik Lock (immobilizzazione veloce), posizione di ginocchio a terra, ci siamo resi conto del fatto che finire a terra.

Che sia per difendersi o per combattere, non è la posizione migliore, ma può, avere per chi è allenato a quel tipo di combattimento, grandi possibilità di vittoria che probabilmente in piedi non avrebbe avuto.

Per la difesa personale l’obiettivo è creare un’opportunità per scappare e sopravvivere a una situazione di violenza.

  • Le forze di sicurezza hanno l’obiettivo è controllare chi assale usando la minore forza possibile e causando il minor danno possibile all’arrestato;
  • Per un militare l’obiettivo è uccidere l’avversario e mettere fine rapidamente alla situazione.

L’immobilizzazione veloce nella posizione in ginocchio è una valida alternativa al lottare sdraiati per terra

In tutti gli scenari precedenti, l’immobilizzazione veloce nella posizione in ginocchio è una valida alternativa al lottare sdraiati per terra, dove il lottatore è vulnerabile agli attacchi, oltre a perdere la possibilità di lottare con una parte del corpo.

Ma sicuramente utilizzando la tecnica e non la forza, possiamo avere ragione dell’avversario anche in poco tempo e con poca fatica.

In questo articolo vorrei parlare di come immobilizzare e sottomettere l’avversario velocemente.

Possiamo imparare come avvicinarsi dal livello uno, distanza media di combattimento, alla posizione del livello due, distanza breve, e come da questa posizione possiamo atterrare efficacemente l’avversario per poterlo controllare, sottometterlo e finirlo a terra (livello tre combattimento a terra).

Lottare con qualcuno a terra e mantenere il vantaggio non è un compito facile, la manipolazione delle articolazioni, di solito, non si vede assieme ad una tecnica di atterramento, ma usando i punti di pressione.

Mantenendo l’angolo corretto e facendo la pressione giusta nel punto giusto, ci consente di gestire l’avversario molto facilmente, mantenendo una posizione di vantaggio.

Le prime tecniche di manipolazione di articolazioni che vediamo sono quelle chiamate “tecniche in cerchio da sotto“.

La tecnica parte dalla posizione iniziale di combattimento e contempla molte situazioni possibili, (prese, attacchi, contrattacchi ecc…)

Innanzitutto bisogna conoscere alcuni concetti basilari dell’anatomia umana

Alcune articolazioni, come i gomiti e le ginocchia, sono incernierate e funzionano come il meccanismo di apertura e chiusura di una porta.

Altre articolazioni come le spalle o le anche, sono articolazioni sferiche, che permettono una maggiore gamma di movimenti ma che si danneggiano con una frequenza maggiore.

Tutte le articolazioni sono unite a tendini, legamenti e muscoli, i tendini collegano i muscoli e le ossa, i legamenti collegano le ossa con altre ossa.

La manipolazione delle articolazioni implica collocare l’articolazione dell’avversario in un angolo adeguato, applicando la pressione sufficiente a causargli un dolore intenso, slogare o rompere l’arto.

Ci sono quattro modi di manipolare le articolazioni per massimizzare la pressione quando si fa leva per sottomettere gli avversari.

Vediamo ora le varie possibilità di attuazione diviso in varie fasi:

Contro l’articolazione:

Questa è la più efficace nelle articolazioni che funzionano come una cerniera, come il ginocchio o il gomito che non girano ma si muovono in una sola direzione.

Si preme direttamente sull’articolazione e l’altra mano resta ferma o si muove nella direzione opposta, l’articolazione può essere facilmente slogata o iper- estesa lasciando l’arto inutilizzabile.

Leva angolata:

L’applicazione della leva angolata è la più efficace quando si realizza su un’articolazione sferica, queste articolazioni permettono di realizzare movimenti rotatori, si tratta di polsi, spalle, caviglie e anche.

Quando si colloca l’articolazione in un determinato angolo, i legamenti e i tendini che contengono l’articolazione al suo posto si allungano perdendo la capacità di preservare l’integrità sull’articolazione.

A questo punto, si può applicare una pressione che provocherà la slogatura dell’articolazione.

Giro o rotazione:

Queste tecniche di giro o rotazione possono essere applicate a entrambi i tipi di rotazione.

Tuttavia richiedono una forte presa su entrambi i lati dell’articolazione, è più efficace se si applica su articolazioni più piccole, come le dita, il polso e, a volte, il gomito.

