La lotta e il pancrazio devono la loro origine alla utilità nella guerra

Lo dimostra la battaglia delle Termopili in cui gli Spartani, spezzatisi gli scudi e le spade, combatterono gloriosamente ed a lungo con le sole mani.

Sin dai tempi remoti tutto il bacino del mediterraneo era interessato all’arte di combattere disarmati

Questa disciplina nata per la guerra e divenuta presto anche metodo di confronto singolare, vanta origini antichissime che ci portano nelle fertili terre dell’Eufrate come testimoniato dal bassorilievo del ll millennio a.C. conservato nel museo del Louvre a Parigi.

Nella culla d’Occidente il combattimento senza armi trovò il più audace sviluppo e, nella Grecia dei filosofi e dei guerrieri, divenne l’arte suprema di combattere con le sole armi naturali che fu cantata nell’Iliade di Omero e nell’Odissea, diversi scrittori Greci oltre ad Omero documentarono l’arte di lottare.

Come Pindaro, poeta lirico corale greco 518 A.C. Che narra:

L’animo ha pari ai leoni dal cupo ruggito nella lotta, sagace come una volpe, che stesa sul dorso sostiene l’assalto dell’aquila che si deve colpire d’ogni colpo il nemico“

Luciano, scrittore e avvocato greco nato a Samosara nel 125 D.C afferma “Non senza ragione gli atleti dei nostri dì sono chiamati leoni “ e descrive in un racconto la lotta tra una ragazza chiamata Palestra e un altro atleta chiamato Lucio.

È bene ricordare che per i greci l’esercizio della lotta era chiamato palestra e che solo successivamente il vocabolo designò il  luogo annesso al ginnasio presso il quale si svolgevano esercizi di lotta e gare.

Quando la parola passa a Palestra, la giovane si rivolge a Lucio e dice:

Senti giovanotto, ricordati bene che hai incontrato una Palestra, perciò devi dimostrare che sei un palestrita vigoroso e che hai imparato molti tipi di lotta, la prova la voglio così: io a guisa di un Maestro di ginnasio ti ordinerò le lotte che mi verranno in mente e tu le dovrai eseguire a puntino! “

La ragazza inizia dunque a richiedere al giovane diverse applicazioni di lotta tra cui una interessante nella quale avverte: “prima, come è d’uso, annodalo con le braccia, poi ripiegalo, inchioda e batti senza allentare”.

Flavio Filostrato, detto l’Ateniese, è l’autore di un libro ”Della Ginnastica“ che tratta di cose riguardanti l’arte di combattere disarmati, ed è considerato tra i più attendibili cantori dell’arte di combattere a mani nude.


Cosa è il Pancrazio

Il Pancrazio, il cui nome ricordiamo sembra discendere da pankrates = onnipotente, pan = tutta, kratos = forza, così come può essere descritto dal termine Pankration = tutta la potenza, è stata la più feroce e completa fucina di tecniche marziali nel combattimento a mani nude.

Il Pancrazio era una perfetta fusione tra gli aspetti della lotta in piedi e a terra e l’uso sistematico di percussioni e leve, il tutto senza la minima protezione né guanti, in quanto i pancraziasti non indossavano i terribili cesti (una sorta di armatura della mano fatta con strisce di cuoio avvolte attorno alla mano, alle quali in seguito furono applicate anche “nocche“ in metallo),combattendo a mani libere.

Essi potevano colpire con il pugno chiuso e utilizzare le mani aperte per sferrare i loro colpi di palmo o con la punta delle dita. Ancora, il pancraziaste poteva intrecciare le proprie dita con quelle dell’avversario ed infine andare alle prese sulle braccia o al corpo.

Il pankraziaste quindi poteva colpire con la testa, afferrare con le mani, colpire con le dita tese, a pugno chiuso, con gomiti e calci.

Galeno, celebre medico greco, racconta che nel Pancrazio si potevano torcere gli arti, fratturare le ossa, slogare le articolazioni e perfino tentare il soffocamento senza arrivare alle estreme conseguenze.

A Sparta diversamente che a Olimpia si poteva anche graffiare e mordere anche se era vietato accecare l’avversario.

Questo non deve far pensare al Pancrazio come una rissa sconclusionata

Si tratta invece di un preciso sistema codificato e regolato e le competizioni venivano severamente arbitrate per evitare degenerazioni dovute ai vari stili praticati.

