Mese: Settembre 2022

[CULTURA ORIENTALE] La filosofia del Ki (氣)

Comincia così l’autentico cammino verso la trasformazione: l’osservazione senza giudizio delle azioni o dei pensieri positivi o negativi.

Qui si trova la chiave per la quale il desiderio non si trasforma in sofferenza, ed è la ragione più nobile per praticare le arti marziali o qualunque altra attività.

Nel cammino cosciente non dare importanza a ciò che ti succede (bene,male,positivo o negativo), limitati ad osservare il pensiero o l’avvenimento che sta succedendo e a sentire l’emozione che produce nel tuo corpo.

Un’emozione che è la reazione del corpo ad un pensiero ed una finestra per sentire il KI.

Affacciati, senza giudicare. Osserva semplicemente ed in quello stesso istante avrai iniziato il processo di trasformazione verso una nuova coscienza spirituale, in quel “qui ed adesso”.

Questo significa essere presente.

La ripetizione della cosiddetta “osservazione senza giudizio” col tempo finisce per trasformare una persona, permettendole di entrare tranquillamente in un mondo in armonia nel quale può portare a termine qualunque attività fisica o mentale, anche di grande intensità, ma sempre in armonia col presente, il qui e adesso che è l’unica cosa che merita importanza.

Questo è il cuore delle arti marziali o di qualunque altra attività: la capacità di trasformare l’essere umano rendendolo cosciente che il passato, il futuro ed il pensiero parassita sono le pesanti remore che ci impediscono di vivere nel presente, che è l’unica cosa che realmente viviamo.

Per fare un esempio è nel presente che deve manifestarsi l’amore, non nel passato o nel futuro che sono solo illusioni. Questo significa vivere in armonia.

Tutti conosciamo quegli anziani Maestri che c’impressionano per il KI che irradiano, al solo parlar con loro o stare alla loro presenza senza parlare, si avverte un alone di calore che ristora lo spirito, si “sente” ma non si sa cosa sia, né si è in grado di misurarlo, il che rende questa esperienza qualcosa di inquietante.

Sentono, non cercano, semplicemente ci sono

È ammirabile e desideriamo raggiungere quel grado di essere, ma l’obiettivo ci sembra impossibile da raggiungere e sfortunatamente i mezzi che usiamo finiscono per sembrare ginnastica aerobica o procedimenti di autosuggestione.

La motivazione e la ricerca sono due forme di KI allo stato primordiale, che possono interagire senza creare ego.

Il cammino è lungo, ma solo attraverso la conoscenza di noi stessi possiamo finalmente trovarlo, il KI!

Come può essere allenato il KI? È una domanda alquanto delicata. Quando qualcuno me lo ha chiesto, la mia risposta è stata “non si allena, lo si trova”. Approfondiamo l’argomento dell’articolo precedente.

Sembra però che durante il cammino molti si perdano e non trovino il modo di giungere a sentirlo, tanto meno a materializzarlo.

Non si possono fornire ricette per trovarlo o che garantiscano un sicuro successo, non si può giungere alla coscienza del KI neppure attraverso un cammino di forza o un allenamento estenuante, per questa via si arriva all’arroganza e alla fantasia dell’Ego.

Entrare attraverso la porta delle emozioni, che sono il riflesso fisico dei pensieri e non per intricati ed impervi luoghi della tecnica, è il modo migliore.

Osservare ogni azione realizzata e soprattutto non giudicare se stessi, né gli altri, è una buona via per cominciare a sentire la sottile energia che attraversa il corpo, il KI.

Questo è un cammino di sensibilità che ci arricchisce come persone e pertanto ha un gran potere di trasformazione.

La ricerca del KI avviene nel momento in cui siamo chiaramente coscienti di voler cercare qualcosa di non visibile che ci interessa e che racchiude un mistero, tutto ciò fa sì che questa esplorazione sia molto attraente.

Desideriamo trovare qualcosa che è nascosto dentro di noi, ciò che ci ha animati per tutta la vita e che alla fine essa continuerà fino all’infinito, ed è proprio qui che iniziano i problemi, perché il KI è un concetto astratto che non può essere misurato. È un’impressione, è sottile.

Non esiste nessuna macchina che possa dire “lei ha 15 unità di KI”, forse potrebbe manifestarsi attraverso qualche tipo di forza esteriore, ma questa non sarebbe altro che un semplice aneddoto, sarebbe come paragonare un riflesso di luce con l’energia emanata dal sole.

Il Desiderio, affermava Buddha, è la fonte di ogni sofferenza

Questa è una grande verità, tutto ciò che l’essere umano ha generato fin dagli albori, è stato spinto da una forma di energia chiamata “Desiderio”. Se non si riesce ad ottenere quanto desiderato, compare la frustrazione. Da questo stato mentale si passa poi ai pensieri errati che fanno perdere l’orizzonte di ciò che stavamo cercando all’inizio.

Ci perdiamo quindi in un mare di frustrazione che, sfortunatamente, finisce col trasformarsi in una molteplicità di nuove forme di pensiero che si alimentano da sole senza tregua ed indefinitamente. Il desiderio ed il maggior desiderio conducono alla distruzione di ciò che si stava cercando inizialmente. Questa avidità finisce facilmente col trasformarsi in violenza, le notizie d’attualità lo confermano quotidianamente.

Quindi, come trovare quel “qualcosa” che nelle arti marziali si chiama KI, senza che intervenga il desiderio, la frustrazione e perfino la violenza? La risposta si trova nella frase “Io sono quando io comprendo”.

Qui si esprime il profondo senso dell’Essere e del Stare. Quando io “Io Sono”, penetrò nell’oceano dell’Essere e “quando comprendo” mi trovo nel qui e adesso, che è l’unica cosa che esiste e che pertanto ci permette di relazionarci con il mondo fisico.

Nella frase “Io Sono quando io comprendo”, che non ha una forma, il desiderio non si attiva e senza una forma fisica o mentale non può esserci desiderio, se durante pratica delle arti marziali ci alleniamo senza desiderio e siamo mossi solo dal “desiderio” di comprendere, allora le vere pietre d’inciampo del cammino che si manifestano sotto, forma di arroganza, gelosia, violenza, vanità ecc… vengono usati come oggetti di meditazione.

Note


Traumi da prestazione sportiva: prevenzione e cura 2/2

Prima di affrontare questo argomento molto importante, (mi è costato mesi di ricerche ed elaborazioni per le mie tesi), è necessario parlare prima di una parte fondamentale dell’arto: la capsula.

Continuiamo il nostro articolo precedente.

Fondamentali di un arto: La capsula

Non si può parlare di spalla se non si descrive anatomicamente un’altra struttura anatomica fondamentale, la capsula articolare.

Questa struttura è formata da un manicotto fibroso che circonda tutta l’articolazione.

Esso è diviso convenzionalmente in una porzione anteriore ed una posteriore. Essendo estremamente flessibile, la capsula può subire retrazioni o lassità in base ad una genetica (prevalenza di fibre elastiche o collagene) sia in base al tipo di fisico (lasso, tonico, ecc..), all’età (fino all’età puberale c’è una tendenza alla lassità) alla funzionalità dell’arto superiore, al dolore, ed altro ancora.

La valutazione di tale struttura si esegue tramite il movimento passivo (meglio se eseguito in clinostatismo perché si riesce ad isolare in modo migliore il movimento gleno-omerale), appunto perché la capsula è una struttura passiva e quindi l’influenza delle forze muscolari o del movimento attivo contro gravità dell’arto potrebbero determinare l’insorgere di dolori secondari che, con ogni probabilità, svierebbero anche un bravo terapista dalla vera e propria natura della patologia.

Inoltre è necessario escludere le limitazioni di escursione che possono dipendere da un’insufficiente forza muscolare, evidenziabili in modo maggiore in ortostatismo.

Le retrazioni possono essere solo riferite ad una porzione o a tutta la capsula, nel caso avessimo una rigidità nell’anteposizione passiva dell’arto superiore, si tratterebbe di una retrazione della capsula anteriore.

Al contrario se avessimo una rigidità della rotazione interna passiva dell’omero, si tratterebbe di una retrazione della capsula posteriore.

Un’attenta valutazione permette di individuare quale struttura è responsabile dell’eventuale dolore ed agire in modo specifico evitando protocolli prestabiliti, infatti il presupposto fondamentale di un buon recupero è quello di esaminare il soggetto che si ha di fronte, personalizzando e tarando il programma al suo preciso quadro patologico.

Non bisogna dimenticare che la capsula è una struttura riccamente innervata

Una sua alterazione quindi provoca nel soggetto una sensazione di dolore intenso e difficile da sopportare.

Infatti, in presenza di retrazione, durante lo stiramento della capsula si manifesta un’allodinia, ossia una sensazione dolorosa dovuta ad uno stimolo che normalmente non provoca dolore.

Il soggetto, cioè, avverte dolore in un angolo di movimento fisiologico che normalmente non dovrebbe provocare dolore.

Tale sensazione dolorosa è il campanello d’allarme che ci deve far pensare ad una rigidità capsulare, altro fattore da tener presente per individuare una rigidità capsulare è l’irradiazione del dolore lungo tutto l’arto, dolore che può estendersi fino alla mano.

In una capsula rigida, oltre al dolore da stiramento, si vengono a creare anche degli importanti attriti interni che con il passare dl tempo potrebbero determinare una degenerazione delle strutture anatomiche, complicando così ulteriormente la situazione.

Parliamo ora della varietà vasta delle patologie che potrebbero interessare la spalla, per cui è fondamentale non generalizzare, ma identificare e “chiamare per nome” la specifica patologia.

Non è più possibile sentir parlare solo di “periartrite scapolo-omerale, perché è un termine troppo generico per identificare realmente il problema.

Se ci trovassimo di fronte ad un dolore addominale cercheremmo di capire quale organo ne è la causa, la stessa cosa deve essere fatta a livello della spalla

Si deve comprendere quale struttura dell’arto è più interessata alla patologia: i muscoli, la capsula, i tendini, le ossa ecc… Dopo di che bisogna dare un nome ben preciso a ciascuna patologia: infiammazione del sovraspinato, tendinopatia calcifica della cuffia, tendinite del CLB, artrosi gleno-omerale, lussazione gleno-omerale, lussazione  acromion-claveare, fino ad elencarle tutte.

Tra le numerose patologie della spalla, quella della cuffia dei rotatori è quella che riveste il maggior interesse nel mondo sportivo, un buon terapista deve però conoscere l’intero quadro patologico, per avere la possibilità di risolvere il problema in ogni momento e situazione.

A tale scopo, di seguito ed in breve descriverò le varie patologie della spalla che spesso si possono incontrare in soggetti che svolgono un’attività sportiva regolare e non solo.

TENDINOPATIA CALCIFICA

Tra tutte le patologie che si presentano di frequente a seguito di movimenti ripetitivi, la prima è la tendinopatia calcifica, ossia la presenza di calcificazioni a livello tendineo su uno o più tendini della cuffia dei rotatori.

Questa patologia si manifesta soprattutto i soggetti giovani che, spesso, non sono a conoscenza del problema reale.

Esistono diversi tipi di calcificazioni:

  • TIPO A: a margini netti e ben definiti;
  • TIPO B: a margini non definiti, ma situata in una posizione inserzionale;
  • TIPO C: eterogenea polilobata a limiti ben definiti;
  • TIPO D: calcificazione distrofica inserzionale.

La classificazione può assumere un aspetto diverso anche in base al tendine interessato, esistono infatti calcificazioni posizionate nel tendine del sovraspinoso, del sottoscapolare, del capo lungo del bicipite, più rare, del sottospinoso del piccolo rotondo, tutte con diverse particolarità.

Un’ulteriore classificazione si può effettuare in base alle dimensioni:

  • Piccole: (< 10 mm);
  • Medie : (da 10 a 20 mm);
  • Grandi : (> 20 mm).

Le calcificazioni sono come “leoni” che dormono nei tendini, ma quando si svegliano il dolore si manifesta in modo immediato ed intenso, tale da far correre il soggetto al pronto soccorso

Infatti, quando una persona accusa e descrive eventi dolorosi acuti ed invalidanti, della durata di circa sette giorni, si può pensare ad una calcificazione, questo periodo di particolare sofferenza è riferito alla fase acuta, in cui si crea una congestione (afflusso eccessivo ed improvviso di liquido e sangue) all’interno del tendine accompagnata da impotenza funzionale, dolore, calore e rossore.

Nelle fasi acute, quando è possibile, ci si dovrebbe rivolgere subito ad un chirurgo specializzato nelle patologie della spalla, perché sarebbe meglio effettuare un lavaggio bursale, asportando così i residui calcifici ancora prima che si compattino.

Questa procedura consiste nel lavare lo spazio sottoacromiale con fisiologica e nel cercare di decongestionare, asportando parte del calcio presente con due aghi (l’esame strumentale indispensabile per effettuare questa procedura è la radiografia).

Qualora non ci fosse la disponibilità di un chirurgo esperto, è necessario spiegare al paziente che si tratta di una fase transitoria e, dopo il dolore acuto, sarà importante verificare che la mobilità della spalla sia completa e, nel caso, recuperare l’eventuale deficit di forza che si è creato

Naturalmente in quest’ultimo caso la calcificazione rimane presente nel tendine e, anche se dopo la prima fase acuta il dolore diminuirà notevolmente o nelle migliori condizioni cesserà di esistere, si potrebbero presentare problemi continui con tendenza ad incrementare lo stato patologico.

Per effettuare un trattamento riabilitativo adeguato, è importante conoscere e valutare attraverso la radiografia, di quale calcificazione si tratta, la grandezza e in quale tendine è posizionata, una delle conseguenze più assidue in una tendinopatia calcifica è la rigidità capsulare (questa è una patologia molto problematica, che tratterò successivamente), per cui è opportuno lavorare in prevenzione, facendo eseguire esercizi per la mobilità.

Dopo il lavaggio articolare o nel periodo successivo ad una fase acuta, deve seguire un periodo di riabilitazione  che prevede il recupero della mobilità e della forza dell’arto.

Tale periodo si completerà con un’attenta valutazione del paziente e con l’individuazione di un programma di esercizi da eseguire a domicilio o in palestra, il trattamento dovrà essere differente da seconda della tipologia e della localizzazione anatomica della calcificazione.

In seguito descriverò i principi del corretto trattamento riabilitativo da applicare ad ogni situazione.