Probabilmente questa tecnica non si usa come definitiva (finalizzazione) al momento di slogare un’articolazione, ma può servire come transizione ad una presa più forte.

Compressione:

La tecnica di compressione si basa sugli stessi principi di uno schiaccianoci.

Si colloca qualcosa sopra l’articolazione, poi si fa pressione verso dentro dai due lati e l’articolazione si separa,spesso questa tecnica è chiamata “separazione dell’articolazione“.

È più efficace sopra l’articolazione o sul ginocchio.

Le tecniche di cerchio da sotto sono quelle nelle quali si deve girare sotto l’avversario per riuscire a collocare il polso e il gomito di questi nell’angolo adeguato.

Facendo un giro di 360 gradi, si possono manipolare il braccio e il polso dell’avversario per collocare il suo polso e il suo gomito in un angolo di 90 gradi, realizzando una presa di polso.

Ci sono due modi per girare sotto il suo braccio:

  • Il primo è la presa del polso da sotto interno: si fa il giro sotto il braccio dall’esterno verso l’interno;
  • Il secondo è la presa del polso esterno: in questo caso si fa il giro sotto il braccio verso l’esterno.

Per girare sotto il suo braccio dobbiamo abbassare la nostra posizione ed entrare velocemente.

Esistono un paio di ragioni per le quali dobbiamo assumere la posizione bassa.

La prima, se non siamo veloci, l’avversario ha la possibilità di contrarrestare il suo movimento ed il giro e sembrerà che stiamo ballando la salsa.

L’altra è evitare di essere colpito dall’altro braccio dell’avversario.

Se si esegue bene, l’avversario non riuscirà a scappare perché il suo polso potrebbe rompersi.

Ci sono tantissime tecniche di difesa personale che utilizzano il polso e molte di esse sono tecniche di manipolazione stando in piedi, un’altra componente per slogare un’articolazione è applicare una vibrazione anziché una pressione costante.

Per slogare un’articolazione in modo efficace dobbiamo applicare una vibrazione,(un movimento veloce da sopra a sotto), ma per immobilizzare o sottomettere l’avversario, così come nel grappling, è necessario fare una pressione costante.

Per concludere

È di fondamentale importanza avere delle basi di anatomia per poter applicare efficacemente le leve, ma bisogna avere anche una buona se non ottima manualità per poterle effettuare, tenendo conto che le situazioni che si possono creare sono molteplici e dobbiamo essere in grado di poter cambiare tecnica velocemente a seconda della situazione.

Per ottenere ciò la parola d’ordine è allenarsi, allenarsi, ed ancora allenarsi!

Note


Lo Yawara-Kubotan: La MILLENARIA arma da difesa buddista

Lo Yawara è un’arma millenaria che in origine fu uno strumento utilizzato nelle cerimonie religiose buddiste.

Il suo uso marziale venne sviluppato prendendo come riferimento IL Tanto-Jutsu, maneggiandolo senza sfoderare per non tagliare né produrre emorragie.

Questo piccolo cilindro, di circa quindici centimetri di lunghezza, è diventato un’arma efficacissima sia nella difesa personale civile, che nella difesa personale poliziesca

La sua fabbricazione in diversi materiali non rilevabili, leggeri ed estremamente solidi, lo hanno reso famoso tra le persone che desiderano portare con se un’arma dissuasiva che sia anche discreta, altamente efficace e, contemporaneamente facile da utilizzare, specialmente nel misurare l’intensità della violenza da applicare in caso di necessità, inoltre è generalmente un prodotto economico e di facile fabbricazione.

In legno, policarbonato, metallo, con punta arrotondata, appuntito o meno, le varietà possibili sono infinite, ma il suo utilizzo tattico è fortunatamente simile.

Lo Yawara è effettivamente versatile ed è proprio questa versatilità ed il suo intuitivo maneggio che, forse, hanno fatto si, che pochi stili abbiano sviluppato seriamente le possibilità implicite al momento di sfruttare tutto il suo potenziale, fortunatamente il nostro “Mondo Marziale“ è talmente ricco ed attivo che, sapendo cercare, si trova sempre l’esperto adeguato.

Questa piccola meraviglia è un accessorio, che più di una volta ci ha tirati fuori da una difficoltà inaspettata, ma parliamo dei suoi precedenti storici.

