La storia del gladiatore che tra il 73 e il 71 a. C. guidò una rivolta di schiavi, mise a ferro e fuoco il Sud Italia e diede filo da torcere ai romani.
Per alcuni fu il primo guerriero marziale della storia, lo stesso Marx, in una lettera al “compagno Engels“ nel 1861 lo definì “un genuino rappresentante del proletariato antico“.
Eppure quel Che Guevara in anticipo sui tempi non aveva mai sentito parlare né di socialismo, né di plusvalore, né tanto meno del barbuto filosofo tedesco, alla cui nascita mancavano ben 19 secoli.
E se qualcuno gli avesse nominato la lotta di classe, lui avrebbe pensato ad una battaglia navale, perché in latino classis vuol dire anche flotta.
Si chiamava Spartaco, era gladiatore, nato forse nel 109 a.C. In Tracia (l’attuale Turchia europea)
Morì a 38 anni dopo combattendo in Basilicata contro Marco Licinio Crasso, futuro triunviro, che faccia avesse non si sa, ma molti lo immaginano coi capelli biondi e la fossetta sul mento di Kirk Douglas, che nel 1960 lo interpretò in un film “Sparacus“.
Oltre a quel film, nell’ultimo secolo la Spartaco Story ha ispirato saggi, romanzi, opere d’arte, partiti e persino squadre sportive.
Il nome Spartak dilaga negli stadi d’Europa da Mosca a Busto Arsizio, con massima densità nei paesi dell’Est.
Ma chi era il vero Spartaco?
Per ricostruire la sua storia ci si basa essenzialmente su sei autori antichi, due greci (Appiano e Plutarco) e quattro di lingua latina (Sallustio,Eutropio,Floro e Orosio), che però in comune hanno ben poco.
Infatti Sallustio era un senatore della Sabina (fra Lazio e Abruzzo), supporter di Giulio Cesare, Eutropio, nato a Bordeaux, un pagano vissuto quando il paganesimo era già alla frutta (lV secolo), Orosio, un aggressivo polemista cristiano portoghese, fedelissimo di sant’Agostino.
Appiano faceva invece l’avvocato ad Alessandria d’Egitto, mentre Plutarco era un raffinato intellettuale di Atene, animalista ante litteram, e Floro un magrebino che in casa parlava il dialetto berbero.
Eppure benché lontani per epoca, patria e cultura, almeno gli autori latini un dato comune ce l’hanno: di Spartaco parlano male tutti.
Eutropio gli imputa “molte calamità“ , Floro ne dà un giudizio sprezzante (da soldato a disertore, poi predone) e dice che “distrusse con orrendi eccidi“ varie città.
Il testo di Sallustio è monco, ma basta per tacciare gli spartachisti di “ira barbarica“, infine Orosio definisce “infame“ la rivolta, accusa i ribelli, di una loro prigioniera violentata e morta suicida.
Ma è tutto vero?
Almeno Orosio va preso con le pinze.
Ciò sia perché scrisse 500 anni dopo i fatti, quindi basandosi su fonti di quarta mano, sia perché i suoi erano testi a tesi. Volevano dimostrare quanto male avesse prodotto il passato di Roma rispetto al benefico presente cristianizzato.
Ma da guardare con sospetto non è solo Orosio
Osserva un biografo moderno di Spartaco, Aldo Schiavone, docente all’Istituto Italiano di scienze umane di Firenze: come per altre grandi figure che hanno combattuto contro Roma (il cartaginese Annibale o il gallo Vercingetorige) tutto ciò che si sa di Spartaco lo dobbiamo a quel che hanno ricordato di lui i suoi mortali nemici.
Le immagini della tradizione antica sono un riflesso di quelle fissate negli occhi dei vincitori.
Eppure se dagli autori latini si passa ai greci, almeno una voce fuori dal coro c’è
Infatti Plutarco pur confermando le violenze dei ribelli, attribuisce la colpa di tutto allo stato disumano in cui vivevano gli schiavi.
“Rinchiusi a forza per la lotta gladiatoria, non per aver commesso gravi colpe ma per l’ingiustizia del loro padrone“, dallo stesso Plutarco ci giunge l’unico ritratto positivo di Spartaco, uomo “dotato non solo di grande coraggio e forza fisica, ma anche per intelligenza e dolcezza superiori alla sua condizione“
Predone o dolce eroe dunque?
Ripartiamo dai fatti, tutto iniziò quando in Italia era da poco finita l’epopea dei Gracchi ed in Africa fumavano ancora le rovine di Cartagine, distrutta da meno di 35 anni.
Fu allora che in un villaggio dei Rodopi (i Monti delle rose, oggi tra Bulgaria e Turchia), abitato dalla tribù trace dei Maidi, venne al mondo il futuro gladiatore.