Note


Traumi da prestazione sportiva: prevenzione e cura 1/2

È una vita che vivo, prima da atleta, ora come insegnante tecnico, gli allenamenti e i combattimenti negli sport da combattimento. Oggi parleremo della spalla

Alcune volte traumi all’interno delle gare mi hanno impedito la mia attività anche per mesi, senza capire inoltre il mio percorso di riabilitazione perché difficilmente riuscivo a farmi spiegare in cosa consistesse il suddetto percorso dal lato tecnico.

Ho iniziato a documentarmi per capire, ed oggi sto effettuando la laser terapia per un trauma alla cuffia dei rotatori, ma sono cosciente di ciò che sto facendo.

Cercherò di affrontare il problema della traumatologia delle varie parti del corpo facendo dei cenni all’anatomia e fisiologia, sperando che questo mio contributo sia utile se non a evitare, ma almeno a capire ciò che ci è accaduto durante una prestazione sportiva traumatica.


SPALLA: PREVENZIONE E TRATTAMENTO

La spalla rappresenta, in tutto il corpo umano, l’articolazione dotata di maggiore mobilità. La sua struttura anatomica, infatti, consente tre gradi di movimento e permette così di svolgere anche il movimento di circonduzione.

La grande escursione di movimento che questa articolazione possiede, contestualmente ad altri fattori, la rende però anche molto vulnerabile alle lesioni.

In seguito verranno affrontati i passi indispensabili per conoscere le regole relative alla prevenzione e al trattamento delle patologie della spalla, al fine di consentire lo sviluppo di “muscoli intelligenti” che possano rendere più efficienti e controllati i movimenti di questa articolazione.

Verranno illustrate le regole che riguardano la valutazione e lo sviluppo del grado di flessibilità dell’articolazione, che rappresenta un parametro fondamentale per il buon funzionamento della spalla.

Specifico che i concetti descritti in seguito non sono solo validi per gli atleti, ma son applicabili a chiunque.

QUALCHE ACCENNO DI ANATOMIA E FISIOLOGIA

L’anatomia rappresenta la premessa fondamentale per comprendere la complessità di questa articolazione e per svolgere un programma specifico di prevenzione o trattamento riabilitativo.

La spalla è composta da diversi elementi anatomici che ne permettono il corretto funzionamento, le strutture ossee sono rappresentate dall’omero, dalla scapola e dalla clavicola.

Il funzionamento della spalla dipende dall’intervento coordinato di più articolazioni che la rappresentano, la sua funzionalità è garantita sia dalla forza contrattile dei muscoli, sia dalla resistenza passiva delle strutture capsulari e legamentose, che attraverso i segmenti ossei creano le necessarie leve biomeccaniche utili al movimento. Le articolazioni che rappresentano la spalla sono le seguenti:

  • Acromion-claveare;
  • Sterno-claveare;
  • Scapolo-toracica;
  • Gleno-omerale;
  • Sotto-deltoidea.

Il medico Adalbert I. Kapandji definisce “vere“ tre articolazioni che costituiscono la spalla, mentre le altre due sono definite “false“.

Le cosiddette “false“ vengono chiamate tali perché non presentano dei veri e propri collegamenti articolari tra i vari capi ossei, ma creano uno scivolamento tra un osso e l’altro, tale movimento si realizza attraverso il tessuto muscolare e connettivale che è interposto tra le strutture.

Le articolazioni considerate vere secondo Kapandiji sono:

  • Gleno-omerale;
  • Acromion-claveare;
  • Sterno-claveare.

L’articolazione che desta più interesse dal punto di vista funzionale e patologico è la gleno-omerale, anche se è necessario sottolineare che un buon funzionamento della spalla è reso possibile solo dal sincronismo di tutte e cinque le articolazioni che la rappresentano.

L’equilibrio della testa dell’omero rispetto alla glena è garantito da strutture anatomiche di stabilizzazione passiva ed attiva. Siccome l’articolazione gleno-omerale non è rappresentata da un incastro meccanico che ne garantisce stabilità, la testa omerale, in assenza delle strutture attive e passive prima descritte, in linea teorica tenderebbe a cadere per gravità.

Gli stabilizzatori passivi, oltre a contribuire alla stabilità, sono in grado di ammortizzare i carichi che si trasmettono all’articolazione in conseguenza del movimento.

Questi sono rappresentati da:

Legamento GOS (gleno-omerale-superiore):

ha la funzione di stabilizzare anteriormente la testa omerale, ne limita l’extra-rotazione e la traslazione inferiore quando il braccio è addotto al fianco;

Legamento GOM (gleno-omerale-medio):

ha la funzione di stabilizzare anteriormente la testa omerale e ne limita l’extrarotazione quando il braccio si trova a circa 45° di abduzione;

Legamento GOI (gleno-omerale-inferiore):

la funzione di stabilizzatore dinamico antero-inferiore, soprattutto quando il braccio si trova in una posizione di 90° di abduzione ed extrarotazione.

Questa struttura mostra una certa somiglianza con un’amaca, ancorata da una parte alle glena, dall’altra alla testa omerale.

La similitudine non è solo strutturale, ma anche funzionale, quando il braccio si trova, come descritto sopra, in abduzione ed extra-rotazione, il GOI sostiene la testa omerale come se fosse appoggiata su un’amaca;

Il legamento coraco-omerale:

ha la funzione di sostegno passivo per evitare la caduta della testa omerale verso il basso con il braccio addotto al fianco;

Il CLB (il capo lungo del bicipite):

con la sua inserzione nel tubercologlenoideo, ha la duplice funzione di componente depressoria passiva e di stabilizzatore anteriore della testa dell’omero.


Provando ad immaginare una similitudine, il capo lungo del bicipite svolge la stessa funzione di un tirante che tiene a terra una mongolfiera

Qualora la mongolfiera, per qualsiasi motivo, dovesse tendere a salire verso l’alto in modo maggiore, la trazione del tirante verrebbe incrementata.

In un primo momento si avrebbe solo lo stiramento del tirante, ma se la situazione rimanesse invariata, con ogni probabilità si arriverebbe addirittura ad una rottura dello stesso.

Ugualmente, quando i muscoli della cuffia dei rotatori non tengono più depressa e centrata la testa omerale, essa tenderà a salire verso l’articolazione acromion-claveare, le tensioni di questa risalita si andranno a scaricare sull’apparato di contenzione passiva, in particolare sul capo lungo del bicipite.

La continua forza tensionale che si scarica su quest’ultimo tenderà, con il tempo, a trasformare la sua struttura tubolare in una più schiacciata e debole.

  • Il cercine ( anello fibro-cartilagineo ) ha la funzione di aumentare la superficie di congruenza della glenoide con la testa omerale.

Gli stabilizzatori attivi sono rappresentati dal complesso muscolo-tendineo della spalla chiamato cuffia dei rotatori, questa struttura è rappresentata dai quattro muscoli che avvolgono la testa omerale come una vera e propria cuffia.

  • Sovraspinato: ha origine nella fossa sovraspinata e si inserisce sul trochite, innervato dal nervo sovrascapolare.
  • Sottospinato: ha origine nella fossa sottospinata e si inserisce sul trochite, innervato dal nervo sottoscapolare.
  • Sottoscapolare: (STSC) ha origine dal margine mediale della scapola e si inserisce sul trochite passando tra la scapola e il torace, innervato dal nervo sottoscapolare.
  • Piccolo Rotondo: ha origine nella parte inferiore e laterale della fossa sottospinata e si inserisce sul trochite, innervato dal nervo ascellare come il muscolo deltoide.

Oltre a questo gruppo muscolare, che si trova a stretto contatto con la testa omerale, altri gruppi partecipano al movimento biomeccanico dell’omero, uno di essi è rappresentato dal pivot della scapola

In particolare il dentato anteriore e il trapezio che accompagnano il movimento della scapola rispettivamente durante l’anteposizione attiva e l’abduzione attiva.

Un altro importante muscolo è il deltoide, questo muscolo crea una coppia di forze con la cuffia dei rotatori che risulta necessaria per l’abduzione dell’arto superiore contro resistenza.

Nella gleno-omerale, infatti, esiste un equilibrio supero-inferiore ed uno antero-posteriore, l’equilibrio supero-inferiore è dato dalla coppia di forze tra cuffia e deltoide, la cuffia centra e deprime la testa omerale, mentre il deltoide la eleva e la decoapta verso l’alto.

Se venisse a mancare tale equilibrio di forze, si avrebbe una maggior risalita o abbassamento della testa omerale a seconda di quale tirante risultasse deficitario, l’azione della cuffia dei rotatori è fondamentale per l’abduzione dell’arto.

Qualora, per ipotesi, si dovesse avere un’assenza completa della cuffia dei rotatori, sarebbe molto difficile abdurre attivamente l’arto, si riuscirebbe ugualmente ad anteporlo grazie alla sola azione del deltoide anteriore, ma per l’abduzione è necessario ed indispensabile l’intervento della cuffia.

Infatti, nell’esecuzione del movimento di abduzione si aggiunge obbligatoriamente la rotazione esterna per poter svincolare a 90° il trochite e permette il passaggio sotto l’arco coraco-acromiale.

Al contrario, se venisse a mancare il deltoide, ad esempio per una denervazione completa, l’abduzione sarebbe comunque possibile grazie all’azione della cuffia dei rotatori.

Naturalmente,però, non si riuscirebbe ad abdurre contro resistenze importanti.

La considerazione che si può trarre, a questo punto, è che in una spalla, sia essa sana o traumatizzata, è importante l’equilibrio delle forze supero-inferiori, ad esempio un allenamento esclusivo dei deltoidi, dimenticando i rotatori esterni ed interni, potrebbe a lungo termine determinare uno squilibrio con insorgenza del dolore.

Continueremo nel prossimo articolo.

Note

Bibliografia

  • Adalbert I. Kapandji, Anatomia funzionale ed.2011

[AUTODIFESA & SPORT] Punti di pressione: ultime considerazioni

Ultime considerazioni sui punti di pressione.

Introduciamo il discorso parlando delle gambe e delle potenzialità ad esse collegate.

Le gambe, oltre ad essere il nostro punto d’appoggio e di sostegno, sono un’arma letale specialmente in alcune arti marziali

Neutralizzarle quindi, è un obiettivo prioritario per qualsiasi sistema di difesa, sia realizzando schivate, che blocchi, un attacco di gambe può colpire punti particolarmente vulnerabili dell’anatomia.

In questa occasione e su questo aspetto, per neutralizzare l’azione offensiva di un attaccante che ci sferra un calcio, sia frontale che laterale, posteriore, a giro ecc…, è necessario applicare dei blocchi o i movimenti di spazzata, (sia con le braccia che con le gambe), su aree specifiche dell’arto in questione, perché non attaccare i punti vitali di questa zona?

Analizziamo gli effetti che tali azioni possono produrre e gli angoli di attacco per agire correttamente e più efficacemente sui punti sensibili

Le gambe però si possono trasformare in bersagli di attacchi specifici, anche quando vogliamo inabilitare il nostro avversario, ovvero privarlo della sua capacità di proseguire l’attacco.

Esse sono parti molto resistenti del nostro corpo, basti pensare come atleti ben preparati resistano ai tremendi low kicks degli avversari.

Tuttavia quando si riesce ad accedere ai punti vitali delle gambe, lo shock o il crampo risultanti sono estremamente dolorosi.

Può darsi che molti di voi abbiano sperimentato casualmente il contatto con uno di questi punti, non necessariamente in combattimento, ma per esempio semplicemente urtando il bordo del letto, di un tavolo o di qualunque altro oggetto, se questo è il caso, sapete a cosa mi riferisco!

Con i punti di pressione si prova ad investigare scientificamente le ragioni che concorrono in queste occasioni e a trarne da esse vantaggi nella pratica delle arti marziali.

LE GAMBE

Questi arti ed i nervi periferici, sono i più lenti a rispondere o a reagire agli stimoli, sono anche più difficili da controllare, rendendo gli attacchi con queste “armi” una sfida maggiore, ma queste stesse qualità li trasformano in un bersaglio eccellente nell’allenamento del combattimento e della difesa.

Trovandosi lontani dalla fonte degli impulsi nervosi, impiegano più tempo ad arrivare alla stessa ed anche a ritornare all’arto, la loro risposta è più lenta, tuttavia non vuol dire che la reazione dell’avversario ad un attacco sia lenta, nonostante non risulti evidente a prima vista, le reazioni saranno differenti a quelle delle altri parti del corpo.

Come basi portanti dell’individuo nella posizione in piedi, ed a volte anche prono, sono responsabili della gran parte della forza sinergica necessaria in un attacco o in una difesa convenzionali, se la base si debilita o si distrugge, lo stesso destino toccherà anche alla piattaforma da dove sferrare l’attacco o le misure difensive richieste.

Allo stesso modo, sopportando il peso del corpo devono essere prese in considerazione determinate precauzioni e valutazioni nell’utilizzo di questi attacchi

Come le braccia sono bilaterali e speculari l’una all’altra, la differenza con le gambe è che queste influenzano molto di più il corpo rispetto alle braccia, poiché il messaggio neurologico viene inviato al cervello attraverso il sistema nervoso centrale, che devia nel suo percorso ad altre parti del corpo ,debilitando quindi tutta la struttura e la capacità di eseguire un attacco o una difesa forti, tutti i punti all’interno delle gambe le porteranno a torcersi verso l’esterno, spostando il peso della persona nella zona laterale, contro il tessuto connettivo delle articolazioni, questo può produrre un danno permanente, per cui si raccomanda di nuovo una certa precauzione.

I nervi periferici delle gambe, come tutti i nervi periferici del corpo, sono compresi in due sistemi principali: il somatico e l’autonomico, il sistema nervoso somatico è composto dai nervi motori, responsabili di controllare la struttura muscolare ed ossea per il movimento e la stabilità del corpo, anche il cervello partecipa a questo processo di posizionamento dei muscoli e delle ossa.

Con questa informazione possiamo comprendere facilmente che attaccando un nervo per mezzo di un punto di pressione (ricordando che un punto di pressione è una parte del corpo attraverso cui possiamo accedere al nervo senza l’ostacolo dei muscoli, dei tendini e delle ossa circostanti), possiamo debilitare o variare la posizione di altre parti del corpo, causando contemporaneamente la disfunzione dell’arto attaccato.