Le tecniche di combattimento del Kakushijutsu

Le antiche scuole di ju jitsu, Taijitsu e Yawara, contemplavano nei loro insegnamenti tecniche di Kakushijutsu (combattimento con armi nascoste), utilizzate per aumentare considerevolmente gli effetti degli Atemi o dei colpi e delle pressioni esercitate nei punti di pressione.

La sua denominazione generica giapponese è Yubi Bo ed essendo utilizzato principalmente nell’arte dello Yawara, assunse il nome dello stile stesso.

La scuola di Takenouchi Ryu utilizzava un’arma simile, benché più lunga (20 cm circa) che denominarono Koshi No Bo, conosciuta nelle altre scuole sotto la denominazione Kakushi Bo (bastone nascosto).

Normalmente erano fabbricati in legno, benché li utilizzassero anche in metallo con le estremità molto appuntite, che servivano per colpire nelle zone più vulnerabili gli avversari che indossavano armature leggere.

Le tecniche impiegate derivavano dal Tanto-Jutsu, con una peculiarità di maneggiare il Tanto coperto dal suo fodero, per non causare tagli o ferite mortali, poiché spesso i Samurai dovevano condurre i prigionieri preziosi senza provocare loro ferite gravi o mortali.

Cosa è lo Yubi Bo

Gli Yubi Bo hanno una corda inserita nella porzione centrale, che serve per legarli introducendo il dito medio e l’anulare, in modo che, chiudendo la mano, emergano le estremità da entrambi i lati, in questo modo, si può colpire in stoccata o a martello, la lunghezza della corda deve essere adeguata, poiché deve permettere allo Yawara di muoversi all’interno della mano per ottenere maggior forza.

La corda permette di colpire con la mano aperta, trasversalmente e perfino di eseguire delle prese ed esercitare pressioni sulle articolazioni.

La conoscenza e il maneggio di quest’arma venne ristretto alle succitate scuole fino a quando Frank Matsuyama giapponese nato a Miyakonojo nel 1886, emigrò negli Stati Uniti.

Dopo aver esercitato diversi mestieri, cominciò ad insegnare nel 1927 l’Arte dello Yawara che aveva imparato da suo padre insegnando a diversi corpi di polizia, si rese conto della necessità di un’arma pratica ed efficace che sostituisse il classico randello.

Matsuyama sviluppò nel 1948 lo Yawara – Stick

Sembra sensato dire che Matsuyama non inventò nulla di nuovo, bensì approfondì il maneggio e l’utilizzo dell’antico Yubi Bo.

In realtà possiamo parlare di una  “evoluzione simultanea“ nell’utilizzo di questo tipo di armi, alle quali sono stati dati altri nomi, a seconda delle diverse Arti Marziali e delle diverse provenienze.

Il Kubotan

Il celebre maestro di Karate Takayuki Kubota, nacque nell’isola giapponese di Kyushu ne 1934, cominciò a praticare Arti Marziali a quattro anni.

Karate, Judo e Keibo-Jutsu; nel suo apprendistato conobbe una moltitudine di stili e di Arti Marziali, il che gli conferì una versatilità ed un’efficacia straordinarie, cominciò ad insegnare ai poliziotti ed ai corpi di sicurezza in Giappone.

Nel 1964 in breve tempo divenne famoso negli Stati Uniti per la sua durezza e per la sua efficacia, insegnò Karate, Judo, Kendo e Gyokute-Jitsu a diversi corpi militari e di polizia.

Esperto nel maneggio del Tambo poliziesco e nel Thaio-Jutsu, nel 1970 sviluppò, partendo dallo Yawara, il Kubokan, che prese il suo cognome come denominazione, attualmente è cintura nera 10° Dan di Gosoku Ryu Karate.

La novità del Kubotan risiede nel suo utilizzo come portachiavi, dando la possibilità di utilizzare le chiavi come arma, benché, in sostanza, il Kubotan sia uno Yawara senza corda, in realtà, prima che il Maestro Kubota sviluppasse il Kubotan, esistevano già adattamenti dello Yubi Bo o Yawara senza corda, e le prove le troviamo in diverse pubblicazioni militari e manuali di utilizzo delle armi che mostrano oggetti simili.

Attualmente poche Arti Marziali utilizzano qualche tipo di bastone di piccole dimensioni, con o senza corda,nei loro insegnamenti, e in quelli che li usano, lo fanno solo a livelli avanzati.