All’epoca i Maidi non erano ancora sudditi di Roma, che però aveva già incluso nei suoi domini la vicina Macedonia.
Qualche tempo dopo (87 a.C.), quando Spartaco era ventenne o poco più, la Tracia diventò, come metà dei Balcani, un teatro di manovra delle legioni romane, dirette ad est per combattere il Re dei Parti, Mitriade.
In quell’ambiente di frontiera il giovane Spartaco fece ciò che poi fecero molti indiani d’America durante le guerre coloniali anglo-francesi: si arruolò nell’esercito che pagava meglio.
Quando come e per quanto tempo il futuro ribelle abbia offerto i suoi servigi agli invasori, non si sa, ma la notizia è certa
Eutropio, sinteticamente ma chiaramente, dice che Spartaco “aveva combattuto un tempo con i romani“ e il magrebino Floro conferma.
Per via indiretta si può dedurre il resto.
Per esempio che Spartaco militò quasi sicuramente nella Vl legione, detta Macedonica dalla zona dove operava, o che il suo primo capo fu Silla, futuro dittatore di Roma, fino all’83 Kapò militare dei balcani.
Ma la carriera di mercenario non durò, presto Spartaco disertò e diventò “il predone“
Perché? Schiavone avanza un’ipotesi suggestiva anche se basata solo su indizi logici: Spartaco avrebbe disertato nel 77, quando il successore di Silla, tale Appio Claudio Pulcro attaccò i Maidi.
A quel punto Spartaco si sarebbe riunito ai suoi nella resistenza “diventò un ribelle e per i romani un bandito“ commenta Schiavone, in realtà era un guerriero, una sorta di partigiano.
Ma anche la carriera di partigiano durò poco
Non oltre il 75 l’ ex legionario fu catturato con sua moglie (una sacerdotessa di Dionisio) e ridotto in schiavitù.
La Tracia, prosegue Schiavone, era in quegli anni con le Gallie, uno dei bacini di approvvigionamento per il sistema schiavistico romano.
Spartaco finì a Roma e lì fu comprato da un lanista (impresario-allenatore) di Capua, Lentulo Baziato.
All’epoca Capua aveva un attivissimo anfiteatro, con annessa un’atroce scuola-prigione gladiatoria, dove uomini atletici e sfortunati si riciclavano in tori da corrida, ad uso di una torma sadica di spettatori urlanti.
Gli allievi della scuola venivano abituati all’idea che l’unico metodo per sopravvivere era scannare qualcun altro.
Un incubo insomma. In quell’inferno spartaco rimase un anno scarso
Arrivato nel 74 a.C., nel 73 a.C. era già evaso, lo fece con altri compagni di sventura (minimo 30 secondo Floro, minimo 78 secondo Plutarco).
Iniziò così quella che Roma chiamò poi “Terza guerra servile“ (le prime due scoppiarono in Sicilia nel 135 e nel 104 a.C.) e gli spartachisti moderni “guerra proletaria“ .
Che gli evasi fossero proletari veri, cioè uomini che non avevano “nulla da perdere se non le loro catene“, però nei loro bagagli, invece di falci e martelli, c’erano spiedi e coltelli.
Erano armi rudimentali, più da cuochi che da guerriglieri, infatti Plutarco riferisce che erano state prese in una cucina.
Vagando nelle campagne gli evasi incrociarono alcuni carri carichi di spade e forconi da gladiatore destinati, curiosa coincidenza, all’Anfiteatro di Capua.
Dopo l’ovvio assalto ai carri, i 78 (o meno) si equipaggiarono a dovere e, a marce forzate, andarono ad arroccarsi tra le vigne del Vesuvio, prima “terra liberata“ della rivolta.
Là scelsero tre capi: due galli (Crisso ed Enomao) e il trace Spartaco
All’inizio il Senato non si rese conto della portata di quei fatti, prima lasciò il compito di ristabilire l’ordine pubblico alle deboli truppe locali, che ebbero subito la peggio, poi inviò da Roma quattro coorti (circa 2.500 uomini) al comando di un ingenuo pretore, Claudio Gabro.
Egli si limitò a bloccare i sentieri della montagna, pensando che i ribelli si sarebbero arresi per fame e sete.
Grave errore, una notte i gladiatori intrecciarono delle funi usando tralci di vite, quindi si calarono da una parete, presero gli assedianti alle spalle e li decimarono.
Le prime vittorie permisero a Spartaco e soci di prendere tre piccioni con una fava, si sottrassero all’assedio, si rifornirono di armi migliori prese ai militari battuti, ed infine si fecero pubblicità calamitando nuove reclute.
Così quando da Roma arrivò un nuovo pretore, Publio Varinio, non si trovò poche decine di sbandati bensì un esercito, secondo Floro, di 10 mila uomini.