Può creare anche confusione, mentre il cervello cerca di mantenere il controllo sull’arto attaccato o su altre strutture del corpo

Se il cervello è occupato ma mantenere il controllo sull’equilibrio, sulla struttura e sul muscolo, l’avversario non combatterà più contro di noi, bensì contro se stesso, a sua volta questo ci offre il vantaggio ed il controllo della situazione, per renderla più intensa o per evitarla.

Se per esempio, il nostro obiettivo fosse l’interno della coscia di una persona su un punto che influisce sul fegato, l’impatto sul nervo debiliterebbe automaticamente la gamba portandola verso l’esterno, questo debiliterebbe contemporaneamente anche altre parti e funzioni del corpo, collocando l’avversario in posizioni da dove non potrebbe lottare né avere la capacità per controllarsi e sferrare un attacco.

Tutto questo risulta facile da capire, ma approfondendo questo concetto scopriremo nuove ed incredibili possibilità

Come ho già detto, i nervi periferici colpiscono anche il sistema nervoso autonomico, responsabile delle funzioni corporali involontarie, come la respirazione, la digestione, la circolazione ed altri processi primari vitali.

Dato che tutti gli organi interni sono influenzati dai nervi del sistema autonomico, interferendo sul nervo della gamba, possiamo debilitare gli organi interni e provocare danni o aumentare la vulnerabilità, è evidente che i medici e gli artisti marziali sapevano questo, vista e considerata la scoperta e la documentazione delle linee immaginarie che uniscono i punti di pressione interrelati.

All’interno della coscia si trovano le linee o i meridiani del fegato, della milza e del rene, non sono linee indipendenti, ma relazionate, prendiamo per esempio il meridiano del fegato, tutti i punti sulla linea del fegato si trovano in progressione dal secondo dito del piede fino all’interno della coscia, ed influenzano specialmente il fegato, attaccando questi punti origineremo a sua volta ciò che si conosce come  “riflesso di ritirata”, ossia il tentativo del corpo di creare distanza a partire dal fuoco del dolore, non solo con la gamba, ma anche con la parte del corpo che ospita il fegato.

Si tratta di una risposta automatica, fuori dal controllo dell’individuo, la stessa cosa succede con tutti i punti su meridiani specifici corrispondenti ad un organo

Un’altra risposta sarà il cosiddetto “riflesso estensore incrociato”, quando comincia il riflesso di ritirata su un punto, viene estesa anche la parte opposta del corpo per aiutare la ritirata  ed evitare ancora di più la ritirata ed evitare ancora di più il dolore, perciò causando dolore in un punto su una gamba, faremo si che il braccio dello stesso lato si estenda involontariamente per aiutare ad alleviare il dolore, allontanandosi contemporaneamente dal fuoco del dolore.

Di conseguenza gli arti opposti agiranno esattamente al contrario, così ora sappiamo cosa succede e come approfittare della funzione involontaria, un altro riflesso sarà la paralisi del muscolo o dei muscoli nella zona del nervo ed a partire da quel punto verso il basso.

Questo accade se riusciamo a fermare il messaggio neurologico prima della contrazione del muscolo, quest’azione paralizzerà il muscolo dal fuoco, perciò colpendo il punto del fegato blocchiamo efficacemente l’impulso nervoso ai muscoli della parte inferiore della gamba, non solo paralizzandoli ma anche debilitando la loro capacità di contrarsi e di tendersi per sostenere il peso del corpo o per portare a termine un’altra azione.

Un’analisi più profonda dimostra che il sistema autonomico può suddividersi a sua volta in due parti: il sistema parasimpatico ed il sistema simpatico

Stimolando o attaccando il sistema parasimpatico diminuiremo efficacemente la pressione sanguigna ed il ritmo cardiaco e respiratorio, con la riduzione di queste funzioni corporali vitali si diminuisce anche la quantità di ossigeno che arriva ai muscoli, diventando un’altra causa di debolezza  e di disfunzione.

Il flusso sanguigno diminuisce quando il corpo lo conduce al sistema digestivo come un processo naturale, questo abbassamento della pressione sanguigna e le funzioni corporali che l’accompagnano, si possono illustrare meglio come il tipo di svenimento da KO, quando l’avversario perde lentamente il controllo e la coscienza, questo normalmente succede quando colpiamo questi punti nella parte interna della coscia, come abbiamo detto prima, poiché il flusso sanguigno è condotto al processo digestivo, il che normalmente produce anche nausea ed affaticamento.

Attivando o attaccando l’avversario in modo tale da influenzare il sistema simpatico, l’effetto sarà il contrario, si produrrà l’aumento rapido del ritmo respiratorio, del ritmo cardiaco, della pressione sanguigna e la stimolazione di tutto il sistema nervoso centrale, è come un sovraccarico del corpo e si produrranno spasmi come quelli prodotti colpendo i punti Yang.

Verificandosi uno stato di sovraccarico e di tensione del ritmo normale delle funzioni di questi sistemi vitali, il cervello rapidamente si svincola, mentre il corpo adotta la posizione supina e si blocca per evitare maggiore tensione, e ulteriori danni all’organismo

Questo può essere illustrato attraverso il cosiddetto KO YANG, quando il corpo si agita fino a perdere conoscenza, i sintomi che normalmente si producono in questo caso sono: mal di testa, irritabilità e crampi corporali o muscolari.

Questo metodo di attacco produce anche molto dolore o riflessi incoscienti del corpo e facilita l’accesso al resto dei nervi periferici del corpo, dato che il suo messaggio converge verso il midollo spinale ed il cervello, vediamo chiaramente che attaccando i punti delle gambe (ed anche tutti gli altri punti) colpiamo molti sistemi e funzioni del corpo, attraverso l’osservazione e la sperimentazione, le culture antiche scoprirono ed identificarono i punti specifici, nonché le influenze e gli effetti  corrispondenti.

Questi sono stati descritti in molti modi nel corso della storia, assieme a molti metodi per utilizzarli, usando la nomenclatura di fegato, milza, rene ecc…, possiamo comprendere all’istante che quel punto preciso corrisponde ad un organo interno e che attaccando quel punto in particolare, in qualche modo colpiamo anche quell’organo vitale.

Che relazione c’è tra questo e le combinazioni d’attacco?

Accedendo ai nervi delle gambe abbiamo visto che non interrompiamo solo la funzione del sistema nervoso, ma anche i muscoli, gli organi e le funzioni vitali, attaccando questo punto del fegato nella gamba.

Causeremo in questo modo un effetto nell’organo interno corrispondente (il fegato), il quale può essere attaccato con altri colpi in altre aree del corpo che influenzino questo stesso organo, in questo caso, però, l’organo sarà più indebolito e suscettibile all’influenza esterna e all’attacco.

Dato che gli effetti si amplificano, avremo bisogno di minor forza per ottenere maggiori risultati, con l’attuazione dei punti di pressione pregiudichiamo non solo la struttura fisica, ma tutta la fisiologia dell’avversario, usando meno forza lasceremo meno anche segni esterni di attacco o di danno …osservabile (accade lo stesso anche nel caso dei punti delle braccia, della testa, del collo e del corpo).

Le gambe, che sono le più difficili da proteggere, rappresentano un’entrata stupenda che offre un vantaggio al praticante dei punti di pressione

Le gambe, che sono le più difficili da proteggere e nella maggior parte dei casi sono meno allenate nella difesa, rappresentano un’entrata stupenda che immediatamente offre un vantaggio al praticante i punti di pressione, gli stessi metodi di attacco che usa  ed allena, servono ad istruire anche la sua mente ed il suo corpo affinché siano vigili ed efficaci al momento di evitare, bloccare o restituire gli attacchi alle proprie gambe.

Questo conduce a un’impostazione globale e all’allenamento di tutte le parti del corpo, particolarmente utile in questo aspetto della preparazione dell’artista marziale spesso sottovalutato.

Un altro vantaggio da imparare sui punti di pressione delle gambe riguarda la loro efficacia nel caso di lotta al suolo, le gambe hanno un ruolo molto più importante nella lotta al suolo che nella lotta in piedi

Questo perché condividono il cinquanta per cento delle tattiche usate nello stile difensivo ed offensivo, usando questi punti possiamo controllare meglio o eludere l’uso che l’avversario fa di questo strumento, eludere la guardia, migliorare le chiavi alle gambe e alle caviglie, perfino manovrare le sue gambe per ottenere una posizione migliore risulta molto più facile.

Prendiamo per esempio il punto di prima del fegato, in posizione di guardia, accedendo a questo punto la gamba dell’avversario si debiliterà e perderà il controllo, poiché il dolore attiva il riflesso di ritirata ed il riflesso di estensione incrociato,questo ci permetterà di passare più facilmente la guardia o di situarci sopra l’avversario.

Non provocherà una debilitazione e dei sintomi interni eccessivi, poiché l’attacco è in un certo senso ammortizzato se paragonato ad un attacco con arma da fuoco, tuttavia, debiliterà tutte le strutture corporali corrispondenti, rendendole più sensibili e vulnerabili, all’artista marziale normalmente viene insegnato a bloccare o a parare i calci dell’avversario, ma tutto questo non considera una cosa importante,l’attacco ai calci dell’avversario.

Armato di questi preziosi bersagli, quando ad un praticante dei punti di pressione viene sferrato un calcio, gli si presenta una buona occasione per usare il suo metodo, colpendo un punto sulla gamba che ci sferra il calcio.

Facendo ciò causeremo nell’avversario dolore, disfunzione ed una delle tre risposte riflesse menzionate precedentemente, debiliteremo anche tutto il processo e la struttura anatomica, evitando l’applicazione di altre tecniche o metodi contro di noi.

Se, per esempio ci sferrano un calcio alto e colpiamo i punti interni della gamba (fegato per esempio), il riflesso di ritirata neutralizzerà rapidamente ed automaticamente l’attacco, farà in modo che l’altra gamba si distenda per il riflesso di estensione incrociato.

Questa operazione lascerà l’arto vulnerabile all’attacco, allo stesso modo paralizzerà i muscoli della gamba attaccante e l’aggressore non potrà utilizzarla né servirsene come appoggio.

Praticando i bersagli più bassi delle gambe nelle tattiche d’attacco, guadagneremo maestria ed impareremo altre manovre difensive, un altro esempio potrebbe essere un calcio con lo stinco contro la coscia.

Quest’ultimo è un attacco molto diffuso in molte arti del combattimento, che può essere bloccato facilmente utilizzando un ginocchio sullo stesso punto di fegato

Sulla parte interna della coscia della gamba attaccante, la paralisi dell’arto a partire dal bersaglio verso il basso avrà diversi effetti nelle differenti fasi del calcio.

Se attacchiamo in questo modo il calcio, prima che raggiunga la metà della sua estensione, il riflesso di ritirata lo farà retrocedere estendendo contemporaneamente l’altra gamba, evitando o immobilizzando successivi attacchi dell’avversario.

Se il calcio ha superato il 50 percento della sua estensione, il riflesso di paralisi, con disfunzione e perdita di controllo, farà in modo che la gamba si sovra-estenda nel ginocchio e non sarà necessario dire altro.

Dobbiamo tenere in considerazione alcuni dei punti o dei nervi delle gambe sono vicini alle principali arterie, influenzando così direttamente ed anche indirettamente (attraverso i sistemi simpatici e parasimpatici) il flusso sanguigno che aiuta la contrazione dei muscoli. e di conseguenza la loro funzione.

Vediamo che attaccando i punti di pressione possiamo influire direttamente ed indirettamente su molte funzioni vitali del corpo

Altre osservazioni realizzate per mezzo della sperimentazione con il passare degli anni hanno fornito informazioni interessanti sui punti della gamba di cui stiamo parlando, se una persona possiede una struttura che protegge in modo naturale i punti della parte superiore del corpo, del braccio, della testa o del collo, le gambe non saranno protette allo stesso modo.

Per esempio alcune persone (una piccola percentuale di circa il 5%), non presentano un accesso facile ai nervi delle braccia o della parte superiore del corpo e della testa.

Questo non significa che i punti di pressione non funzionino con questi individui, poiché sentono e possiedono il senso del tatto, i nervi lavorano per trasmettere i segnali neurologici, ma accedervi risulta più difficile, tuttavia, si è osservato che gli individui di questo gruppo sono estremamente vulnerabili sui punti delle gambe.

Questi punti così preziosi ci forniranno maggiori conoscenze e comprensione, e porteranno la nostra capacità e la nostra abilità a livelli più alti, sapere esattamente come reagirà il corpo e le funzioni fisiche ed anatomiche che rimarranno danneggiate, paralizzate o comunque influenzate, sarà un ottimo contributo al vostro arsenale, aumenterà la vostra abilità e la vostra capacità in molti aspetti, e migliorerà i vostri metodi di lotta qualsiasi sia lo stile praticato, poiché sono universali.

Conclusioni

Per concludere vorrei dire che i nervi se si colpiscono adeguatamente, causano sempre dolore, ma per un attacco con maggiori potenzialità colpiremo contemporaneamente verso il basso aumentandone straordinariamente gli effetti.

La pratica in palestra con Maestri o Istruttori esperti faranno si che gli allievi imparino perfettamente l’applicazione di queste tecniche per far si che la conclusione di un attacco di calcio venga neutralizzato immediatamente senza errori si sorta, ma è la palestra il posto in cui lavorare ed imparare, individuatele e buon lavoro!

Note


COPERTINA parliamo ancora di punti di pressione

[AUTODIFESA & SPORT] Parliamo ancora di punti di pressione

Dal semplice singhiozzo all’arresto respiratorio. Tempo fa durante un allenamento per perfezionare il lavoro sui punti di pressione, lavorammo su un punto del braccio chiamato LI-10

Questo punto si trova nel nervo radiale, che è unito al sistema nervoso centrale (SNC) attraverso la vertebra cervicale 5.

In questo punto di unione si trova anche l’inizio del nervo frenico, il nervo che controlla il diaframma e quindi anche la respirazione, ho avuto modo di conoscere questo argomento quando ho studiato la rianimazione polmonare originale, quella precedente alla rianimazione SP-17, più perfezionata ed efficace.

Prima, l’LI-10 si utilizzava tentando la fortuna… e, in combinazione a precedenti immagini individuali. Come si racconta, un uomo assistette ad uno dei primi seminari sui punti di pressione che si tenne negli Stati Uniti e gli chiesero di prendere parte alla dimostrazione di una tecnica, quando ricevette un colpo in un punto del corpo, l’uomo svenne e smise di respirare.

