Nella rubrica “Armi bianche” della rivista ARMI E TIRO (settembre 2002) il collezionista Roberto Gobetti, grande esperto e studioso di armi storiche, sviluppa un tema davvero interessante.

Egli propone che l’esame delle armi manesche più o meno antiche, evolva dalla catalogazione certosina dei componenti, verso lo studio valutativo funzionale degli stessi, aprendo così la strada alla ricerca dei perché costruttivi dei diversi elementi di un’arma.

Scrive infatti:

Non dobbiamo dimenticare che un’arma è nata per essere usata

Per questo si devono indagare le sue funzioni costruttive in modo che studiando con attenzione tutti i particolari, si può arrivare a conoscere queste esigenze e soprattutto il loro mutare nel tempo.

Gobetti suggerisce di sviluppare un lavoro intelligente sull’oggetto evidenziando la natura globale dell’arma, che diventa così mappa descrittiva non solo delle tecniche possibili con la stessa, ma anche “indicatore sociale” degli usi e costumi di un’epoca.

Un altro percorso che si può indicare e connesso a quello suggerito da Gobetti, è quello riguardante la “trasmutazione” (trasformazione + mutazione) di alcune armi antiche in armi o strumenti moderni legati alla Difesa Personale e a contesti di Forza Pubblica.

Tra questi trova senz’altro posto l’antico “buttafuori” ed il suo epilogo moderno “il bastone telescopico o espandibile”

Nei secoli che vennero dopo l’anno Mille, in Italia e in buona parte dell’Europa, l’uso delle armi manesche, sole come accompagnate, era necessario quanto il saper camminare, nella nostra penisola la particolare situazione politica e socio-culturale, favorì la diffusione non solo delle armi, ma anche del loro utilizzo scientifico in combattimento singolare o nelle scaramucce di gruppo.

Un po’ come avviene oggi in Israele, la pressione costante ai confini e le continue dispute sul territorio fecero si che la popolazione di sesso maschile delle città fosse formata all’arte del combattimento, così da poter difendere come milizia cittadina (societates armorum) i propri possedimenti entro e fuori le mura comunali.

La situazione assai articolata e variegata, vedeva soldati di ventura, mercenari, uomini d’arme, cittadini e nobili cavalieri convivere.

La quantità di personaggi inclini a metter mano ai ferri causò un certo problema, ma favorì contemporaneamente lo sviluppo di strumenti ed armi sempre più funzionali e parallelamente l’evoluzione dei combattimenti all’arma bianca.

In un certo periodo tra il XlV e fino al XVll secolo, venne in uso, tra le altre, un tipo di arma particolare per forma e funzione, all’apparenza si trattava di un bastone ricoperto da una lamina di metallo, ma si trattava per l’appunto solo d’apparenza, in quanto il bastone teneva occultata al suo interno una lama lunga e robusta come quella di una spada, in grado di uccidere.

Questa fuoriusciva all’esterno dalla parte superiore grazie ad un movimento brusco, per forza d’inerzia, e bloccata in quella posizione da un meccanismo che ne impediva il rientro, l’esimio studioso del secolo scorso Il Comm. Jacopo Gelli nella sua opera GUIDA DEL RACCOGLITORE … (1900) definisce l’arma come “brandistocco” ed, in effetti, si ritrova tale nome anche nelle catalogazioni armi dell’archivio di Stato Firenze ed Urbino (1633).

Il nome “buttafuori” è invece stato utilizzato per designare lo stesso strumento da altri due grandi studiosi di armi bianche come Boccia e Coelho nella loro opera ARMI BIANCHE ITALIANE (1975)

Il nome “buttafuori” è considerato più rispondente alla natura tecnica dell’arma anche da un altro esimio esperto, quel Francesco Rossi, che curò la catalogazione tra gli altri della collezione d’armi antiche del Museo di Castelvecchio a Verona.

Il “buttafuori” da un punto di vista tecnico è un tubo cilindrico al cui interno si trova una lama a sezione losangata o quadrangolare fornita in alcuni casi anche di lame laterali che si aprono a fine corsa, originando una vera e propria guardia a croce appuntita, utile per parare i colpi degli avversari ed utilizzabile nel combattimento a distanza ravvicinata, con evidenti risultati pratici.