Il Maestro si chiamava Listarca Agonistarca per il pugilato e il Pancrazio.

Egli, in qualità di tecnico (alcuni Maestri erano ex atleti che avevano cessato l’attività come il pancraziaste) seguiva ed insegnava le tecniche e le strategie di combattimento osservando nell’addestramento in palestra regole severe.

A coadiuvare l’opera del Maestro vi erano poi i Podotribi (avvisatori, oggi li chiameremmo assistenti), il loro compito era quello di portare agli atleti le informazioni e i consigli tattico/strategico del Maestro.

Anche l’alimentazione aveva le sue linee guida

Gli atleti seguivano quello che possiamo definire un regime dietetico nel quale figurava l’utilizzo di cereali, di fichi e uva secca, di carne di maiale e di montone aromatizzata con aneto e finocchio, annaffiati di buon vino.

Certo gli atleti non passavano le giornate a trangugiare costate o a sbronzarsi, ed integravano la dieta, date le necessità energetiche derivate da un allenamento durissimo, con infusi di erbe tra cui sembra vi fosse una bevanda fatta con i semi di fieno greco (trigonella foenum-graecum), pianta conosciuta per le sue naturali proprietà anabolizzanti, non esistendo allora i famigerati e nocivi prodotti dopanti di sintesi.

Nella palestra trovavano posto non solo gli adulti, ma anche i giovani ed i giovanissimi

La cosa non era certo nuova, nell’antico Egitto i bambini si allenavano in esercizi di lotta e destrezza.

In Grecia la pratica, che in Egitto era ristretta alla classe sociale dei nobili più vicini al Faraone, divenne pubblica e fin dalla tenera età i bambini erano chiamati ad iniziare i giochi di lotta e di confronto ludico.

Il Maestro, che doveva aver superato i quarant’anni d’età, doveva istruire i suoi allievi alle tecniche di combattimento e curarne la preparazione fisica ed alimentare con particolare riguardo.

La preparazione precisa ed intensa era necessaria poiché si trattava di combattimenti estremamente completi che richiedevano un eccellente stato fisico, coraggio e notevole acume tattico/strategico, dato che si poteva lottare e combattere anche a terra.

Il Pancrazio fu la forma di combattimento totale senza armi più cruento e micidiale ideata dall’uomo

La disciplina venne diffusa in diverse zone dell’Europa proprio dai greci e dai romani tanto che l’Imperatore Silla dopo che la Grecia (nel 146 a.C.) era passata sotto il dominio di Roma, volle nell’80 a.C. Tenere a Roma le Olimpiadi con tutte le gare di Pancrazio e lotta.

Campioni di Pancrazio furono non solo nativi della Grecia, ma anche provenienti da Alessandria, da Antiochia in Siria, Egitto e Armenia e in diverse occasioni furono vincitori atleti provenienti dalla penisola italiana.

Lo fu Brito, il primo re dei britanni, che secondo la leggenda era un fuoriuscito troiano, compagno d’armi dell’iliaco un Corineo che fondò la Cornovaglia, come racconta il dottor Alberto Cougner nel suo libro “Pugilato e Lotta per la Difesa Personale“ del 1898.

Sempre Cougner scrive:

Gli stessi pastori brettoni, gaelici ed armoricani continuano tuttora ad essere i più famosi lottatori e pugilisti, così pure gli scozzesi o higlanders moderni, che nei loro clan tengono in onore il westriling (lotta corpo a corpo) e il boxing, oltre alla danza pirrica dei claymors e il getto dei martellio aber, come per i discoboli greci“

È plausibile che proprio il Pancrazio sia matrice di molte tecniche e strategie diffusisi in Occidente e sviluppatesi in varie forme.

Il cornish hug, tecnica di sgambetto anche il modo di portare i colpi del primo Boxing con i pugni verticali, che vedremo praticati anche nel pugilato venatico, sono una caratteristica del Pancrazio e così pure prese alle gambe sui calci, azioni di controllo articolare che ritroviamo nel gioco stretto di scuola medioevale germanica e italiana.

Note

Bibliografia

  • Alberto Cougner “Pugilato e lotta per la difesa personale: box inglese e francese” Milano, Hoepli, 1898.