L’intenzione della persona che lo aveva colpito non era nemmeno lontanamente quella di fargli perdere conoscenza e i partecipanti al seminario cominciarono a preoccuparsi, dopo vari tentativi di rianimarlo, la persona che lo aveva colpito ricordò ciò che aveva letto su questo nervo e, disperato, diede un pugno all’uomo sul punto dell’avambraccio con l’intenzione di fargli recuperare almeno la respirazione.

Il colpo fece in modo che l’uomo incosciente tornasse in sé e che riuscisse di nuovo a respirare, il soggetto svenuto ammise di aver fumato marijuana prima di assistere al seminario e questa forse fu la causa dell’effetto sproporzionato del colpo sul punto di pressione.

Non si ha la certezza che sia andata così ma, siccome la marijuana agisce come calmante, potrebbe aver aumentato l’effetto del colpo, specialmente per quanto riguarda la respirazione, ma la cosa incredibile di questo episodio è che servì da stimolo per studiare a fondo l’argomento a molte delle persone presenti e ad altre che non c’erano e che sentirono raccontare la storia.

Da allora, questo metodo è diventato il sistema di rianimazione polmonare più utilizzato

Fino a quando non si è sviluppato un metodo intermedio che corregge la respirazione diaframmatica in modo più efficace e potente, tuttavia, questo metodo non è stato abbandonato dopo aver verificato l’efficacia del metodo intermedio, ma si è continuato a studiare il punto, le sue connessioni e altre possibilità relazionate con il pronto soccorso.

In questo modo si è potuto scoprire nuove applicazioni, per esempio si è scoperto un metodo per alleviare le fitte al fianco provocate dallo sforzo eccessivo ed anche un altro per interrompere il singhiozzo, cominciamo dalle fitte al fianco, che sono dolori muscolari intensi che si avvertono nella parte laterale del corpo.

Si verificano nel gruppo muscolare obliquo esterno (chiamato anche fianco obliquo).

Quando un individuo prova questo tipo di dolore non riesce a pensare a nient’altro, perché il dolore è molto intenso, così di solito si analizza la causa che lo ha prodotto per alleviarlo, i muscoli sono stanchi, ma non tanto per il loro stesso sforzo ma per la tensione provocata all’interno a causa dell’eccesso di attività del muscolo del diaframma.

Può anche essere conseguenza di un’ischemia diaframmatica

Questa è una riduzione del flusso sanguigno generalmente provocata da ostacoli nei vasi sanguigni che causano un danno o una disfunzione del tessuto, alcuni atleti hanno avvertito la manifestazione del dolore nell’estremità della scapola, anziché nei muscoli del fianco.

La causa di questo dolore si attribuisce al fatto che si tratta di un luogo di riferimento del dolore nel diaframma attraverso il nervo frenico (termine utilizzato per descrivere il fenomeno del dolore percepito in un luogo adiacente o a una certa distanza dal luogo in cui si è verificata la lesione, come in un attacco cardiaco, nel quale il dolore si avverte normalmente nel collo, sulle spalle o sulla schiena anziché nel petto).

Utilizzando il punto LI-10, sfregando il nervo lentamente e a ritmo regolare dal gomito verso la mano, il diaframma sembra stabilizzarsi (poiché la respirazione si regola e diventa più profonda), diminuisce anche il dolore e si rilassa il muscolo che sta sopportando gli spasmi, si tratta di una tecnica molto utile in qualsiasi sport o attività, specialmente nel nuoto o in altre attività che aumentano il ritmo della respirazione fino a livelli elevati, nei quali si verifica una maggior incidenza di fitte al fianco.

Così quando si è scoperto che rilassava il diaframma, si è scoperto anche che poteva essere una cura o una tecnica per attenuare il singhiozzo

Il singhiozzo provoca contrazioni repentine ed involontarie del muscolo del diaframma, quando il muscolo si contrae ripetutamente, lo spazio tra le corde vocali si chiude all’improvviso per controllare il transito dell’aria e fa in modo che il singhiozzo si faccia sentire.

Il singhiozzo può essere provocato dall’irritazione dei nervi che vanno dal collo al petto come conseguenza di uno sforzo eccessivo, questo colpisce  specialmente il nervo frenico, che è il responsabile dell’attività del diaframma, può anche essere causato da diverse alterazioni del sistema nervoso centrale e periferico, come conseguenza di lesioni o irritazioni dei nervi frenici vaghi che a volte possono essere provocate da tecniche sui punti di pressione quando si attaccano direttamente quei nervi.

Il ridere prolungato, lo sforzo eccessivo o anche l’ingestione di alimenti troppo in fretta sono cause note del singhiozzo, per esempio, se respiriamo troppo rapidamente o ansimiamo come conseguenza di uno shock corporale improvviso, possiamo liberare od inghiottire aria e provocare il singhiozzo, questo è dovuto al fatto che lo stomaco, che si trova sotto il diaframma e attaccato a questo, è gonfiato o allungato (come quando si mangia o si beve in eccesso).

Siccome il singhiozzo si produce anche quando si mangia o si beve, si crede che sia un atto riflesso per evitare un soffocamento

Ma il singhiozzo può essere indotto, quindi questa non è una spiegazione valida, è interessante che la chirurgia per disabilitare il nervo frenico (il nervo che controlla il diaframma) spesso è l’unica soluzione efficace.

La relazione naturale tra questi due argomenti ci ha aiutato a comprendere ancora una volta i punti di pressione e i suoi effetti con maggior chiarezza, anche le nostre abilità sono migliorate in modo considerevole, poiché abbiamo avuto l’opportunità di lavorare in modo duale, provocando alleviando i sintomi fisici.

La cosa più importante comunque è che si sta indagando di continuo e svelando nuovi metodi in entrambe le modalità.

Per esempio, si sono scoperti molti altri punti del corpo con i quali possiamo indurre il singhiozzo o persino bloccare la respirazione dell’individuo, le ricerche non hanno fine, ci sono sempre nuove possibilità e modi per aiutare le persone nei momenti di difficoltà.

Note


[AUTODIFESA & SPORT] Punti di pressione: la spazzata

Nello studio dei punti di pressione, il praticante impara subito che attaccando qualsiasi punto può prodursi una perdita di controllo corporale, che porta al suolo l’avversario.

Questo succede non solo con i punti della testa, come è logico aspettarsi, bensì anche con quelli di qualsiasi parte del corpo.

Dunque, perché abbiamo bisogno di un livello di allenamento completo per insegnare specifiche spazzate?

La risposta è semplice, alcune persone per la loro professione, non sono solite utilizzare gli attacchi a molti di questi punti per far cadere l’avversario, professioni come agenti delle forze dell’ordine, tecnici del pronto soccorso medico e personale di sicurezza esigono metodi di controllo di basso livello che non si vedono di buon occhio in questa società.

Tuttavia, controllare ed annullare una persona pericolosa riduce il rischio di subire ferite, sia per noi che per le persone che ci stanno attorno, la chiave sta nel comprendere alcuni obiettivi accessibili da qualsiasi angolo e nell’allenarsi fino a trasformarli in un movimento naturale, è anche importante conoscere ciò che succede esattamente utilizzando uno di questi obiettivi, il che rappresenta contemporaneamente un vantaggio strategico per la persona che li utilizza.

Quando sappiamo come il corpo reagisce o si muove le possibilità che abbiamo e come intensificare l’attacco in caso di necessità, riduciamo gli scenari imprevisti e con questo lo stress e il panico, dopo aver acquisito dimestichezza con l’allenamento dovremo aumentare lo stress, la velocità e l’intensità dello stesso, per abituarci all’aumento di adrenalina ed ai suoi effetti, imparando a lavorare sugli stessi.

Oltre questo allenamento dovremo possedere altre due abilità: quella della neutralizzazione (in situazioni gravi d’emergenza) e quella del controllo continuo

I punti di pressione che si utilizzano sono la chiave ed il metodo più semplice per accedere al sistema nervoso del corpo.

Focalizzatevi, per esempio, sull’obiettivo del nervo mentoniano Miscellaneo della testa e del collo, il quale prevede tre modi per essere attivato, tre angolazioni principali d’accesso e tre di controllo, questo non offre solo una notevole versatilità,  ma anche delle ottime opzioni di controllo per chi le utilizza.

Premendo questo nervo verso il basso e verso il centro del collo, debiliteremo i muscoli del collo e potremo girare la testa dell’avversario e manovrarla in diverse direzioni, in avanti, all’indietro, ai lati e, specialmente, verso il basso, sfregando questo punto rapidamente si produce immediatamente la disfunzione delle gambe e del controllo corporale, neutralizzando così la minaccia con la stessa rapidità. In casi di vera necessità, colpendo questo punto possono anche provocarsi vari livelli di perdita di conoscenza, questi risultati possono essere ottenuti da davanti, di lato e perfino da dietro, il che aumenta considerevolmente la valenza di questo bersaglio, grazie a questo e a molti altri obiettivi sarà molto più facile manovrare, ridurre e persino immobilizzare un aggressore.

Benché questo punto sia molto accessibile, dovremo disporre di una gran varietà di obiettivi per ogni circostanza o necessità

Un altro obiettivo ugualmente efficace e versatile è quello che si trova dietro la mandibola e sotto il lobo dell’orecchio: il triplo riscaldatore, gli agenti delle forze dell’ordine, il personale di sicurezza militare e gli artisti marziali conoscono questo punto da molto tempo, ma quello che normalmente non si conosce è la sua fruibilità e il suo livello di disfunzione.

Per esempio, possiamo dominare l’avversario premendo alternativamente su entrambi i lati, alzando o abbassando e persino mettendo KO con un minimo sforzo, l’angolo più idoneo per colpire questo punto è verso la punta del naso, con delle leggere variazioni, sia nell’angolo che nel metodo di applicazione, per ottenere risultati differenti.

Un altro obiettivo da evidenziare si trova davanti al muscolo sternocleidomastoideo

Allo stesso livello del pomo d’Adamo, il nervo è una ramificazione del nervo iperglosale e si collega con il nervo vago, questo punto, inoltre, condivide la fruibilità del triplo riscaldatore e si può usare anche per causare asfissia.

Come si sa esistono due principali metodi per asfissiare un individuo o finalizzarlo o per fargli perdere conoscenza: tagliando la somministrazione d’aria è un metodo lungo e pericoloso, perché il praticante può essere ferito durante i minuti di lotta per la sopravvivenza, Tuttavia, per tagliare la somministrazione di sangue abbiamo bisogno solo di pochi secondi, benché continui ad esistere il suddetto pericolo, poiché l’avversario cercherà di difendersi per eliminare la minaccia, se utilizziamo correttamente il punto dello Stomaco 9, porremo fine immediatamente alla sua resistenza.

Sfregando verso il basso e verso l’interno il punto dello stomaco 9, si produce la disfunzione delle braccia (facendole cadere senza che pregiudichino il viso o la testa del praticante) e la debilitazione di tutta la funzione corporale, di modo che la sua applicazione risulta più sicura nei secondi precedenti agli effetti dell’asfissia per blocco sanguigno.

Quando le braccia dell’avversario si trovano sulle nostre in una situazione di grappling, sarà difficile raggiungere ed accedere a tutti i precedenti punti, nonostante ciò, esistono molti obiettivi accessibili che ci daranno il controllo dell’avversario, abbattendolo rapidamente e provocando la disfunzione temporanea del corpo.

Colpendo il punto dello stomaco 11, impediremo agli impulsi nervosi di arrivare ai muscoli sotto il punto nel lato del corpo dove lo applichiamo, accediamo a questo punto dalla parte esterna, ma di lato e dietro il vertice della clavicola, il nervo deve essere premuto contro la parte di dietro della clavicola e verso il basso per ottenere la disfunzione, ed il metodo migliore per attivarlo è raggiungerlo direttamente con la mano.

Sotto la presa dell’avversario contiamo anche su un paio di obiettivi facili per abbattere o provocare la disfunzione temporanea dell’aggressore, sopra la struttura pelvica

Il punto della cistifellea 26 è situato sopra l’osso dell’anca (cresta iliaca), ed è una ramificazione del nervo ileoipogastrico del polmone 1.

Premendo e colpendo questo nervo contro l’osso provocheremo un dolore acuto, la paralisi e la disfunzione dell’arto inferiore, questo farà cadere l’avversario verso il lato attaccato, permettendo al praticante di contenerlo o di scappare, in alcune persone può provocare persino nausea.

L’altro è il punto della cistifellea 23, situato due dita di lato della vertebra, appena sotto la 12à costola si trova un’altra ramificazione del nervo sub-costale, colpendo o premendo verso il basso ad un angolo di 45 gradi verso i genitali provocheremo un dolore acuto, la perdita di controllo muscolare e nausea.

Una delle caratteristiche di questo punto è che può contenere una spazzata di spalla o di anca.

Quando il judoka o un altro esperto in spazzate ruota la schiena e l’anca verso di noi per fare leva, semplicemente sfregando l’accesso a questo nervo verso il basso e l’interno, gli faremo cedere le gambe,debilitando la sua base, è necessario essere cauti durante l’allenamento, poiché la perdita della base può provocare lesioni nella parte bassa della schiena, dato che sarà li dove si applicherà ora tutta la pressione.

Un altro vantaggio di questo metodo per evitare la spazzata è che, cadendo, l’avversario rimarrà in una posizione perfetta per praticare l’asfissia per blocco sanguigno

Come abbiamo detto prima, un attacco dalla schiena o una montada, inoltre, per gli agenti delle forze dell’ordine, questo metodo è eccellente per abbattere da dietro l’avversario, per controllarlo o per guadagnare un vantaggio nel momento di introdurre il delinquente in un veicolo o in una cella.

La conoscenza dei punti di pressione servono anche per migliorare le spazzate nelle arti marziali,  se si imparano i punti di pressione è anche per provocare la disfunzione corporale al fine di inabilitare e far cadere un avversario, si praticano anche molte delle spazzate che vengono usate nelle arti marziali, queste comprendono dagli spostamenti di gambe alle chiavi articolari  e perfino movimenti di sacrificio.

I punti di pressione possono migliorare qualsiasi metodo utilizzato per far cadere o abbattere un avversario, dall’Aikido allo Shotokan.

Cominciando da una spazzata di piede tradizionale, usando un punto chiamato milza 6, all’interno dello stinco ad un palmo di distanza dall’osso della caviglia, potremo ottenere due spazzate differenti, colpendo questo punto verso l’alto, facciamo saltare la gamba verso l’alto e all’indietro, e non sarà necessario aumentare la forza o il tempo della spazzata convenzionale.