A riposo il “buttafuori” sembra un bel bastone adornato alla sommità da una corona in metallo talvolta lavorata a sbalzo o forgiata a rappresentare animali e l’estremità opposta chiusa da un puntale in ferro, ma basta afferrare saldamente il bastone e compiere un movimento brusco del polso per far aprire il coperchietto con portellino e vedere fuoriuscire la lama che saetta in avanti come la lingua di un serpente.

Non si tratta della lamette di coltello, ma di un ferro che può superare gli 80 cm, il “buttafuori” divenne servo silenzioso per viandanti, per le scorte

Lo usavano ad esempio le Corporazioni e le Confraternite dei Bombardieri veneti, per gli emissari e per i riscossori di tributi, ma divenne anche arma da “masnadieri” che appoggiavano le loro richieste “presentando il ferro”.

Buttafuori bellissimi si possono ammirare al Museo Luigi Marzoli di Brescia, al Museo di Castelvecchio a Verona ne è conservato un esemplare lungo 132 centimetri a cui si aggiungono altri 82 centimetri di lama a sezione di losanga occultata all’interno.

È lecito pensare che le armi antiche e strumenti di questo genere abbiano fatto la loro storia e che oggi il loro posto sia riposare nei Musei ed essere ammirati come oggetti nobili di un tempo che fu, ma per chi studia e ricerca in ambito marziale con uno sguardo al passato e un occhio alla realtà presente della protezione (personale e pubblica), queste armi sono fonte di continui suggerimenti e rappresentano un terreno fertile d’indagine e analisi.

Cosa rappresenta dunque questo bastone con una saettante anima d’acciaio?

Il “buttafuori” esprime un concetto strategico e una tecnologia: il concetto strategico-tattico ha come valore di riferimento la sorpresa

Il sorprendere, mentre il contenuto tecnologico ha come formula applicativa l’estensibilità, con il buttafuori si puntava principalmente a sorprendere l’avversario, un aggressore più che un rivale in duello per il quale esistevano convenzioni cavalleresche, utilizzando il solo bastone se il pericolo era minore e l’arma estesa (un buttafuori aperto arriva a misurare anche due metri), brandendolo in caso di necessità con entrambe le mani tirando botte con il manico e micidiali stoccate con la lama.

Bastone strumento / bastone arma

Il buttafuori esprime un concetto che resterà caro nella terra delle lame, il binomio sempre accarezzato e perseguito di sorprendere chi vuol sorprendere, ribaltando così con un’azione a sorpresa tanto inaspettata quanto micidiale, la sorte avversa.

Questa concezione d’uso cardine e fondamento delle strategie di combattimento e affronto del bastone buttafuori  è un principio che ritorna nel nostro tempo e che troviamo espressa nel bastone estensibile (B.E.), strumento operativo d’intervento facente parte da tempo dell’arsenale armi non letali della polizia americana, (C.A.S Counter-Assalt-System), ed entrato da qualche tempo in dotazione anche tra le polizie di mezza Europa, probabilmente entro l’anno faranno parte anche della dotazione della Guardia Costiera Italiana.

Le ragioni che stanno decretando il crescente successo del B.E. tra gli addetti ai lavori di diversi paesi del mondo, sono le stesse che fecero la fortuna del suo progenitore antico,a queste se ne aggiungono altre dettate dall’evoluzione e conformazione del mezzo, di indubbio interesse.

Innanzitutto il porto del B.E. è facilitato dalle ridotte dimensioni quando chiuso e dal peso leggero (può variare dai 350 ai 700 grammi), caratteristiche che ne limitano l’ingombro e ne consentono una eccellente portabilità anche in situazioni ove sia richiesta discrezione e basso profilo.

Un altro fattore è la fruibilità del mezzo, cioè dalla facilità di utilizzo operativo del B.E. che, una volta aperto, può misurare 40-51-66-78 cm

Secondo i diversi modelli oggi disponibili, il dimensionamento offre i vantaggi comparabili ad un comune sfollagente, ma le caratteristiche d’uso premiano sicuramente l’espandibile, basta, infatti, un secco movimento del polso per aprirlo e con soli due movimenti del polso (il primo secco in avanti, il secondo rotatorio corto a tramazoncello secondo la scuola antica italiana) si apre e si colpisce o si apre e si para, l’attacco di un malvivente armato di coltello.