Confrontando lo Yawara con il Kubotan

Quanto al Kubokan si sta diffondendo come arma di difesa a livello urbano e, specialmente nelle forze di sicurezza, se lo Yawara più utilizzato è quello di legno, i Kubokan si fabbricano di diversi materiali, come il Titanio, l’Alluminio o PVC, ed oltre alla forma cilindrica classica, si stanno usando anche con delle palline alle estremità, con fessure per le dita e perfino vuoti all’interno per alloggiare un piccolo deposito di gas urticante.

Confrontando lo Yawara con il Kubotan, le possibilità del primo sono maggiori, oltre alla sicurezza che deriva dal fatto di averlo legato con la corda, con il vantaggio che aprendo la mano non cadrà, come succede con il Kubokan.

Con lo Yawara la possibilità di tecniche è molto maggiore

Dal punto di vista tecnico con lo Yawara la possibilità di tecniche è molto maggiore, permettendo prese e pressioni con tutta la sua superficie, oltre alla possibilità di premere e colpire con la mano aperta e trasversalmente.

Il Kubotan, tuttavia, che tutte le sue tecniche possono realizzarsi con una penna, una matita, ecc…

Le possibilità dello Yawara al momento di colpire sono infinite, con il pugno chiuso , tutti i colpi di Karate sono possibili, sia quelle che si sferrano con le nocche e con il dorso,che i colpi a martello in qualsiasi angolazione e direzione o di stoccata a qualsiasi altezza o senso.

Anche i colpi di pugilato sono molto efficaci impugnando lo Yawara, ma è molto importante avere conoscenza dei punti vitali per trarre il maggior vantaggio dagli Atemi, bisogna anche dire che i colpi con le estremità dello Yawara sono dolorosi anche se non incidiamo su un punto vitale, nonostante ciò i punti più efficaci sono le tempie, il sopracciglio, il labbro superiore, il mento, le carotidi, la trachea, lo sterno, le costole, i genitali, e le grandi zone muscolari.

In conclusione tutto ciò che è difesa può essere effettuato senza limiti dallo Yawara.

Lussazioni e strangolamenti, spazzate e conduzioni, l’importante è non eccedere se non necessario ed avere la manualità necessaria per il suo utilizzo, essendo coscienti che stiamo stringendo in mano un nostro caro amico che mai ci tradirà!

Note


[PRATICHE DI LOTTA] Le Arti Marziali: ed in Oriente?

Secondo la leggenda fu Bodhidarma, nel 520 d.C. a portare in Cina una serie di esercizi che fondevano aspetti di pratiche per la salute a movimenti di lotta

Secondo la leggenda fu i monaco indiano Bodhidarma, nel 520 d.C., a portare in Cina presso il tempio dei Monaci Shaolin ad Honan una serie di esercizi (18 per la precisione) che fondevano aspetti di pratiche arcaiche per la salute ed il vigore fisico a movimenti di lotta e pugilato.

Questi primi 18 esercizi vennero in seguito sviluppati in vari altri movimenti e forme dando origine a diversi metodi di lotta disarmata, con strumenti e armi bianche.

L’ipotesi ulteriore è che dalle feconde terre del Nilo si siano formate due grandi e forse collegate linee di pratica marziale:

  • La prima in Occidente, che ebbe come madri la cultura greca, i popoli indo europei (Celti in testa) ed i romani;
  • La seconda ad Oriente, che ebbe come padri i persiani, gli indiani e la culla nella vastità delle terre cinesi.

Tutto ciò che venne dopo mantenne senza dubbio il patrimonio genetico iniziale, ma modellò necessariamente al proprio ambiente e condizioni, le pratiche guerriere scoperte e tramandate, che si diffusero così nel corso dei secoli divenendo espressione compiuta delle diverse realtà geografiche.

Pratiche di lotta, ed altrove?

Ad Oriente l’India, la Cina con centinaia di scuole e stili di Kung Fu, il Giappone con altrettanti stili discendenti dall’antico Bujiutsu, la Corea con l’antica arte dei guerrieri Hwarang e persino la piccola isola di Okinawa con il Te-Kobudo una pratica armata e disarmata dalla quale alcuni studiosi vogliono derivi il Karate.

Nel sud est asiatico le arti guerriere trovarono forte sviluppo in diversi paesi tra loro vicini come la Thailandia (Muay Thay), il Vietnam (Vo- Viet –Vo – Dao), la Birmania con il Bando e all’estremo sud l’insieme di isole e arcipelaghi costituiti da Filippine Indonesia e Malesia (Bersilat- Silat, Kali) sinteticamente questa è la mappa marziale ad Oriente.