Se affrontiamo un avversario molto più grande di noi, è possibile lesionarsi la gamba o qualche articolazione sopportando il suo peso e la sua forza

Ma se utilizziamo correttamente i punti di pressione e calciamo questo punto verso l’alto con un angolo di 45 gradi, si produce il cosiddetto riflesso flessore o di ritirata, dove il suo stesso sistema nervoso farà alzare la gamba all’indietro squilibrando l’avversario.

Se attacchiamo lo stesso punto verso il basso con un angolo di 45 gradi, debiliteremo la caviglia e la parte inferiore della gamba, utilizzando il riflesso di paralisi naturale.

Qui è dove si perde il controllo di tutti i muscoli periferici che sostengono il peso, facendo collassate l’individuo, questo implica un potenziale e grave danno alla caviglia e alle articolazioni del ginocchio, durante la paralisi dei muscoli e la ricaduta del corpo in zone carenti d’appoggio, il peso viene disperso lateralmente e dato che le articolazioni non sono progettate per questo, si produce la lesione dei legamenti interni e del tessuto connettore. Persino i tendini che circondano la zona della caviglia, ad eccezione dell’osso frontale dello stinco, contengono quello che viene chiamato l’apparato di Golgi.

L’apparato di Golgi è un meccano recettore, esistono due recettori muscolari: il fuso neuromuscolare e l’apparato di Golgi, presenti ambedue in tutti i muscoli, hanno la funzione di evitare il danno muscolare

Il fuso neuromuscolare si trova all’interno del muscolo ed è sensibile allo stiramento muscolare, controlla la lunghezza del muscolo, se il muscolo si distende troppo ,il fuso neuromuscolare invia un messaggio al midollo spinale ed immediatamente si produce la contrazione del muscolo per evitare la lesione da stiramento eccessivo.

L’apparato di Golgi si trova nel tendine e misura la tensione di tale muscolo, benché possa sembrare simile al fuso neuromuscolare, non lo è, l’apparato di Golgi invia informazioni al cervello su piccole porzioni del muscolo, affinché il cervello sappia non solo quello che sta facendo il muscolo nella sua totalità, ma anche quello che sta facendo ognuna delle parti che compone quel muscolo.

Quando l’organo tendineo di Golgi capta un’eccessiva tensione sul muscolo (come stiramento prodotto dal nostro attacco sotto forma di sfregamento), invia un segnale al midollo spinale il quale, a sua volta, provoca il rilassamento del muscolo per ridurre la tensione.

La differenza principale tra l’apparato di Golgi ed il fuso neuromuscolare è che il fuso neuromuscolare obbliga il muscolo a contrarsi per evitare uno stiramento eccessivo, mentre l’apparato di Golgi obbliga il  muscolo a rilassarsi per ridurre la tensione

Dato che ambedue i recettori sono presenti in tutti i tendini, attaccando il braccio abbiamo visto come uno sfregamento (stiramento), il muscolo si rilassa e la gamba collassa.Possiamo usare i punti di pressione per attaccare la gamba, lavorando sulla stessa spazzata con due risultati completamente diversi, possiamo calciare con il tallone nel punto situato alla base del muscolo del polpaccio, dove si collega con il tendine d’Achille, calciando questo punto verso l’alto e ad un angolo di 45 gradi, faremo in modo che il riflesso di ritirata del sistema nervoso alzi la gamba (anche questo stesso punto e metodo possono essere usati per manovre per noi vantaggiose).

Si può calciare anche direttamente per abbattere direttamente un avversario da dietro, poiché la gamba salta in avanti priva di controllo così rapidamente che risulta quasi impossibile mantenere l’equilibrio ed evitare la caduta,l’altro modo per utilizzare queste due manovre è mirare verso il basso sul punto situato giusto sopra il muscolo del polpaccio sotto la parte posteriore del ginocchio.

Questo provocherà il collasso della gamba, che in certi casi può essere più sicuro dell’elevazione della stessa, poiché in quel momento l’equilibrio del praticante potrebbe essere in pericolo, più siamo vecchi, più sarà importante questo metodo per ottenere la spazzata perché i muscoli, le articolazioni e l’equilibrio si debilitano.

Conoscendo gli obiettivi dei punti di pressione, aumentiamo la versatilità e l’efficacia delle abilità che migliorano con l’età

Tenete presente che qualsiasi di questi  o di altri punti possono essere usati come metodo per realizzare una proiezione, un posizionamento, una spazzata o altri cambi di posizione possibili, e che non possono essere spiegati in un solo articolo,seguendo una progressione logica, dopo aver imparato i punti semplici di pressione , arriviamo al seguente livello di spazzate e di controllo, il praticante avrà bisogno solo di una minima forza per ottenere cadute, spazzate, controlli o riduzioni.

Alcuni degli obiettivi e dei metodi descritti in questo articolo, avranno necessità di allenamento costante e serio che ci permetta di dominare il controllo che ci fornisce la preparazione.

Allenatevi bene!

Note


[SALUTE & BENESSERE] I punti vitali nel primo soccorso

L’equilibrio spinale e il rilassamento dei muscoli

Le capacità progressive di colpire, dare calci e comprimere i nervi, sono diventate più sofisticate da quando iniziarono ad ideare tecniche di primo soccorso, l’aumento delle capacità garantisce adesso un cambio da una manipolazione più diretta dei nervi centrali, ad un uso integrale di vari nervi periferici in combinazioni più complesse.

Il modo più logico di avanzare è usando tecniche che sono conosciute come manipolazione delle articolazioni, tuttavia usando questi complicati movimenti di torsione, li adoperavamo usando i nervi vicini al posto di comprimere la stessa articolazione.

Non solo scoprivamo un modo più efficace per applicare queste azioni complesse di torsione provocando una maggiore disfunzione, ma anche gli effetti sulla persona e la sua funzionalità crebbero.

Ci siamo anche resi conto che cresceva l’efficacia e l’effetto provocava reazioni molto pronunciate nella spina dorsale o nel busto del ricevente, perché stavano ricevendo una sovraccarica multipla sui nervi e una contorsione che provocava lo stress o la compressione dei nervi interni

Il motivo di tutto questo è che i nervi non solo trasferiscono messaggi neurologici alle funzioni motorie o somatiche dei nervi, ma anche alle funzioni automatiche (mantenimento automatico della vita), in termini medici tutto ciò si definisce con il termine Neuropatia e può essere periferica (la Neuropatia periferica è un problema dei nervi che portano informazioni sia dal cervello sia dal midollo spinale al resto del corpo, questo può creare dolore, perdita di sensibilità e incapacità nel controllare i muscoli) o autonomica (la Neuropatia autonomica è un gruppo di sintomi che si avvertono quando esiste uno stress o un danno dei nervi che controllano le funzioni quotidiane del corpo, come la pressione sanguigna, il ritmo cardiaco, lo svuotamento intestinale, la vescica e la digestione).

I sintomi osservati variavano dipendendo dal tipo di nervo interessato così come allo stesso modo variavano le tecniche.

VARIAZIONI DELLA SENSIBILITÀ

  • Sensazione di riscaldamento;
  • Cambi di sensazioni;
  • Incapacità di assunzione di certe posizioni dell’articolazione;
  • Dolore del nervo;
  • Intorpidimento o formicolio.

DIFFICOLTÀ NEL MOVIMENTO

  • Difficoltà per respirare o per deglutire;
  • Difficoltà o incapacità nel muovere una parte del corpo (paralisi);
  • Cadute (a causa delle gambe);
  • Mancanza di destrezza;
  • Mancanza del controllo muscolare;
  • Stiramento o crampi muscolari.

SINTOMI AUTONOMICI

I nervi autonomici regolano le funzioni volontarie o semi volontarie come controllare gli organi interni o la pressione sanguigna. I danni ai nervi autonomici possono causare:

  • Gonfiore addominale;
  • Visione offuscata;
  • Stipsi;
  • Diminuzione della sudorazione;
  • Diarrea vertigini in piedi o sdraiati a causa della pressione del sangue;
  • Intolleranza al calore prodotto per lo sforzo;
  • Svuotamento incompleto della vescica;
  • Impotenza maschile;
  • Nausea o vomito specialmente dopo i pasti;
  • Incontinenza urinaria.

Quindi era necessario ovviamente trovare soluzioni per tutti questi problemi di salute causati tanto ai nostri compagni di allenamento, quanto a noi stessi.

Ma questo livello era più alto rispetto a quello su cui avevamo lavorato o alle cose per cui avevamo trovato una soluzione, quindi si è investigato e sperimentato usando modelli che avevamo usato per precedenti soluzioni, ma con risultati poco duraturi.

Dopo aver lavorato con i nervi scelti e cercato di scoprire con cosa erano relazionati, continuammo ad avere difficoltà per terminare il recupero

Quello che si è fatto a continuazione fu guardare in profondità ogni colpo e il modo in cui ogni struttura fisica reagiva ad ognuno di essi, quindi abbiamo visto l’azione e la contorsione della spina dorsale, in ognuno di essi era estrema, con questo si potevano vedere da semplici strappi al collo fino a multiple reazioni in tutta la spina dorsale.

Questo stava causando compressioni severe sia nei muscoli che nei nervi, in alcuni casi causavano noduli muscolari vicino alla spina dorsale.

Il seguente processo consisteva nel rilassare questi noduli muscolari vicini alla spina dorsale

Il che sembrava risolvesse certi problemi come è stato fatto con il trattamento dell’asma, tuttavia rimaneva ancora qualche problema (a seconda di come si contraeva la spina dorsale o da quali erano i muscoli colpiti).

Questi problemi erano anche simili o identici ad altri causati dalle tecniche, anche se erano portate in modo non troppo invasivo, questo indicava che c’erano più muscoli o nervi danneggiati in quelle zone dove si localizzavano i noduli muscolari.

Questo ci fece usare un metodo di massaggio per aprire e rilassare tutta la spina dorsale, ponendo particolare attenzione alla zona annodata dopo la tecnica curativa generale, l’idea era rilassare prima i nervi con leggere vibrazioni localizzate tra ogni vertebra, iniziando dal collo abbiamo collocato i nostri pollici o le nostre dita nello spazio tra ogni vertebra, premendo leggermente la zona per alcuni secondi prima di passare al successivo spazio.

Una volta che abbiamo fatto questo verso il basso sulla spina dorsale, abbiamo iniziato ad applicare una pressione più forte per muovere la spina dorsale all’indietro e verso l’alto, e questo si poteva ottenere non con la nocca, bensì utilizzando la parte più morbida del pollice.

Eliminando questo possibile dolore che potrebbe aver provocato nel recettore una tensione dei muscoli e un’altra volta una compressione dei nervi, questi rimanevano nelle stesse condizioni in cui erano prima di aver subito una tecnica di compressione.

Quando usammo questo procedimento ci rendemmo conto che qualche volta nella spina dorsale si sentiva come una spaccatura, come se si utilizzasse un metodo chiropratico o come se si schioccassero le nocche

Ma questo non era quello che stavamo cercando di fare, non volevamo usare questa scienza, l’abbiamo usata solo come termine di paragone, per essere più chiari nell’esposizione, tuttavia, questo ha fatto si che la spalla del recettore si rilassasse di più.

Dopo questo, se la spalla si aggiustava, si usava questa idea per esercitare una leggera pressione per allungare la spalla ogni volta che serviva.

Questo metodo fa si che i muscoli e la spina dorsale del recettore si allentino… E aiutino la persona anche a stare più eretta, questo ha posto la questione cosi, si correggeva la dislocazione, per questo si sviluppò una tecnica rudimentale per poter visualizzare anche l’allineamento laterale della spina dorsale.

Con la persona a pancia in giù, con le braccia ai lati, mettiamo dolcemente le punta delle nostre dita sopra una zona del midollo spinale, sopra la prima vertebra toracica, muovendo le dita superficialmente sulla zona, possiamo vedere quando le nostre dita si muovono da un lato o si muovono in linea retta, come dovrebbe essere.

Oltretutto abbiamo osservato che stranamente se c’era una tensione nei muscoli o anche un nodo, il dito si muoveva in quella direzione (indicando la zona del muscolo teso)

Ma succedeva anche qualcosa di più, ossia dopo le vibrazioni e seguendo il metodo della pressione per stendere i muscoli, il tracciato della spina dorsale rimaneva più retto e per di più si correggevano le deviazioni più profonde.

Non si tenta esattamente l’allineamento della spina dorsale, anche se molte volte si può sentire un istruttore o Maestro dire così, a causa della somiglianza dei suoni che si producono quando si usa, si tratta di una tecnica per comprimere i nervi a stimolarli, con l’obiettivo di calmarli e rilassarli.

Come nota a parte, si possono vedere molti curatori colpire la parte bassa della parte posteriore dei recettori, la maggior parte di loro imita qualcosa che precedentemente hanno visto fare da un curatore professionista, ma se gli si chiede il perché lo facciano, raramente lo sanno.

Tuttavia, devo dire devo dire che quando si vede un curatore esperto usare questa tecnica, lo fa per necessità, poiché sono danneggiati i sistemi anatomici del recettore.

Primo soccorso per il mal di schiena

Ad ogni livello che avanziamo utilizzando i punti di pressione, troviamo un nuovo problema o malessere fisico che necessita di un rimedio, questo ci da una motivazione che va oltre il semplice miglioramento delle abilità marziali, perché ci offre nuove e differenti sfide.

Tutto ciò ci fa capire in maniera incredibile la dualità delle arti marziali (o quella che era), perché stiamo imparando il modo di alleviare i problemi di salute, mentre impariamo a creare disfunzioni fisiche, incapacità, incoscienza, così come a controllare molte funzioni fisiche, sia esterne che interne.

Stiamo approfondendo i nostri studi, poiché dagli antichi miti e leggende sulle Arti antiche, celebri Maestri sono diventati realtà, avevamo in mano il loro segreto e abbiamo svelato il mistero che li aveva avvolti per tutti questi anni.

I miti non erano tali, erano realtà e mediante i punti vitali cominciavano ad avere senso, tuttavia, avevamo un profondo rispetto per quelle conoscenze, poiché ci rendemmo subito conto che il metodo conteneva il controllo sulla vita e sulla morte.

Avevamo già oltrepassato la soglia del combattimento corpo a corpo, eravamo pronti ad applicare il metodo dei punti di pressione per combattere contro le armi, lo usammo contro ogni tipo di armi, da armi classiche di Kobudo fino ad armi da fuoco, passando per le armi bianche, cominciammo ad integrare i punti di pressione in altri stili precedenti come il ju jitsu, il Kempo, il Karate ed altri ancora, scoprendo grandi possibilità e controllo.