Ancora i. B.E permette di svolgere un’azione di controllo evento e di prevenzione (nel caso ad esempio di addetti alla sicurezza di aree private), mantenendo un basso profilo, allo stesso tempo è assai difficile subirne il disarmo quando chiuso ed impugnato, mentre si può aprirlo anche se sottoposti ad una presa, persino sul braccio che lo porta.

Per ultime, ma non meno importanti, anzi fondamentali nell’etica della Forza Pubblica e della sicurezza, la bassa lesività modulata che è possibile porre in essere con un utilizzo mirato e scientifico del B.E., situazioni di rischio possibile (sorveglianza aeroportuale, perquisizioni, sorveglianza di soggetto da tutelare, o di più soggetti in luogo pubblico) può essere gestita anche grazie al B.E. che permette di agire contro aggressori armati con oggetti contundenti, spranghe, mazze, catene, bottiglie, coltelli, riducendo al minimo il rischio di un ingaggio corpo a corpo o del ricorso ad armi da fuoco.


LA TECNICA

La particolare costruzione del B.E con una testa sferica all’apice permette un utilizzo incisivi/selettivo dei colpi, che sono indubbiamente rafforzati dal buon grip offerto dal manico in materiale plastico in alcuni modelli anatomico e confortevole, da un punto di vista tecnico-gestuale la natura contundente dei colpi permette azioni mirate rese possibili dalla mappatura dei punti da toccare che definiamo come bersagli focali.

Questo evita di usare il B.E. in modo brutale e soprattutto inadeguato alla circostanza e consente di rendere efficiente e rapida l’azione di contenimento del pericolo, i bersagli focali sono dunque punti del corpo che, per la loro posizione e conformazione, possono essere:

  • Facilmente colpiti perché esposti;
  • Una volta toccati possono limitare le capacità offensive e dinamiche dell’aggressore;
  • Non comportano lesioni gravi o mortali.

I principali bersagli focali che mappano l’utilizzo operativo del B.E. sono dislocati:

  • Sugli avambracci e sulle mani, (zona radiale-carpale e metacarpale);
  • Sugli arti inferiori (zona tibiale rotulea e malleoli).

Se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo l’utilizzo del bastone estensibile si rivela ancora un valido elemento di controllo

Il soggetto pericoloso che aggredisce armato, escluse armi da fuoco, può quindi essere centrato da uno o più colpi con il B.E. ai bersagli focali così da inibirne la capacità offensiva, se il malvivente riesce a superare lo sbarramento dei colpi e si porta in corpo a corpo, oppure se la situazione si sviluppa a corta distanza, l’utilizzo del B.E. si rivela ancora un valido elemento di controllo.

È possibile infatti sfruttarne la conformazione per eseguire anche a corta distanza:

  • Azioni di blocco degli arti e chiavi articolari;
  • Azioni di opposizione stabile a colpi;
  • Azioni di pressione su sedi localizzazioni nervose;
  • Azioni di controllo/conduzione.

il B.E. naturalmente non può sostituire i campi di applicazione estremi dell’arma da fuoco, ma può trovare il giusto spazio come strumento di controllo non letale nella gestione di eventi a rischio, presupposto indispensabile per un utilizzo razionale e mirato del B.E. è senz’altro l’adozione di programmi d’addestramento professionali adeguati che consentano in tempi brevi di formare gli addetti ai lavori e di garantirne la massima efficienza operativa nel tempo, con il minimo turn-over d’allenamento.

Ricordo infine che il bastone estensibile è considerato arma propria e come tale rientra nelle normative collegate all’articolo 4 della legge 110/75 e che la detenzione ed il porto di tali strumenti è regolato dai collegati  art. 42 del Tulps e art. 38 della stessa legge.

Note

Bibliografia

  • Lionello G.Boccia, Eduardo T. Coelho, Armi bianche italiane (1975 Bramante Editrice)
  • Jacopo Gelli, Guida Del Raccoglitore E Dell’Amatore Di Armi Antiche (1900)