Schiere di tifosi osannanti scandiscono i nomi degli uomini in campo per l’evento sportivo dell’anno, ad assistervi in tribuna d’onore ci sono i pezzi grossi della politica e dell’economia, ma non è una finale di Champions league, è la fotografia di uno spettacolo di gladiatori al Colosseo più o meno duemila anni fa.

Allora come oggi gli spettacoli sportivi appassionavano migliaia di cittadini, tanto che i potenti presero ad approfittarne.

Nacque così il meccanismo del consenso che l’autore satirico Giovenale (1° secolo d.C) definì panem et circenses: si organizzavano pubbliche attività ludiche per ingraziarsi il popolo e distogliere l’attenzione dei cittadini dalla vita politica in modo da lasciarla in mano alle élite.

Suona moderno anche questo, vero?

Ma vediamo come divennero popolari i giochi gladiatori.

In origine erano riti funerari. La traccia più antica di giochi gladiatori è stata trovata in alcune tombe di Paestum del IV secolo a.C. ed allora gli spargimenti di sangue avevano un significato simbolico legato al culto dei morti, si chiamavano infatti munera, cioè dovere, dono.

A poco a poco, però, i combattimenti acquistarono una popolarità tale da vivere di vita propria, la gente aveva scoperto la passione per i giochi e, come accade oggi, i politici non tardarono a rendersene conto.

Ma potremmo chiederci cosa c’entri la politica

I giochi gladiatori diventarono uno strumento attraverso il quale i magistrati, ed in seguito ancora di più l’imperatore, si facevano pubblicità.

Divennero talmente importanti che la legge stabilí che un magistrato, una volta eletto, avesse l’obbligo di allestire un gioco gladiatorio o di costruire un edificio pubblico.

Quasi tutti sceglievano i giochi, garantivano il maggior consenso popolare.

Il popolo inneggiava sui muri i propri eroi

La popolarità dei gladiatori è testimoniata per esempio dai graffiti di Pompei, che ci danno un quadro della vita quotidiana più fedele delle fonti storiche, se gli intellettuali dell’epoca guardavano i gladiatori con una certa puzza sotto il naso (allo stesso modo oggi alcuni intellettuali guardano con sufficienza al mondo del calcio) il popolo al contrario li idolatrava.

Il popolo inneggiava sui muri i propri eroi, che spesso avevano soprannomi evocativi: Ferox (Feroce), Leo (Leone), Tigris (Tigre), Aureolus (Ragazzo d’oro) ecc…

Forse Aureolus era il Maradona dell’epoca, le analogie con il mondo del calcio sono molto più numerose di quanto si immagini, due gladiatori potevano scontrarsi tra loro solo se appartenevano alla stessa “classe“, un po’ come oggi una squadra di serie A non può giocare con una di serie B.


I gladiatori vivevano e si allenavano molto duramente

In luoghi preposti, i ludi, spesso gli allenatori erano i rudiarii, ex gladiatori che, esaurito il vigore della gioventù, si convertivano in “mister“, e a gestire i ludi erano i lanisti, sorta di impresari che selezionavano gli schiavi più promettenti, li addestravano, li sottoponevano a diete particolari per rinforzare i muscoli e poi li affittavano, a prezzi esorbitanti, ai grandi personaggi politici dell’epoca o a privati che volevano ingraziarsi il popolo.

Il giro d’affari era paragonabile a quello del calcio di oggi, e come oggi c’erano le scommesse, non sono giunte prove di gare truccate,ma si sa che prima dei combattimenti c’era sempre una probatio armorum, la “prova delle armi“.

Un rito attraverso il quale i gladiatori dimostravano che le loro spade erano adeguatamente affilate, evidentemente il popolo voleva essere sicuro di non essere imbrogliato.

A spendere più di tutti erano gli editores, le figure che affittavano i gladiatori, cioè che mettevano i soldi, un po’ come gli attuali presidenti delle squadre di calcio, le cifre che giravano erano talmente alte che l’imperatore Marco Aurelio (II secolo d.C.) fu costretto a calmierare i prezzi.

Se volessimo prendere esempio dagli antichi romani, non avremmo solo Marco Aurelio a cui ispirarci, Cicerone riferisce della Lex Tullia de ambitu, una legge approvata sotto il suo consolato, nel 63 a.C., che impediva ai personaggi pubblici di finanziare giochi gladiatori nei due anni che precedevano le elezioni.