Imparammo come dovevamo fare una serie di attacchi a quegli specifici nervi della testa e del collo, cosa che provocava uno stress fisico eccessivo sui nostri compagni di allenamento

Ma ci rendemmo anche conto che stavamo facendo centinaia di tecniche differenti per ogni arma e per ogni possibile scenario, troppo complicato e quasi irrealizzabile, perché se una persona cambiava l’angolo o variava in qualche modo l’attacco, obbligava il praticante ad acquisire abilità per eseguire una tecnica determinata contro un’arma determinata.

Sapevamo che dovevamo sviluppare un metodo di difesa più semplice, per rendere possibile una  reazione sotto stress e l’imprevedibile azione di un attacco premeditato da parte di un aggressore reale, bisognava analizzare l’origine di ogni possibile movimento, il che studiando i punti di pressione significava puntare sempre sul cervello.

Pertanto, i nostri sforzi si concentrarono sull’evitare che il cervello dirigesse le azioni di attacco dell’individuo, e il metodo migliore e più rapido era attaccarlo al collo e alla testa, quando attacchi i nervi del collo e della testa, tutto il corpo e la mente immediatamente ne subiscono le conseguenze, fino al punto in cui le azioni del corpo non possono più essere portate a termine.

Imparammo come dovevamo fare una serie di attacchi a quegli specifici nervi della testa e del collo, cosa che provocava uno stress fisico eccessivo sui nostri compagni di allenamento, caricando in avanti rapidamente e attaccando i punti di pressione della testa e del collo, invariabilmente l’avversario barcollava fino a che non cadeva incosciente o con un’evidente disfunzione fisica.

Questo faceva si che subissero una notevole pressione sulla schiena, dovuto alle pessime posizioni assunte,

Esisteva anche una tendenza a causare crampi e pressione sui nervi attorno, il che ancora una volta risultava essere un problema fisico più grave, ma prima di tutto si manifestava mediante la tensione e il mal di schiena.

Queste problematiche consistevano in difficoltà respiratorie, difficoltà motorie, nausea e simili, tutto ciò fece si che avessimo bisogno di un altro rimedio di primo soccorso per eliminare questi sintomi, fino ad ora si può capire come siamo giunti fino a questo punto da altre tecniche di primo soccorso che scoprimmo strada facendo, ma la differenza maggiore qui è che non si trattava di un problema leggero, bensì poteva trattarsi di una o più problematiche serie.

Pertanto, la sfida che stavamo affrontando era molto dura, avremmo avuto bisogno di sforzo, determinazione e di una ricetta speciale per risolvere questo tipo di problemi.

Prima applicammo i rimedi di primo soccorso per parti (per esempio, se una persona aveva difficoltà a respiratorie, gli applicavamo i rimedi di primo soccorso per una disfunzione dei bronchi o del diaframma), questo era efficace in parte, ma non era né completo né efficace al punto che volevamo fosse.

Se un individuo manifestava due o tre sintomi come problemi respiratori, nausea e mal di testa, il processo separatamente tardava molto ad essere efficace

Benché aiutasse, avevamo bisogno di un rimedio più rapido per affrontare questa nuova difficoltà, il passo successivo fu usare il metodo di sollievo spinale del livello anteriore, che risolveva tutte le difficoltà eccetto il mal di schiena.

Questi dolori si manifestavano in primo luogo in tre posti, la zona bassa, media e alta della schiena – zona delle spalle (bisogna ricordare che molti mal di testa derivano da tensione nelle spalle, perciò vedemmo chiaramente le associazioni simbiotiche che ci potevano essere), il primo della lista era il dolore della parte bassa della schiena, poiché è la zona colpita più frequentemente, ma la domanda era perché.

Quello che scoprimmo dopo un po’ di tempo e vari tentativi fu che in ogni caso in cui si girava la testa o si piegava rapidamente la schiena all’indietro, si causava in primo luogo un dolore alla parte bassa della schiena e poi un collasso un blocco nelle gambe, questo ci diceva che forse il problema sorgeva dalle gambe o dalle caviglie, allora cominciammo a lavorare sui punti delle gambe e delle caviglie separatamente e in combinazione, per la verità senza grossi risultati.

Usammo anche differenti tipi e metodi e direzioni di pressione per vedere se funzionava e se così era, sapere il perché, ma nuovamente senza risultati fino a che trovammo il punto.

Si trattava del punto che si trova tra la caviglia e la base del tendine di Achille ed attraversa l’osso del tallone, aveva senso poiché questo nervo nella zona bassa della spina dorsale e, per nostra sorpresa, nel lato che doveva essere il più sensibile al tocco o alla pressione, era lo stesso lato della schiena che stava soffrendo il dolore più acuto.

La seguente zona dove si localizzava il dolore era la parte media della schiena, il punto B1-0 non alleviava completamente la zona, benché aiutasse molto

Ma ovviamente non era sufficiente, poiché non alleviava completamente il mal di schiena, benché la parte alta della schiena si sentisse molto meglio, per questo motivo continuammo con la ricerca, ma scoprimmo che le nostre prove sui punti delle gambe non erano efficaci, allora usammo lo stesso metodo nei punti della schiena, trovammo molto rapidamente il punto migliore, nella maggior parte dei casi nell’area in cui avevamo cominciato la ricerca.

Tuttavia, dovevamo continuare per assicurarci che il punto che avevamo scoperto alleviasse completamente il dolore, questo punto che scoprimmo all’inizio del processo, risultò essere veramente il miglior punto per alcuni primi soccorsi, è il punto BL-16 situato vicino alla spina dorsale nella parte media della schiena, questo punto rilassa i punti della parte media della schiena ed esercita pressione sul resto della schiena.

Pertanto avevamo già un sollievo per la parte media della schiena, ma non alleviava la parte alta né la zona delle spalle, allora ricominciammo a cercare e trovammo il punto TW-15 che alleviava la schiena ed il punto GB-21 che alleviava le spalle.

Avevamo già i rimedi per il primo soccorso, ma volevamo assicurarci di aver risolto del tutto il problema

Scoprimmo anche che se colpivamo la parte bassa della schiena e lasciavamo la zona in pace, il dolore e la rigidità di spostavano con il tempo nella zona media e alta della schiena o nelle spalle, perciò invece di concentrarci su un punto specifico, lavorammo su un’area completa, BL-60,BL-16,TW-15 e GB-21, per qualunque tipo di mal di schiena.

Questo metodo faceva bene il suo dovere e col tempo il dolore e la rigidità non si diffondevano in altre zone, per cui risultò essere un metodo di sollievo completo, ora, pensa che potresti usare questo metodo per qualcuno che soffre di mal di schiena, non è necessario che tu prima abbia studiato i punti di pressione, tutti i metodi dei punti di pressione per primo soccorso che sto descrivendo servono a favorire una salute e benessere integrali sotto molti aspetti, attraverso un programma di benessere

Note


COPERTINA sport a scuola

Progetto sport a scuola: esperienze di vita

Quattro anni, sono passati quattro anni dal giorno in cui mi presentai ai due comprensivi per la presentazione del progetto e mi sembra ieri il primo giorno che iniziai la mia attività motoria.

Gli sguardi degli alunni erano differenti a seconda della classe che frequentavano, curiosità, allegria, esuberanza, tutto faceva parte dell’atteggiamento nei miei confronti, ma un denominatore era comune a tutti, la voglia di muoversi, di correre, giocare e soprattutto di sfogarsi.

Immediatamente attuai tutti i criteri per la prevenzione di eventuali inconvenienti, cercando di regolare con l’attività in palestra l’iperattività dei più esuberanti e spronando i più timidi, ma un problema sorse immediatamente.

Il dover cercare di capire per ogni bambino il probabile carattere, per poter poi gestire i vari atteggiamenti che si sarebbero manifestati con l’attività ludica che sicuramente sarebbe stata anche selettiva ed evitare quindi prese in giro dei vincitori nei confronti dei perdenti.

Un lavoro oltre che fisico, psicologico, stressante, mi attendeva, ma ero preparato e la carica adrenalinica era alta

La fiducia dei docenti, dirigenti e alunni mi stimolavano nella ricerca del meglio per tutti, la prima settimana fu veramente stressante e ci lasciammo con tutte le classi (730 alunni) pieni di voglia di fare.

Una sorpresa mi attendeva dopo la pausa del fine settimana, alla ripresa all’inizio di ogni lezione quando gli alunni entrarono in palestra una gran parte corse verso di me abbracciandomi e corsi il rischio di “Capottare“ perché tanta era la foga dell’abbraccio che a stento riuscivo a tenere l’equilibrio.

Non avevo però messo in conto altri problemi, “ Perché quella bambina non partecipa all’attività “ dissi alla docente della classe, “ha la parrucca, sta facendo la chemioterapia“ mi rispose, forse se mi avessero dato un pugno allo stomaco ne avrei risentito di meno, mi sentii pervadere dalla rabbia per l’impotenza che si ha in questi casi.

Lo sguardo della bambina era triste, ma una piccola luce mi diceva che avrebbe voluto partecipare ai giochi.

Si facevano le capriole e dei circuiti, smisi di far eseguire le capriole e feci fare solo i circuiti in modo che anche la bambina potesse non avere problemi con la parrucca, dicendo agli altri che far troppe capriole avrebbero fatto venire capogiro.

Dopo una piccola resistenza la bambina si inserì con i compagni e la vidi sorridere, poi ridere e urlare per la gioia, non nascondo che mi si inumidirono gli occhi

Altro problema che mi si presentò fu un bambino che non voleva assolutamente salire neanche un gradino di 20 cm, mi resi conto che nei circuiti non voleva saltare neanche ostacoli di 10 cm, provai allora a mettere una corda per terra e gli dissi di scavalcarla, ma si bloccò davanti alla fune senza osare scavalcarla.

Non insistetti, cercai di capire il motivo per cui era terrorizzato nell’effettuare un movimento così semplice, non ci riuscii mai, ma con la pazienza e grazie alla fiducia che aveva in me, lo condussi attraverso un percorso e dopo alcuni mesi saltava la corda, faceva le capriole e saltava ostacoli di 50 cm d’altezza.

Non nascondo che ancora oggi quando mi vede e mi abbraccia felice di stare con me e i compagni, mi commuovo e dico a me stesso che devo continuare questo lavoro, gratuito ma pieno di soddisfazioni per i risultati che raggiungo

Presto mi scontrai con la realtà che anche nelle elementari, in qualsiasi classe anche nelle prime, già si intravedevano non solo atteggiamenti da bulli, ma anche vessazioni verso i più deboli e probabilmente anche i più educati e timidi.

Non fu facile trovare la strada, ma iniziai attraverso l’attività ludica a ridimensionare l’ego dei bulletti, e far accrescere l’amor proprio e la sicurezza degli altri, il risultato non tardò ad arrivare e anche i bulli si adeguarono alla nuova situazione che si era creata, giocando e collaborando con tutti, senza vessare più nessuno.

“Ciao Maestro !!!“ alcuni urlano così mentre passano in macchina con i genitori, altri incontrandomi per strada, in ogni luogo passi c’è sempre qualche alunno che mi saluta, mi sento orgoglioso di questo, mi dico “Il lavoro è stressante, non ho tempo per me, ho rinunciato al mio tempo libero, ma non si può non essere felici per l’affetto che i bambini mi stanno dimostrando“.

Durante una lezione mi accorsi che una bambina non partecipava attivamente ai giochi e durante l’attività motoria lo sguardo era assente

Mi avvicinai chiedendogli se si sentisse poco bene ma non mi rispose, mi avvicinò la docente e mi disse che la bambina viveva in  “casa famiglia“ , mi sentii una stretta al cuore, pensai alla tristezza che si portava dentro la bambina e presi una decisione, dovevo farla ridere! Fermai tutti i bambini e gli feci mettere le mani intorno alla vita, dissi “ al mio via fatemi una boccaccia, non si fecero pregare.

Tutti in sincronia tirarono fuori la lingua  e urlando mi fecero le boccacce, vidi la bambina ridere e anche lei si unì agli altri, ancora oggi quando siamo a lezione mi chiede di fare le boccacce ed io acconsento volentieri perché poi almeno per l’ora di lezione non vedo più la tristezza nei suoi occhi, ma la vedo felice che gioca assieme agli altri.

Il secondo e terzo anno furono 850 gli alunni, le problematiche non mancavano, dal bambino che non articolava bene i movimenti ad un altro che non sapeva correre, saltare, c’era chi non accettava la sconfitta, chi invece vincendo beffeggiava i compagni, cercai di risolvere tutti questi problemi.

Alcuni casi li ho risolti, altri al 50%, altri no, non ho potuto far niente se non fargli avere più fiducia in se stessi

Oggi ancora mi trovo ad affrontare delle situazioni che non mi consentono una vita facile, il più delle volte a causa dell’assenza della figura paterna o materna o ancora di tutte e due,i bambini sono tristi, non più tardi di quindici giorni fa una bambina di prima elementare molto timida e probabilmente con completa assenza di fiducia in se stessa non voleva partecipare ad un gioco per paura di perdere con l’avversaria ed essere presa in giro, capii subito la situazione e dopo parecchie insistenze da parte mia alla fine cedette e partecipò.

Devo essere sincero, feci in modo che la bambina vincesse contro una compagna molto più agguerrita, vidi che mi sorrideva felice di aver vinto e mi dissi che quel piccolo imbroglio l’avevo fatto a fin di bene, quando l’ora di motoria finì e la docente le mise in fila per rientrare in classe, la bambina si allontanò dalla fila e venne da me e mi disse “Ti voglio tanto bene“ , aveva capito?

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Note


Nel karate ci sono PREGIUDIZI, lo sappiamo TUTTI

Quanti Sensei sono realmente qualificati per insegnare una disciplina così difficile?

I lottatori, fuori controllo, ripresero la lotta avventandosi uno sull’altro come in una lotta tra cane e gatto. Varie cinture nere e altri assistenti saltarono allora sul ring. Quando smisero di lottare, la gente che era salita sul ring tentò di attaccare un uomo con la pelle di colore differente, come se un’onda razzista fosse sul punto di esplodere nel Karate americano. Gli organizzatori del torneo a questo punto pensarono di tenere dei tornei separati per bianchi e neri, sperando che lo spirito del Bushido restituisca la saggezza agli atleti di Karate prima che degenerasse tutto nei tornei

La filosofia del Bushido finisce sempre per apparire in discussioni accademiche di questo tipo, l’ideale sarebbe che prevalesse sempre lo spirito del Bushido, così non ci sarebbero problemi, ma quanti Sensei sono realmente qualificati per insegnare una disciplina così difficile?