Sono nate altre discipline, anche su studi recenti legati agli aspetti difensivi, come il Krav Maga israeliano.

Conclusioni

Finisco questa breve carrellata dicendo che c’è stata una forte e straordinaria forza evolutiva nelle arti marziali, anche se in alcuni casi non si può più definire un’arte marziale, ma una lotta senza alcuna regola ed all’ultimo sangue!

Note


[AUTODIFESA] Un’arma estensibile: Il bastone telescopico

Nella rubrica “Armi bianche” della rivista ARMI E TIRO (settembre 2002) il collezionista Roberto Gobetti, grande esperto e studioso di armi storiche, sviluppa un tema davvero interessante.

Egli propone che l’esame delle armi manesche più o meno antiche, evolva dalla catalogazione certosina dei componenti, verso lo studio valutativo funzionale degli stessi, aprendo così la strada alla ricerca dei perché costruttivi dei diversi elementi di un’arma.

Scrive infatti:

Non dobbiamo dimenticare che un’arma è nata per essere usata

Per questo si devono indagare le sue funzioni costruttive in modo che studiando con attenzione tutti i particolari, si può arrivare a conoscere queste esigenze e soprattutto il loro mutare nel tempo.

Gobetti suggerisce di sviluppare un lavoro intelligente sull’oggetto evidenziando la natura globale dell’arma, che diventa così mappa descrittiva non solo delle tecniche possibili con la stessa, ma anche “indicatore sociale” degli usi e costumi di un’epoca.

Un altro percorso che si può indicare e connesso a quello suggerito da Gobetti, è quello riguardante la “trasmutazione” (trasformazione + mutazione) di alcune armi antiche in armi o strumenti moderni legati alla Difesa Personale e a contesti di Forza Pubblica.

Tra questi trova senz’altro posto l’antico “buttafuori” ed il suo epilogo moderno “il bastone telescopico o espandibile”

Nei secoli che vennero dopo l’anno Mille, in Italia e in buona parte dell’Europa, l’uso delle armi manesche, sole come accompagnate, era necessario quanto il saper camminare, nella nostra penisola la particolare situazione politica e socio-culturale, favorì la diffusione non solo delle armi, ma anche del loro utilizzo scientifico in combattimento singolare o nelle scaramucce di gruppo.

Un po’ come avviene oggi in Israele, la pressione costante ai confini e le continue dispute sul territorio fecero si che la popolazione di sesso maschile delle città fosse formata all’arte del combattimento, così da poter difendere come milizia cittadina (societates armorum) i propri possedimenti entro e fuori le mura comunali.

La situazione assai articolata e variegata, vedeva soldati di ventura, mercenari, uomini d’arme, cittadini e nobili cavalieri convivere.

La quantità di personaggi inclini a metter mano ai ferri causò un certo problema, ma favorì contemporaneamente lo sviluppo di strumenti ed armi sempre più funzionali e parallelamente l’evoluzione dei combattimenti all’arma bianca.

In un certo periodo tra il XlV e fino al XVll secolo, venne in uso, tra le altre, un tipo di arma particolare per forma e funzione, all’apparenza si trattava di un bastone ricoperto da una lamina di metallo, ma si trattava per l’appunto solo d’apparenza, in quanto il bastone teneva occultata al suo interno una lama lunga e robusta come quella di una spada, in grado di uccidere.

Questa fuoriusciva all’esterno dalla parte superiore grazie ad un movimento brusco, per forza d’inerzia, e bloccata in quella posizione da un meccanismo che ne impediva il rientro, l’esimio studioso del secolo scorso Il Comm. Jacopo Gelli nella sua opera GUIDA DEL RACCOGLITORE … (1900) definisce l’arma come “brandistocco” ed, in effetti, si ritrova tale nome anche nelle catalogazioni armi dell’archivio di Stato Firenze ed Urbino (1633).

Il nome “buttafuori” è invece stato utilizzato per designare lo stesso strumento da altri due grandi studiosi di armi bianche come Boccia e Coelho nella loro opera ARMI BIANCHE ITALIANE (1975)

Il nome “buttafuori” è considerato più rispondente alla natura tecnica dell’arma anche da un altro esimio esperto, quel Francesco Rossi, che curò la catalogazione tra gli altri della collezione d’armi antiche del Museo di Castelvecchio a Verona.