Seguirono mesi di guerriglia di logoramento
Prima gli spartachisti annientarono in un agguato una colonna nemica comandata da un luogotenente di Varinio, tale Furio, poi piombarono in una villa tra Ercolano e Pompei, dove un altro luogotenente (Cossinio) stava tranquillamente facendo il bagno e lo uccisero.
Ucciso Cossinio, venne il turno di Varinio, sconfitto presso Nola (Napoli). A pochi mesi dall’evasione, Spartaco era padrone di fatto della Campania e di mezzo Meridione.
Ma quanto si era rivelato abile nella tattica militare, tanto fu inconcludente nella strategia, dando inizio ad un percorso contraddittorio su e giù per l’Italia che si concluse in Calabria, da dove tentò di passare in Sicilia con l’aiuto di alcuni pirati che però lo bidonarono.
Che cosa si proponeva l’ex gladiatore con quella lunga marcia?
La spiegazione di Plutarco è che Spartaco intendeva varcare le Alpi e poi dare il rompete le righe in modo che tutti tornassero alle rispettive patrie.
Fu però ostacolato dagli altri leader della rivolta, che preferivano saccheggiare le opulente città del Sud.
Non tanto Enomao, morto in una delle prime battaglie, quanto Crisso, che ad un certo punto si separò da Spartaco e si diresse in Puglia.
Dei contrasti che minavano la solidità dell’armata ribelle, Roma non sapeva nulla, e quando Spartaco attraversò due volte l’Italia Centrale.
Dopo i pretori del 73, i Senato mandò i consoli del 72, Lucio Gellio e Cornelio Lentulo.
L’unico che ottenne un parziale successo fu Gellio, che al Gargano uccise il dissidente Crisso, ma poi entrambe i consoli furono sconfitti e costretti alla fuga.
Solo nel 71 a.C. il vento cambiò
Ad invertirne la direzione fu Marco Licinio Crasso, l’erede politico di Silla.
Patrizio durissimo e ricchissimo, cui il Senato affidò ben otto legioni, costui esordì accusando di viltà i veterani che avevano già affrontato Spartaco e con metodi proto-nazisti ne fece uccidere 50, scelti con il metodo della decimazione.
Poi, quando fu sicuro che i soldati temevano più lui che il nemico, puntò contro i ribelli.
Il contatto avvenne presso Reggio, dove Spartaco vivacchiava scornato dopo il fallito trasbordo in Sicilia, in realtà contatto è una parola grossa, perché sulle prime Crasso sigillò i ribelli in un lembo di costa, scavando loro intorno un fossato profondo 15 piedi (4,5 metri) e lungo 300 stadi (circa 55 chilometri).
Accanto al fosso costruì un alto muro, tipo quello che oggi corre tra Israele e i territori palestinesi.
Per Spartaco chiuso tra muro e mare pareva finita, eppure in un sussulto di vitalità l’ex gladiatore riuscì ancora una volta a rompere l’assedio in una buissima notte di tormente e a riparare con i suoi in Lucania.
Ma era il canto del cigno. Scoperta la sortita, Crasso attaccò i ribelli
Prima di buttarsi nella mischia Spartaco uccise il suo cavallo, proclamando pare “Se perdo non servirà più, se vinco ne avrò altri “.
Si avverò la prima ipotesi, l’ex schiavo morì combattendo e il suo corpo fu fatto a brandelli e non fu mai trovato.
Con lui, narra Appiano, caddero sul campo 60 mila, peggio andò ad altri 6 mila, presi vivi e poi crocifissi sulla strada a nord di Capua, dove tutto era iniziato e Roma visse felice e contenta.
In conclusione
Anche se è diventato un simbolo per le laicissime sinistre de 900, Spartaco non era affatto un ateo materialista.
Anzi a quanto si può capire, era profondamente influenzato da certi culti misterici di origine orientale, che a quei tempi avevano permeato tutto il mondo ellenistico, compresa la Tracia, la terra da dove Spartaco proveniva.
Solo in questo quadro si capisce l’importanza che Spartaco stesso attribuì a un sogno fatto poco dopo il trasferimento in catene a Roma.
Mentre dormiva il futuro gladiatore vide un serpente che gli si avvicinava e risaliva lungo il suo corpo fino ad avvolgergli completamente il volto.
Destatosi di soprassalto, riferì tutto alla moglie che era stata catturata assieme a lui, e lei, esperta di culti dionisiaci (ovvero riti a forte componente sessuale, durante i quali sacerdoti e fedeli cadevano in una sorta di trance orgiastica)
Diede questo responso: il sogno annunciava una vita di “enorme potenza“, che però avrebbe avuto una fine tragica.
Note
- Foto di copertina (Wikimedia Commons)
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Direttore responsabile presso Nuova Isola.