Quanti oggi possono dire oggi ai loro allievi “Seguitemi ,che io vi indicherò la strada“?

Il mio Maestro “Nakaashi” una volta mi ha detto I pregiudizi sono un atteggiamento della mente, la discriminazione è un’azione”.

Uno può apparire senza l’altro, i comitati e le commissioni possono formarsi per creare un codice di condotta che elimini il pregiudizio di fondo, ma c’è un solo modo per combattere i pregiudizi: un cambiamento di carattere, aiutato ed appoggiato dalla disciplina e dal rispetto.

I Maestri di una volta avevano la risposta. Per loro, nei loro insegnamenti era l’Etica: sapevano che la natura di un uomo non cambiava perchè si vestiva con abiti civili o con il gi.

Il cambiamento del carattere deve essere fatto dall’allenamento, un allenamento con una severa disciplina

La continua ripetizione e revisione delle basi, anno dopo anno, fu pensata per fare una selezione e lasciar fuori gli allievi troppo emotivi e impazienti.

Gli istruttori il cui comportamento si basa più sulla rottura che sulle promesse non dovrebbero parlare, nessuno può negare che l’atteggiamento degli allievi rifletta l’ambiente dei Dojo nel quale si allenano, ogni Dojo è unico, ognuno ha nel suo specifico ambiente la sua specifica personalità, un Dojo è il riflesso dei Sensei, dell’organizzazione e dell’ambiente.

Generalmente, un Dojo attrae e conserva gli allievi che si inseriscono nel suo ambiente

Se un Sensei segue una traiettoria deviata, i suoi allievi seguiranno la stessa traiettoria, c’era una vecchia storia che illustra questo punto:

Perché non cammini dritto figlio mio? Disse un vecchio granchio a suo figlio, devi imparare ad andare dritto!Insegnami come, padre, rispose il giovane granchio, e quando andrai dritto, proverò a seguirti.

Un’immagine vale più di mille parole e finché i Sensei di questo paese non agiscono seguendo questo principio, il Karate sarà come il vecchio granchio che non riuscì a rispondere al proprio figlio.


Era appena finita la guerra del Pacifico e l’occupazione del Giappone era in pieno svolgimento

Una sera, dopo aver visto un film, Arai andò a camminare a Isezaki-cho, la strada principale di Yokohama, da dove provenivano grida, voci, parolacce che ascoltava ed il suono di una rissa a Negishiva, nell’unico luogo aperto tutta la notte.

Quasi tutti i giapponesi che si trovavano per strada a quell’ora erano magnaccia, prostitute, ladri e delinquenti

Era appena finita la guerra del Pacifico e l’occupazione del Giappone era in pieno svolgimento, quasi tutti i giapponesi che si trovavano per strada a quell’ora erano magnaccia, prostitute, ladri e delinquenti, il resto erano uomini delle Forze Armate statunitensi e marinai della marina mercantile che, al crepuscolo, si riunivano nel Ne gishiya per prendersi un ultimo drink o farsi uno spuntino, in questo miscuglio così eterogeneo di gente, le risse notturne erano abituali e il Negishiva era il luogo adatto a questo.

Ci fermammo a guardare e la rissa finì in piazza, di fronte all’entrata, un marinaio della mercantile stava lottando con due soldati e un bullo, il marinaio non riusciva quasi a reggersi in piedi, un gancio sinistro nello stomaco lasciò uno sei soldati a terra e un uppercut destro lasciò l’altro stordito.

Quando stava andando dal bullo, una bottiglia che qualcuno lanciò dalla folla gli colpì alla testa e lo atterrò

La folla corse verso di lui, gli diedero calci violentissimi e, come lupi intorno ad una preda indifesa, riempirono l’ambiente di suoni spaventosi. All’improvviso, Arai si avventò sulla folla per aiutare l’uomo, emise un kiai come non si è più sentito da quella notte di novembre, il suo kiai fece tacere di colpo la folla assetata di sangue e restarono pietrificati, proprio allora apparve la Polizia Militare e, all’improvviso, la folla scomparve.

La mattina seguente, prima dell’alba, Arai andò nel cortile antistante la casa e iniziò a praticare kiaijutsu, il Sensei diceva sempre “Devi tirar fuori il tuo spirito attraverso il suono“ dopo la notte precedente Arai si rese conto che il Kiai che aveva emesso era un Kiai di stordimento, era un buon kiai che utilizzato in momenti chiave del combattimento poteva pietrificare l’avversario o paralizzarlo, doveva essere una vera e propria arma.

In genere il kiai emesso durante la pratica delle arti marziali è un semplice grido dalla gola, ma il vero si tira fuori in modo esplosivo dalla zona addominale, in coordinazione con il diaframma, la posizione della lingua è importante, le diverse posizioni della lingua danno luogo a diversi tipi di kiai.


Muso Gonnosuke affermava che aveva sconfitto in un combattimento l’incomparabile Miyamoto Musashi utilizzando un bastone

La sua affermazione era difficile da credere, poiché nessuno era riuscito a battere Miyamoto in un duello con la Katana, e tanto meno con un bastone, la storia inoltre raccontava che Miyamoto aveva vinto gli avversari in sei duelli a morte, per questo l’impresa di Gonnosuke doveva sembrare incredibile.

Secondo quanto si racconta, accadde una seconda volta, Miyamoto sconfisse Gonnosuke in un primo combattimento ma gli risparmiò la vita, la seconda volta, dopo aver studiato per tre anni come battere  Miyamoto, ci riuscì con un lungo Bo di più di un metro e lasciò che Miyamoto se ne andasse risparmiandogli anch’egli la vita, così come aveva fatto lui con la sua.

Arrivava perfino a dover rifiutare nuovi allievi, poiché il suo Dojo avrebbe potuto correre il rischio di crollare

Il contributo di Gonnosuke ai posteri comunque non è questo fatto rilevante solo nelle arti marziali, ma è stato anche il primo ad introdurre i principi nel mondo dello spettacolo delle arti marziali e le rese attrazioni per un pubblico desideroso di pagare per vederle, riuscì anche a fare del suo modo di vestire un altro spettacolo, si vestiva come un pavone reale e si pavoneggiava come tale, tutti i suoi movimenti erano calcolati, come si dice nel mondo dello spettacolo, nessun artista vale più di ciò che può ottenere al botteghino, la gente accorreva in massa per vederlo lottare e vedere come muoveva il suo corpo.

Arrivava perfino a dover rifiutare nuovi allievi, poiché il suo Dojo avrebbe potuto correre il rischio di crollare, Gonnosuke era inoltre un uomo d’affari sensato ed intelligente, con una mente fredda, non faceva quello che fanno oggi molti professionisti, far salire i prezzi alle stelle.

È un peccato che non si sia scritto molto su di lui, è probabile che i tradizionalisti abbiano detestato il suo lato professionale, ma in quel momento chi poteva prevedere eventi futuri che si sarebbero verificati 500 anni dopo?

Un buon Sensei deve trasformare il potenziale di un allievo in qualcosa di reale, ogni allievo può diventare potenzialmente un Maestro ed è il Sensei che si fa carico di motivare ed indirizzare l’allievo perchè questo possa scoprire se stesso. La motivazione del Sensei ha un effetto simile al processo che fa trasformare una crisalide in una bella farfalla


Narra un atleta

Narra un atleta: eravamo da tre giorni in un programma di allenamento estivo in montagna e si stava rivelando duro, ci restavano davanti sette giorni di un corso di dieci giorni, stavamo imparando allenamento di arti marziali e sopravvivenza in montagna.

Dovevamo adattarci per ottenere cibo da Madre Natura

Era difficile sopportare il rigoroso allenamento che aveva stabilito il professore e, inoltre, dovevamo imparare tecniche di sopravvivenza, dovevamo adattarci per ottenere cibo da Madre Natura, per me non era molto complicato, ma per un mio compagno Tanaka stava diventando molto dura.

Tanaka non era una persona molto comunicativa ma, ogni volta che apriva bocca, l’unica cosa di cui parlava era del buon cibo che c’era nel quartiere cinese di Yokohama “Non credo di essere un Samurai, ora che ci penso, i miei antenati erano agricoltori, una cosa è certa, dovevano avere sempre qualcosa da mangiare “ .

Tutti finimmo col perdere peso, a volte Sensei diceva: “Vi stanno diventando grandi i pantaloni? Ricordate che quanto più lunga è la cintura, tanto più corta sarà la vita“.

Un giorno, dopo aver imparato a catturare pesci nel fiume con un arpione, Tanaka mi disse “Sai ora che ci penso, non ho mai sentito parlare di un Samurai grasso, probabilmente l’obesità gli avrebbe impedito di fare movimenti e avrebbe diminuito la sua resistenza, sto imparando a valorizzare questa esperienza, sto iniziando a capire perché il Sensei ha incluso questo tipo di allenamento.“

L’ultima notte il Sensei di diresse verso di noi e disse: “In tutta la sua vita Miyamoto Musashi partecipò a 60 combattimenti, la maggior parte mortali, il suo primo combattimento fu a 13 anni e l’ultimo quasi a 30, in seguito non tornò più a lottare e morì sul tatami, da vecchio ed in pace“.

Decisamente, fu una delle figure più importanti del Giappone, tuttavia non riuscì a trovare un successore, mentre lo trovarono figure meno abili di lui, Miyamoto ha commesso lo stesso errore che commettono molti bravi Maestri, tentò di formare un allievo a sua immagine e somiglianza.


Un buon Sensei non è colui che forma un allievo come lui, ma colui che trasforma il potenziale del suo allievo in realtà

Io sono io e tu sei tu, quando arriva il tuo momento, dovrai trasformarti in te stesso, e il modo per farlo è insegnare le arti marziali come un’esperienza totale, non come un’arte specializzata.

Note


[Mente & Corpo] Si vis pacem, Para bellum

In questo articolo tratteremo come allenare il corpo e la mente a prepararsi ad ogni evenienza pericolosa al fine di non permettere che niente precluda la nostra serenità.

Si vis pacem, Para bellum

Publio Flavio Vegezio Renato

È un celebre motto latino che ricalca perfettamente la filosofia di chi studia la difesa personale vitale, se vuoi non dover combattere,meglio e conoscere il combattimento e secondo la scuola italiana, meglio conoscere quanti inganni, frodi e provocazioni di cui può servirsi un nemico per poterlo meglio contrastare o anticipare.


Se vuoi la pace devi essere pronto a:

  • Riconoscere i segnali di allarme (red flags);
  • Fuggire quando è possibile;
  • Utilizzare l’ambiente circostante a tuo favore;
  • Servirsi di oggetti disponibili come strumenti da difesa;
  • Muovere il tuo corpo e la tua mente per contrastare l’attacco.

Vediamo insieme le strategie possibili sulle quali è possibile lavorare.

FASE UNO: ACQUISIRE INFORMAZIONI

Acquisire informazioni è necessario, qualunque sia l’ambiente nel quale ci troviamo, lo facciamo costantemente a nostra insaputa costantemente e si può imparare a farlo in maniera selettiva quando ci troviamo in contesti o situazioni che “a naso ci puzzano”.

Allora in questo caso i migliori sono gli addetti alla sicurezza professionisti e i reparti speciali operativi di polizia e militari che operano in contesti red zone, da questo si possono ricavare alcuni utili consigli e suggerimenti che possiamo comunque adattare alla nostra vita, per cominciare impariamo a guardare le cose e gli oggetti in maniera definita ed esercitiamo il nostro sistema sensoriale per percepire, vedere, sentire in maniera selettiva.

Il trucco è quello di fare le cose come un gioco, si evita così il pericolo di diventare paranoici e ritrovarsi a strisciare con il passo del leopardo verso casa.

ANALISI EVENTO-CONTESTO-CIRCOSTANZE

ogni situazione che da origine ad un evento, si realizza in un contesto e attraverso diverse circostanze, la valutazione che possiamo dare di questi tre fattori influisce notevolmente sulle risposte che a nostra volta forniremo e nel modo in cui ci relazioneremo con l’evento.

Una situazione potenzialmente pericolosa che si svolge di giorno in mezzo alla gente presenta più opportunità difensive da una che si realizza in un luogo poco illuminato e lontano dal via vai di persone?

A prima vista sembra scontata la risposta e banale il quesito, ma pensateci bene e vedrete che in entrambe troverete i punti di forza e debolezze alle quali potresti ricorrere per sopravvivere, tutto, ritorno a dire è legato ai tre fattori precedenti e al modo nel quale percepiamo e riusciamo a ricavare informazioni da questi fattori.

ARMI-ARMATO-REAZIONI

Devi sapere in anticipo quali sono le reazioni del tuo corpo, non voglio tediare nessuno con la descrizione delle diverse sostanze chimiche prodotte dal corpo in questi frangenti, è il loro risultato o meglio quello che senti che può essere utile conoscere, aumento del battito cardiaco, restrizione del campo visivo, parziale sordità, frammentazione del movimento avverso (si vede come al rallentatore), accaloramento (vampate di calore al viso) o sudorazione fredda, salivazione bloccata, tremolio nella voce, tremito alle gambe (ginocchia), alle mani ecc…

Con questa situazione in atto è ben difficile orchestrare una difesa, verrebbe da pensare “eliminiamo la paura e quindi le reazioni di cui prima”, questo è l’errore più grave e più pericoloso in assoluto, quello che veramente può farci perdere la vita, perché non è possibile bloccare il lavoro del guardiano arcaico.

Questo vorrebbe dire forse che qualunque cosa uno indipendentemente dalla sua preparazione fisica, dallo stile di vita, da chi è il proprio maestro, nel momento del pericolo si proverà paura? Ebbene si, si proverà paura, paura, paura.

Lo dico perché essere sinceri non costa niente, e così nel frattempo lo ricordo anche a me.

Rallegriamoci, comunque, se proviamo paura vuol dire che siamo umani, perché la paura la provano tutti i sani di mente ed è l’alleato più prezioso che possiamo avere, a patto di imparare piano piano a cavalcarla, è come un’onda non puoi domarla a collaborare con lei e ad utilizzare le risorse che ti mette a disposizione,ci sono molti modi di agire e collaborare con la paura addosso, questo agire tremando lo chiamerò LA SALVAZIONE.