Il “buttafuori” da un punto di vista tecnico è un tubo cilindrico al cui interno si trova una lama a sezione losangata o quadrangolare fornita in alcuni casi anche di lame laterali che si aprono a fine corsa, originando una vera e propria guardia a croce appuntita, utile per parare i colpi degli avversari ed utilizzabile nel combattimento a distanza ravvicinata, con evidenti risultati pratici.

A riposo il “buttafuori” sembra un bel bastone adornato alla sommità da una corona in metallo talvolta lavorata a sbalzo o forgiata a rappresentare animali e l’estremità opposta chiusa da un puntale in ferro, ma basta afferrare saldamente il bastone e compiere un movimento brusco del polso per far aprire il coperchietto con portellino e vedere fuoriuscire la lama che saetta in avanti come la lingua di un serpente.

Non si tratta della lamette di coltello, ma di un ferro che può superare gli 80 cm, il “buttafuori” divenne servo silenzioso per viandanti, per le scorte

Lo usavano ad esempio le Corporazioni e le Confraternite dei Bombardieri veneti, per gli emissari e per i riscossori di tributi, ma divenne anche arma da “masnadieri” che appoggiavano le loro richieste “presentando il ferro”.

Buttafuori bellissimi si possono ammirare al Museo Luigi Marzoli di Brescia, al Museo di Castelvecchio a Verona ne è conservato un esemplare lungo 132 centimetri a cui si aggiungono altri 82 centimetri di lama a sezione di losanga occultata all’interno.

È lecito pensare che le armi antiche e strumenti di questo genere abbiano fatto la loro storia e che oggi il loro posto sia riposare nei Musei ed essere ammirati come oggetti nobili di un tempo che fu, ma per chi studia e ricerca in ambito marziale con uno sguardo al passato e un occhio alla realtà presente della protezione (personale e pubblica), queste armi sono fonte di continui suggerimenti e rappresentano un terreno fertile d’indagine e analisi.

Cosa rappresenta dunque questo bastone con una saettante anima d’acciaio?

Il “buttafuori” esprime un concetto strategico e una tecnologia: il concetto strategico-tattico ha come valore di riferimento la sorpresa

Il sorprendere, mentre il contenuto tecnologico ha come formula applicativa l’estensibilità, con il buttafuori si puntava principalmente a sorprendere l’avversario, un aggressore più che un rivale in duello per il quale esistevano convenzioni cavalleresche, utilizzando il solo bastone se il pericolo era minore e l’arma estesa (un buttafuori aperto arriva a misurare anche due metri), brandendolo in caso di necessità con entrambe le mani tirando botte con il manico e micidiali stoccate con la lama.

Bastone strumento / bastone arma

Il buttafuori esprime un concetto che resterà caro nella terra delle lame, il binomio sempre accarezzato e perseguito di sorprendere chi vuol sorprendere, ribaltando così con un’azione a sorpresa tanto inaspettata quanto micidiale, la sorte avversa.

Questa concezione d’uso cardine e fondamento delle strategie di combattimento e affronto del bastone buttafuori  è un principio che ritorna nel nostro tempo e che troviamo espressa nel bastone estensibile (B.E.), strumento operativo d’intervento facente parte da tempo dell’arsenale armi non letali della polizia americana, (C.A.S Counter-Assalt-System), ed entrato da qualche tempo in dotazione anche tra le polizie di mezza Europa, probabilmente entro l’anno faranno parte anche della dotazione della Guardia Costiera Italiana.

Le ragioni che stanno decretando il crescente successo del B.E. tra gli addetti ai lavori di diversi paesi del mondo, sono le stesse che fecero la fortuna del suo progenitore antico,a queste se ne aggiungono altre dettate dall’evoluzione e conformazione del mezzo, di indubbio interesse.

Innanzitutto il porto del B.E. è facilitato dalle ridotte dimensioni quando chiuso e dal peso leggero (può variare dai 350 ai 700 grammi), caratteristiche che ne limitano l’ingombro e ne consentono una eccellente portabilità anche in situazioni ove sia richiesta discrezione e basso profilo.