I Romani erano ben consapevoli di quanto i giochi conferissero popolarità a chi li sponsorizzava, lo sapeva bene l’imperatore Augusto, che per controllarli meglio rese obbligatorio ottenere l’autorizzazione preventiva del senato, e lo sapeva Nerone che, dimostrando fiuto politico, divenne amico di molti famosi gladiatori.

I gladiatori non erano solo degli schiavi

I gladiatori non erano solo degli schiavi. I lanisti gli reclutavano e gli obbligavano a seguire regimi alimentari rigorosi e a sostenere allenamenti intensi, ma se in campo si comportavano bene, ottenevano fama e gloria e molti soldi .

Ben presto gli editores presero a pagare profumatamente i vincitori dei combattimenti più importanti, dando loro l’occasione di un riscatto sociale, molti riuscirono a comprarsi la libertà e addirittura a diventare ricchi.

Per non parlare del successo con l’altro sesso, come i calciatori di oggi, anche i gladiatori erano nel mirino delle donne più belle dell’epoca.

Il poeta satirico Giovenale ironizzò sulla vicenda di una certa Eppia, che abbandonò casa e famiglia per seguire il gladiatore Sergio, che aveva anche un aspetto ributtante, sfregiato, con un enorme porro in mezzo al naso ed un occhio perennemente gocciolante.

Un graffito di Pompei inneggia poi al thraex Celado, che faceva sospirare le fanciulle, i gladiatori erano così noti che andavano in giro in turnèe (potrei dire in trasferta) per tutto l’impero, a Benevento un’ iscrizione funeraria ricorda un gladiatore “straniero“ giunto addirittura da Colonia, in Germania.

Fu per tutti questi vantaggi che anche uomini liberi presero la decisione di diventare gladiatori ,la fama, i soldi e le donne facevano gola a molti, così gli svantaggi passavano in secondo piano.

Chi sceglieva di diventare gladiatore rinunciava ad alcuni privilegi, al diritto di voto per esempio e alla possibilità di intraprendere un carriera politica, i gladiatori, come del resto gli attori e i personaggi di spettacolo, erano considerati cittadini di serie B.

Un’ambivalenza difficile da capire per noi

Anche se erano gli idoli delle folle, erano poco apprezzati dalla classe dirigente, poiché il mestiere di esibirsi difronte a un pubblico era ritenuto poco nobile, per non dire degradante.

Uno svantaggio che si crede impropriamente che avessero i gladiatori è un elemento tutt’altro che trascurabile, il rischio di morire, ma non così tanto come si pensa o come ci hanno fatto credere nei film, a nessuno conveniva che morissero, né al lanista, che aveva investito tempo e risorse su di loro, né tanto meno all’editor, che era tenuto a risarcire cifre esorbitanti al lanista in caso di morte del gladiatore.

A Pompei, per esempio, in ciascuno dei 32 combattimenti documentati dai graffiti, furono coinvolte 20 coppie di gladiatori, dalla lettera scritta accanto ai loro nomi (M per missus, cioè graziato, V per vicit, vinse, e O barrata per i morti) è stato appurato che i morti furono in tutto tre.

Di solito a morire erano i più pusillanimi o i più scorretti, la cui uccisione veniva invocata a furor di popolo.

Sant’Agostino denunciava l’inumana voluttà che travolgeva chi assisteva a questi spettacoli di morte, l’abbrutimento morale di chi si faceva inebriare dagli spargimenti di sangue, la sua visione era  condizionata dalle persecuzioni contro i cristiani.

Le persecuzioni ebbero il loro culmine nelle arene nel lV- V secolo a Roma, l’immagine che esce dagli studi storici, specie in centri minori come Pompei, è però diversa, la gente non era assetata di sangue,né amava lo spettacolo della morte in sé.

L’affermarsi del cristianesimo soppresse i giochi

Generalmente quello che il popolo voleva vedere erano buoni combattimenti, con gladiatori abili, coraggiosi e rispettosi delle regole, che erano rigidissime e ben codificate, né più né meno che i tifosi di oggi che si incontrano al bar dello sport, possiamo immaginare che gli spettatori di allora amassero discutere tra loro delle prove dei loro beniamini.

L’affermarsi del cristianesimo soppresse i giochi fra il lV e il V secolo, che ne denunciò (anche in quanto manifestazione del mondo pagano) la violenza.

Al tramonto dei giochi contribuirono anche la decadenza delle arene che li ospitavano e di Roma stessa.

Da allora in poi in Europa non ci fu più un fenomeno sociale paragonabile ai giochi dei gladiatori, almeno sino al successo del calcio dei nostri tempi.

Note