LA SALVAZIONE NON È UN COMBATTIMENTO

La salvazione è un corpo che vuole fortemente sopravvivere, fattore, pensandoci bene, naturale.

intrinseco nella natura di ogni essere umano, la salvazione ha lo scopo di farci uscire fuori, il più possibile simili a quando siamo entrati nel vortice di un evento pericoloso per il nostro vivere.

Corrisponde al riuscire a tornare a casa a leccarsi le ferite, lasciando se necessario qualcosa di noi indietro, portando fuori il necessario del nostro corpo per continuare a vivere, ecco in ordine d’importanza da cosa è costituita LA SALVAZIONE.

FUGGIRE

Fuggire è la mirabile capacità guerriera di lasciare l’aggressore ad urlare la frase pre-attacco o inteso a far volteggiare il coltello, mentre noi siamo lanciati in una corsa da centometristi, irraggiungibili anche per il povero Mennea dei tempi migliori, la sorpresa è l’elemento determinante, la velocità di reazione di scatto e la progressione (ali ai piedi) sono necessarie.

Prova a voltarti ed a correre con un compagno che tenta di prenderti partendo da 2,3,4,6,8, metri di distanza, se riesce a toccarti anche solo di poco alla schiena, sei fatto, prova a partire da seduto su una sedia, rialzarti da schiena a terra e scattare, ecc…, prova a correre salendo e scendendo le scale, scansando oggetti, persone, saltando ostacoli ecc.., puoi farlo diventare tra le altre cose anche un ottimo allenamento aerobico e di forza esplosiva.

FRAPPORRE OSTACOLI

A meno che non ci troviamo nel deserto del Sahara o in qualche situazione limite dovremmo poter contare su ostacoli naturali, costruiti o posati che possiamo utilizzare per proteggerci o difenderci da un attacco.

Un aggredito una volta ebbe una mirabile idea, si lanciò sotto un furgoncino parcheggiato e iniziò a urlare da sotto il mezzo facendo fuggire l’aggressore.

Anche un cassonetto rappresenta una barriera, un albero, se siete buoni arrampicatori, il carrello della spesa ecc…, provate a valutare l’ambiente come alleato, se hai un’auto vecchia o la possiede un tuo amico, prova a rotolare sul cofano a salire sul tetto, a girarci in tondo con qualcuno che cerca di prenderti o colpirti, ancora, quanto tempo ci metti ad uscire dal tavolo fisso di un locale pubblico? quanto ci metti ad uscire da una macchina ferma magari dalla parte opposta del posto dove ti trovi?

UTILIZZARE OGGETTI DEL LUOGO O OGGETTI PROPRI

Utilizzare per difenderci oggetti del luogo in cui ci troviamo e gli oggetti propri, è un insieme di strategie e tattiche per sorprendere chi ci attacca, lanci di cappello, sciarpe, frustare con la giacca, cinture, bicchieri, posate, bottiglie, tappeti, scopini del wc (oltretutto fanno schifo) , sputi, sabbia, monete, macchina fotografica, cellulare, attaccapanni, portatovaglioli ecc… Il limite è nel vedere ed individuare l’alleato nel contesto e nel saperlo utilizzare, non dobbiamo comunque diventare dei funamboli del già citato scopino, bisogna acquisire abilità sui materiali, una giacca ha il potere e strategie diverse da una cintura anche se sono entrambi flessibili e costruire la capacità di vedere gli oggetti nell’ambiente.

Qualcuno ben conosciuto e famoso nel mondo delle arti marziali, una volta si difese da un aggressore con il cappello e i guanti che portava, un modo senza dubbio elegante e raffinato per uscire fuori da una sgradevole situazione.

Prova a vedere quanto tempo ci metti a sfilarti la cintura, prova a lanciare un capello contro un bersaglio variando la distanza e muovendoti, prova a vedere quanto tempo ci vuole a sganciare il marsupio ed impugnarlo e fino a dove riesci a colpire, prova a sfilarti il giubbotto, basta una manica, la sinistra lasciala pure infilata, usalo avvolto al braccio come uno scudo, o a baffo, trattenendolo con un lembo ed usato per colpire. In entrambi i casi si può svolgere e utilizzare per legare e strappare l’arma catturata dalle mani dell’aggressore o per fare soffocamenti con portata a terra dell’aggressore, togliendogli la visuale con l’indumento e rendendogli difficile anche la respirazione.

Riesci a centrare un bersaglio con una moneta e a che distanza?

UTILIZZARE IL CORPO

Supponiamo che non si possa fuggire, anche che l’ambiente non abbia ostacoli che possiamo frapporre fra noi e chi ci vuole fare del male, supponiamo di non avere a portata di mano o nelle immediate vicinanze niente che possa assomigliare ad uno strumento di difesa, nemmeno un chiodo, supponiamo ancora di non aver con noi nessun oggetto da utilizzare per rafforzare la nostra azione difensiva, nemmeno le chiavi di casa.

Possiamo supporre di essere all’ultima spiaggia, non ci resta che utilizzare noi stessi, a questo punto purtroppo è necessario utilizzare le armi del nostro corpo per tamponare l’aggressione, l’errore imperdonabile sarebbe farlo come prima opzione, ma dobbiamo a quel punto soddisfare il bisogno principale che sentiamo impellente, riuscire a cavarsela.

L’unica cosa che può aiutarci in questo caso è l’esperienza acquisita in un allenamento specifico di autodifesa ed il controllo della paura.

Tutto è valido, dai morsi alle strizzate in punti sensibili, dai colpi bassi alle gomitate, l’istinto di sopravvivenza ci porterà a riportare a galla anche tecniche dimenticate e a valutazioni delle situazioni venutasi a creare.

NOSCE TE IPSUM – CONOSCI TE STESSO

È il motto che potrebbe accompagnare che si dedica sinceramente allo studio della difesa personale e ancor di più chi ricerca e sperimenta metodi protettivi vitali per la tutela della vita contro attacchi d’arma da botta o bianca, conoscere se stessi non è un’impresa da poco.

Un approccio potrebbe essere quello di salutare l’immagine che vedi riflessa nello specchio quando ti trucchi (se sei una donna) o quando ti fai la barba (in questo caso dovresti essere un uomo), non è una perdita di tempo ed è un inizio di presa di contatto visivo con il tuo esterno, inoltre esiste la possibilità che ti osservi con occhi nuovi e forse potresti anche piacerti.

In ogni caso quello che vedi nello specchio al mattino è la stessa cosa che porterai in giro per il resto della giornata e siccome stiamo parlando di difesa personale vitale, è proprio quella persona lì che tu desideri proteggere, sei in altre parole la guardia del corpo di un personale molto importante al quale tieni molto e a cui non fai mancare niente: tu, quindi vale la pena spendere un po’ di tempo per conoscerti meglio, propongo alcuni sentieri di autoconoscenza da percorrere.

COGITA RENS COGITA EXTENSA

Praticare con la mente praticare con il corpo significa vivere la pratica anche fuori dall’allevamento, significa mantenere l’unità tra il centro direzionale di controllo ed i distretti operatici e farlo ricavandone benessere.

Sperimentare modi nuovi di camminare e spostarsi, sai farlo in modo silenzioso, deciso, su una gamba sola ecc…, utilizzare ciò che ci circonda per calibrare le nostre capacità, osservare i movimenti e le posture delle altre persone, un gioco senza fine ti attende, un gioco nel quale puoi utilizzare mente e corpo in modo diverso dal solito.

RISORSE DEL RETTILE

Per conoscerci davvero non possiamo escludere la parte arcaica con la quale poco riusciamo a dialogare e questa parte è anche lei disposta a giocare, ma sempre occupata a tempo pieno nel difficile compito di farci sopravvivere è più difficile da interessare, si chiama paleoencefalo (cervello antico), per distinguersi dal neoencefalo (corteccia celebrale la parte del cervello più recente), e per completezza di informazione va citato anche un certo sistema limbico che è una sorta di collegamento tra i due cervelli.

Paleoencefalo, neoencefalo e sistema limbico

Ora il fatto molto interessante in tutta la vicenda, a noi interessano gli aspetti marziali, la difesa personale vitale, è che il nostro beneamato cervello pensante (neoncefalo può funzionare solo una volta che siano soddisfatti i bisogni di base del rettile (paleoencefalo+sistema limbico).

Adesso anche se non siamo scienziati ne medici proviamo ad avventurarci in una specie di spiegazione scientifica per capire meglio (speriamo) l’assunto, ora il nostro organismo è mosso da una rete composta da due sistemi nervosi: il sistema parasimpatico che governa il riposo, la digestione ed altri processi autonomi, sistema simpatico che subentra nei casi d’allarme e in corso e blocca tutti i processi in corso del parasimpatico finché il pericolo non è passato.

Quindi in caso di immediato e vero pericolo la mia prima risposta sarebbe dettata dal rettile

Quindi in caso di immediato e vero pericolo se la minaccia e l’azione fossero contemporanee (esempio girato l’angolo mi attaccano) la mia prima risposta sarebbe dettata dal rettile.

Un altro curioso aneddoto: alcuni anni fa un indiano Nativo d’America (pellerossa per quelli che guardano i film di Cowboy) condusse un seminario ai boschi degli Appennini e durante uno degli esercizi condusse i partecipanti nel fitto degli alberi e li fece urlare con quanto fiato ed energia avevano in corpo.

Perché vedi quando urli davvero è il rettile che urla e si sente un ruggito, ma quel giorno gli urli sembravano belati o tentativi di prendere il do di petto, ci volle un po’ perché i partecipanti imparassero ad urlare di nuovo come mamma natura aveva disposto per loro.

Se vuoi scoprire il potere arcaica del tuo corpo devi aprire dei canali e concederti delle possibilità: una possibilità te la offre la deambulazione in quadrupedia con movimenti aggiuntivi come raccogliere oggetti, bastoni e colpire il suolo o lanciarli, oppure trovati un bosco, il greto di un fiume e verificare il tuo urlo vitale, se pensi di provare fallo in ambiente sicuro per non essere portato via con la camicia di forza.

STATI D’ANIMO

Altra strada da percorrere è quella degli stati d’animo, in realtà tutto quello che percepiamo dal mondo, anche quello che stai provando in questo momento mentre leggi queste righe, dipende dallo stato d’animo nel quale ti trovi, il che vuol dire da quello che i tuoi sensi ti inviano e dalle manipolazioni che tu operi sulle informazioni, i sensi sono cinque e sono le nostre guide perennemente in azione, antenne protese nell’ambiente che ci circonda per captare e decodificare  segnali, suoni, odori, consistenze e ogni altra cosa si trovi nello spazio nel quale ci muoviamo.

Quello che tocchi o che tocca il tuo corpo (cinestesi) ti invia informazioni, ma è quello che tu elabori di queste informazioni a fare la differenza

La cosa notevole, quella importante per noi è che sono questi i primi strumenti che ci mettono in relazione con l’evento, in particolare vista, tatto, udito, quello che vedi, quello che senti, quello che tocchi o che tocca il tuo corpo (cinestesi) ti invia informazioni, ma è quello che tu elabori di queste informazioni a fare la differenza.

Un tipo che parla tra sé, dallo sguardo in tralice, tatuato e sudato che incroci per strada, potrebbe farti pensare che potrebbe trattarsi di un tossico, psicopatico: hai visto che tipo è, senti che parla da solo, passando ti ha urtato e hai percepito l’odore del suo corpo e su questo hai elaborato un identikit.

Invece potrebbe essere chiunque, anche un medico dentista che fa giornalmente jogging e che ascolta la radio con l’auricolare.

La cosa ancora più importante è che sulla base di quello che noi percepiamo, bada bene non del fatto in se stante, quindi concreto, si innescheranno opportune reazioni biochimiche nel nostro corpo.

Per quanto ne sappiamo non esiste una vera realtà, o meglio esiste quello che ognuno di noi percepisce in questa realtà

Guardare e vedere sono due aspetti legati alla percezione visiva che non necessariamente convivono, avete mai cercato qualcosa che avevate sotto gli occhi magari dicendovi “proprio non riesco a vederla“, prova a guardare qualcosa che vi preoccupa sfocando l’immagine, agite sulla messa a fuoco dell’immagine, si può fare anche con i film dell’orrore sembrando assolutamente impavidi di fronte alle scene più crude.

Prova a farlo con un compagno d’allenamento che funge da aggressore, sfocate l’immagine e agite in quello stato.

Guardare senza giudicare o secondo le scuole orientali creare il vuoto nella visione è proprio questo: agire sui sensi per ottimizzare lo stato d’animo, non giudicare l’evento ma muoversi nell’evento, lasciando all’istinto marziale la capacità piena di interagire con l’avverso, riuscire a fare questo è una delle piccole conquiste sulla strada del Graal, pietra filosofale e percorso di ogni scuola marziale.

Un viaggio che punta all’unione delle tre forze attraverso un cosciente alterato addestramento dei sensi e degli stati d’animo fino a raggiungere l’unione, l’equilibrio e l’interazione tra interno ed esterno.

Omne Trinum Est Perfectum, per gli antichi ogni triade è perfetta, tre cerchi per comprendere uno in alto, uno in basso, uno al centro, non è detto che ci si arrivi, ma è certo che alcune strade si conoscono e si possono percorrere, il lavoro è possibile e gratificante.

FISIOLOGIA & ATTITUDINI RINFORZATE

Sulla fisiologia del tuo corpo puoi agire in molti modi, prova ad abbassare le spalle e assumere un’espressione avvilita, ora prova a farlo raddrizzando le spalle, sollevando gli occhi e guardandoti attorno, vedrai come cambia la prospettiva del mondo che ti circonda.

Nella situazione di pericolo lo sconforto, l’abbattimento nasce anche dalla postura che è atteggiamento fisico espressione di uno stato mentale, una strategia semplice ed economica come ho già detto è imparare a respirare, non solo è importantissimo per la difesa personale vitale, è anche un investimento in salute.

Prova in allenamento a difenderti trattenendo il fiato per alcuni secondi, difficile vero? Questa è la situazione in cui ti potresti trovare in una vera aggressione, si va in apnea e la mancanza anche parziale di ossigeno tra le altre cose taglia le gambe (movimento) ed ingessa le braccia.

Chi ha combattuto sa bene che il nemico peggiore, prima dei colpi dell’avversario è il fatto di trovarsi senza fiato.

Note