Un altro fattore è la fruibilità del mezzo, cioè dalla facilità di utilizzo operativo del B.E. che, una volta aperto, può misurare 40-51-66-78 cm

Secondo i diversi modelli oggi disponibili, il dimensionamento offre i vantaggi comparabili ad un comune sfollagente, ma le caratteristiche d’uso premiano sicuramente l’espandibile, basta, infatti, un secco movimento del polso per aprirlo e con soli due movimenti del polso (il primo secco in avanti, il secondo rotatorio corto a tramazoncello secondo la scuola antica italiana) si apre e si colpisce o si apre e si para, l’attacco di un malvivente armato di coltello.

Ancora i. B.E permette di svolgere un’azione di controllo evento e di prevenzione (nel caso ad esempio di addetti alla sicurezza di aree private), mantenendo un basso profilo, allo stesso tempo è assai difficile subirne il disarmo quando chiuso ed impugnato, mentre si può aprirlo anche se sottoposti ad una presa, persino sul braccio che lo porta.

Per ultime, ma non meno importanti, anzi fondamentali nell’etica della Forza Pubblica e della sicurezza, la bassa lesività modulata che è possibile porre in essere con un utilizzo mirato e scientifico del B.E., situazioni di rischio possibile (sorveglianza aeroportuale, perquisizioni, sorveglianza di soggetto da tutelare, o di più soggetti in luogo pubblico) può essere gestita anche grazie al B.E. che permette di agire contro aggressori armati con oggetti contundenti, spranghe, mazze, catene, bottiglie, coltelli, riducendo al minimo il rischio di un ingaggio corpo a corpo o del ricorso ad armi da fuoco.


LA TECNICA

La particolare costruzione del B.E con una testa sferica all’apice permette un utilizzo incisivi/selettivo dei colpi, che sono indubbiamente rafforzati dal buon grip offerto dal manico in materiale plastico in alcuni modelli anatomico e confortevole, da un punto di vista tecnico-gestuale la natura contundente dei colpi permette azioni mirate rese possibili dalla mappatura dei punti da toccare che definiamo come bersagli focali.

Questo evita di usare il B.E. in modo brutale e soprattutto inadeguato alla circostanza e consente di rendere efficiente e rapida l’azione di contenimento del pericolo, i bersagli focali sono dunque punti del corpo che, per la loro posizione e conformazione, possono essere:

  • Facilmente colpiti perché esposti;
  • Una volta toccati possono limitare le capacità offensive e dinamiche dell’aggressore;
  • Non comportano lesioni gravi o mortali.

I principali bersagli focali che mappano l’utilizzo operativo del B.E. sono dislocati:

  • Sugli avambracci e sulle mani, (zona radiale-carpale e metacarpale);
  • Sugli arti inferiori (zona tibiale rotulea e malleoli).

Se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo l’utilizzo del bastone estensibile si rivela ancora un valido elemento di controllo

Il soggetto pericoloso che aggredisce armato, escluse armi da fuoco, può quindi essere centrato da uno o più colpi con il B.E. ai bersagli focali così da inibirne la capacità offensiva, se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo, oppure se la situazione si sviluppa a corta distanza, l’utilizzo del B.E. si rivela ancora un valido elemento di controllo.

È possibile infatti sfruttarne la conformazione per eseguire anche a corta distanza:

  • Azioni di blocco degli arti e chiavi articolari;
  • Azioni di opposizione stabile a colpi;
  • Azioni di pressione su sedi localizzazioni nervose;
  • Azioni di controllo/conduzione.

il B.E. naturalmente non può sostituire i campi di applicazione estremi dell’arma da fuoco, ma può trovare il giusto spazio come strumento di controllo non letale nella gestione di eventi a rischio, presupposto indispensabile per un utilizzo razionale e mirato del B.E. è senz’altro l’adozione di programmi d’addestramento professionali adeguati che consentano in tempi brevi di formare gli addetti ai lavori e di garantirne la massima efficienza operativa nel tempo, con il minimo turn-over d’allenamento.

Ricordo infine che il bastone estensibile è considerato arma propria e come tale rientra nelle normative collegate all’articolo 4 della legge 110/75 e che la detenzione ed il porto di tali strumenti è regolato dai collegati  art. 42 del Tulps e art. 38 della stessa legge.

Note

Bibliografia

  • Lionello G.Boccia, Eduardo T. Coelho, Armi bianche italiane (1975 Bramante Editrice)
  • Jacopo Gelli, Guida Del Raccoglitore E Dell’Amatore Di Armi Antiche (1900)